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Autore: Oswin12    04/05/2014    1 recensioni
Medea non sa come sia potuta finire a Zork, dopo un viaggio travagliato in grotte sotterranee...ma sta di fatto che molto probabilmente deve tutto ciò a quello strano libro, comparso dal nulla. Un libro, capace di riscrivere il suo destino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora, premetto col dire che questa storia è veramente vecchia!! L'ho scritta non so più quanti anni fa e finalmente mi sono decisa a pubblicarla :) Siate clementi, vi prego...e recensite, mi raccomando!! :D



Medea guardò in basso, mentre il vento le scompigliava i capelli, neri come la pece. Si appoggiò al parapetto del palazzo, chinandosi in avanti: le era sembrato di vedere qualcosa, che prima non c’era. Si sporse ancora un po’ e scorse un libro, aperto, con le pagine bianche. All’improvviso sentì una spinta e cominciò a precipitare. Giù, giù… verso il libro.
Chiuse gli occhi e si sentì attraversare da un torpore. Quando li riaprì si accorse di stare precipitando. Attorno a sé il vuoto. Aprì la bocca per urlare, ma finì dentro un fiume e la bocca le si riempì d’acqua. A fatica riemerse e tirò una boccata d’aria, tossendo per l’acqua ingerita. La corrente la trasportò con sé, sbatacchiandola di qua e di là e immergendola a intervalli irregolari, attraverso una grotta sotterranea. Con stupore alzò gli occhi alle pareti costellate di pietre preziose, che brillavano nella semioscurità.
Cercando di rimanere a galla, guardò davanti a sé e constatò con orrore che si stava dirigendo a tutta velocità, verso una gigantesca cascata. Prima che potesse pensare alcunché si ritrovò di nuovo a cadere nel vuoto.
Chiuse le palpebre, prese un bel respiro e si preparò all’impatto. Quando finì nel laghetto annaspò, cercando di riemergere. Si diresse a nuoto verso la riva e, finalmente sulla terra ferma, volse lo sguardo all’ambiente circostante, cercando di riprendere fiato. Il soffitto era pieno di Stalattiti e la grotta doveva essere alta una decina di metri. Una debole luce arrivava da un cunicolo alla sua destra. Tirandosi su, si diresse lentamente da quella parte. Dopo qualche minuto di arrancamenti, inciampò in un sasso, accecata dall’improvvisa luce del sole davanti a sé, ma invece di atterrare sulla nuda roccia, come si aspettava, si ritrovò sdraiata su un prato, fili d’erba le solleticavano la pelle. Alzò lo sguardo e constatò di essere in una radura. Si alzò e cominciò a guardarsi intorno: sull’erba spiccavano fiori di tutte le forme e colori, qua e là s’intravvedevano funghi, nell’aria volavano api, uccelli e una quantità impressionante di farfalle, gli alberi, alti e folti, troneggiavano un paio di metri più in là. Medea non fece in tempo a chiedersi dove fosse finita, quando un urlo spezzò l’armonia della radura. Dal margine del bosco comparve un ometto basso e buffo. Aveva una barba lunga e bianca, un gran nasone e sul capo portava un cappello a forma di cono. Anche gli indumenti erano strani, tutti rossi e verdi, e le scarpe avevano la punta arricciata. L’ometto correva, urlando, verso di lei e le si nascose dietro, tutto tremante e impaurito. Medea volse lo sguardo agli alberi, cercando la fonte di tale paura, quand’ecco spuntare una viverna. Era gialla, la coda armata di punte acuminate e denti affilati come coltelli. Assomigliava ad una lucertola gigantesca.
Vedendola, la bestia s’arrestò, rimase a scrutarla e poi scoppiò in un ruggito. Cercò di avventarlesi contro, ma una rete le calò addosso e la inchiodò al suolo. Medea riaprì gli occhi, che aveva serrato, e vide uscire dagli alberi tre uomini, con armature lucenti e spade sguainate. Vedendola si bloccarono e le chiesero chi fosse, con fare aggressivo. Lei, troppo sconvolta dall’attacco per parlare, non rispose. In quel mentre da dietro la sua schiena sbucò l’ometto. Gli uomini vedendolo si tranquillizzarono e scambiarono con lui brevi e secche frasi, in una lingua strana e spigolosa. Dopo un attimo s’incamminarono tutti e quattro nel bosco, completamente dimentichi di lei. Medea, per non rimanere sola con la viverna, si affrettò a seguirli.
