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Autore: HOPE87    02/05/2014    9 recensioni
Un cielo pieno di stelle... e la consapevolezza di non appartenere a nessuna di esse. Quanto luminosa può essere la strada di chi sa di dover brancolare nel buio totale?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Nuovo Personaggio, Un po' tutti, Virgo Shaka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Can we pretend that the airplanes
in night sky are like shooting stars?
I
could really use wish right now, wish right now, wish right now
Can we pretend that the airplanes
in night sky are like shooting stars?

I could really use wish right now, wish right now, wish right now…”
(Hayley Williams – Airplanes)                    

 

 

 

 

 

 

 

                                                Airplanes







Inspiro profondamente, infondendomi quel coraggio che in altre circostanze non mi è mai mancato, evitando accuratamente gli sguardi di tutti quelli che in questo preciso momento ci stanno guardando. Chi sorpreso, chi sollevato, chi sgomento, chi preoccupato. Chi incredulo.
Non l’avevano ancora vista e molti, al nostro avvicinarsi, si sono condotti una mano alla bocca, spalancato quest’ultima, stropicciandosi gli occhi, con l’intento di coprirli. Le rare volte che il mio sguardo li ha beccati sottecchi, ho mancato di invitar loro a defilarsela. C’è troppa gente, qui. Ed io non so ancora come accidenti abbia fatto nel riuscire nel mio intento.
Dopo essermi assicurato che si fosse calmata, l’ho invitata ad alzarsi… e lì è arrivata la prima fatica. Mi si era praticamente appiccicata addosso, ed io non ho avuto le forze sufficienti ad allontanarla da me. Mi son tirato su a sedere, con lei completamente abbracciata al mio corpo, cercando un modo che consentisse di aiutare entrambi.
Poco dopo, Dohko ha fatto capolino nel corridoio dove ci eravamo fermati bruscamente noi, osservando attentamente la situazione, valutando, poi, di avvicinarsi molto cautamente. Complice un mio sguardo.
Quando ci è giunto abbastanza vicino, con non poche difficoltà, si è abbassato, senza curarsi di dissimulare una smorfia di dolore, riponendo le stampelle distanti sufficientemente da non fungergli da intralcio.
L’ha salutata. Con tono dolce e basso. Le ha detto ciao e ha pronunciato il suo nome, chiedendole se si ricordasse di lui.
Lei non ha detto niente. Non una parola, né una sillaba. Niente di niente.
Il cavaliere di Libra si è allora sbilanciato, osando. Con la stessa cautela con la quale si è rapportato a lei, ha provato ad allungare una mano, lentamente, verso la sua testa, per farle una carezza.
Solo allora lei ha reagito. Si è letteralmente accartocciata su se stessa. E sul sottoscritto. Un fascio di nervi teso, il battito che correva impazzito.
Ho istantaneamente fatto cenno di no a Dohko con la testa, e lui non se l’è fatto ripetere due volte. Le ha chiesto scusa e, dopo averle rivolto un sorriso, si è allontanato, prendendo a guardarci da lontano, ad una distanza che consentisse a Reiko di “rilassarsi”. Così è tornata a respirare. Ed io con lei.
Sono seguiti poi dei momenti estremamente lenti ed estenuanti. Per tutt’e due.
Compreso che, momentaneamente, non si sarebbe lasciata avvicinare con ogni probabilità da nessuno, ho dovuto rimettermi in piedi.
Il suo braccio continuava a sanguinare e la sua pelle era diventata terribilmente fredda. Aggiunto il tutto al pallore e alle occhiaie che le marcavano gli occhi, sembrava uscita direttamente da un film di Rob Zombie. E con ogni probabilità lo sarebbe diventata veramente, se non mi fossi deciso a darmi una mossa.
Tutto sommato la sedia a rotelle mi serviva solo per evitare l’affaticamento. Non potrò certamente correre, ma camminare sì. Molto lentamente, aggiungerei.
Ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Dopo esserci alzati, l’ho convinta ad indossare perlomeno una camicia da notte. Di quelle bianche, sterili, che solitamente si trovano in qualsiasi ospedale, figurarsi in una clinica all’avanguardia come questa. Poi, esattamente come una bambina, l’ho presa per mano, facendomi seguire.
Arrivati in prossimità della camera di Mu, si è irrigidita di nuovo. Prima che corresse il rischio di bloccarsi, l’ho attirata a me, portandole un braccio ad avvolgerle le spalle, in modo tale che potesse appoggiarsi. Sentirsi protetta. Per quanto potesse riuscirci, nelle sue condizioni.
Aldebaran, poggiandosi cautamente al muro, passo dopo passo, ci seguiva a distanza. Davanti a noi c’erano tutti. O almeno così sembrava. Ma quando ho alzato gli occhi per accertarmene, Shaka non c’era.
Lei non ha sollevato la testa per un solo istante, continuando a guardarsi insistentemente i piedi, sguardo vuoto, come prima.
Anche adesso che siamo arrivati davanti al vetro divisorio della camera di Aries, non riesco a farle alzare lo sguardo.
Continua a fissarsi i piedi, preda di quell’abisso profondo che sembra averla risucchiata.
   - Eccoci. – quasi le sussurro, sentendo alle mie spalle qualcuno muoversi, inquieto. Riesco a malapena a scorgere uno pseudo riflesso di Aldebaran, che, pur trascinandosi lungo il muro, è arrivato silenziosamente. Alza la mano libera, Taurus, attirando l’attenzione dell’improvvisato pubblico, invitandolo ad allontanarsi, incitandolo a gesti più e più volte, riuscendoci, alla fine, portandosi anch’egli il più lontano possibile da noi, da lei, per lasciarle la privacy che sarebbe dovuto spettarle dall’inizio.
   - Vuoi entrare? – le chiedo allora, vedendola, sorprendentemente, alla fine, sollevare la testa, lentamente, andando a posare lo sguardo sul letto su cui giace Mu.
Senza che alcuna espressione le attraversi il volto, Reiko annuisce, stringendomi appena la mano, prima di separarsi da me, altrettanto lentamente. Poi si accosta alla porta, la apre e la varca, richiudendosela subito dopo alle spalle.
C’è una parte di me che non vorrebbe lasciarla da sola. L’altra invece sa che deve. Ed è questa, alla fine, che prevale, non senza qualche titubanza. Decido infine di allontanarmi da lì, non prima di essermi accertato e aver visto coi miei occhi che sia riuscita a sedersi, lì dove prima c’era Kiki.
Raggiungo le sedie d’attesa, trovandovi, sorprendentemente, seduti Camus e Hyoga. Di fronte a loro, Kiki siede fiacco, gli occhi spenti, sguardo rivolto alla punta delle sue scarpe. Passandogli di fianco, lascio che una mia mano si poggi sulla sua testa, scompigliandogli i capelli, senza suscitare alcuna reazione.
Non riesco a fare a meno di domandarmi cosa starà pensando.


