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Autore: flowersinmyhair    04/05/2014    2 recensioni
"Non possiamo decidere sulla vita o sulla morte delle persone.- continua, un mezzo sorriso sulle labbra perché negli occhi di Blaine c’è tutto ciò che è rimasto del suo mondo e lui davvero non vorrebbe avrere il compito di distruggerlo, mai -Se esiste un Dio è a lui che spetta quel compito, o magari è una questione di fato, di Karma o di qualsiasi altra cosa ci faccia piacere credere. Noi dovremmo occuparci di quello che ci resta e io ti amo, Blaine, come i fiori amano la primavera o come tu ami la musica, ti amo come mi amava mio padre e, se fossi bravo come lo era lui, ti farei credere che tutto passerà e che da domani possiamo ricominciare. Ma sono Kurt e mi sono stancato di combattere e non posso—Non posso, Blaine, chiederti di continuare così"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quindi, ci siamo. Di solito preferisco inserire il mio commento a fine storia ma questa volta mi sento molto insicura di quello che ho scritto, quindi gioco di anticipo! Questa è la prima One Shot sui Klaine che scrivo e so che ha dei problemi; avevo iniziato a scriverla in inglese, quindi la prima parte è praticamente in traduzione (e credo si noterà) e nel complesso, probabilmente, non ha né capo né coda come storia ma ho deciso di pubblicarla comunque perché vorrei dei pareri. Se vi sembra almeno carina saprò di non essere un disatro completo a scrivere di Blaine e Kurt e potrei provare a migliorarmi, considero questa storia un modo per mettermi alla prova! Altre note: l'oblio è una mia fissa e, nella mia ottica delle cose, era necessario citarlo. Avrei dovuto sviluppare meglio l'argomento ma mi sono persa, un po' come con molte cose (come ad esempio il discorso "stagioni e tempo", un'altra delle mie fisse) che ho accennato senza poi parlarne veramente. Il titolo della OS è ispirato dalle parole di Kurt nell'episodio (credo) 5x16 e tutto il discorso appena fatto sullo sviluppare meglio gli argomenti vale anche qui. Detto questo, vi lascio alla storia e buona lettura. 
Fra :)



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And if it has to be a contest, I'd much rather be running this race with you
 
Quando Burt e Carole muoiono è una soleggiata mattina di metà Agosto. Tutto è silenzioso, non un rumore, non un uccello che cinguetta, non un bambino che grida sulla strada. Kurt sente semplicemente che è l’inizio di un grande nulla, inizia a sentire il peso dell’oblio sulle proprie spalle e, onestamente, fa schifo, ma allo stesso tempo non è terribile come pensava sarebbe stato. Solamente una sensazione di vuoto, un gigantesco vuoto che stringe il suo cuore e insieme l’estate silente che morirà, così come sono morti i suoi genitori, in poche settimane per lasciare che l’autunno cresca fuori dalla finestra della sua camera. E Kurt aspetterà l’autunno e poi l’inverno, la primavera e ancora l’estate, sperando di dimenticare il suono della voce di suo padre e il modo in cui gli faceva credere che il mondo non fosse finito, come gli ricordava ogni giorno quanto meravigliosi fossero il sole, le stelle e la luna e lui si sentiva giusto e vivo. Sperando di dimenticare che tutto ciò che gli è rimasto è sé stesso e eventualmente, se Dio vuole, Blaine.
 
Dalla finestra di Blaine la vista non è diversa, ma forse lui è più poetico e si chiede se ogni cosa non si sia fermata, in lutto per la morte di Burt. E tutto sembra al proprio posto, giusto, in qualche modo. Come se la natura si stesse prendendo del tempo per accettare ciò che è successo e Blaine, l’amore della vita di Kurt, spera che anche lui lo accetti, anche se sa che non deve essere facile. Sa che ci sono alcune cose sopra cui non si riesce a passare e fa schifo, sicuramente, ma questa è la vita, non è vero? E dal momento che Kurt è la persona che più ama e conosce la vita che Blaine conosca, è sicuro che ce la farà. Non è sicuro, comunque, del modo in cui ci riuscirà e questo dubbio è probabilmente la cosa più spaventosa che gli sia mai capitata.
 
