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Autore: Viviane Danglars    25/07/2008    10 recensioni
We passed upon the stairs, we spoke of was and when;
although I wasn’t there he said I was his friend,
which came as a surprise - I spoke into his eyes:
“I thought you died alone a long, long time ago…”

Il tempo è passato.
- Ti ho trovata, alla fine. -
» Gin/Ran; spoiler per la fine della Soul Society Arc.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gin Ichimaru, Rangiku Matsumoto
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Andiamo a far crescere il numerino delle fic su Bleach nella categoria Anime e manga! :D
Ovviamente, che one-shot so scrivere io? GinRan. E basta.
Questa fic la rimaneggio da un po', avevo considerato molte cose, che potesse essere un prologo o una specie di spin-off da un'altra storia più "corale" sulla quale rimuginavo... ora non ne sono più certa, e penso che questa storia esista semplicemente così. Se capiterà che nasca qualcos'altro su questa stessa linea, vedrò. u_u
Per ora, è una song-fic, AU e probabilmente "What if...?", che vi lascio prima di una settimana per assenza pro-vacanze. Per qualche motivo, ho idea che questa storia piacerà ad Helen Lance. xD
Buona lettura *_*
(Per quanto sia assurdo, considerato che amo David Bowie, di questa canzone preferisco la versione dei Nirvana. ò.ò
http://it.youtube.com/watch?v=nRou_m-vmcU )


The Man Who Sold The World


Rangiku gira la chiave nella serratura e lo sente.
Sente che non è sola nella casa; lo sente mentre estrae la chiave e i braccialetti tintinnano al suo polso, lo sente mentre i tacchi producono brevi rumori secchi sul pavimento dell’ingresso.
E’ tesa, all’erta, come non le capitava da anni ed anni.
Da tantissimi anni non le capitava più di percepire un reiatsu, anni che paiono infiniti; un reiatsu vero, non le deboli emanazioni che possiedono alcuni mortali. Non ha nemmeno più avuto contatti con Urahara, dopo che lui le ha dato il gigai. Non ha più nemmeno sentito la strana forza spirituale di un Vizard o un Arrancar, da quando se ne è andata.
Per meglio dire, scappata.
Ma, ora, c’è qualcuno qui.
Posa le chiavi su un tavolino vicino alla porta, e la richiude cautamente. Poi si volta verso l’interno buio del suo appartamentino in una città sperduta del sud del Giappone, dove sperava proprio che nessuno la trovasse.
E invece pare che abbia fallito.
Chiunque sia, cerca di nascondere il proprio reiatsu, e ne lascia fluire sono un esile filamento, per avvertirla senza farsi riconoscere. Rangiku stringe i pugni. Se sarà un avversario troppo forte – e potrebbe esserlo – lei non potrà contare su nient’altro che le proprie forze. Non potrà chiedere il permesso di liberare al pieno la propria energia spirituale.
Non ha Haineko con sé.
Ha già provato questa paura altre volte, all’inizio della sua latitanza, ma sono ormai molti anni che non ci crede più. Cose di questo tipo non sono più successe da un sacco di tempo.
Niente visite strane, niente emergenze, niente visi conosciuti. Anche se le capita di percepire un Hollow, se ne tiene alla larga. Ha quasi dimenticato chi realmente è.
Ha dimenticato anche desideri e speranze. Ha dimenticato la forza con la quale li teneva in vita.
Non possiede più nulla di tutto questo e lo provano i suoi vestiti succinti, il trucco, il bell’appartamento. Non è la stessa Rangiku che moriva di fame a Rukongai.
Il tempo è passato.
- Ti ho trovata, alla fine. -
Doveva aspettarselo, di sicuro, e invece la sorpresa è perfetta e il terrore immediato. Sta rabbrividendo a vista d’occhio, ne è certa.
La voce viene dalla sua sinistra, dall’angolo buio del divano addossato al muro.
Non ha mai avuto altrettanta paura le mille volte in cui ha creduto di morire.
- Ran-chan. -

We passed upon the stairs,
we spoke of was and when;
although I wasn’t there
he said I was his friend,
which came as a surprise -
I spoke into his eyes:
“I thought you died alone
a long, long time ago…”

Rangiku si volta e lui è solo una sagoma in penombra. E’ vestito come un mortale e la cosa, stupidamente, la sorprende. Nella mente, prima di voltarsi, aveva già la sua immagine, perché non l’ha mai dimenticata: si aspettava di rivederselo davanti identico, con lo stesso kimono nero, e non un capello cambiato.
Invece vede soltanto la sua mano appoggiata al bracciolo, bianca, ossuta e immobile come se fosse morta. Le gambe sono leggermente aperte, le scarpe un po’ rovinate. Del viso non vede nulla.
E’ un fantasma e come tale lei lo fissa, congelata, per lunghi momenti.
- Sei un Hollow? – mormora dopo un istante, e le sembra che sì, dev’essere così, è perfetto.
- Oh, no. – Lui non trattiene una cortese e bassa risata. Lei vede che il suo corpo si muove molto poco, persino nel riso. – Ti faccio così tanta paura? -
- Non ho paura – mente lei, ma è pericolosamente vicina a perdere persino la forza per mentire. – Credevo che fossi morto – aggiunge, cercando di apparire ferma.
- Io? Io no. Non sono morto – la informa lui, quasi gentilmente. – E tu, Ran? -
- Sono qui, no? – sbotta lei.
- Non hai risposto alla mia domanda. -
Lei inizia a tremare.

