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Autore: Megan204    06/05/2014    1 recensioni
"A malincuore devono di nuovo separarsi.
Entrambi hanno da combattere una guerra.
Devono disintossicarsi l’uno dall’altro.
Devono smettere di sentirsi vivi solo con la presenza dell’altro.
Devono smettere di usare i loro profumi come anestetici.
Per lui poteva essere molto più semplice.
Ma per lei sarebbe stato impossibile, quando la sera dopo vide la faccia del suo professore assomigliare incredibilmente a quella di Noah Puckerman.
"
Ovviamente Quick. Sempre e solo Quick.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finn Hudson, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Puck/Quinn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un grazie a Ryan Murphy, che dopo cinque serie ci ha regalato finalmente i nostri Quick. I personaggi sono ahimè suoi, non è scritta per scopo di lucro, sennò sarei in America alla ricerca di Dianna e Mark.

Un grazie speciale va alla mia compagna di banco, che ha apprezzato molto.
A chi, nonostante tutto mi spinge a scrivere ancora.




Non sapeva come era iniziata tra loro.
Non da quella notte di sesso.
Forse molto prima, quando lei fissava quella cresta col sopracciglio alzato.
O quando lui guardava lei, camminare per i corridoi avvolta in una divisa da cheerleader.
E alla fine, per Quinn Fabray e Noah Puckerman quella storia sembrava finita.
A dire il vero, non sapevano nemmeno se era iniziata.
Erano arrivati al quarto anno e lei stava per lasciare Lima.
Eppure con tanta semplicità aveva detto che lo amava.
Ma ovviamente, due persone che si amano non possono stare insieme.


Quinn vagava per quel piccolo appartamentino di New Haven, con i capelli raccolti e un'orrenda tuta, alle prese con un tomo di circa 1000 pagine, cercando di capirci qualcosa.
Ma come al solito, il trillo del computer arriva sempre nei momenti più difficili.
“Fabray.” Aveva esordito lui, con un ghigno strafottente.
“Puckerman.”
“Come sta la mia studentessa?”
“Immersa in un mucchio di roba strana, complicata quasi quanto la geografia.”Un sorriso sarcastico spunta sul volto di entrambi, ricordando il pomeriggio di pochi mesi prima.
“Ti serve un bacio?” Aveva chiesto lui, fissando nello schermo quegli occhi verdi e la faccia della ragazza, diventata quasi seria. Si erano lasciati liberi entrambi.
Ed era giusto così.
“Ci vieni al Ringraziamento a casa?” Aveva chiesto lei, facendo sparire l'imbarazzo, nonostante la risposta alla domanda di prima fosse un sì.
“Può darsi, tu tornerai?”
“Casa un po' mi manca.”
A dire la verità, le mancava soprattutto lui.
Nell'ultimo anno era diventato quasi il suo punto fisso.
Ma ormai lei doveva cavarsela da sola.
E lui anche.
Non c'era più tempo per le dipendenze.
“Devo andare Q, ci sentiamo.”
“Ciao Puck..” Aveva sussurrato allo schermo nero.
Lui lo sapeva.
Quando lei diventava silenziosa era solo nostalgia.
In piena notte, il telefono di Quinn Fabray suonò, facendosi maledire dalle compagne di stanza della bionda.
Assonnata lesse il messaggio.
“Buonanotte Q, ti aspetto a casa.
Puck.”

Sorrise, nel cuore della notte.
Rimaneva comunque suo.