All’età di quattro anni, mentre gli altri bambini a scuola giocavano con i Lego o a costruire piste per le biglie di vetro, Kurt si autoproclamava principe di questo o quell’altro regno immaginario e indossava corone di cartoncino rosa o, al limite, azzurro pastello, solo nei giorni in cui non aveva voglia di spiegare ancora un'altra volta che “mamma, papà, il rosa mi sta meglio”, incrociando le braccia sul piccolo petto e increspando le labbra, come se stesse dicendo la cosa più ovvia dell'Universo e i suoi genitori non riuscissero a capirlo lo stesso. Aveva solo quattro anni ma già sapeva, da qualche parte dentro di lui, che la vita non sarebbe stata facile per Kurt Hummel, il bambino francamente troppo sveglio e intelligente per chiunque e che si presentava al mondo con coroncine colorate, diligentemente fissate fra i capelli chiari. Andava avanti a testa alta, in ogni caso, le spalle dritte, il mento rivolto verso l’alto così come il suo piccolo naso e il suo sguardo, sempre più rivolti al cielo che verso il pavimento.
 
C’erano cose, a sei anni, che Kurt aveva già capito, e ce n’erano altre che invece si era reso conto di non sapere. Non aveva immaginato, ad esempio, che la vita con lui aveva deciso di essere la peggiore delle puttane, bastarda almeno mille volte più dei suoi compagni di scuola che, pallone da football sistemato sotto il braccio, avevano iniziato a deriderlo da quando l’avevano visto uscire dalla scuola di danza della città. Vestito elegantemente di nero, davanti alla tomba di sua madre, Kurt pensa solamente che vorrebbe fosse un po’ più facile. La vita, essere sé stesso, crescere; un po’ più facile. E, in quel momento, sa che non può essere accontentato e nello stesso istante decide che se il futuro deve essere una battaglia allora lui sarà il più coraggioso e forte dei guerrieri, piuttosto che un principe; e comunque, gli va bene finché sa che sulla sua armatura potrà attaccare spille stravaganti e colorate e sperare che, a guerra conclusa, la sua coroncina rosa sarà ad aspettarlo e lui potrà indossarla senza avere più paura.
 
Ottobre è iniziato da pochi giorni quando Blaine entra in camera di Kurt, sospira piano e si mette a sedere sul bordo del suo letto disfatto. Sono le quattro del pomeriggio, come ogni giorno, e sempre come ogni giorno Kurt è rannicchiato sulla sua poltrona, le maniche di una grande felpa sformata di suo padre - o magari di Finn - gli coprono il volto e lasciano intravedere solo il suo ciuffo di capelli biondi e i suoi occhi chiari che non guardano più il cielo. Si perdono, piuttosto, fra il pavimento, gli alberi fuori dalla finestra e gli occhi di Blaine, qualche volta, se non fa troppo male guardarlo con la consapevolezza di avere bisogno di molto, forse troppo tempo per reagire e senza sapere per quanto ancora Blaine rimarrà seduto su quel letto a prendersi cura di lui e ad aspettarlo.  
La poltrona di Kurt è rivolta verso la grande finestra della sua camera; Kurt ripete spesso che, se guarda fuori, sente di avere il controllo delle stagioni, del tempo che passa e del mondo che cambia, e Blaine sa bene che invece ogni secondo che il suo ragazzo passa a stare immobile ad osservare le foglie che cambiano colore o che cadono rende il vetro della finestra che separa Kurt dal mondo un po’ più spesso e le sue speranze di ricominciare a vivere un po’ meno forti, ma se la cosa fa sentire meglio Kurt, lui non ha di certo intenzione di fargli sapere tutto questo.
I minuti passano e, con Blaine seduto a pochi centimetri che però sembrano più chilometri, Kurt si chiede per quanto ancora possa andare avanti quella situazione, se per giorni, mesi o anni. Si dice, quindi, di alzarsi, di sedersi sulle gambe di Blaine e baciargli piano la bocca, poi le guance e il collo e ancora sulle labbra, dirgli che gli è mancato e fargli sapere che lo ama ancora e ogni giorno più intensamente e che non è colpa sua; ma poi non lo fa. Rimane seduto sulla sua poltrona, alza appena lo sguardo e il viso, sussurra un “ciao” accompagnato da quello che sembra un sorriso e torna ad osservare il grande castagno al di là della finestra.
 
