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Autore: Poetessia    07/05/2014    0 recensioni
Rapita dalle parole di quell'uomo, captai una di quelle che sarebbe poi diventata una delle frasi iconiche del film e che, improvvisamente, sarebbe diventata la linea guida della mia vita futura:
"Io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire."
"Perché non diventare la regina delle discoteche?" mi ritrovai a chiedermi, senza distogliere l'attenzione dalla storia che si delineava sul piccolo schermo, tanto la risposta arrivò presto: "E sia. Se bisogna tenere in piedi questo teatrino, tanto vale fare un grande spettacolo."
Ero diventata l'alter ego vivente e femminile di Toni Servillo. Jess Gambardella.
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Ovviamente ispirato e con citazioni da "La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Agosto.

Le luci intermittenti della discoteca Tahiti, la più rinomata della zona, pulsavano vivaci a tempo di una musica carica di bassi e caratterizzata da un ritmo concitato: nonostante le ordinanze comunali che imponevano un determinato numero di decibel, passeggiando sul lungomare chiunque veniva catturato sia dal ritmo che dall'arcobaleno a led che il luogo spandeva.
La pista era invasa da adolescenti, la maggior parte dei quali che non dimostrava neppure la maggiore età, che si muoveva con frenesia e sorseggiava cocktail da grossi bicchieri in plastica: al centro della pista troneggiavano tre grossi cubi disposti in una fila ordinata dove ballavano tre ragazze. Lo sguardo della maggior parte dei presenti, però, saettava verso il cubo centrale: una ragazza minuta, con lunghi capelli scuri serrati in una coda di cavallo, un abitino a stampa leopardata e un tacco discreto ai piedi, danzava leggiadra perfettamente a tempo con qualsiasi brano pompasse dalle casse; pur non sembrando neppure maggiorenne, emanava un'aura di sensualità.
«Vai Jessica!» strillò una ragazza da sotto il cubo, ridendo «Sei una figa!» la lodò, seguitando a ridere sguaiatamente stringendo un bicchiere con tracce di ghiaccio: la ragazza minuta le sorrise facendo l'occhiolino, per poi scendere dal cubo.
«Sono scoppiatissima.» annunciò ansante all'amica, urlandole nell'orecchio per farsi sentire «È ora che qualcuno mi dia il cambio.» affermò, dando una pacca sulla spalla all'altra ragazza e dirigendosi sulla spiaggia poco distante dalla pista e abbandonandosi su una sedia a sdraio: presto un ragazzo alto, bruno e slanciato la raggiunse, sedendosi vicino a lei.
«Quasi non ti riconosco.» le disse in una mezza risata «Rispetto all'estate scorsa sei praticamente un'altra.»
«Si cambia, caro Raffaele.» annunciò lei con aria solenne e filosofica.
«E in meglio, direi, cara Jessica!»
Una voce femminile si levò da dietro, mostrando l'amica di Libera, che stampò lesta un bacio sulle labbra e gli si avvinghiò attorno «Era ora che smettessi di conciarti in quelle maniere strane, tutta nera, poco femminile... insomma, guarda come balli bene! Sembri nata per la disco!»
Libera rovistò nella sua borsetta, arraffò un accendino e una sigaretta, la accese e sorrise: «Ve l'ho detto, si cambia. C'è a chi crescono le tette come a Monica...»
La ragazza, sentendosi chiamata in causa, ridacchiò.
«...chi viene promosso al lavoro come Raffa e chi cambia a livello di cervello come me.» concluse, aspirando il fumo della sigaretta con gli occhi chiusi e un'espressione soddisfatta in viso.