“Le ragazze come te non dovrebbero andare in giro a quest'ora.”
“Tu dici Puckerman?” Erano a Lima, per il Ringraziamento.
Era mezzanotte inoltrata e Quinn, vagava per la città barcollando leggermente su quei tacchi scomodi.
L'odore di Vodka e fragola invase le narici del ragazzo.
“Sei ubriaca?” Chiese squadrando la bionda, che rise.
“Ne ho bevuto solo un bicchiere, anestetico sai.”
“Per cosa?”
La faccia spaesata di Puck fece di nuovo sorridere la ragazza.
“Tu.” Disse semplicemente.
“Io?”
“Mi mancavi. Vederti e non averti è ancora peggio. Quando dicevo di amarti non scherzavo.”
“Quinn...” Sussurra il ragazzo accarezzandole la guancia.
Quel tocco era anestetico.
Quel profumo.
Lui era anestetico.
Lui era tutto quello che voleva accanto, mentre ora si ritrovava ad andare a letto con un professore di Yale, quando ad ogni spinta, i capelli diventavano una cresta, il corpo muscoloso, i lineamenti tesi, il ghigno strafottente e quegli occhi di un colore indecifrabile.
E ogni colpo era una ferita, lasciata sanguinare nel cuore della notte.
Che faceva male, giorno dopo giorno.
Come un coltello che scava la stessa ferita senza farla cicatrizzare.
Ma al solo tocco di Puck, quelle ferite si chiudevano, lasciando solo una pelle fredda in attesa del suo corpo caldo.
Si avvicinò al ragazzo, poggiando la fronte sulla sua.
Noah voleva togliersi. Ma il suo profumo misto all'alcool erano curativi.
Era come sentire le delusioni scivolare via lungo il corpo.
Doveva lasciarla andare.
Ma non ci riusciva.
E vedere nascere quel principio di sorriso dalle labbra, lo fece impazzire.
Imprigionò la ragazza in un bacio che di casto aveva ben poco, prendendosi tutto quello che si era perso in quei mesi.
Fortunatamente casa Fabray era vicina.
Appena entrarono in corridoio, la incastrò tra lui e il muro, rimpossessandosi di lei, come un affamato.
La ragazza sentiva il sangue ribollire nelle vene.
Quella era vita.
Quel corpo e quelle braccia erano amore.
Quella bocca era passione.
Si levò le scarpe laccate con un calcio, allacciando le gambe dietro il busto del ragazzo, facendo cozzare i bacini.
E solo in quel momento Noah Puckerman si rese conto, che stava per avere Quinn Fabray di nuovo, per una notte.
Dopo quattro anni.
La camera sembrava così lontana.
Eppure in così poco tempo, entrambi erano senza vestiti, aggrovigliati come un'unica persona tra le lenzuola fresche.
Quelle ferite, si stavano curando.
Si sentiva completa, piena, al posto suo.
Tra quelle braccia sempre muscolose.
E mentre insieme arrivarono al limite, lei le sussurrò all'orecchio:
“Mi fai stare bene,nonostante tutto.”


La notte passò insonne per lui. Osservò tutta la notte il petto di Quinn alzarsi a ritmo regolare nel sonno, toccandole i capelli biondi sparsi sul suo petto.
Se solo lei avesse sentito il suo cuore.
Eppure ci era sdraiata sopra, poteva sentire quello scoppiare di emozioni nel petto del ragazzo.
Ma lei dormiva, felice, finalmente.
Con le labbra leggermente socchiuse e il collo rosso, dovuto ai troppi baci.
E in quel momento, entrambi si sentirono a casa.


La distanza si faceva sentire sempre di più e quelle chiamate via webcam erano arrivate a non bastare più. Entrambi sentivano la mancanza dell'altro, sforzandosi per farsi bastare quella specie di contatto.
Quinn continuava a uscire con quel professore.
Faceva l'amante di turno.
Ovviamente non l'aveva detto a Puck, l'avrebbe perso.
Intenta a truccarsi in bagno si sfiorò il collo, sentendo dei brividi.
Sorrise.
Nella settimana del Ringraziamento il suo collo era stato perennemente rosso, forse per la mania di Puck di lasciarle baci e morsi, come a rimarcare il concetto che Quinn Fabray fosse realmente sua.
Avvolta in quello strettissimo tubino rosso corse al computer che faceva un rumore sempre più assordante.
Non appena accese lo schermo la faccia di Noah apparve, concentrato sull'abito della ragazza.
Ne studiava le linee e le forme che evidenziava.
Osservava le ossa delle spalle scoperte e quel collo che sapeva di lei.
Osservava i capelli boccolosi sulle spalle e le labbra scarlatte.
Diavolo quant'era bella.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua Puckerman?” Chiese la ragazza sorridendo.
“Sei bellissima.”
“Grazie Noah... Scusami ma sono in ritardo, ci sentiamo nel week end, ho da studiare troppo da domani. Ti voglio bene.” Con le mani mandò un bacio al ragazzo, chiudendo frettolosamente il computer.
Puck rimase imbambolato, doveva fare una visita alla ragazza.
Magari nei suoi modi particolari.


