E,
come l’anno precedente, Hermione aveva deciso di starsene da
sola. Ginny le
aveva infinite volte chiesto se volesse organizzare qualcosa, anche una
piccola
cena in famiglia magari, tutti insieme alla Tana. Ma lei aveva
categoricamente
rifiutato. Aveva inventato una scusa, ringraziando l’amica e
spiegandole che
preferiva restare a lavorare su delle pratiche molto importanti. Certo,
una
parte di verità c’era poiché la Granger
era rimasta sul serio in ufficio a
lavorare su alcune pratiche riguardanti i diritti degli Elfi domestici,
o, più
semplicemente, si stava occupando di alcune faccende del suo tanto
amato
C.R.E.P.A. (Comitato per la Riabilitazione degli Elfi Poveri e
Abbrutiti),
essendone la presidentessa e fondatrice.
In
quel momento, però, la sua mente errava completamente
altrove.
China sul plico
di fogli, aveva in mano una piuma ferma su un punto, la cui punta
bagnata d'inchiostro aveva formato un pallino di un nero scuro. Gli
occhi lucidi e
contornati di occhiaie sbiadite erano fissi su quel puntino, assenti.
Era
stanca Hermione. Non chiudeva occhio da giorni e, nonostante stesse
ricevendo
molte soddisfazioni in campo lavorativo, c’era qualcosa che
non andava. Dentro
era tutto un casino, per Hermione. Quattro anni erano davvero pochi per
cercare
di ricominciare a vivere. Gli incubi non la lasciavano mai e nella sua
testa
continuava a rivivere i momenti peggiori di quell’orribile
guerra che aveva
sconvolto tutti. Le cicatrici, visibili e non, pulsavano ancora
dolorosamente,
forse anche di più. Il vuoto che aveva le impediva di
riuscire a vivere come
avrebbe voluto.
Non
sorrideva più come prima da molto, ormai. C’erano
solo dei rari momenti in cui
la speranza ritornava prorompente, spiazzandola, colpendola come un
vento
impetuoso. E se tutto ciò accadeva era riconducibile ad una
sola persona: Harry
James Potter. Lui sembrava essere l’unico a farla sorridere
come un tempo, ad
aiutarla a non ricordare. Lui era l’unico capace di placare
le sue urla quando,
di notte, arrivavano all’improvviso. L’unico che
riusciva a non farla sentire
sola.
Un
mezzo sorriso increspò le sue labbra rosee ma poi quando
ricordò che cosa stava
succedendo, quello sparì subito mentre i quesiti che
l’assillavano da giorni
ritornavano a farle visita. Quelle domande che continuavano a bussare
incessantemente nella sua testa, chiedendo e pretendendo con
disperazione una
risposta sensata e sufficientemente soddisfacente.
Perché colui che doveva
essere
considerato il suo migliore amico, negli ultimi tempi, a stento le
rivolgeva un
saluto? Perché continuava
ad
evitarla? Perché quando lo
sorprendeva a
fissarla con una strana espressione, voltava subito la faccia?
Perché sfuggiva
al suo sguardo? Perché, proprio quel giorno, non
le aveva nemmeno fatto gli
auguri quando persino Blaise Zabini, incontrandola quella
mattina in ascensore al
Ministero, si era preso la briga di augurarle un buon compleanno? Perché Harry aveva cominciato
ad essere
sfuggente? Più del solito, insomma, e con lei che, insieme a
Ron, era la
persona con cui passava la maggior parte del suo tempo? Perché
proprio con lei, la sua migliore amica, quando, non prima di
dieci giorni fa, l’aspettava ore intere per tornare a casa
insieme? Cos’era
cambiato così all’improvviso?
Continuava
a porsi quelle domande, senza nemmeno utilizzare più la
scusa del lavoro.
Lasciò cadere la piuma accanto al plico di fogli,
sconcertata, mentre posava la
guancia sulla superfice liscia e fredda della scrivania di mogano
lucido. Chi
avrebbe voluto prendere in giro? Si sentiva sola e, certamente, una
festa non
avrebbe che giovato al suo umore. Ma il comportamento di Harry
l’aveva
completamente spiazzata, inibendo la sua volontà di fare
qualsiasi cosa.