«Hey!»
Una voce maschile sconosciuta ruppe il silenzio momentaneo, sovrastando di molto la musica della discoteca poco distante: i tre amici levarono lo sguardo, notando il ragazzo che si stava avvicinando a passi piccoli ma lesti verso di loro.
Non dimostrava più di diciotto anni: alto, spalle larghe, coi capelli biondicci tenuti dritti da tanto gel da risultare quasi plastificati, con un piercing sopra il labbro e un grosso zircone all'orecchio sinistro, il fisico asciutto evidenziato da abiti attillati. Un tipico belloccio da strage di cuori di ragazzine.
Il ragazzo puntò un dito verso Jessica «Cercavo te. Ti ho vista ballare e, insomma, mi si è rizzato di brutto. È tre ore che cerco di avvicinarti.»
Jessica lo squadrò per poi spostare lo sguardo verso gli amici: entrambi sembravano approvare l'approccio dello sconosciuto.
«Perché, scusa?» chiese lei perentoria.
«E dai.» fu la risposta del ragazzo, che ammiccò e iniziò a dare piccole gomitate d'intesa a Jessica «Lo sai perché si viene in disco, no?»
«Per ballare.» azzardò lei seria. L'altro rise.
«Mica solo per quello. Dai, lo sai pure te, sennò non ti saresti messa a far la figa sul cubo.»
«Dai chicca, non fare la figa di legno!» la incoraggiò Monica, ridendo e rimanendo avvolta a Raffaele «Guarda che io e lui ci siamo conosciuti in disco e stiamo insieme già da sei mesi, oh!»
L'espressione sul volto di Jessica però rimase dura, come se non avesse neppure udito in lontananza le parole dell'amica.
«Parliamoci chiaro e senza giri di parole: cosa vuoi da me? Ti ricordo che non sai neppure come mi chiamo, e io non so come ti chiami tu.» chiese infine secca e gelida, fissando negli occhi lo sconosciuto, che sembrò farsi meno spavaldo. Rimase qualche secondo in silenzio, e quando riprese parola la sua voce si era fatta più bassa e dimessa.
«Per ora offrirti da bere... e sapere come ti chiami, ovvio.»
Stavolta fu la ragazza a tacere, assumendo un'espressione cogitabonda.
«Senti, vai dalle scalette, ok? Se non arrivo nel giro di cinque minuti vienimi a ripescare, che tanto se cerco di scappare via mi vedi e mi puoi bloccare prima.»
Il ragazzo sembrò riprendere il suo piglio sicuro: «Per inciso mi chiamo Carlo.» si presentò, dirigendosi verso il luogo indicatogli.
«Jessica.» rispose lei con semplicità, tornando a sedere e facendo un gesto agli amici per chiamarli a raccolta.

«E dai, che aspetti?» prese la parola Raffaele «Gliela stai facendo sudare che manco avessi i diamanti in mezzo alle gambe invece di una patata.»
«Non mi sembra di "stargliela facendo sudare".» rispose lei stizzita, mimando le virgolette con indice e medio «So a malapena come si chiama.»
«Embe'?» fu la risposta tranquilla di Monica «Lo prendi, te lo limoni, ti fai cacciare le mani nelle mutande, gli sprimacci un po' il cazzo e ti fai offrire da bere se ha l'alito che fa schifo. A che ti serve sapere come si chiama?»
«Del resto tra me e lei così è cominciata, eh.» rincarò Raffaele «Poi siamo usciti dalla disco e allora ci siamo presentati perché lei mi piaceva un casino e limonava da dio.»
Jessica esitò, perplessa.
«Sì, però spicciati che tra dieci minuti dobbiamo essere dalla macchina o i miei mi fanno un culo tanto.» la esortò Monica: Jessica si alzò, sorrise e si diresse verso Carlo.

«Vedo che sei arrivata.» gongolò lui, alzandosi in piedi e gonfiando vistosamente il petto.
«Sì, ma sappi che sono qui esclusivamente per parlarti.» rispose lei con il suo solito tono secco e aspro «Non ho intenzione di sganciartela, di farti un chinotto o di limonare, dato che alle pippe ci puoi pensare da solo. Se vuoi che prendiamo qualcosa al bar e ce lo beviamo in spiaggia per chiacchierare ci sto, ma sappi che è morta lì.»
Carlo sospirò, assumendo un'aria afflitta.
«Eh chicca, ci avessi un soldo ti offrirei tutto il Tahiti, guarda. Ma mi sono bruciato la consumazione appena entrato. Dai» la esortò, prendendole un braccio e tentando di tirarla a sé «andiamo in pista a ballare. Chissenefrega delle chiacchierate in spiaggia, dai, il linguaggio del corpo mica mente.» disse, facendole l'occhiolino. Lei si liberò dalla stretta in modo fluido e repentino.
«Ma te lo ricordi almeno come mi chiamo?» chiese. Carlo esitò, iniziando finanche a boccheggiare. Quando riprese parola il suo tono era trascinato e bizzarramente impastato.
«Oddio, sono ubriaco, manco so come mi chiamo io. Tipo Marta. O Giorgia?»
Jessica lo squadrò.
«No, 'spetta... Silvia! Giulia!» continuò a dire lui, ricevendo in risposta un dito medio alzato e le spalle di Libera che si allontanavano verso la spiaggia.
«Ma vaffanculo va, figa di marmo!» ringhiò rabbioso Carlo, voltando le spalle a sua volta e tornando in pista continuando a urlare «Che cazzo balli sul cubo se manco limoni uno come me? Cretina!»
Dal canto suo, Jessica aveva già esortato gli amici a uscire dalla discoteca e a dirigersi verso l'auto, non prestando più orecchio al ragazzo.