Due settimane peggiori non le aveva passate.
Studio, studio, studio e ancora studio.
Non aveva nemmeno il tempo di respirare che le pagine restanti incombevano su di lei.
E ora dopo l'esame, andato alla perfezione, si lasciava andare a una lunghissima doccia calda e rilassante, mentre Caroline e Sam erano pronte a uscire per festeggiare.
Ma quale festeggiare, lei sarebbe andata a letto all'istante.
Intanto uno strano ragazzo si aggirava per le palazzine cercando la C.
Una volta trovata chiese al portiere se conosceva una ragazza come quella della sua foto e se era in casa.
L'ometto stranito disse solo sì, indicando il portone.
Salendo le scale incontrò due ragazze che riconobbe come Caroline e Samantha, le sue care compagne di stanza. Era sola.
E lui, era forse troppo bravo a scassinare le porte.


L'acqua scorreva sul corpo esausto quando sentì una voce.
“Ciao Fabray.” Era così stanca che stava sognando.
Si sporse coprendosi attentamente con la tenda per osservare il bagno.
E in piedi, appoggiato al muro c'era lui.
Noah Puckerman. La ragazza sconvolta scoppiò a ridere dicendogli:
“Mai perdere il vizio di entrare in bagni non tuoi eh?Aspetta come diavolo sei entrato in casa?!” Chiese alzando il celebre sopracciglio.
Lui mostrò un coltellino svizzero.
“Volevo parlare un po' con te, quindi muoviti a finire questa doccia.”
Lei rispose affermativamente quando sentì delle chiavi girare nella toppa e la voce di Caroline dire:
“Quinn ho lasciato la trousse in bagno vero?”
Dannazione sì, la pochette era lì e non poteva assolutamente farsi vedere con Noah.
Si sporse prendendolo per un braccio, infilandolo con lei nella doccia e tappandogli la bocca.
Grazie a dio che la tendina è opaca, pensò in cuor suo.
Caroline entrò e senza degnare di uno sguardo la doccia disse alla compagna:
“Eccola qua! Ci vediamo domani mattina Quinnie cara.”
Quinnie? E chi la chiamava più così, si chiese Noah.
Non poté fare a meno di far cadere l'occhio sul corpo nudo della ragazza.
E che corpo.
“Puckerman non sono da mangiare.” Disse lei con faccia furba.
“E ora te ne pentirai amaramente.”
Girando rapidamente la manopola sull'acqua fredda bagnò il ragazzo dalla testa ai piedi ridendo di gusto.
Lui prova a farle mollare la presa sul getto d'acqua, quando accidentalmente le sfiora il bacino.
Entrambi si immobilizzano fissandosi negli occhi.
Un forte profumo d'agrumi invade le narici del ragazzo.
Ecco di cosa profuma Quinn.
Di agrumi.
E quel profumo acido lo fa rivivere ogni volta.
Spinge la ragazza contro il muro mentre lei sussurra quasi imbarazzata:
“È freddo.. Fa freddo.”
Puck punta la doccia sui loro corpi, mettendola sopra di loro, alzando la temperatura dell’acqua.
E mentre il vapore riempiva la doccia, Noah Puckerman si sporse in avanti, catturando nel loro ennesimo bacio Quinn.
La maglietta grigia del ragazzo ormai zuppa segnava i muscoli che Quinn iniziò lentamente ad accarezzare, mentre lui faceva aderire i loro corpi grazie anche all’aiuto del muro.
E quel profumo, il suo profumo lo mandano in estasi.
La sua pelle, le sue labbra, i suoi occhi.
Le uniche cosa al mondo che non lo fanno sentire un perdente.
Lei le sfila la maglia e i pantaloni, per poi interrompere il bacio e abbracciarlo.
Respirare il suo odore, che una definizione specifica non ha.
Quel profumo che in qualsiasi parte dell’America lei si trovi, la fa sentire a casa.
E in quell’abbraccio si bea del calore dei loro corpi vicino, mentre lui con dolcezza le sposta una ciocca di capelli per guardarla negli occhi e sorridere.
Lei sorride, capendo finalmente la vera definizione di felicità.
E poi si riuniscono i corpi, ancora una volta, senza averne mai abbastanza.