Dopo un intricato sentiero, mezzo invisibile tra gli alberi, finalmente uscirono dal bosco, sbucando davanti ad un villaggio di capanne, interamente di legno. Cautamente, Medea seguì gli altri tra le case, camminando a disagio per quella che sembrava la strada principale. Qua e là uomini e donne andavano avanti e indietro, in un miscuglio di facce strane e sconosciute, riempiendole la vista di vestiti bizzarri, degli stessi colori di quelli dell’ometto. Uno dei guerrieri le fece cenno di seguirlo e la condusse davanti una capanna un po’ più grande delle altre, dove la lasciò sola con le sue domande.
In lontananza, dietro le lontane montagne, il sole stava per tramontare e Medea si chiese che fare, quando all’improvviso una vecchietta la superò ed entrò nella capanna. Tutta ingobbita, si appoggiava ad un bastone con incisi strani segni.
- Avanti entra, non vorrai stare in strada così, come una vagabonda! – le disse con un sorriso quest’ultima.
- Lei chi è ? – chiese Medea.
- Mi chiamo Annika e sono la sacerdotessa del villaggio. E tu sei… ? -
- Medea -
- Molto piacere. Prego entra -
La ragazza seguì la vecchia all’interno della capanna. Alle pareti erano appesi utensili di ogni tipo, e anche qualche arma, al centro troneggiava un tavolo piuttosto grande, circondato di sedie e sulla parete destra scoppiettava allegro un fuocherello, con sopra una grossa pentola. Dall’altra parte della porta d’ingresso stava un’altra porta un po’ più piccola. Medea si riscosse, vedendo la sacerdotessa accostarsi alla pentola e controllarne il contenuto con un sorriso soddisfatto, borbottando che era quasi pronto.
- Mi scusi, ma…potrei sapere dove mi trovo? – chiese la ragazza.
- Non sei di queste parti – disse la vecchia, con uno strano sorriso sulle labbra. Non era una domanda.
 – Da dove vieni ragazza ? -
- L’ultima cosa che ricordo, è il tetto del palazzo. Ci ero salita per poter vedere la città dall’alto…poi dal parapetto ho visto un libro, sotto di me. Aveva le pagine tutte bianche! Subito dopo mi sono ritrovata nel sottosuolo e sono sbucata nel bosco – disse la ragazza, indicando con un cenno la massa di alberi.
- Un libro bianco ? -  la sacerdotessa fece un salto all’indietro, con un moto di sorpresa - Non è possibile !! -
Annika guardò con stupore Medea e sussurrò tra sé e sé frasi in quella lingua tanto strana, per finire col fare cenno alla ragazza di sedersi. Medea si sedette al tavolo e rimase a guardarsi le mani, imbarazzata, mentre la vecchia la valutava con lo sguardo. Per ultimo la sacerdotessa si soffermò sugli occhi  della ragazza, viola come l’ametista. Infine parlò:
- Perdona la mia reazione, ma era da molto che non avevo più notizie del “libro viaggiante”. Con le pagine bianche, viaggia da un mondo all’altro alla ricerca di storie da raccontare -
- Quindi io sarei qui, in un altro mondo, perché mi ci ha portato un libro ? – la guardò piuttosto scettica.
- Esattamente. E non potrai andartene finché il libro non riterrà finita la tua storia. -
- Cioè finché non sarò morta…? -
- Oh no! Solo finché non terminerà questa avventura. A quel punto, sarai libera -
Medea si limitò a fare “sì” con la testa, assorta nei suoi pensieri, anche se non era proprio sicura di aver capito bene. Le sembrava tutta una follia.
- Insomma, qual è questa “grande” avventura ? -
- Questo temo che lo sappia solo il libro  -
In quell’istante, dall’esterno giunsero grida di panico. Allarmate, Medea e Annika corsero alla porta e spalancandola videro, con orrore, ciò che stava accadendo in strada.
Soldati con armature nere e spade seghettate stavano attaccando il villaggio.
A destra e a manca uomini e donne cadevano, trafitti, mentre altri venivano fatti prigionieri.
- Che succede? Chi sono ? – chiese Medea, terrorizzata.
- Uomini al servizio di Urlik, un conte spietato, che vive sui monti Sempreinverno. Mettiti in salvo, Medea, non devono trovarti ! Devi essere speciale se il libro ti ha portata qui in questi momenti tanto bui. Ricorda: la tua storia è già iniziata! Segui il percorso che il libro a scelto per te e se gli Dei vorranno ci incontreremo ancora – e detto questo fece per tornare nella capanna, quando Medea l’afferrò per il braccio.