È il “Kurt, non ce la faccio più” di Blaine a chiarire le idee del ragazzo, che ora si può dare una risposta alla sua domanda: si trattava di giorni. Blaine ha il viso rigato dalle lacrime e la voce spezzata dai singhiozzi, le braccia strette attorno all’addome, e Kurt sa che le tiene così solo quando ha paura, che quella è un po’ la sua posizione di difesa.
“Torni a New York?” chiede allora semplicemente, senza incrociare i suoi occhi e facendosi più piccolo nella poltrona. Fa attenzione a non piangere, la voce gli trema appena, quasi impercettibilmente. Blaine si lascia sfuggire un’espressione confusa, scuote un paio di volte la testa ed allarga le braccia, prima di andare a sedersi, come suo solito, sul letto. Mormora qualche “Io”, un paio di “No” e forse anche un “Kurt”, cerca di pensare a qualcosa di sensato da dire mentre nella sua testa tutto ciò che ha in mente è che non è così che doveva andare. Voleva solo dare una scossa a Kurt, fargli provare rabbia, paura, qualsiasi tipo di emozione purché la smettesse di essere completamente apatico e invece il suo ragazzo è ancora lì, ancora uguale, non più vivo dei giorni, dei mesi precedenti. E fa male, così tanto che Blaine per qualche secondo desidera di cadere nello stesso stato di Kurt per non provare nulla, il vuoto. Non è sicuro sia male, in fin dei conti; forse meglio che straziarsi e piangere la notte desiderando di riavere indietro il suo ragazzo anche solo per pochi minuti, meglio della paura di sbagliare baciandolo, abbracciandolo o anche solamente sfiorandolo, e poi, e di questo ne è sicuro, meglio che mettere su la facciata dell’uomo forte ogni volta che fa un passo nella camera di Kurt. Lui non è forte, Blaine lo sa, non lo è mai stato. Né con Karofsky, né lasciando la Dalton, né mai nella sua vita è stato forte e se gli è stato concesso almeno di sembrarlo è solamente perché ha avuto Kurt al suo fianco ed ora Kurt non c’è più, è disposto a lasciarlo tornare a New York senza battere ciglio e, il pensiero si fa sempre più pesante e opprimente nella mente di Blaine, non è così che doveva andare, si ripete nuovamente in testa e poi lo dice ad alta voce, forse inconsapevolmente; suona come una confessione e come uno sbaglio, per qualche ragione. E, questione di secondi o forse di minuti, Kurt gli stringe la mano, un gesto così intimo e rassicurante a cui Blaine si aggrappa con tutte le speranze che gli sono rimaste.
“No, infatti. Mia madre, mio padre, Finn e Carole non sarebbero dovuti morire, ma sai che c’è, Blaine? La parte più difficile è sempre quella di chi vive e quello che davvero non sarebbe dovuto succedere, che io non avrei dovuto permettere è che tu perdessi il tuo tempo e le tue energie con me, in questi mesi.- la voce di Kurt si fa sempre più tremante e la stretta delle mani più forte. Il ragazzo prende un respiro, chiude gli occhi per qualche secondo e decide che, a questo punto, se c’è una cosa che deve a Blaine è guardarlo negli occhi per fargli sapere che nulla è come prima ma loro due non sono cambiati e mai lo faranno - Non possiamo decidere sulla vita o sulla morte delle persone. - continua, un mezzo sorriso sulle labbra perché negli occhi di Blaine c’è tutto ciò che è rimasto del suo mondo e lui davvero non vorrebbe avrere il compito di distruggerlo, mai - Se esiste un Dio è a lui che spetta quel compito, o magari è una questione di fato, di Karma o di qualsiasi altra cosa ci faccia piacere credere. Noi dovremmo occuparci di quello che ci resta e io ti amo, Blaine, come i fiori amano la primavera o come tu ami la musica, ti amo come mi amava mio padre e, se fossi bravo come lo era lui, ti farei credere che tutto passerà e che da domani possiamo ricominciare. Ma sono Kurt e mi sono stancato di combattere e non posso—Non posso, Blaine, chiederti di continuare così. Anche se vorrei, e credimi, se non sapessi che è sbagliato e se non ti amassi abbastanza ti chiederei in ginocchio di restare, ma ti chiedo di andartene e di ricominciare a vivere, perché è questo che meriti”. Poi, all’improvviso e quasi senza fiato, Kurt bacia Blaine come nei film più banali e scontati e, questa volta, è così che doveva andare. Labbra contro labbra, poi Kurt si siede sulle gambe di Blaine perché se si è sempre tirato indietro in questi mesi, ora non può più permetterselo. Non sa cosa ha in serbo il futuro per loro e se quello deve essere il loro ultimo momento insieme allora Kurt lo bacerà sulle labbra, sulle guance e sul collo e poi di nuovo sulle labbra come ha sempre voluto fare e gi ricorderà che, comunque vadano le cose, saranno sempre Kurt e Blaine.
 