A malincuore devono di nuovo separarsi.
Entrambi hanno da combattere una guerra.
Devono disintossicarsi l’uno dall’altro.
Devono smettere di sentirsi vivi solo con la presenza dell’altro.
Devono smettere di usare i loro profumi come anestetici.
Per lui poteva essere molto più semplice.
Ma per lei sarebbe stato impossibile, quando la sera dopo vide la faccia del suo professore assomigliare incredibilmente a quella di Noah Puckerman.


Al matrimonio, il giorno prima, non si erano incrociati da sobri, fortunatamente, data la fine della serata, a letto con la sua migliore amica.
Aveva mollato anche il professore, una settimana prima.
E la sua stessa migliore amica aveva buttato lì una frase come:
“Puck se la fa con la bionda, la nuova Quinn Fabray del McKinley.”
Santana l’aveva detto intenzionalmente, già odiava quella nanetta bionda, in più si portava a letto Puck, bocciata.
E forse era questo il motivo per cui un’incazzatissima Quinn Fabray era davanti a casa Wilde.
Bussò elegantemente e la biondina fece per saltarle addosso, cosa che Quinn bloccò con un gesto della mano.
Entrò silenziosamente e si fece scortare in salotto, dove arrivò dritta al punto.
“Sta lontana da Puck.”
“Perché dovrei sentiamo?” Quella bambina la stava sfidando.
“Perché non è roba tua e non assomiglierai a me così. Non sarai mai come me, per il semplice fatto che sei troppo vuota di sentimenti e piena di te per esserlo. Quando passerai la metà di ciò che ho passato io, potrai essere la nuova Quinn Fabray. Puck lascialo stare.” E così dicendo, si era diretta alla porta, appena in tempo per sentire la risposta della ragazza.
“A Puckerman non interessi più, rassegnati.”


La calma della sua casetta a Lima fu interrotta da forti pugni sulla porta d’ingresso. Eppure nessuno sapeva che era lì, neanche Santana.
Infatti quello era Puck, parecchio alterato.
“Che cazzo sei andata a dire a Kitty?!” Urlò come un forsennato, facendo quasi spaventare Quinn.
“Che ti deve lasciare perdere.”Rispose tranquillamente, come se quello fosse sufficiente.
“Quinn io non sono roba tua e me la posso fare con chi mi pare e piace d’accordo? Non sono tuo.”
Quelle parole l’avevano ferita, come una lama che torna a infierire, ma stavolta nulla la può guarire.
Perché la medicina è diventata la malattia.
Gli occhi le si riempiono troppo velocemente di lacrime.
“E allora un mese fa che cazzo ci sei venuto a fare nel mio appartamento?! Due chiacchiere?!” Urlò, con quelle maledette lacrime che minacciavano di scendere.
“Avevo voglia di scoparmene una e sapevo che tu c’eri, contenta ora?!”
Mi ha usata, come tutte le altre.
Respira Quinn, respira.
La ragazza alzò gli occhi dal pavimento, sempre più traboccanti di lacrime. Con uno sguardo duro sussurrò:
“Fuori da qua, fa finta che io sia morta.”