Si
era
ripetuta più e più volte dei futili motivi,
tentando di giustificare il suo
rifiuto di festeggiare alla Tana, dopo aver scoperto di aver offeso e
fatto
arrabbiare Ron. Ma la realtà era diversa e lei stessa era
l’unica a saperlo. Fu
così costretta ad ammettere il vero motivo poiché
la sua coscienza non faceva
che tormentarla.
Non
c’entravano
il lavoro o il suo animo poco festaiolo. Il vero problema, la fonte del
suo
malumore non era altri che Harry. Harry Potter, eroe del mondo magico,
suo
migliore amico da quando avevano 11 anni, la persona che la conosceva
meglio di
chiunque altro s’era dimenticato del suo compleanno e, da
giorni, la stava
evitando come se fosse affetta da una forma cronica di spruzzolosi.
Hermione
era una ragazza e non poteva non ammettere di essere irritata, ferita e
confusa
da quella dimenticanza e da quello strano comportamento. Non riusciva a
capacitarsi del fatto che una delle persone più importanti
della sua vita,
forse la più importante, l’avesse dimenticata, che
facesse di tutto per starle
lontano.
La
scusa che si era detta per placare quel senso di paura e dolore non
reggeva più
già da un po’. Anzi, se proprio voleva essere
sincera, quella cazzata non aveva
retto neanche un minuto. La strega più brillante della sua
età non si perdeva
affatto in certi banali “tranelli”. Andava alla
ricerca della verità, Hermione,
di qualsiasi cosa si trattasse, nonostante facesse male.
Perché, per quanto
questa potesse essere devastante, era sempre più nobile e
migliore del mentire.
Un
leggero bussare alla porta la fece sobbalzare, immersa
com’era delle sue solite
congetture mentali. Si schiarì la gola, raddrizzandosi,
curiosa di sapere chi
fosse alla porta, speranzosa di vedere Harry che la stringeva, le
augurava un
buon compleanno scusandosi e spiegandole il motivo di quel suo strano
comportamento.
-
Ehi,
Hermione, volevo farti gli auguri. Scusa se non te li ho fatti prima ma
sono
stato rinchiuso tutto il giorno in ufficio e…adesso ho visto
la luce accesa e
ho pensato di passare. - la voce chiara e matura di Dean Thomas le
arrivò alle
orecchie, smontando la sua speranza e sostituendola con una piccola
rabbia
cieca che, traditrice, stava cominciando a pervaderla.
-
Oh,
ti ringrazio Dean. - finse un sorriso stanco la riccia, alzandosi per
poi
passare una mano sulla gonna blu abbinata al tailleur che indossava.
-
Non
dovresti startene a marcire qui, sai? E’ il tuo compleanno,
no? E poi, è
sabato. - continuò tranquillo il giovane ex Grifondoro. -
persino Harry, che si
solito fa sempre tardi, è tornato a casa prima.
A
quel
nome la rabbia di Hermione non fu più così tanto
cieca. Afferrò con malagrazia
la sua borsa mentre con un colpo di bacchetta riordinava le carte sulla
sua
scrivania e le faceva lievitare nel solito cassetto a destra, sopra a
quello in cui
teneva ordinatamente le boccette d’inchiostro e le piume.
-
Mi
sa che hai ragione, Dean. - iniziò lei, uscendo dal suo
ufficio e chiudendolo a
chiave con Dean che la precedeva. - Grazie ancora per gli auguri.
Sorrise
scostandosi un riccio dal viso e s’avviò senza
attendere una risposta,
lasciando Dean con un cipiglio confuso sul viso.
-
Non
c’è di che. - soffiò lui, quando ormai
lei non poteva più udirlo. Scrollò le
spalle e dopo essersi passato una mano sul viso assonnato, con
l’espressione
più annoiata che potesse sfoggiare, ritornò
sconsolato nel suo di ufficio, ove
un lavoro da concludere lo aspettava.
Hermione
intanto aveva ben pensato di prendersela con assoluta
comodità. Era ritornata a
casa - nel suo appartamentino nella Londra babbana - si era fatta una
bella
doccia e aveva indossato degli abiti puliti. Aveva spiluccato qualche
biscotto
e poi si era data da fare per prepararsi una bella cena, data la fame
che
sentiva. La voglia di strozzare il suo migliore amico s’era
quasi attenuata.
Quasi non aveva più la voglia di correre da lui per
vomitargli addosso
tutto…beh, il ripensarci l’aveva solo fatta
infuriare di più.