*
***************************
 
Eccoci.
Non era esattamente questo il modo in cui ce l’eravamo immaginato, non è vero Mu?
Ridipingere le pareti della camera da letto della Prima Casa. L’ergere un memoriale degno di nota al tempio del maestro Shin. Andare a vedere l’Aurora Boreale. Fare l’amore in tutti gli angoli della casa in Jamir

Mi porto una mano allo stomaco, avvertendo improvvisamente un senso di nausea divorarmi le membra.

Fare l’amore… non riuscirai nemmeno a guardarmi… quando ti sarai svegliato…

Mi conduco rapidamente una mano a scacciare una lacrima da una guancia, stizzendomi perché sia riuscita a sfuggirmi.

Parvati è sparita, sai? Come una figura evanescente, un qualcosa che sembra non esser mai esistito…
Non una spiegazione, non una parola. Niente. Mentre ero in coma ho visto la sua figura più di una volta… in lontananza. Ma non era nitida. Più cercavo di focalizzarla, più si allontanava. Più cercavo di urlarle contro di darmi delle spiegazioni… di dirmi qualcosa… qualsiasi cosa… più la voce non mi usciva.
Mi sono svegliata in un bagno di sudore, consapevole che non c’era più. Ho aperto gli occhi sul soffitto bianco della camera in cui mi avevano sistemata, credendo di essere morta. Poi ho avvertito i rumori dell’elettrocardiogramma, che viaggiava impazzito, e mi sono staccata da dosso tutto ciò che mi teneva ancorata al letto… mentre la mente cercava di rimettere insieme tutti quei frammenti sparpagliati che con fatica cercava di ricomporre… e l’ho rivisto.
Quel tornando nero gigantesco… fuoriuscirmi dal petto… andando a raggiungere il cielo… enorme…
La sfera in cui ero stata segregata durante la resurrezione rompersi in mille pezzi… facendomi precipitare nel vuoto…
I tuoi occhi vitrei… la mano di Kalì che ti aveva attraversato il costato…
Ad un certo punto credo di aver urlato… o perlomeno di averci provato… di averlo desiderato. Ho iniziato a tremare convulsamente, continuando a lottare contro quell’infinità di tubi che mi avevano messo ovunque. Ad un certo punto credo anche di aver avvertito dolore ad un braccio, ma non me ne sono curata molto.
Mi sono guardata attorno terrorizzata, l’immagine di Kalì che mi rincorreva ancora nella mente… le sue braccia che si agitavano indemoniate a colpire a destra e a manca… mietendo vittime…
Ho vomitato, accasciandomi accanto al letto, rendendomi conto solo in quel momento che… desideravo uno specchio. Urgentemente, dove potessi guardarmi.
Ero casualmente entrata in contatto con la mia testa, nell’abbassarmi a rigettare… avevo capito che c’era qualcosa che non andava…
Così ho iniziato a cercarne uno, ma senza successo. Finchè non mi sono accorta che vi era uno vetro divisorio, in quella camera… un vetro divisorio che fungeva, appena un po’, da specchio… e l’ho vista.
Quella cosa eccessivamente magra, smunta… dal colorito grigiastro… le occhiaie profonde… gli occhi sbarrati, come quelli di un’orribile bambola di porcellana… dalla testa completamente… irrimediabilmente rasata.
Mi sono vista. Ed ho urlato di nuovo. Ho urlato e ho rivisto delle mani andarsi a squarciare la schiena, con l’intento di farne uscire qualcosa. Ho urlato e mi sono rivista compiere quel movimento. Ho urlato e non è uscito che un filo di voce, non potente come avrei voluto.
Mi è raschiata, ad un certo punto, la gola, ed ho tossito, lasciandomi cadere a terra, sulle ginocchia, cercando di portarmi le mani laddove avevo visto portarmele in quel ricordo… e le ho sentite…
Delle bende percorrermi il punto che avevo visto… individuato…
Le ho strappate con una rabbia cieca, una paura infinita… trovandole, infine.
Delle cicatrici lunghe, profonde, arrivarmi fin dove le mie dita non sono riuscite a giungere.