I mesi successivi sono complessi per entrambi.
Quinn ha solo lo studio, in cui si rifugia, come un animale che entra in letargo.
Puck rompe con Kitty, ma non a causa della distanza, anzi.
Una sera, una settimana dopo i due hanno una discussione sul comportamento di Quinn e mentre lei inizia a blaterare i soliti insulti Puck le urla:
“Lascia stare Quinn.” Cercando inutilmente di controllare il tono.
“La difendi ancora?”
“Sì, la difendo. Mi da fastidio che si parli male della madre di mia figlia.”
“Tu ne sei ancora innamorato come uno scemo.” Quella di Kitty non è una domanda, ma una constatazione.
“Anche fosse?” Rispose annoiato il ragazzo.
“Stai con me per quello. Perché le somiglio. Mi fai schifo Puckerman!” E con un sonoro schiaffo se ne va, non prima di aver sentito Puck urlarle:
“Tu non vali la metà di quanto vale Quinn.”


Quella chiamata.
Quella maledettissima chiamata.
La voce di Santana, incrinata.
Il chiudere il telefono di lei, accasciandosi sul pavimento.
Se n’è andato troppo presto.
Le lacrime si impossessano di lei a una tale velocità che fa paura.
Le passano davanti le loro immagini di coppia perfetta, rovinata sempre da tradimenti o sentimenti contrastanti.
Finn era importante per lei. Non riesce a smettere di piangere.
L’anima si squarcia piano piano.
Le lacrime vanno avanti ore.
Chiama Mercedes, piange anche con lei.
Ma le vere lacrime escono quando il nome di Rachel appare sul display.
“Ti prego Rachel, lo so già, non ridirmelo, sembra tutto troppo reale.”
Le due amiche piangono, insieme al telefono.
Ma la chiamata che aspettava non arriva. Ha bisogno di lui, ora più che mai.


Il funerale è una cerimonia semplice, lo rivede per la prima volta, ma non ha la forza di staccarsi da sua madre. Gli occhiali neri coprono gli occhi, arrossati da una settimana di pianto.
Puck sembra tutto intero.
Ma solo Quinn Fabray può vedere nei suoi occhi, il vaso che va in pezzi.

Non è tornata per la commemorazione di Shue, troppi ricordi.
Troppo dolore.
Troppa mancanza di tutto.
Di casa.
Di Noah.
Di Finn.
I racconti di Mercedes le bastano.
La dilaniano ancora una volta.
Non può fare altro che farsi abbracciare dalle sue coinquiline.
Le lacrime non finiscono.
Puck intanto, si sta andando a arruolare.
“Sarai fiero di me Hudson.”


Tre mesi.
Il dolore c’è, ma ormai sopporta tutto.
Ormai è fatta di ferro.
Si appoggia al muro della doccia e un mare di immagini si presentano davanti ai suoi occhi.
Fare l’amore.
I loro baci.
Le loro parole dolci sussurrate.
Il suo corpo.
I loro abbracci.
Il suo profumo.
Puckerman abbiamo bisogno l’uno dell’altro, ma tu dove sei?
Ah già, è nell’esercito.
Una risata si confonde con nuove lacrime, mentre lei scivola lungo il muro, soffocata dai ricordi.
Le lacrime si mescolano all’acqua calda, che stavolta non la tranquillizza nemmeno un po’.