- Ma non so ancora dove sono e cosa devo fare !! -.
- Pensa in fretta, ragazza, e fa ciò che devi, sei nelle terre selvagge di Zork. Qui, o agisci o muori ! -
Medea la guardò con gli occhi spalancati, ma si riprese in fretta, fece un cenno alla sacerdotessa, raccolse una spada caduta e scappò via. Corse finché non ebbe più fiato; fino a che il villaggio non fu un puntolino alle sue spalle. Con la spada ancora stretta convulsamente in mano e il fiatone, si concesse un po’ di tregua, lanciando un’occhiata alle capanne in fiamme. Ma ormai non poteva fare più niente. Si assicurò la spada alla cintura e trasse un respiro profondo, per poi rimettersi in marcia verso l’ignoto.
 
 
Camminò per tutto il giorno seguente, senza incontrare anima viva. Cercava di tenere sempre il margine del bosco alla sua destra e anche se un paio di volte incrociò un fiumiciattolo dove poteva dissetarsi, era in preda al più totale sconforto. All’alba del secondo giorno arrivò in prossimità di una cittadina, racchiusa da pesanti mura. Le si stagliò davanti all’improvviso, nascosta dietro un’alta collina.
Con timore Medea si avvicinò alle porte spalancate ed entrò. All’interno un’accozzaglia di negozi e bancarelle riempiva le strade. Medea si guardò intorno, confusa da quell’andirivieni di gente, dicendosi che doveva essere giorno di mercato. Stava girando tra i banchi da almeno venti minuti, piacevolmente stupita da tutta quella mercanzia, quando andò a sbattere contro un ragazzo.
- Ehi ! Guarda dove vai ! – esclamò lui.
- Scusa, non ti avevo visto -
- Me ne ero accorto  – commentò lui, sarcastico.
Poi i suoi occhi incrociarono quelli di Medea e la fissò perplesso e guardingo.
- Non ti ho mai vista da queste parti, chi sei ? -
- Mi chiamo Medea. E tu ? – rispose a tono.
- Aikur, molto piacere…sei qui per il mercato? –
- Non proprio…vengo da un piccolo villaggio non lontano da qui, ma non credo di fermarmi a lungo e … -
 - Le strade di Orian sono molto insidiose, forse potrei farti da guida – la interruppe lui, con un sorrisetto – In fondo mi sembri simpatica –
- Ma che gentile… - rispose lei.     
Sorridendole, lui le fece cenno di seguirlo, avviandosi per la strada. Ad ogni bottega che vedevano, Aikur raccontava vita, morte e miracoli di chiunque la gestisse.
Piano piano, si addentrarono ancora di più nella città e il ragazzo, vedendo come squadrava le bancarelle piene di cibo, la portò in un’osteria e quando lei gli disse che non aveva soldi, lui si offrì di pagarle il pasto. Mentre Medea mangiava, Aikur l’assillò di domande e lei alla fine cedette. Gli raccontò del libro in fondo al palazzo e dell’attacco della viverna. Descrisse il piccolo villaggio e gli uomini di Urlik. Lui l’ascoltò attentamente, senza interromperla, per poi dire solo una cosa:
- Dovresti andare dal re Theor! Lui abita nella città di Imperia, Non ci vuole molto per arrivarci…una settimana a piedi, penso –
- Solo ?! – chiese Medea sarcastica, sollevando un sopracciglio. Ma lui non le badò; appena finì di mangiare la trascinò di nuovo fuori. Vagando per le bancarelle, ogni tanto si fermava e comprava qualcosa: una bisaccia, viveri sufficienti, una mappa, un pugnale, una borraccia, un telo e dei vestiti per la ragazza. Dopo gli acquisti lui l’accompagnò a casa sua, anche se più che casa, era una semplice stanza di albergo, dove viveva provvisoriamente. Aikur si giustificò dicendo che viaggiava molto e doveva spostarsi spesso. Radunò tutte le sue cose (vestiti e i pochi oggetti che c’erano) in una borsa vecchia e consunta e le offrì il proprio letto, sacrificandosi per dormire sul pavimento. Medea si addormentò con fatica, continuando a rigirarsi nel letto e ripensando a quello che era successo in così breve tempo. Si svegliò per prima, il sole stava sorgendo in quell’istante, tingendo il cielo di rosso. Si alzò piano, cercando di non svegliare Aikur e diede un’occhiata ai vestiti che le aveva comprato. Un paio di normali pantaloni neri e tre camice, una verde, una rossa e una nera, e un vestito color lilla, dal taglio semplice, con delicati ricami sull’orlo e sulle maniche. Optò per i pantaloni e la camicia rossa. Si sistemò bene la spada nella cintura e infilò i vecchi vestiti, tutti sgualciti e sporchi, nella bisaccia con il resto.