***
Finalmente entro in casa.
Via questi stupidi e scomodi tacchi, via questo ridicolo vestito che mi strizza troppo, via questi orribili brillantini: ora che quel coacervo di rumori che sparano in quella specie di Sodoma per ragazzini si è spento e sono a casa mia voglio solo la libertà.
Mamma e papà sono addormentati in un sonno che sembra essere decisamente profondo, quindi posso approfittarne per versarmi un bicchiere d'acqua e godere del mio ennesimo successo: gliel'ho fatta ancora una volta a quei due, e molto probabilmente domani mattina convincerò anche i miei; insomma, il teatrino procede proprio bene.
Più passa il tempo più riesco bene nel mio ruolo, e più riesco bene nel mio ruolo meglio illudo gli altri: certo, devo sopportare situazioni che mi fanno totalmente schifo, ma almeno non ho il fiato di quei due sul collo o devo sopportare le occhiatacce della gente.
Detesto dover fingere, ma purtroppo mi tocca farlo per il quieto vivere: adesso, però, posso finalmente riprendere in mano il mio lettore mp3, stendermi sul letto e pigiare “play”, lasciando che la musica, quella vera, prenda possesso delle mie orecchie, del mio cervello, del mio corpo nella sua interezza, per purificarmi da quello schifo che mi ha circondata fino a mezz'ora fa. Quell'accozzaglia di rumori elettronici, i miei coetanei fintamente sballati, strusciamenti vari qua e là e approcci brutali e sgarbati: gli Slayer nelle mie orecchie mandano via ogni tipo di porcheria di questo genere.

Io in realtà ascolto metal.
Glam, power, heavy, death, grindcore, ogni sottogenere mi va bene e me lo gusto come un piatto da gourmet, anche se il thrash resta il mio prediletto; mi sento realmente bella e libera quando indosso borchie, catene, semplici magliette e, in linea generale, abiti scuri o jeans.
Peccato che i miei non approvino nulla di tutto ciò, supportati, ovviamente, dai miei coetanei.
«Jessica, ma perché ogni tanto non ti vesti da donna?» o «Sei sicura che quella roba che ascolti tu non ti faccia diventare satanista?» o ancora «Ma non sei mai stata in disco? Dai, ma sei troppo una sfigata!» sono stati i ritornelli che mi hanno accompagnata lungo tutta l'estate scorsa che, a settembre, mi hanno portata a un tale punto di saturazione che ho deciso di iniziare a fregarli tutti: avrei finto interesse verso discoteche, vestiti che non mi piacevano e musica che trovo ancora oggi dozzinale e vuota, uscendo la sera per andare in locali che in me non suscitavano il minimo interesse e starmene in un angolo, millantando di essermi divertita tantissimo. Con gli amici magari mi sarei sforzata di ancheggiare un po' e fare due salti in pista anche in modo sgraziato, tanto nessuno guarda se vai a tempo di musica o no; tanto si trattava di piccole bugie e siparietti a fin di bene per far felici i miei e per integrarmi meglio con gli altri, non c'era nulla di sbagliato. Così feci per un po', presenziando giusto alle occasioni discotecare meno costose per non far sborsare troppo ai miei per quella sciocca realtà fasulla. Loro, comunque, sembravano apprezzare.
Una sera, però, dopo la cerimonia degli Oscar, la TV nazionale aveva deciso di trasmettere “La Grande Bellezza” di Sorrentino per celebrare la sua vittoria agli Oscar, incollando chissà quanti italiani al piccolo schermo: io ero una di quelli.
Fin dall'inizio del film, quando molto probabilmente la gran parte delle persone si era stufata aspettando un dialogo che sembrava non arrivare mai, ero rimasta incantata dalla parlantina posata e incantatoria di Toni Servillo e da quel nome curioso che portava il suo personaggio, Jep: chiamandomi Jessica lo sentii immediatamente connesso a me, rimanendo ipnotizzata dal suo fregarsene della grande festa in suo onore.
Eravamo uguali.
Rapita dalle parole di quell'uomo, captai una di quelle che sarebbe poi diventata una delle frasi iconiche del film e che, improvvisamente, sarebbe diventata la linea guida della mia vita futura:

"Io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire."

"Perché non diventare la regina delle discoteche?" mi ritrovai a chiedermi, senza distogliere l'attenzione dalla storia che si delineava sul piccolo schermo, tanto la risposta arrivò presto: "E sia. Se bisogna tenere in piedi questo teatrino, tanto vale fare un grande spettacolo."
Ero diventata l'alter ego vivente e femminile di Toni Servillo. Jess Gambardella.
Iniziai quindi ad esercitarmi privatamente in casa, imparando a conoscere e muovere al meglio il mio corpo: non posso negare, in totale onestà, che da un lato mi è stato utile per scoprire una femminilità e sensualità che non credevo di possedere, ma poco importava; in breve tempo iniziai ad essere notata quelle poche volte in cui andavo in discoteca per le mie movenze, ritrovandomi il centro di molteplici sguardi maschili che sembravano divorarmi e strusciate pubalgiche da parte dei più audaci: non mi sono mai concessa a nessuno di loro, neppure un bacio, ma della fama di "fica di legno" non m'importava affatto.
Arrivata l'estate però le serate brave si erano fatte di più: i ragazzi lombardi che frequentavano il mio stesso stabilimento balneare scendevano per l'estate e, scoperto il mio cambiamento, mi trascinavano a feste, in locali o a spiaggia, esortandomi a ballare con loro.
Tutto questo iniziava a pesarmi, ma durante tutta l'estate non ho fatto altro, con somma gioia dei miei che, col petto zeppo d'orgoglio, continuavano a decantare il mio presunto cambiamento con chicchessia.
«Ma l'anno scorso non era diversa?» avevano chiesto spesso i vicini d'ombrellone all'inizio della stagione, vedendomi stranamente più spigliata e integrata con gli altri adolescenti.
«Per fortuna è maturata.» spiegavano i miei, tutti tronfi e ringalluzziti «Ha smesso di ascoltare quella musica strana e guardala, è rinata.»
Io sorridevo allegra e reggevo il loro gioco, convincendo sempre più gente e trasformando progressivamente il mio teatrino delle marionette nella Fenice di Venezia.
Solo che l'incendio che lo distruggerà sembra non arrivare mai.


Ottobre.