Finalmente la primavera.
Può godersi il caldo e quei prati enormi davanti alla caserma.
Camminando su e giù, pensando a tutto ciò che ha perso.
Il suo sogno.
Il suo migliore amico.
La donna che amava.
È veramente un cretino.
E non ci vede bene, soprattutto.
Una figura bionda e slanciata, è ferma alla fine della strada.
La riconoscerebbe ovunque.
E poi l’aria sembra profumare d’agrumi.
Si avvicina a passo lento, notando i cambiamenti nel volto di lei.
Sembra scavato dalle lacrime, ma ha lo sguardo forte, forse un po’ tentennante. Accenna un sorriso. Allora è ancora capace di farlo innamorare con un gesto.
Lei si trova davanti un uomo, coi capelli che finalmente coprono tutta la nuca e qualche centimetro di barba non fatta.
Ha lo sguardo convinto, sicuro. Avanza troppo sicuro. Lui l’ultima volta l’ha uccisa con le parole.
Ma non le importa.
“Quinn…”
“Puck.”
“Che ci fai qua?”
“Complicato da spiegare in effetti. Hai detto di avermi usata, e mi hai lasciata a pezzi. Finn se n’è andato, avevo bisogno di qualcuno e te non c’eri. Questi tre mesi li ho passati a piangere, per lui e immediatamente dopo per te. Piangevo tutto il giorno. E tu non c’eri. Tu non mi ami, eppure io sono qua per te. Qua come una scema, a credere ancora nel nostro futuro. Ho sognato Finn, ha detto che sei un emerito coglione, perché mi ami, perché hai bisogno di me e perché ti manco. Mi sono sempre fidata di Finn, l’ho fatto anche stavolta.”
“Meriti di meglio Quinn.”
“Quando mai capirai che per me il meglio sei te. Sei quello che amo anche più di me stessa, sei il padre di mia figlia, sei quello che anestetizza i dolori, sei quello che fondamentalmente vedevo quando stavo con altri uomini, sei quello che mi fa sentire a casa Noah.”
“Io non ce la faccio Quinn. Di solito quella che scappa sei te, ma davvero, dobbiamo trovare la nostra strada. Io ho l'esercito, tu Yale. Entrambi abbiamo uno splendido futuro davanti a noi, in cui è compresa una famiglia. Per te con un riccone che ti rende la sua principessa, per me una donna paziente, che cresce i figli a casa mentre io vago per l'America e rischio di tradirla a ogni città.”
“E la donna con cui rischierai di tradirla sarò sempre io, perchè ad ogni festività saremo tutti a Lima e mentre lei sarà al parco coi vostri figli, tu sarai con me in qualche camera d'albergo o addirittura nella vostra camera. Puoi evitare tutto ciò, perché sono anche io madre di tua figlia, che non è nata da un errore, ma da un amore troppo nascosto.”
“Quinn, non possiamo per il benessere di entrambi.”
“Quindi questo sembrerebbe un addio in piena regola?” Chiese lei, rassegnata.
“Sì Quinn. Mi dispiace.”
La ragazza non cambiò espressione, rimase lì, con un accenno di sorriso stampato in volto e gli occhi fissi in un punto indefinito. Si avvicinò al ragazzo e lo strinse in un abbraccio. Un abbraccio in cui ci mise tutto quel che aveva, speranze, ricordi, amore e il suo profumo.
“Ciao Noah.”
Sparì lungo la stradina come era arrivata, in silenzio.
Noah guardò il cielo, che si stava scurendo.
Finn Hudson a quanto pare non era d'accordo.


Era tornata a Lima per quella festa. Un anno dopo.
Shue li aveva voluti tutti, per festeggiare lui, Emma e il loro piccolino.
Era entrata nell'aula canto col sorriso stampato sul volto e Rachel, Santana e Brittany si erano fiondate da lei, stringendola.
Raccontò brevemente le ultime novità, poi decise di cantare.
Decise di cantare la loro canzone.
Come addio, perchè lei aveva una nuova vita, finalmente.
Era l'addio a Puck, a Lima, al passato, a quell'aula canto che profumava di ricordi.
Se l'erano cantata di notte, avvolti tra le lenzuola.
Just give me a reason.
“Faccio solo una premessa. Sarebbe un duetto la canzone, ma la voce maschile non la farò io, sarà solo musica, così che ognuno si ricordi ciò che vuole, cullato solo dal pianoforte.”
Intonò la canzone, sorridendo ad ogni frase, che trovava in loro un riscontro.
La parte maschile però, la fece qualcuno.
Una voce, proveniente dalla porta. Puck.

And we can learn to love again.
Lo disse guardandola negli occhi.
Terminata la canzone l'aula rimase ferma e in silenzio.
Così in silenzio che si sentì il sussurro di Quinn.
“Tra due mesi mi sposo.”