Non so quante lacrime abbia versato, sconvolta, finchè qualcuno non è entrato nella stanza, cogliendomi alla sprovvista. Ho reagito alla paura come un animale preda di un altro, aggredendo il mio predatore per cercare di avere la meglio, avvertendolo troppo tardi urlare, terrorizzato a sua volta.
Ho continuato a sbattergli la testa sul pavimento, in fondo alla camera, fin dove l’avevo spinto, fermandomi solo quando non ho sentito più la sua voce.
Combattendo un altro attacco di nausea sono corsa via, spaventata da come avevo reagito, orripilata per quello che avevo fatto… non curandomi minimamente dell’essere quasi completamente svestita… non riuscivo ad avvertire nemmeno il freddo delle mattonelle sotto ai piedi nudi che, invece, sto sentendo adesso.
Mentre correvo, Milo mi è venuto incontro… ed ho aggredito anche lui.
Non l’avevo riconosciuto, Mu.
Ha dovuto parlarmi più di una volta per convincermi che non fosse uno di quei thugs che vedevo continuamente rincorrermi, macete alla mano, espressione grottesca a dipingergli il volto… che sembrava sbucare da tutte le parti…
Milo mi ha definita “sotto shock”…
Io invece credo di essermi completamente persa, Mu.
Cammino in un corpo che non è più il mio… vedo cose che non ci sono, sento voci che non esistono più… ma la cosa che è stata più sconvolgente apprendere è che io… non sono mai stata io… niente di ciò che ho fatto è stato dettato dalla mia volontà… come un pupazzo di pezza lasciato in mani infantili che l’hanno usato a loro piacimento… abbandonandolo come uno straccio vecchio quando non hanno più avuto bisogno di lui…
Ti guardo giacere in questo letto e l’unica cosa che riesco a provare è ribrezzo verso me stessa. Nulla di ciò che fino a poco tempo fa definivamo amore, è rimasto dentro di me. Niente. Forse nemmeno l’ho mai provato per davvero, quell’amore di cui parlavamo. Sono stata manovrata dall’inizio alla fine, in una storia che tutti sapevano come sarebbe andata a finire… eccetto me.
Non riesco neanche più a ricordare il perché ci siamo tanto avvicinati, io e te… il senso di quei baci, di quelle carezze, di quelle parole sussurrate nella notte tra un affanno e l’altro… cosa ci dicevamo, Mu? Perché? Era tutto vero o è stato un sogno? Perché non riesco più a credere che sia reale. Che sia esistito. Che possa averlo provato. Un deserto, la mia anima. Quel cuore che batteva col tuo si fermato, Mu. Proprio quando avrebbe dovuto battere più forte… non si è rianimato neanche al ricordo delle parole sussurratemi quando Kalì ancora vagava incontrastata su questa terra…
Saresti potuto morire, e non sarebbe cambiato niente.
Non mi sono ribellata a Kalì, vedendoti cadere… se Shaka non fosse intervenuto ora saremmo tutti morti. Il tuo sacrificio sarebbe stato vano. E con lui le tue parole, i tuoi gesti, i tuoi sentimenti.
Parvati placò la sua ira accortasi di aver nuociuto Shiva, l’amore della sua vita.
Kalì non ha placato la sua ira dinanzi a te.
Ed io non so più cosa pensare.
Da fare ci sarebbe una sola cosa… che non compirò mai. E’ l’unico modo che ho per restituire dignità al tuo sacrificio. Anche se non so più che farmene, di quest’esistenza fasulla, non eliminerò una cosa per cui tu eri pronto a dare la vita, per proteggerla.
Attenderò il tuo risveglio per dirti addio, Mu.
Non ha senso.
Non avrebbe senso condurre la vita accanto a te divorata dai dubbi, mossa unicamente dal senso di colpa per ciò che la mia condizione infelice ti ha spinto a compiere. Non avrebbe senso.
Lo capisci? Lo capirai mai?
Mi
perdonerai mai, Mu?

Mi stendo accanto a lui, adagio, soffocando il pianto nell’incavo del suo collo… consapevole che mi sta ascoltando… che abbia ascoltato tutto ciò comunicatogli con la psicocinesi… che non sarei riuscita a dirgli altrimenti… lasciando che il mio corpo venga scosso da violenti singhiozzi e la mia voce si riduca ad un sibilo disumano…


