Io mi sento una brutta persona. Sul serio. Ok.
La Panda pandaffanculo l'ho già ordinata.
Fui dio e fui polvere
C’era il mare, attorno a lui: onde pigre blu, che nella luce del tramonto si tingevano di viola e andavano a concludere il loro percorso sulla spiaggia e sui pilastri del molo. C’era il vento, che cullava le foglie sugli alberi e i capelli delle ragazze che passeggiavano nella tiepida aria salmastra. C’era la musica, che lenta accompagnava il volo dei gabbiani nell’ultima danza di quella giornata.
Cuba si era rivelata essere esattamente come l’aveva immaginata: caotica, colorata, soffocante. Viva. Nelle fredde sere invernali, in cui per evitare di spezzarsi i denti a furia di sbatterli si doveva dormire abbracciati, Miguel aveva parlato di Cuba e di quanto avrebbe voluto visitarla, gesticolando come solo lui faceva, trasudando esaltazione e speranza da ogni singolo poro. In quelle sere, Tullio si era stretto a lui più volentieri, perché quei sorrisi a volte esagerati erano tutto ciò di cui aveva bisogno per dimenticare tutto e dormire, e il fuoco del suo compagno teneva lontano il freddo meglio di qualsiasi letto sontuoso nelle case della gente ricca.
In realtà, ad essere sinceri, dopo tutto quello che avevano passato qualunque luogo sarebbe andato bene: era già stato un miracolo l’aver ritrovato la barca ancora integra sulla spiaggia, dopo la rocambolesca fuga da Eldorado. Alla vista di persone civili, Tullio era quasi scoppiato a piangere dalla gioia.
Eppure c’era qualcosa di terribilmente ironico in tutto ciò, e Tullio ripeteva nella propria mente la parola “ironico” perché il suo unico sostituto sarebbe stato “crudele”. Ironico, perché una parte di lui voleva davvero ridere.
Quanto occorre per costruire la vita di un uomo? E’ un pensiero forse privo di senso, pensò tra sé e sé. In compenso, capì quanto basta per distruggerla: bastano pochi secondi, e una manciata di parole dette al momento giusto, con il tono giusto e l’espressione giusta.
Tullio rise, ma fu una risata amara e piena di panico.
«Che vuoi dire?» in quel momento si accorse che tutto ciò che avvertiva fino a poco prima era svanito: le onde, il vento, la musica; li sentiva, ma erano lontani, quasi come se all’ improvviso il paese si fosse magicamente spostato altrove.
Le onde si ricorrevano sotto i suoi
occhi. Miguel le
guardava appoggiato al parapetto, stringendosi a sé, lo
sguardo fisso sul sole
che veniva lentamente inghiottito dall’ oceano: evitava il
suo sguardo e questo
a Tullio non piacque, perché Miguel non nascondeva. Miguel
parlava forse
troppo, ma mai troppo poco e soprattutto non era mai successo che si
allontanasse in quel modo. Eppure Tullio temeva
più
di ogni altra cosa l'ovvia risposta alla sua domanda.
«Cosa
pensi che voglia dire?» Il
suo tono era stanco, anche questo era terribilmente sbagliato. Lo vide
voltarsi
leggermente e i loro sguardi si incrociarono per un breve istante.
Tullio si
morse il labbro, cercando di mantenere il respiro stabile.
Tullio
al destino non ci credeva.
Non era solo una questione di gioco, di truffe e di dadi truccati, ma
la ferma
convinzione che non potesse esistere nessuno, né sul mondo
reale né in uno
celeste, in grado di dettare la sua vita. Dopo aver perso tutto si era
reso
conto che l’essere vivo era davvero l’unica cosa
che ancora poteva tenersi
stretto. Per di più, in tutta sincerità, era
convinto che perfino Dio avrebbe
scosso la testa e alzato le mani davanti all’idea di mettere
ordine nel casino
che era la sua esistenza.
Il
sole era tramontato all’orizzonte,
le onde si infrangevano sotto di loro, la musica in lontananza
continuava ad
animare la serata, ma per quel che a Tullio importava sarebbe potuto
esplodere
tutto, e lui non vi avrebbe fatto caso.
Forse
era una di quelle situazioni
che si possono risolvere con calma e diplomazia. Di certo sentiva il
respiro
accorciarsi e accelerare, rendendo la sua testa leggera.
«Non
parli sul serio, vero?»
chiuse gli occhi, inspirò a fondo, e un
po’
funzionò. Un po’, ovvero il tempo di chiudere gli
occhi e lasciarsi
attraversare dal fugace pensiero che, una volta riaperti, gli avrebbero
mostrato la vera realtà, quella in cui si erano allontanati
solo per cercare un
attimo di calma; quella in cui, se Miguel era stanco, era solo per la
giornata
passata a fare festa e nient’altro, non certo per…
No;
non pensarci, quello era il
segreto: non pensarci. I pensieri rendono le cose reali, le strappano
dalla
sfera dell’immaginazione in cui sono ancora allo stato
incorporeo delle idee e
le trasformano in qualcosa di vero, e le cose vere poi diventano
problemi, e…
ed era davvero meglio non pensare. Finché Miguel fosse
rimasto girato di
schiena avrebbe potuto non pensare e far finta che sul suo volto ci
fosse
un’espressione serena.