Non appena Aikur si svegliò scesero a fare colazione, pagarono e uscirono in strada. Alle porte della cittadina incontrarono un mercante di tessuti diretto anch’esso a Imperia, e che si offrì di dare loro un passaggio gratis sul suo carro. In questo modo riuscirono ad arrivare un paio di giorni prima del previsto.
Stavano parlando allegramente, quando il mercante richiamò la loro attenzione e Medea finalmente scorse la città che si stagliava all’orizzonte, così maestosa da toglierle il fiato. Era costruita su una collina e proprio sulla cima troneggiava, imponente, il castello del re. Completamente bianco, come il resto della città, rifletteva i raggi del sole. Gli stendardi rosso fuoco, con un’aquila al centro, svolazzavano al vento, sulle immense torri.
Il mercante, vedendo il loro stupore, sorrise.
- La chiamano “Città di luce”…o “Città bianca – spiegò loro – ogni popolo ha il suo modo di soprannominarla ! –
Quando entrarono, passando sul ponte levatoio, attraverso l’immenso portone di ferro, alcune persone li salutarono, sorridendo, e il mercante ricambiava.
Più salivano sulla collina, più le strade si riempivano di soldati finché, infine, non arrivarono davanti alle porte del castello.
Scesero dal carro e ringraziarono di cuore l’uomo per il passaggio, poi fecero un respiro profondo e chiesero alle guardie di entrare.
All’interno del cortile parecchi soldati erano intenti ad allenarsi. Medea li guardò ipnotizzata, desiderando di unirsi a loro. Era sempre stata affascinata dalla spada, e ora che ne sentiva il peso sul fianco sinistro non vedeva l’ora di poterla usare. Ma fu costretta a seguire Aikur, lasciando dietro di sé il rumore delle lame che s’incrociavano. Chiesero udienza al re e si sentirono dire che dovevano aspettare in cortile per un tempo imprecisato, perché il re al momento era occupato.
Dopo solo mezz’ora Medea sentiva di poter scoppiare.
- Ma che diamine! Possibile che dobbiamo aspettare così tanto?? - impaziente si alzò in piedi e cominciò a fare su e giù davanti al ragazzo, che la guardava divertito.
- Porta pazienza, infondo è il re, che ti aspettavi ! –
Sbuffando, la ragazza si girò ad osservare i soldati roteare sicuri le proprie spade e le venne una pazza, folle idea. Con un sorrisetto sguainò lentamente la spada e osservò attentamente le mosse del soldato più vicino. Sicura cominciò a copiare ogni passo e ogni affondo, ripetendo più volte alcuni passaggi per farseli entrare in testa, sotto lo sguardo allibito del ragazzo. Dopo un po’ scordò i soldati, scordò Aikur, scordò perfino il re. Chiuse gli occhi e prese a roteare la spada in immaginari affondi, quasi come se si trovasse davanti a veri nemici. Si muoveva agile da una parte all’altra, roteava, parava e attaccava. Si sentiva invincibile. Quando si fermò e riaprì gli occhi si trovò puntati addosso gli occhi dell’intero cortile. Imbarazzata abbassò la spada e fece per metterla via, quando un soldato la fermò.
- Aspetta! Non fermarti, andavi benissimo! Non avevo mai visto nessuno muoversi così –
Non sapendo esattamente cosa dire, Medea arrossì lievemente, balbettando un debole “grazie”.
- Perché non li sfidi ? – le sussurrò all’orecchio Aikur.
- Cosa? Ma sei impazzito? –
- Fidati di me – con un sorriso il ragazzo si rivolse al soldato di prima – Lei vorrebbe sfidarti a duello –
Sgranando gli occhi, lei lo afferrò per una manica.
- Che diamine stai dicendo? – gli sussurrò a mezza voce.
- Ci sto ! – esclamò il soldato, con grande stupore della ragazza.