****************************

   - Avanti. – scandisco, non riuscendo a non mutare la mia espressione in sorpresa, nel vedere chi entra dalla porta della sala della Tredicesima sulla cui scrivania stavo sistemando dei documenti, completamente persa nei miei pensieri. – Entra, Shaka. – aggiungo, lasciando trasparire, ne sono consapevole, una certa ansia, nel far vagare il mio sguardo sulla persona del cavaliere della Sesta Casa… non potendo fare a meno di meravigliarmi per il sorprendente recupero che sembri aver subito da un giorno all’altro.
Sebbene il suo classico atteggiamento dignitoso ed elegante potrebbe trarre certamente in inganno.
   - Milady. – pronuncia lui, compiendo un lieve inchino, chiedendo così il permesso di poter parlare, che gli accordo prontamente. – Sono venuto a chiederle la possibilità di congedarmi per un periodo di tempo dal Grande Tempio. Ho intenzione di ritornare in India per dedicar… - .
Lo
interrompo, sollevando un palmo della mano.
   - Congedo accordato, cavaliere di Virgo. – pronuncio solamente, vedendolo sollevare appena il capo, aprire gli occhi e guardarmi, dandomi l’opportunità di veder la sorpresa attraversare per un attimo i suoi occhi, prima di richiuderli.
Annuisce, Shaka di Virgo, non essendogli data l’opportunità di fare altro, venendo colto alla sprovvista.
Cosa ti aspettavi ti dicessi, Shaka? Cosa pensavi potessi dire ad un asceta come te… lasciatosi travolgere dalle emozioni umane, con ogni probabilità senza rendersene conto…? Ricordandosi di essere un essere umano anch’egli… ripresosi solo il giorno prima ed ora, a poco più di ventiquattr’ore di distanza, già in fuga da se stesso?
Scappa
, se è quello di cui hai bisogno.
Va dove il tuo animo inquieto possa credere di trovare la pace.
Potessi, lo farei anche io.
   - Abbi cura di te, cavaliere della Vergine. Che possa tu trovare la serenità che la tua persona merita… - .
   - A lei sempre fedele, Dea Athena. – mi risponde lui… avendo perfettamente compreso l’entità della mia concessione.
Poi si alza, Shaka, genuflettendosi dinanzi a me prima di andare, abbandonando il Santuario finchè non avrà bisogno di nuovo di lui.
Mi lascio cadere su una delle poltrone della sala, prendendo ad osservare il fondo di una tazzina vuota, posta su un tavolino poco lontano da me, permettendomi di chiudere per un istante gli occhi.
Ganesha se n’è andato.
Era rimasto solo per accertarsi dell’effettiva riuscita della sigillazione di Kalì. E’ bastato che Reiko si risvegliasse per rendersene conto, per rendercene conto tutti. In lei non dimorava più alcun cosmo.
La Dea Parvati aveva abbandonato il suo corpo mortale… non lasciandole altro che ancor più confusione con cui fare i conti.
Kalì. Mu. Shaka.
Shaka. Mu. Kalì.
Mi conduco una mano alla fronte, appoggiandovi l’intera testa.
Cos’è successo?
Ho
provato a chiederlo al figlio della Dea Parvati, ma lui non ha saputo fare altro che ripetere ciò che già avevo appreso precedentemente: lui non era a conoscenza dei reali piani della madre.
Che quindi abbia fatto le veci di Shiva Mu, Shaka o le abbiano fatte entrambi insieme… non si sa.
Reiko è impazzita.
Ho avuto modo d’incontrarla una sola volta dal suo risveglio… ed è bastato a farmi capire che qualcosa, in lei, si era irrimediabilmente rotto. In piccolissimi, numerosissimi, pezzi.
Non sono riuscita a tenere lo sguardo fisso nel suo a lungo. Avevo la sensazione di precipitare in un abisso di tenebre… profondo. Profondo abbastanza da inghiottire tutto ciò che aveva attorno.
Complice, con ogni probabilità, l’influenza di Kalì.
Un’energia negativa di una tale portata…
Non vi sono più dubbi sul fatto che quella creatura appartenente alle tenebre sia stata sigillata. Ma non oso immaginare cos’abbia potuto lasciare, al suo passaggio, dentro Reiko
Improvvisamente il telefono squilla, facendomi sobbalzare.
   - Pronto? – chiedo.
Poi sgrano gli occhi, non riuscendo a immaginare, adesso, che cosa accadrà.


******************************


Ringraziando il cielo, alla fine anche Mu si è svegliato.
Non so precisamente quando sia avvenuto e come sia avvenuto… per quanto sia riuscito a gestire la soglia del dolore, nel cercare di occuparmi di Reiko mi sono stancato. D’accordo che è appena il sesto giorno di ricovero… d’accordo che altre persone, nelle stesse identiche circostanze, non si sarebbero nemmeno risvegliate. Ma che vergogna, per un cavaliere d’Athena. Son finito a sbavare allegramente sui miei stessi vestiti, collo reclinato all’indietro, contro il muro che avevo alle spalle quando ho deciso di sedermi accanto a Camus e Hyoga. Di loro non c’era più traccia. E nemmeno di Kiki.
E’ venuta a svegliarmi l’infermiera che avevo finito casualmente col salvare dalle grinfie di Death Mask, sorridendomi coi suoi occhi da cerbiatta e facendomi un sorriso che avrebbe mandato in estasi qualunque estimatore del gentil sesso.
Non mi sono dilungato nel farle delle avances, come avevo pensato di continuare a fare se le cose fossero andate diversamente… ma, a giudicare dal risvolto che ha preso la situazione, non mi è dispiaciuto affatto.
Reiko era stata fatta accomodare fuori, attendendo pazientemente che l’equipe si occupasse di Aries, risvegliatosi evidentemente da poco, a giudicare dal via vai di gente.
L’ho raggiunta cautamente, affiancandomi a lei, in religioso silenzio.
Non sono riuscito a impedirmi di lasciarmi sfuggire un sospiro di sollievo. E un sorriso. Ce l’ha fatta. Ce l’abbiamo fatta tutti, ringraziando gli dei.
Per modo di dire.
Quando mi volto verso Reiko, il sorriso mi si spegne.
   - Ehi… - pronuncio appena, vedendo delle lacrime attraversarle il viso ininterrottamente. Non un singulto, non un lamento. L’espressione impassibile come sempre. Faccio per carezzarle con le nocche di una mano una spalla, ma lei si sposta impercettibilmente…
Poi si allontana, senza guardarmi. Non una parola, non uno sguardo. Niente. Si allontana verso la porta che dà sull’esterno. L’andatura claudicante, le mani ad abbracciarsi le spalle…
Spalanca la porta mentre un infermiere le dice più volte di non uscire, che è pericoloso, che nelle sue condizioni è meglio non farlo. Spalanca la porta e vi scompare dietro… mentre le palpebre di Mu si aprono per la prima volta da quando si sono chiuse.