I due mesi peggiori per Noah Puckerman.
I due mesi peggiori per Quinn Fabray.
E ora si ritrovava chiusa in una maledetta stanza con l'abito bianco addosso.
Mancavano solo cinque ore, ed era da sola.
Santana, Rachel e Brittany al bar, mandando giù alcolici, magari avrebbero convinto l'amica da ubriache.
Judy a casa a prepararsi per vedere la figlia andare all'altare, con quell'ingombrante abito bianco.
Il campanello di casa Fabray suonò rompendo un lungo silenzio.
Quinn aprì con l'abito, trovandosi davanti Noah, che senza troppi complimenti la baciò.
Ecco dov'era l'emozione che non c'era alla proposta e al sì.
L'emozione che non c'era quando ha scelto l'abito.
L'emozione che sino a pochi secondi fa non c'era.
Quel profumo, che nonostante tutto rimaneva la medicina migliore.


Anche quella volta, la passione ebbe la meglio sulla ragione.
Quinn fu svegliata dall'urlo di sua madre e le sue amiche, che la trovarono nuda, nel letto, a due ore prima della cerimonia.
Da sola. Quel maledetto imbecille continuava a scappare.
Judy corse a chiamare le truccatrici, mentre Quinn usciva dal letto.
Santana fu l'unica ad accorgersi che sul bacino della bionda c'era un segno rosso.
Maledetto Puckerman. Dovevi portartela via. Pensò la ragazza, uscendo a grandi passi dalla stanza.


Tacchi risuonavano nel pianerottolo di quella palazzina composta da militari.
Puckerman.
Si attaccò al campanello, fino a quando lui non aprì la porta e un sonoro schiaffo gli si stampò sulla guancia.
Quinn Fabray lo guardava con occhi infuocati.
“Ma sei diventata matta? Mi hai fatto male!”
“Ah io ti ho fatto male? Parla il coglione che due mesi fa, il giorno del mio matrimonio, è venuto a casa mia baciandomi, spogliandomi dell'abito da sposa, facendo l'amore con me per poi scappare mentre dormivo? O di quel cretino che mi ha lasciata andare per Kitty Wilde. O di quel deficiente che quando ho detto di amarlo mi ha detto di lasciarlo andare? O quell'emerito imbecille che quando ero a pezzi per la morte di Finn e per la sua mancanza non si è neanche preoccupato di sapere se ero ancora viva? Non ti azzardare a dire che ti ho fatto male, perchè ti dovrei riempire di botte per farti stare male la metà di quanto lo sono stata io a causa tua!” Urlò la giovane, spingendolo nell'appartamento.
“Mi prendi per il culo vero? Sono venuto a Lima e mi hai detto che ti stavi per sposare!”
“Oh scusa dovevo aspettarti?! L'ho fatto cinque lunghi anni, scusa se ho riprovato a farmi una vita!”
“E allora che cazzo ci fai qua? Solo per fare la vittima?”
“Io la vittima? Oh no Puckerman, ho smesso tempo fa di farlo. Sono qua solo per dirti che no, non sono sposata perchè ho mandato tutto a monte per te e che ti odio con tutta me stessa.”
“Ah beh, interessante. Ho un'altra donna intanto.”
“Sei un bastardo Puckerman.”
Quinn gli si avventa contro prendendo a punti ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere, mentre piangeva nuovamente.
Il ragazzo cerca di divincolarsi fino ad arrivare ad afferrare i polsi alla ragazza, guardandola negli occhi.
Quegli occhi verdi piene di lacrime.
E la bacia di nuovo, sussurandole.
“No scherzo, non ho un'altra.”
Un pugno nello stomaco a tradimento e un bacio per smorzare il gemito di dolore.


Sono abbracciati, nel letto, accarezzandosi in silenzio.
“E ora cosa siamo?” Chiede lei, finalmente tranquilla.
“Sei la mia ragazza e se provi ad avvicinarti a qualcuno sei morta.”
“Grazie Puckerman, ti amo anche io.”
Un bacio, misto alle risate.
Misto ai profumi.
“Per sempre?” Chiede lei, sfiorando le dita del compagno.
“Per sempre.” Risponde lui, stringendole la mano.


Se siete arrivati fino a qua, vi regalo una caramella. Non so com'è uscita, forse OOC, forse no. Non lo so. A voi i giudizi, senza uccidermi.
  
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