31 ottobre: la festa americana di Halloween, ormai consolidatasi anche come una tradizione in Italia, si consumava lungo le strade, ora popolate da zombie, vampiri, streghe e mostri di ogni età. Sembrava che chiunque passeggiasse per le vie della città presentasse un dettaglio che rimandava a mondi infernali e oscuri, chi soltanto un mantello o corna rosse, chi interi vestiti e volti truccati.
Fuori da un locale, Jessica stava salutando i genitori fasciata in un paio di pantaloni in simil pelle, un corpetto del medesimo materiale, una coda, orecchie da gatto e un viso opportunamente truccato da un'amica: forse quello da Catwoman non era la quintessenza del travestimento per la notte delle streghe, ma del resto quale animale meglio di un gatto nero poteva essere di loro compagnia?
Entrò nel locale, esitando, in volto un'espressione di allegra e moderata eccitazione: l'interno era popolato da una maggioranza di ragazzi con i capelli quasi più lunghi dei suoi, con volti truccati per l'occasione che rimandavano a note figure dell'universo metal o della letteratura gotica. Un piccolo palco si ergeva in fondo al locale, dove troneggiava una batteria e una grossa tastiera.
Jessica si guardò intorno: le ragazze presenti erano anche loro in molte truccate o vestite in modi bizzarri e inconsueti, facendo ampio uso di stampe animalier, jeans strappati o, come lei, abiti in pelle nera. Un ragazzo vestito da donna, con tanto di autoreggenti a rete, si stava prestando a farsi fotografare nelle pose più ambigue suscitando l'ilarità generale. Le sembrò tutto bello, semplice e sano: non vide coppie improvvisate che si infilavano le lingue in gola, gente che si muoveva sgraziatamente e non udì musicaccia brutta, solo un sano ed elevato chiacchiericcio intervallato spesso da risate tintinnanti e allegre.
Un lieve rumore fece voltare tutti dalla parte del palco, dov'era comparsa una ragazza fasciata da un vestito in pizzo nero e un trucco che la faceva sembrare una bambola di porcellana.
«Buonasera a tutti e buon halloween!» salutò: un urlo tonante si levò dalla folla, qualcuno alzò le mani e altri ancora boccali mezzi vuoti di birra. Appena l'urlo si limitò a brusio, la bambola riprese parola.
«Non sto a trattenervi e mi limito a ringraziare il locale per averci permesso di ospitare questa serata di grande, grandissima musica. Partiamo con il primo gruppo: nascono soltanto un anno fa e in breve tempo registrano il loro primo EP e, grazie a un videoclip realizzato da un amico, schizzano a duemila visualizzazioni su Youtube nel giro di pochissimo. Sono orgogliosa di presentarvi i Midnight!»
Un boato accolse i sei ragazzi che salirono sul palco, che presero immediatamente posto: voce, chitarra solista, chitarra ritmica, basso, batteria e tastiera, una formazione interamente al maschile. Passarono pochi minuti in cui calibrarono al meglio gli strumenti e presero a suonare un brano dall'atmosfera festaiola: il cantante aveva una voce vivace, acuta ma non stridente che ben si sposava alla parte strumentale, forse non brillante di tecnica ma carica di passione. Jessica prese presto a lasciarsi andare alla musica, prima solamente battendo un piede a ritmo, poi iniziando a scuotere la testa a ritmo, alzare le dita a corna al cielo e cantare “Hey” all'unisono con gli altri presenti: nessuno sembrava rendersi conto che quello per lei era il suo primo concerto, e ciò la fece sentire presto ben integrata e a casa.
Finalmente poteva essere libera di essere se stessa.

«Bene.» annunciò il cantante dopo quello che era sembrato un tempo ridicolmente breve «Siamo giunti alla fine, e prima di lasciare sul palco ai Killing Moon vorremmo salutarvi con un tributo a un grande uomo del rock e del metal che, come sicuramente ricorderete, ci ha lasciati troppo presto. Sto parlando di un vero e proprio Dio.»
Dalla folla partì un tuono, e Jessica capì a sua volta a chi faceva riferimento il cantante: Ronnie James Dio, leader di molteplici band storiche e morto per un cancro nel 2010.
«Vedo che avete capito.» disse il cantante con un sorriso complice «Che aspettiamo?» chiese poi, alzando la voce fino ad urlare «Uccidiamo il re!»
Chitarre e basso partirono veloci, presto seguite da tastiera e batteria. Infine, arrivò la voce, che prese a intonare il testo di "Kill The King" dei Rainbow.
Nella folla qualcuno prese a spingere e a prendere a spallate chiunque gli capitasse a tiro, ridendo e trovando presto più e più persone che avevano iniziato a fare lo stesso: Jessica, attirata da quella bizzarra sorta di danza tribale che non pretendeva di sedurre nessuno, si lanciò presto nella mischia, iniziando a spintonare e altrettanto presto ritrovandosi con le natiche a terra a causa di una spinta troppo forte. Non aveva neppure realizzato di aver perso l'equilibrio quando una grossa mano maschile si tese verso di lei e la tirò su, abbracciandola e dandole una pacca sulla schiena.
«Tutto a posto?» urlò l'anonimo salvatore nell'orecchio di Jessica «In un pogo così una come te rischia di farsi male!» la redarguì. Lei gli sorrise imbarazzata, guardandolo: aveva il volto truccato come Brandon Lee ne "Il Corvo", lunghi riccioli ben definiti, labbra carnose, una barba ben curata e grandi occhi verde scuro.
«Scusami, è la prima volta.» spiegò: lui le sorrise gentile, mostrando due file di denti imperfetti ma candidi.
«Midnight e Killing Moon come primo concerto? Alla faccia!» rise «Ora scusami, ma ascolto la canzone, attenta al pogo!» sembrò congedarla, senza però allontanarsi e, ogni tanto, lanciandosi nella mischia, forte della sua stazza e altezza.
Il brano terminò tra ovazioni, urla e dita alzate a corna e, durante il cambio palco, il ragazzo si avvicinò nuovamente a Jessica.
«Io comunque sono Michele, piacere.» le si presentò tendendole la mano.
«Jessica.» rispose lei, e la sua mano fu accolta da una stretta serrata e vigorosa.
«Che bel nome.» rispose lui senza ombra di malizia «E che bel costume.» aggiunse: nonostante trucco e penombra, il rossore sulle guance di Jessica fu piuttosto evidente, così come il tono imbarazzato quando lo ringraziò per i complimenti. Lui sembrò non farci caso.
«Senti, io mi prendo una cosa al bar, vuoi seguirmi? Magari ti presento un paio di amici, dato che è la prima volta che inizi a frequentare l'ambiente.»
Lei sorrise, l'imbarazzo che sembrava essere svanito: «Certo, perché no?»