*
********************************

   - MU! -.
Menomale
che gli avevamo raccomandato di non saltargli addosso. Dohko si lascia sfuggire una risata appena accennata alla vista di Kiki correre tra le braccia del fratello, che, nonostante sia ancora palesemente malconcio, e sebbene “malconcio” sia assolutamente un eufemisma, non lo respinge, lasciando che l’allievo lo abbracci, nascondendo il volto in lacrime, prendendo a carezzargli la testolina rossa.
   - Milo. – mi richiama appena Camus, afferrandomi lievemente per un braccio per farmi spostare, dando modo a Saori Kido, di cui non mi ero minimamente accorto, preso com’ero ad assistere a quella scena, di passare.
Avanza Milady, mentre io e gli altri presenti sostiamo ancora all’esterno, per non occupargli la camera. Sorride la Dea quando il piccolo Kiki si ricompone, scendendo dal letto del fratello, impettito, orgoglioso, non prima di essersi asciugato le lacrime, ed è con una carezza sul volto che lo congeda, facendolo arrossire e sparire velocemente, tanto velocemente da ignorare anche i nostri sguardi.
Fa per togliersi la maschera dell’ossigeno Mu, ma Milady glielo impedisce, poggiando una mano sulla sua, sorridendogli conciliante. La sua figura sedutagli accanto, sulla sedia prima occupata a lungo dal fratello.
   - Dov’è? – chiede improvvisamente Aldebaran, interrompendo il filo dei miei pensieri… ma non faccio in tempo a riordinare le idee che vengo nuovamente interrotto, questa volta da Milady, appena uscita dalla camera. Gli occhi appena umidi di pianto. Una mano che va a chiudersi la porta della camera di Aries alle spalle.
   - Lasciatelo riposare ancora un po’. – ci chiede con un filo di voce, sollevando poi lo sguardo verso di noi, guardandoci uno per uno… come a cercare qualcuno.
   - E’ fuori. – oso dire, comprendendo. Ed è con un sorriso appena accennato che si congeda, sollevando appena una mano verso Saga, che era pronto ad accompagnarla… lasciandoci tutti basiti.


*
*******************************

Oggi è stata una splendida giornata, qui ad Atene. Il sole ha illuminato incontrastato, riscaldando ogni creatura vivente con i suoi splendidi raggi. Anche ora che sta per giungere il tramonto lascia il suo fascino, posandosi sull’erba, gli alberi, la pelle. I suoi raggi sono ormai tiepidi. Il vento soffia appena.
Lei è seduta sull’unica panchina all’ombra. Le spalle piegate, la mani abbracciate alle gambe, la testa tra le ginocchia. Il vento le sposta appena i bordi della lunga camicia ospedaliera che indossa, unico indumento dell’involucro della sua anima fatta a pezzi.
Deglutisco, avvertendo lo scettro di Nike estremamente pesante, gli abiti che indosso inadatti.
Per la prima volta in vita mia… mi sento inadeguata.
Poggio lo scettro in prossimità della porta, compiendo un gesto con la testa che vada ad allontanarmi i capelli dal volto. Avanzo.
Mi appare incredibilmente lunga la strada che ci separa, ma nulla compio per abbreviarla. Quando arrivo al posto in cui è seduta, semplicemente, mi siedo, congiungendo le mani in grembo e guardandomele, lasciandomi andare ad un profondo sospiro.
Tutta questa sofferenza…
So che mi ha sentita, che si è accorta di me. Anche se a giudicare dalla sua immobilità sembrerebbe il contrario.
Incredibile di come le parole che avrei voluto formulare in sua presenza, alla sua vista siano scomparse…
Chiudo gli occhi, avvertendo l’impellente desiderio di non trovarmi più lì.
Ho avuto la stessa identica sensazione con il Grande Mu. Guardavo la sua figura nel letto… e non riuscivo a trovare le parole.
Guardo lei su questa panchina, ridotta all’ombra di sé stessa…e non trovo le parole.
Gli occhi iniziano ad inumidirmisi.
Forse se non mi avesse trattata alla stregua di un’umana comune, non avrei mai provato tutto questo.
Vorrei poterla ringraziare per quello che ha fatto. Non per la pace sulla Terra. Non per la Dea della Giustizia. No. Ma per quello che ha fatto per Saori Kido… per Mu… per Shaka… per tutti gli altri…
   - Io ti chiedo perdono. – mi decido a pronunciare alla fine, traendo un profondo respiro. Gli occhi ricolmi di lacrime, le mani a stringere la lunga gonna, la voce rotta. – Per il dolore arrecatoti… per la vita stravolta… per l’insensibilità divina di cui sei stata vittima… - . E’ a nome del dio Ganesha e della dea Parvati che, soprattutto, parlo. Nonché della mia insensibilità nell’averla attaccata, all’inizio.
Inspiro profondamente nel ricordare quei momenti.
   – Per tutto quello che non mi sarà dato modo di comprendere e cambiare… io ti chiedo perdono, Reiko. - .
Allora
accade qualcosa che mi sbalordisce, a dismisura. Reiko prende a singhiozzare a dirotto. Il corpo scosso, come se da un momento all’altro potesse spezzarsi. Poi, prima che riesca anche solamente a rendermi conto di ciò che è accaduto… mi abbraccia. Mi ritrovo stretta tra le braccia di Reiko. Il suo volto tra i miei capelli, le sue lacrime sui miei abiti. Sento sussurrarmi un grazie arrancato, prima di decidermi a ricambiare quel gesto… sebbene la mia inesperienza nel rapportarmi a questo modo non mi dia modo di fare altrettanto.
Ma di una cosa sono certa, in questo momento. Mi ha perdonata. Mi ha perdonata perché ha compreso… com’è sempre stata in grado di fare.