Ma
Miguel si girò verso di lui e
non era sereno. Era triste. Forse perfino arrabbiato. Era arrabbiato
perché lui
non voleva pensare.
“Credi
che stia scherzando?”
Sì, è uno
scherzo, avrebbe
voluto rispondergli, voglio che sia uno
scherzo, voglio che tu sorrida come hai sempre fatto, voglio sentirti
ridere di
me mentre mi spieghi che è tutta una presa in giro,
perché sono troppo serio e
devo ridere ogni tanto. Voglio che tu non dica quello che vuoi dirmi,
perché so
di cosa si tratta e non voglio sentirlo; perché sono giorni
che scaccio quel
pensiero con la speranza che se ne vada da solo e non è
giusto che non l’abbia
fatto. Perché sono un egoista che non riesce ad accettare
l’idea di non poter
avere tutto ciò che vuole; perché ciò
che voglio lo prendo con la forza, ma non
potrei farlo con te. Perché tu sei quello che mi sta accanto
qualunque cosa
accada e va contro ogni logica il fatto che tu voglia…
“…rimanere
qui.” Miguel lo
guardava come se volesse chiedergli scusa “Cerca di capire,
io non… non posso,
non posso e basta. Ma mi hai preso per scemo? Io
non…guardami!”
Miguel
urlava. Non andava bene.
“Guardami
negli occhi” gli disse
di nuovo, e Tullio nemmeno lo aveva visto avvicinarsi.
Incontrò il suo sguardo
a pochi centimetri di distanza e si chiese quale fosse stato il giorno
in cui
le cose erano cambiate, dove fosse la linea che separava il momento in
cui
tutto andava ancora bene da quello in cui tutto aveva iniziato a
crollare,
lentamente e silenziosamente, come la roccia erosa dall’acqua
che infine si
sgretola e diventa polvere. Tra le mani ora stringeva quella polvere,
cercando
di ricordare il momento in cui era stata solida pietra, ma non lo
ricordava.
Sembrava piuttosto che tutto avesse iniziato a finire
nell’istante in cui era
iniziato.
Ma
il suo problema era che
dimenticava troppo spesso di non poter avere tutto nella vita. Nella
sua
frenesia di riempire di ricchezze il suo sacco dimenticava il piccolo
buco sul
fondo, dal quale inevitabilmente, per ogni nuova cosa che entrava, una
usciva.
A meno di un miglio da lì, sotto le luci delle lanterne,
avvolta dalla musica,
Chel stava probabilmente ballando con qualche paesano, gli occhi scuri
sgranati
per l’emozione che le dava ogni più piccola
scoperta in quel mondo sconosciuto.
Chel, che l’aveva stregato, Chel che sotto sotto era come
lui, impaziente e mai
sazia della voglia di possedere. Chel che sembrava amarlo, e
probabilmente era
così. Chel, che era entrata nel sacco e aveva spinto fuori
chi già lo occupava.
Probabilmente
Miguel la odiava, anche
se non lo dava a vedere. Probabilmente desiderava insultare entrambi,
ma c’era
qualcosa che lo rendeva incapace di farlo.
Miguel
voleva parole chiare, ma
lui non era in grado di dargliele. Non c’era modo di spiegare
quello, non c’era modo di
trasformarlo
in parole che non peggiorassero ulteriormente il momento, che non
suonassero
simili a “Ehi, mi sono trovato
un’altra,
ma tu resta, odio buttare via le cose.”. E Tullio
si odiava, perché una
parte di lui lo pensava davvero; perché voleva la botte
piena e la moglie
ubriaca e soprattutto voleva che fosse normale e che fosse possibile.
Quella parte
di lui strepitava e batteva i piedi, perché non era giusto
dover scegliere,
anche se tutti volevano che lo facesse. Miguel lo voleva, probabilmente
Chel
stessa voleva la stessa cosa, perché non era il tipo da
lasciare tutto ciò che
aveva per poi doversi accontentare. Pensandoci razionalmente, non
sarebbe stato
giusto nei suoi confronti: l’aveva portata via, non poteva
abbandonarla ora.
Tullio
chiuse gli occhi. Il mare
si infrangeva sugli scogli, i gabbiani cantavano e la musica animava
una festa
che non era per nessuno dei due.
Quando li riaprì, era solo.
----------------------
Io mi sento fisicamente male a scrivere queste cose, meh.