Così
mentre stava sbattendo energicamente un paio di uova in una ciotola
udì
chiaramente il sonoro CLAP caratteristico della Materializzazione. E
non vi fu
bisogno nemmeno di preoccuparsi e armarsi di bacchetta. Le uniche due
persone che avevano “il permesso” di
Materializzarsi direttamente a casa sua,
oltre a lei, erano solo ed esclusivamente Harry e Ron. Per cui, nel
silenzio
che circondava l’appartamento, Hermione continuò
tranquillamente nella
preparazione della cena, dando le spalle alla porta aperta, ignorando
bellamente la persona che la stava guardando dalla soglia della cucina.
-
Ciao.
Harry
mormorò appena quel saluto con un insolito nervosismo,
stringendo in mano un pacco bianco e
quadrato, su cui vi era legato un fiocco di un rosso vivo. Hermione,
che
riconobbe all’istante quella voce, dovette fare violenza su
sé stessa per
continuare ad ignorarlo mentre mischiava le uova sbattute a delle
zucchine
tagliate minuziosamente grazie all’ausilio della magia.
-
Buon
compleanno. - continuò lui, a bassa voce, poggiando il pacco
sul tavolo della
cucina e facendo un piccolo passo all’indietro.
-
Grazie. - sussurrò la strega che, agitando lievemente la
bacchetta, ordinò agli utensili
di preparare la cena per lei. Incrociò le braccia al petto e
si voltò,
guardando dritto negli occhi l’amico e mostrando tutta la
rabbia che sentiva
dentro. La barba incolta e scura, i soliti vecchi
occhiali, dei segni violacei intorno agli occhi,
la massa di capelli un po' più lunga del solito, la magrezza
eccessiva ora sostituita da una massa muscolare possente - frutto degli
allenamenti a cui si sottoponeva per il lavoro di Auror - la cicatrice
chiara che s'ammirava da uno spacco della frangia non più
lunga
come prima, un viso più maturo e deciso e gli occhi, i suoi
familiari e verdissimi occhi, erano rimasti quelli di un tempo.
Vacillò per qualche istante, Hermione, ma si riprese
subito.
-
Hermione lo so bene perché sei arrabbiata. -
a queste parole, lei emise uno sbuffo involontario, mentre
il suo piede cominciò
a picchiettare velocemente sul pavimento, come a voler sedare quel
nervosismo,
quell’ira e quella confusione di cui era preda. -
però vorrei che mi ascoltassi
prima di schiantarmi, okay?
La
riccia sospirò, imponendosi di restare calma. Harry
l’osservò con studiata
attenzione, attendendo qualche attimo prima di cominciare a spiegare
cosa fosse
accaduto. Ma nell’istante in cui provò a parlare,
dalla sua bocca non uscì
nulla. Non ci riusciva, Harry. Non poteva confessare alla sua migliore
amica il
vero motivo di quella situazione così maledettamente
complicata.
-
Lo
so che ti ho evitato in questi ultimi tempi, ma in realtà
non so cosa mi stia
succedendo. Avevo bisogno di riflettere. - spiegò il
ragazzo, poggiando una
mano sullo schienale della sedia più vicina a lui.
“Avevo bisogno di capire se
posso starti lontano” aggiunse
mentalmente, cercando di non far
trapelare niente dagli occhi o dall’espressione
perché, lo sapeva, Hermione era
l’unica che riuscisse a capirlo con una mezza occhiata.
-
Non
puoi usare questa stupida scusa, Harry. Io lo so che è
difficile. Sono
passati quattro
anni ma è come se non
fosse passato nemmeno un giorno. Conosco i tuoi incubi e, entrambi,
sappiamo bene quante notti
insonni stiamo passando senza riuscire a ricominciare a vivere per davvero.
Ma…per tutte le
Mutande di Merlino, sai quanto sono stata in pensiero? Quanto ho sofferto perché non riuscivo a
capire
cosa diavolo avessi fatto? Ero arrivata a pensare che tu non mi volessi
più
bene, che…ti fossi dimenticato che io sono la tua migliore
amica. Quindi, non
credere di poterla passare liscia con delle cavolate del genere. -
sputò con
rabbia Hermione, avvicinandosi a lui per fronteggiarlo, gli occhi
lucidi e la
voce incrinata.