*
****************************

7 GIORNI DOPO…



E’ stato strano ritornare al Santuario.
Ogni volta che ritorno, da un lungo viaggio o meno, mi sembra sempre che qui il tempo si sia fermato…
E’ rimasto tutto come lo avevamo lasciato.
In caso di emergenza viene dato l’ordine ai commensali di non avvicinarsi alle Dodici Case per nessuno motivo in assoluto. Ragion per cui è tutto irrimediabilmente come l’abbiamo lasciato.
Mi avvicino ad un vassoio di mele rosse, riposte giorni fa sul tavolo della cucina, mai consumate. Ne afferro una e me la conduco al volto, osservandone l’incredibile colore che ancora la caratterizza, nonostante il passare del tempo. Nonostante sia stata sottoposta alle intemperie.
Poi la volto… scorgendovi un buco dentro cui degli insetti hanno creato la loro tana.
Molto spesso le cose sembrano non essere mutate affatto. Invece lo sono.
Mi volto di scatto ad un rumore proveniente alle mie spalle, intravedendo Reiko sbuffare e maledirsi per non essere riuscita a tenere la presa su una scatola ricolma di libri.
Molto spesso le cose sembrano non essere mutate affatto. Invece lo sono, eccome.
   - Faccio io dopo. – pronuncio nella sua direzione, sentendola armeggiare ancora con altre scatole.
   - Non preoccuparti. – mi risponde, insistendo col risollevare quella precedentemente cadutale, rinunciandovi stizzita, prendendo poi a spingerla con i piedi. Ansiosa di concludere.
In un attimo sono alle sue spalle, sulle scatole di cui stava tentando di disfarsi, sollevandole e lanciandole nella sala in cui stava cercando di spostarle, provocando rumori assordanti, distruggendole.
Reiko sobbalza, incassando la testa tra le spalle. E’ la prima reazione che vede compiermi da quando mi sono svegliato, da quando ci siamo visti. Non una parola, non uno sfiorarsi. Non un ricordarsi di essere vivi.
Fa per voltarsi verso di me, ma prima che ci riesca sono io a voltarla, avvicinandola al mio corpo. Una mano sulla sua schiena, che le garantisce la presa a me, un’altra dietro la sua testa. Le mie labbra sulle sue, immediatamente esigenti.
Spalanca gli occhi quando sente il divano sotto di sé. Ancor di più quando i bottoni della camicia nera che indossa saltano, e una manica scorre a scoprirle una spalla.
Cerco di mantenere il controllo di me stesso rallentando, approfondendo i baci, dilungandomi sui suoi punti più sensibili… ma tutto ciò che ottengo in reazione è il suo pianto.
   - Mu… - mi sussurra tra un singhiozzo e l’altro… e una rabbia cieca mi assale. Qualcosa d’indefinibile, che non ho mai provato prima. Non così.
Continuo a baciarle il collo, i seni, l’addome piatto, disfandomi del tessuto che m’intralcia, sentendo solo in quel momento le sue mani far più forza sulle mie spalle. Come per allontanarmi, come per impedirmelo.
E le vedo.
Le cicatrici provenirle dalla schiena, sfigurarle il corpo. Dei cerchi bluacei… lividi… sotto alle sue braccia… come fossero marchiati a fuoco. L’ombra delle braccia di Kalì.
Mi ritrovo ad irrigidire la mascella e stringere le mani fino a farmi sbiancare le nocche, mentre il suo pianto disperato continua, aumentando d’intensità… facendomi abbassare la testa, appoggiando la fronte sul suo ventre, scosso dai singhiozzi.
Non voleva che vedessi. “Non riuscirai nemmeno a guardarmi”. Era a questo che si riferiva… a ragione.
Approfittando della mia titubanza, si libera di me, divincolandosi fino a scendere dal divano, toccando bruscamente con le ginocchia il tappeto.
La vedo strisciare fino alla camicia sfilatale, tentando di coprirsi, velocemente, sottraendosi ai miei occhi… puntati sulle sue spalle attraversate da altre innumerevoli cicatrici.
Athena
Chiudo gli occhi mentre delle lacrime iniziano ad attraversarmi il volto.
Non è mai stata tanto fragile, quanto adesso, ai miei occhi…
E non mi sono mai sentito tanto fragile neanch’io…
La raggiungo sul tappeto, aspettando che si ricopra, abbracciandola da dietro, sentendola subito irrigidirsi di nuovo.
   - Ti amo… - le sussurro con voce flebile, rotta dal pianto… avvertendo un dolore insopportabile attanagliarmi le viscere ogni volta che la vedo scuotere la testa.
   - Ma non sono stato io a salvarti… - . E, come ogni volta che mi attraversa la mente questo pensiero, la rabbia… l’orgoglio, s’impossessano di me. La lascio, vedendola approfittarne subito per aumentare le distanze. Le divinità, dall’alto, avevano visto ciò che noi uomini non eravamo riusciti a vedere dal basso… l’uno con l’altra.
Come sono stato cieco.
Come sono stato ingenuo.
Si è abbandonata nelle sue braccia più di una volta… ed io non ho voluto vedere.
Mi rialzo lentamente, stringendo gli occhi al dolore acuto che sento in prossimità della cicatrice rimastami sul torace…
   - , se devi farlo. - .
Le
parole escono dalla mia bocca come non fossi io a controllarle. I suoi singhiozzi permeano la stanza… entrandomi nelle orecchie, nell’anima, sotto pelle.
   - Se devi sentirti inadeguata, se devi sentirti colpevole, se devi ridurti all’ombra di te stessa… - . Reiko mi raggiunge, prendendo ad avvolgermi le caviglie con le sue braccia… come in cerca di perdono, di remissione, di pietà.
Stringo le nocche convulsamente, chiudendo gli occhi per non doverla vedere più… trovando, infine, il coraggio di darle l’assoluzione che cerca.
   - Vattene, Reiko. - .
Scoppia
a piangere di nuovo, disperatamente… iniziando a pronunciare il mio nome… formulare frasi sconnesse… prive di senso, pregne di dolore.
Mi lascio cadere a terra per portarmi alla sua altezza, sciogliendo quella postura che non riesco a sopportare, abbracciandola. Stretta, forte abbastanza da non nuocerle, sentendola fare lo stesso istantaneamente, continuando a piangere.
   - - .