**
Sono felice. Anche se sono al freddo fuori dal locale ad aspettare che arrivi mio padre a prendermi e sono rimasta praticamente sola, dato che Michele e i suoi amici sono andati via poco fa: lui è stato tanto gentile da proporsi di tenermi compagnia, ma ho preferito declinare, dato che, disgraziatamente, devo far credere ai miei che sono andata a una festa dove ballare non significa prendersi a spallate.
Un ragazzo con i capelli lunghi al mio fianco avrebbe destato troppi sospetti; in ogni caso, ho il suo numero di cellulare salvato in rubrica. E sono felice.
Per la prima volta dopo quelli che mi sono sembrati secoli ho potuto essere libera di essere me stessa, ascoltare la musica che tanto amo dal vivo, parlare di argomenti interessanti dopo l'esibizione della seconda band e scoprire persone con gusti affini ai miei: per la prima volta sto trovando il coraggio di dire ai miei che in quel posto zeppo di gente che ascolta la stessa musica che ascolto io, nella notte delle streghe, non si è consumato alcun rito satanico; e per la prima volta, un ragazzo ha deciso di approcciarsi a me in modo discreto, corteggiandomi e viziandomi verbalmente, condividendo con me i suoi interessi e raccontandomi di lui e delle sue passioni.
È questo il mondo dove voglio stare. Forse non diventerò mai la regina di esso, ma non mi importa: anche Jep, alla fine del film, abbandona la sua posizione di re della mondanità per fare ciò che, in cuor suo, ha sempre amato davvero. Jess Gambardella sicuramente non morirà dopo un concerto.
Un clacson mi risveglia dai miei pensieri, facendomi notare l'utilitaria nera dei miei.
«Com'è andata la festa?» chiede mio padre allegro, anche se un po' assonnato.
«Bene.» gli annuncio, sincera dopo molte finzioni.
Non chiede altro.

I miei sono a letto e io mi sono struccata, denudata, ho indossato il pigiama e, prima di andare a dormire, ho acceso il computer cercando Michele su Facebook per chiedergli l'amicizia: l'ho trovato subito, notando meglio i suoi occhi verde scuro e il suo viso, nella foto non sovraccarico di trucco come stasera.
Prima di spegnere inserisco il DVD de "La Grande Bellezza" nel PC, in modo da chiudere degnamente questa magnifica serata: non ho tempo e non mi sento abbastanza sveglia per guardarlo tutto, quindi schizzo direttamente alla scena finale.

"È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore.[...]Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. [...] Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco."

Ricambio l'espressione serena del mio alter ego sullo schermo, ricordando il sorriso di Michele e sapendo di aver trovato anche io la mia grande bellezza.
Da domani basta trucchi.
Che lo spettacolo termini, che cali il sipario e che il teatro, finalmente, bruci.

  
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