Ricominciare a vivere. Era questo uno dei
nodi più ingarbugliati della
questione. Harry non riusciva a sopportare di vedere l’amica
in quello stato.
Non voleva che la sua Hermione soffrisse ma non poteva dirle sul serio
ciò che
provava. Non poteva confessarle che solo lei riusciva a farlo sentire
come
prima, che solo con lei aveva ricominciato a vivere sul serio. Lei gli
dava la
forza, lei che era stata sempre della sua parte. E, nonostante fosse
confuso,
Harry non era uno stupido e sapeva bene che certe sensazioni,
certi desideri,
non potevano derivare da un semplice “voler bene”.
-
Scusami, Hermione, davvero. Ma non credere che non abbia sofferto
anch’io. Ma
dovevo provarci, dovevo capire se…- si bloccò,
incapace di continuare, di
rivelare ciò che, da più di un anno, lo
tormentava.
-
Se?
- lo incitò la riccia, desiderosa di sapere cosa succedesse.
Si
morse
il labbro inferiore con forza, nel tentativo di capire quel discorso
insensato.
Non sapeva cosa pensare e l’ansia le attanagliava sempre di
più il petto, lo stomaco, il cuore.
Perché le importasse così tanto non riusciva a
comprenderlo ma, certamente, lei era consapevole che che non si
trattava del fatto che fosse la sua migliore amica. Harry era sempre
stato
l’unico a capirla, a sostenerla. L’unico ad essere
riuscito a domare i suoi
incubi, l’unico a conoscerla meglio di chiunque altro,
l’unico con cui aveva
ricominciato a vivere, a sentire. E il timore che tutto quello
potesse cambiare, il timore che l’amico non la volesse
più, che si fosse
dimenticato di lei, non riusciva ad abbandonarla.
I
pensieri di entrambi stavano prendendo una piega troppo sbagliata, confusa, pericolosa.
Avrebbero dovuto smetterla ma non ci riuscivano. Era più
forte di
loro, più forte di tutto.
-
Cosa
succederebbe se ti dicessi che , con molte probabilità, sono
finito per
innamorarmi di te? - le domandò Harry, terribilmente serio,
guardandola davvero
negli occhi per la prima volta da quando era arrivato.
Lei
deglutì, la gola secca che cercava disperatamente
dell’acqua, il cervello in
tilt e un rossore eccessivo esploso sulle sue goti.
-
I-io
non lo so. - mormorò lei, nervosa, non sapendo esattamente
cosa dire. Harry
l’aveva spiazzata poiché non aveva mai pensato ad
una eventualità del genere.
Non era riuscita mai a ritagliarsi del tempo per esaminare e
comprendere meglio
i propri sentimenti. Quelli che provava per Harry, per Ron.
Fino
a qualche
giorno prima era convinta di amare Ron, da sempre. Ma quei pensieri che
faceva da quando l’amico aveva cominciato ad evitarla, i
tormenti
con i quali non si era data pace neanche per un attimo, quelle parole,
quegli occhi verdi che tanto amava così seri e determinati,
confusi
e spaventati avevano sgretolato tutte le poche certezza che, con grande
fatica,
era riuscita a racimolare dopo la guerra.
-
Se
ti dicessi davvero cosa mi è preso, rovinerei tutto. - disse
lui con una certa
amarezza nel tono e un’espressione che, lei, non gli aveva
mai visto in volto.
-
Ma
se non lo dici, non potrai mai saperlo con certezza. -
sussurrò
Hermione, mentre
dentro di lei lottavano sentimenti e sensazioni contrastanti. Da un
lato
avrebbe voluto sapere cosa Harry avesse da dirle. Avrebbe voluto essere
abbracciata da lui, starsene raggomitolata tra le sue braccia e dormire
un
sonno senza incubi. Avrebbe voluto conoscere meglio il corpo
dell'altro, esplorare il sapore di quelle labbra che non aveva mai
pensato di poter desiderare. Dall’altro, invece, avrebbe
voluto
cancellare quella discussione e
fare finta di niente.
-
Ti
ho portato questo. Non è niente, lo so, ma ho pensato che un
compleanno senza torta non
è un vero compleanno. - le disse Harry, cambiando
bruscamente discorso,
aprendole il pacco per mostrarle un muffin al cioccolato nel cui mezzo
era
posizionata un’unica candelina rossa che emanava una piccola
fiamma. - cioè non
è proprio una torta ma era l’ultima cosa rimasta.