*********************************


L’aeroporto di Atene pullula di gente. Fortuna che non abbia insistito col non farmi fare il check-in da Tatsumi, altrimenti a quest’ora starei già dando di matto.
Non ho salutato una Saori piuttosto insistente che poco fa, reduce da una pessima nottata alla Prima Casa, trascorsa metà su un pavimento gelido, metà su un divano dal rivestimento presumibilmente da cambiare. Non sono quella che si definirebbe una persona simpatica, quindi.
Sospiro profondamente, per poi sbadigliare subito dopo, senza curarmi di coprirmi la bocca con una mano.
Al risveglio ho immediatamente fatto le valigie, memore di ciò che era accaduto, preferendo non soffermarmi troppo sul focalizzarmi su ogni singolo evento… o avrei ridato il via alla stagione delle piogge.
Sono andata da Saori, le ho comunicato la mia decisione e mi sono fatta la strada al ritroso approfittandone per salutare i ragazzi.
Seh. Magari fosse stato così facile.
Cosa non ha provato la Kido per convincermi a non partire. Case in cui avrei potuto alloggiare gratuitamente, occupazioni da ricoprire senza averne il minimo requisito… l’unica cosa che non sono riuscita a rifiutarle – non perché non lo volessi, ma perché mi ha quasi praticamente minacciata – è stato il pagarmi il viaggio di ritorno in aereo.
Sono ancora ridotta alla stregua di uno straccio, priva di vita e senza alcuna voglia di trovarla. Non sarei mai riuscita ad utilizzare il teletrasporto. Così come non avrei mai e poi mai accettato un passaggio da terzi.
   - Scusi. – esclama un passante, urtandomi casualmente, sgranando gli occhi quando questi si posano su di me.
Vorrei potergli dire grazie. Che è molto gentile a farmi notare il mio terribile aspetto, ma che sarebbe di gran lunga peggio il suo se decidessi a replicare a modo mio.
Chiudo gli occhi, inspirando profondamente per cercare di calmarmi… avvertendo l’angoscia riassalirmi e le lacrime risalirmi agli occhi.
Inevitabilmente, qualcuna ci scappa, venendo prontamente tamponata da due dita andate ad adagiarsi sugli occhi, a coprire questi e l’intera espressione.
Quanto vorrei che una voragine m’inghiottisse…
   - Reiko! - .
Faccio
per voltarmi, allarmata, verso la fonte da cui ho sentito provenire il mio nome… vedendo poco dopo fuoriuscirne Milo, cercando di divincolarsi dal gruppo di studenti che per poco non l’ha investito. Sorride, avvicinandomisi… e l’angoscia ritorna. Prepotentemente.
Se ho salutato tutti velocemente c’è stato un motivo.
Non voglio sentire niente che la mia mente, adesso, in queste condizioni, non potrebbe tollerare.
Invece, sorprendentemente, il cavaliere dell’ottava casa non fa nessuna delle cose che temevo facesse. Resta in silenzio, di fronte a me, a guardarmi per un periodo indefinito… probabilmente combattuto. Infine, mi abbraccia. Stringendomi così tanto da farmi mancare il fiato.
Nessuna domanda sul futuro, nessuna considerazione sul presente, nessuna rievocazione del passato. Niente di niente.
Semplicemente, ad un certo punto, tira fuori un pacchetto dalle dimensioni di una mano, quadrato, da cui estrae, senz’aspettare lo faccia io, un telefono cellulare, insieme ad un pezzo di carta.
   - Voglio che mi chiami. – pronuncia tra il dolce e il perentorio. – Ho stipulato un contratto col gestore telefonico tramite la mia carta di credito. Non dovrai preoccuparti di far altro che afferrarlo, recuperare questo numero e digitarlo in qualunque momento tu possa averne bisogno… - .
Abbasso
la testa… avvertendo una tristezza infinita invadermi, facendomi sentire ancor più sconquassata.
   - Hai capito? – mi chiede, mentre sentiamo la voce dell’altoparlante annunciare il mio volo.
   - Ti voglio bene, Milo… - pronuncio con le lacrime agli occhi, affondando il viso nel suo giubbotto di pelle e avvolgendogli il torace con le mie braccia, sentendo fare subito lo stesso anche a lui, ancor più intensamente.