La mattina seguente quando Kurt si sveglia le coperte del suo letto sono sfatte – non che sia una novità; la novità è che, dopo mesi, il cuscino vicino al suo sa di Blaine, così come la sua pelle, le lenzuola e ogni cosa ci sia nella stanza illuminata appena dal sole. Il lato libero del letto è occupato da un vassoio pieno d’ogni ben di dio, Kurt ha paura anche solo a guardarlo perché, in tutta onestà, non ha fatto poi così tanta attività fisica negli ultimi tempi e teme i grassi come si teme la peste. Sul bicchiere di succo di frutta è attaccato un post-it colorato, azzurro pastello per la precisione, c’è scritto “Ti amo, ed è per sempre – Blaine”. Kurt giocherella con gli angoli del foglietto di carta mentre qualche lacrima gli riga il viso; sorride, comunque, e pensa anche che, Blaine avrebbe dovuto saperlo, avrebbe preferito se il post-it fosse stato rosa.
 
La vita e Lima è, in poche parole, davvero noiosa. Non che a Kurt dispiaccia in tutta onestà, tutto ciò di cui sente di avere bisogno sono nuove tradizioni, nuovi riti e la monotonia di Lima, in un certo senso, gli da una mano ed è rassicurante. Ci ha pensato, e più di una volta, ad andarsene – New York, Los Angeles, Chicago magari -, ma è spaventato e gli piacerebbe dire che è perché Lima è tutto ciò che gli rimane della sua famiglia o che, semplicemente, non sa spiegarne le ragioni, ma l’unica verità è che Lima è dove lui e Blaine si sono lasciati e se lui se ne andasse non avrebbero più speranza di ritrovarsi. Quella città sa di sicuro, sa, più di tutto, di ritorno e Kurt dopo un anno aspetta che il suo ragazzo entri dalla porta di casa sua per dirgli che è tornato per rimanere; addormentarsi ogni sera da solo lo uccide ogni giorno un po’ di più e, forse, andarsene sarebbe più facile di rimanere ad aspettare rimanendo deluso giorno dopo giorno. Ma la consapevolezza che partire significherebbe mettere la parola fine alla loro—relazione? è il promemoria che gli serve per non salire sul primo treno verso qualsiasi destinazione. Così rimane a Lima e spera di non doverci passare il resto della sua vita, ma la verità è che, se Blaine non dovesse mai tornare, per quanto Kurt cerchi di convincersi che prima o poi riuscirà a lasciarsi tutto alle spalle, il ragazzo sa bene che rimarrebbe ad aspettarlo per sempre.
 
Kurt odia la primavera perché sa di vita e lui cosa sia la vita – quella vera, si intende – cerca di dimenticarlo perché sente che non è una cosa che gli appartiene, e convincersi si essere vivo quando invece sopravvive e basta rende le cose un po’ più facili. Ma, fra coppiette innamorate nei parchi, fiori che sbocciano e il sole che risplende, per Kurt non è facile rimanere nella sua sfera di cristallo in cui si sente protetto e invulnerabile. Nel primo pomeriggio il ragazzo capisce che la passeggiata al parco che aveva deciso di concedersi non sta avendo gli effetti benefici da lui desiderati, così sospira deluso e torna indietro sui suoi passi per rinchiudersi nuovamente in casa a guardare qualche serie televisiva da donna single e in crisi di mezza età. Sulla porta di ingresso è attaccato un post-it rosa dall’aria familiare; Kurt lo stacca e lo rigira fra le dita in cerca di un messaggio, di un indizio, ma finisce per accartocciarlo in una piccola pallina che si infila nella tasca dei pantaloni, mentre fa spallucce disinteressato – o, almeno, fingendo di esserlo, perché quel post-it gli ricorda davvero qualcosa. Gira le chiavi nella toppa, apre la porta facendola scricchiolare appena, un “Merda” sussurrato che sa di imprecazione, stupore e mancanza lo accoglie non appena fa il suo ingresso in casa.
 