Si
scusò grattandosi il capo con fare imbarazzato, nascondendo
tutto ciò che
provava in realtà e facendo finta che, poco prima, non
avesse rivelato niente
di tutto quello. Hermione gli sorrise incerta, ringraziandolo
sommessamente,
contenta di quel pensiero e sollevata del cambio d’argomento
poiché non sapeva
se sarebbe riuscita sul serio a reggere un discorso del genere. Forse
aveva già
intuito dove Harry volesse andare a parare. E lei, decisamente, non era
pronta.
Non ancora. Quella meravigliosa speranza faceva troppa paura vista da
quella prospettiva.
-
E
ora? Dovrei soffiare sulla candelina?
-
Ricordati di esprimere il desiderio.
La
strega
si sporse verso il dolcetto, ad occhi chiusi, pensando intensamente ad
un
desiderio che era rimasto sepolto nei meandri della sua mente, per
essere
espresso nella giusta occasione, nella speranza che potesse essere
realizzato.
Soffiò con delicatezza Hermione, spegnendo la candelina e
raddrizzandosi con lentezza.
Si voltò verso l’amico e
s’avvicinò, buttandogli le braccia al collo e
abbracciandolo com’era solita fare da sempre.
-
Grazie.
Harry
la strinse più forte che poté, temendo che da un
momento all’altro lei potesse sgretolarsi
davanti ai suoi occhi. C’era stato male. Evitarla era stata
la cosa più
difficile, forse anche più di distruggere gli Horcrux. Gli
era mancata l’aria e
aveva capito che, senza di lei al suo fianco, lui non era niente. Si
sentiva
perso, vuoto e solo. Hermione era l’unica che riuscisse a
colmare il vuoto di
tutte quelle perdite, di quella solitudine a cui lui non
s’era mai abituato.
-
Ora
è meglio che vada. - proruppe il mago, staccandosi
leggermente e guardandola
con una celata tristezza.
Hermione
annuì anche se si ritrovò a stringere con forza
la giacca scura da lui indossata,
come se non volesse lasciarlo andar via. Perché era questa
la verità. Non
voleva passare l’ennesima notte da sola, con gli incubi a
tormentarla. Voleva
solo Harry. Non era sbagliato desiderare così ardentemente
che il proprio
migliore amico restasse con lei per un po', meglio se per sempre,
nonostante si trovassero in una
situazione diventata così scomoda a causa dei loro cuori.
Nonostante qualche minuto prima stessero per affrontare una
situazione troppo grande per chiunque. Certo, non avrebbero potuto
rimandare
all’infinito ma per la prima volta Hermione mandò
al diavolo ogni cosa e
assecondò il proprio istinto, senza pensare alle conseguenze
che avrebbero
potuto avere. Per la primissima volta in tutta la sua giovane vita,
Hermione non pensò a niente.
-
Resteresti
per cena?
Ed
Harry la guardò e, senza poterlo evitare, un piccolo sorriso
si distese sulle
sue labbra, stringendola nuovamente a sé mentre lei si beava
di quell’aroma
familiare. Sapeva di pino, Harry, e lei l’adorava.
- Resterei anche per sempre.
L'Angolo di Hono:
Sera a tutti! Sono tornata di nuovo con l'ennesima Harmony. Anche
questa, come al solito, uscita assolutamente da non so dove. L'ho
ambientata al compleanno di Hermione, non chiedetemi perchè
tanto non lo so, e beh ho solo pensato che sarebbe stato carino mettere
i difficoltà quei due con dei sentimenti mai provati.
Perchè, diciamocelo, loro sono l'amore. Qualsiasi cosa
facciano.
Sempre. Aw. Okay, sclero a parte, spero davvero che anche questa
one-shot vi piaccia e spero di non aver deluso nessuno di chi conosce
già qualche mio precedente lavoro, e anche di chi,
ovviamente,
mi ritrova per la prima volta C: Con questo vi lascio, dicendo che al
più presto pubblicherò il capitolo della long
(problemi
di internet vari mi costringono a ritardare. Dannata connessione, colpa
di quell'aborto della natura che è la Umbridge. ),
affidandomi
umilmente al vostro giudizio e sperando che la mia shot vi sia
"arrivata". Alla prossima, un saluto C:
Hono