   - Non giudico né condanno alcuna tua scelta, Reiko. – mi dice con voce bassa, rotta dall’emozione che sta cercando con ogni probabilità di combattere, memore dell’ultimo errore che l’ha visto protagonista nel nostro rapporto fraterno. – Credo fermamente che tutto questo abbia un senso… che noi facciamo fatica a scorgere perché troppo affannati nel restare in piedi. -.
Mi
lascio andare ad un pianto liberatorio, sentendolo, se possibile, stringermi a lui ancor di più.
   - Qui avrai sempre una casa in cui tornare. Abbi cura di te. -.
Con un ultimo bacio datomi dolcemente sulla fronte, Milo se ne va, in tempo da non permettermi di vedergli gli occhi lucidi, l’espressione triste.
Seguo la sua figura finchè non raggiunge l’uscita, scorgendo ad aspettarlo, su una moto, Camus, che solleva una mano, intercettato il mio sguardo, a di saluto. Di arrivederci.
Poi Milo lo raggiunge e insieme partono prima che il primo indossi il casco… lasciando che io raggiunga il mio gate d’imbarco… col cuore appena più leggero.




*******************************

INDIA…



Dicono che il Gange sia un posto dove gli uomini accorrano perché consapevoli di star abbandonando questa vita o perché siano convinti di starne entrando in una nuova.
Evidentemente, se si vuole credere alla reincarnazione, le due cose combaceranno sicuramente… eppure io non riesco a scorgervi né l’una né l’altra ipotesi, su queste rive…
I miei occhi percorrono la calma del suo scorrere da giorni.
Ma a parte l’imperturbabilità… la staticità di ciò che lo circonda, niente riesce a trasmettermi.
Eppure qui continuo a venire. Come calamitata, come attratta. Senza un apparente motivo plausibile.
   - Oh my God! – sento esclamare da qualcuno nei paraggi, facendo scorrere lo sguardo attorno a me, posandolo poi subito su una famiglia di turisti composta da due giovani genitori e un bambino, che sembra aver fatto volare qualcosa d’infinitamente prezioso nelle acque del Gange.
Trascorrono diversi minuti prima che mi decida ad abbandonare la letargia che mi ha avviluppato le membra da giorni, dando un taglio anche al pianto ininterrotto e disperato del bambino che, appena alzatami, sebbene non l’abbia degnato di un solo sguardo, sembra aver capito.
Mi tuffo dopo essermi tolta solo la felpa, lasciando le scarpe a riva, prendendo a nuotare verso la riva opposta, col sole negli occhi… imbattendomi, improvvisamente, dopo un po’ di tempo, in qualcosa che mi costringe a fermarmi, prendendo a solleticarmi il viso.
Apro gli occhi quel tanto che mi basta a capire di cosa si tratti… avvertendo, improvvisamente, una sensazione partirmi dal centro del corpo, andando a propagarsi per tutto il resto.

Dicono che il Gange sia un posto dove gli uomini accorrano perché consapevoli di star abbandonando questa vita o perché siano convinti di starne entrando in una nuova.
Ci ripenso, quando decido di afferrare quegli inspiegabili fili dorati paratimisi davanti, sollevandomi dall’acqua con ancora essi in mano. Li osservo a lungo, fino a quando non mi sento osservata anch’io, trovandomi a sollevare gli occhi… per specchiarli in un paio di un incredibile color pervinca. Curiosi. Attenti. Sgomenti.

Dicono che il Gange sia un posto dove gli uomini accorrano perché consapevoli di star abbandonando questa vita o perché siano convinti di starne entrando in una nuova.
E forse, effettivamente, è così.

















                                                                                                 FINE










                                                                                                   










                                                                                                    (?)







   
 
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