Blaine se la sta prendendo con i resti del bicchiere di vetro che ha appena fatto cadere sul pavimento, è stretto in una delle sue solite polo, i capelli schiacciati sulla testa dal gel ed è, ovviamente, bellissimo, così tanto che a Kurt prima manca l’aria e poi invece respira profondamente e si sente pieno, come se quell’anno e mezzo fosse stata un’interminabile apnea e ora può finalmente tornare a galla. Mentre raccoglie i pezzi di vetro, Blaine alza lo sguardo verso Kurt, rimasto immobile sulla soglia e nella sua testa ci sono dei “Mi dispiace”, una decina di altri “Merda” perché la situazione è imbarazzante e Blaine, davvero, non sa esattamente quali peccati abbia commesso per essere nato così inopportuno e sbadato; poi ci sono anche un’infinità di “Ti amo” e di “Mi sei mancato”, ma tutto ciò che esce dalle sue labbra è un “Non è così che doveva andare”, accompagnato da una smorfia imbarazzata e dispiaciuta che lo fa sembrare un cucciolo e allo stesso tempo la persona più scopabile del pianeta – o, forse, è solo l’astinenza dal sesso e da Blaine che fa fare a Kurt certi pensieri. È questione di pochi istanti; Kurt pensa che negli ultimi tempi tante cose non avrebbero dovuto prendere la piega che invece hanno preso, lui e Blaine se lo sono già detti, e pensa anche che, dopo un anno e mezzo senza vedersi o avere contatti, probabilmente ci sarebbero state milioni di parole migliori di “Merda” per darsi il bentornati, ma in qualche modo, per qualche ragione, Kurt crede che in quel momento le cose dovevano andare esattamente così, con Blaine bello come non lo aveva mai visto prima piegato sul pavimento e lui che corre a toglierli i vetri che tiene fra le mani per poterle stringere fra le sue e baciarlo finché ne avrà voglia – ed è abbastanza sicuro che sarà un tempo molto, molto lungo.
 
Né Kurt né Blaine saprebbero dire se si stanno baciando da minuti o da ore intere; ciò che sanno è che, adesso, non importa del tempo o della poltrona rivolta verso la finestra della camera di Kurt, o ancora delle stagioni e del mondo che cambia. Ciò che importa è che le braccia di Kurt sembrano fatte per essere strette attorno a Blaine e le loro labbra per baciarsi, i loro corpi aderiscono perfettamente uno all’altro come se fossero un corpo solo. Si ripetono che si sono mancati e che si amano, che “non voglio, senza te”, le loro bocche così vicine che non si saprebbe distinguere la voce di uno e quella dell’altro, un unico respiro, un unico battere di cuori. Blaine infila le dita fra i capelli biondi di Kurt e gli spettina il ciuffo, mentre tende le labbra in un sorriso per pochi istanti, quelli che Kurt gli concede prima di mordergli piano il labbro inferiore per ricominciare a baciarlo. Kurt, invece, ogni tanto si prende del tempo e appoggia la fronte sulla spalla di Blaine, naso contro petto, annusa la sua pelle e l’aria e respinge con una forza che non sapeva di avere l’idea che non sia reale perché non può non esserlo, ne rimarrebbe devastato, eppure si sente un po’ più leggero e allora prega con tutto sé stesso di non svegliarsi da un momento all’altro, di non doversi rendere conto che è solo un sogno. È Blaine a dargli la certezza che tutto sta succedendo davvero quando, tornando per un momento al Blaine inopportuno di sempre, si stacca con fare serio dal loro bacio. Poggia entrambe le mani ben aperte sul petto di Kurt, si asciuga le labbra su una spalla e scuote un paio di volte la testa, socchiudendo appena gli occhi, come se si stesse preparando ad una confessione importante: “Kurt, è da quando me ne sono andato che mi chiedo come mi sia venuto in mente, quella mattina, di andarmene lasciandoti un post-it azzurro pastello. Mi potrai mai perdonare?” dice tutto d’un fiato, gli occhi stanchi ed emozionati fissi su quelli di Kurt che non sa se Blaine stia facendo sul serio o meno, ma non riesce a trattenere una risata forte e commossa, prima di annuire con convinzione prendendo il viso di Blaine fra le mani per baciarlo, di nuovo, sapendo che, comunque andranno le cose, saranno sempre Kurt e Blaine e che, se la vita deve essere una battaglia, Kurt preferisce combatterla con Blaine al suo fianco.
 
 
   
 
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