- Ma-ma io non… - ma Aikur la spinse deciso verso il centro del cortile che in un attimo si svuotò lasciando spazio a lei e all’uomo. Con un groppo in gola, rassegnata, lei si mise in guardia, ripetendosi che ce la poteva fare e cercando di convincersi a non scappare a gambe levate. Strinse le mani sull’elsa della spada e chiuse gli occhi, svuotando la mente da tutto ciò che non fosse l’uomo che le stava di fronte. Riaprendo gli occhi fissò lo sguardo sull’avversario. Poi lui attaccò. Lei parò l’affondo, sentendo la sua determinazione minacciare di andare in pezzi. L’uomo prese ad attaccare da ogni angolazione, sicuro e preciso, veloce a ritrarsi e ad affondare di nuovo. Medea riusciva a malapena a difendersi, parando disperata. Cominciò ad indietreggiare quasi subito, inerme e sempre più sconfortata. Poi dal nulla una scintilla si accese in lei, colmandola d’indignazione. Come poteva soccombere così? Non l’avrebbe permesso. Piantò i piedi al suolo e si rifiutò di indietreggiare ancora. Cominciò a parare meccanicamente i colpi, in cerca di uno spiraglio. Studiò la strategia dell’uomo e in breve poté anticiparne le mosse. Iniziò ad affondare e vide lo schema prettamente tecnico del soldato incrinarsi. Colta da un’ispirazione si abbassò di scatto, facendo lo sgambetto all’uomo che annaspò in cerca di equilibrio. Lei ne approfittò. Un veloce movimento di polso e lo disarmò. Sul cortile calò il silenzio, mentre il soldato la guardava stupito, per poi aprirsi in un sorriso ammirato.
- Accidenti sei stata eccezionale ! Voglio la rivincita ! –
- Eh no ! – intervenne un altro uomo – Ora tocca a me –
- Come? – chiese stupita Medea.
- Forza, in guardia ragazzina ! –
Lei sollevò un sopracciglio, sentendosi apostrofare così e si mise in posizione. Quando l’uomo attaccò lei era pronta. Ripeté la strategia usata poco prima: si prese tempo per studiare le mosse dell’avversario. Poi cominciò ad attaccare. Precisa e agile, menava fendenti ai lati, obbligandolo ad indietreggiare, poi, senza preavviso, distraendolo con un fendente dall’alto, lo colpì allo stomaco con la mano libera e lo disarmò. Lui riprese fiato e la guardò sorpreso.
- Accidenti, questo proprio non me l’aspettavo… -
Lei ridacchiò e si girò verso il “pubblico”, che nel frattempo era aumentato.
- Qualcun altro vuole tentare la sorte? –
Aikur la guardò divertito.
- Caspita, terribile e pure sarcastica, così rischi di spaventarli a morte… - le disse, sorridendo.
Lei rispose facendogli la linguaccia: - Zitto tu –
Si fece avanti un altro soldato, che Medea disarmò senza difficoltà, così come fece con altri due uomini che tentarono dopo di lui.
Aveva appena disarmato con un colpo eccezionale l'ultimo soldato, quando un applauso si levò alla sua destra. Girandosi si trovò davanti un uomo imponente, con una folta barba rossa e l’espressione temibile. Una cicatrice gli attraversava la guancia, partendo dalla tempia e finendo alla mascella. In testa portava una corona.
Immediatamente tutti i soldati s’inginocchiarono e Medea, non sapendo bene che fare, fece un goffo inchino.
- Non essere sciocca ragazza, non c’è certo bisogno d’inchinarsi ! – tuonò il re, con tono bonario.
Alzando gli occhi, Medea vide un sorriso gentile addolcire quel volto così minaccioso e subito ne fu tranquillizzata.
- Niente male, devo ammettere che sono piacevolmente stupito! Hai battuto alcuni dei miei migliori uomini, lo sai? Come ti chiami? –
- Medea, vostra altezza – rispose un tantino imbarazzata la ragazza.
- Molto bene, se non sbaglio tu e il ragazzo laggiù, avete chiesto un’udienza con me…perfetto, seguitemi! – ordinò con la sua voce tonante.
Medea rinfoderò la spada e imitata da Aikur seguì la figura imponente del re, all’interno del castello.

 
- ALICE !!! MUOVITI O FARAI TARDI A SCUOLA ! -
- Sì, arrivo mamma ! – rispondo.
Chiudo il libro, mettendo un segno: lo continuerò al ritorno da scuola. Accarezzo le pagine e il mio sguardo cade sul titolo, in rilievo. Con un sorriso leggo quelle lettere viola, sullo sfondo nero:
 
MEDEA NELLA TERRA DI ZORK
 
Appoggio il libro sul letto ed esco dalla stanza.
 
  
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