“Oh no, not me,
we never lost control -
you’re face to face
with the man who sold the world.”

- Ti cercavo da tanto, Ran. -
Ha iniziato a parlare un po’ senza preavviso. La mano si chiude sul bracciolo come un ragno bianco.
Rangiku è ancora in piedi, appoggiata al muro. Sa di essere impallidita. Non vuole neppure pensare a cosa possano stare dicendo i suoi occhi in questo momento.
Ogni singola cosa, lo sa, lui la legge alla perfezione.
- Pensavi davvero che fossi morto? -
- Lo speravo. -
- Ah! – ride. – Non è molto gentile da parte tua, no. E come sarei dovuto morire? Ucciso da uno shinigami? – Il suo tono si indurisce. – Ci vuole altro. -
- Sei soltanto un fuggitivo, - replica lei con durezza, - e sei da solo. -
- Pare che siamo nella stessa situazione, eh? -
Lo odia. Come fa a saperlo? Come ha potuto, lei, essere così sciocca?
- E’ stato un vero piacere, sai, Ran. Sentire la storia, così, per caso… mi ha un po’ commosso, sai? -
- Chi te l’ha detto? – ribatte lei, paura e rabbia che la scuotono assieme.
Allora lui si stringe nelle spalle: - Urahara. -
- Urahara? –
Rangiku è incredula. Lui le sorride. – Sì, Urahara. Perchè no? Dopo quello che gli hanno fatto, è più che felice di aiutare chiunque lasci la Soul Society. L’ha fatto anche con te. -
- Ma tu… -
L’altro si stringe nelle spalle. – Gli interessava Aizen. Non io. -
Rangiku lo fissa, ancora, immobile.
- L’hai venduto tu? – mormora dopo un istante.
Lui non risponde, ma lei sa che sta sorridendo.

I laughed and shook his hand.
I made my way back home.
I searched for form and land;
years and years I roamed.
I gazed a gazely stare,
we walked a million hills...
… I must have died alone,
a long, long time ago.

- Vattene – si ritrova ad implorare.
Lo implora perché questo è quello che è ora, solo questo e non c’è nient’altro.
Una volta, forse, con Haineko tra le mani, lo avrebbe combattuto, lo avrebbe respinto.
Perché era la cosa giusta da fare e lei voleva farla, e lui era sbagliato e voleva sconfiggerla. E lei non glielo avrebbe permesso.
Ma ora non ha più se stessa, non ha più la forza. Non ha più la sua zanpakutou. Non ha più un pezzo della sua anima e può solo stringersi in se stessa, incassare la testa nelle spalle, serrare gli occhi, e sperare che lui scompaia come un brutto sogno.
La cosa peggiore è che è stata lei - lei si è ridotta in questo modo.
E’ già stata sconfitta.
Ed ora è totalmente indifesa e lui, lui… può farle quello che vuole.
… Che sciocchezza. Ha sempre potuto fare ciò che più voleva.
- Ma come, Ran… - Sta scherzando, sta recitando. Sta facendo quello che ha sempre fatto, con lei, con tutti. Eppure ora Rangiku sa che non c’è solo beffa nelle sue parole: c’è un’amarezza, che non gli ha mai sentito prima.
Anche lui è cambiato, allora. Di certo non in meglio.
- Pensavo che il tuo grande sogno fosse di vedermi rimanere… -

“Who knows, not me,
I never lost control;
you’re face to face
with the man who sold the world.”

- L’ho fatto per te… perché senza di te non sarei potuta restare – sussurra lei con le mani strette alle sue spalle e il viso disperatamente premuto contro il suo collo. Più che sussurrare le sembra di annaspare. Non c’è aria, non c’è respiro, non c’è luce.
C’è soltanto lui. Solo il suo corpo che si muove contro di lei e dentro di lei, con ansia, con rabbia, come se potesse lasciarle addosso dei tagli, per darle dolore anziché piacere, e vendicarsi. Ci sono solo i suoi occhi di fronte a lei, come gli occhi di uno spettro, spaventosi e confusi nella sua visuale mentre ondeggiano insieme. Come una visione.
L’amplesso è disperato, lei è disperata; lui lo è. I suoi non sono gemiti o ansimi; sono ringhi. E Rangiku ancora non sa fino a che punto sia cambiato perché ci sono cose nuove su di lui: nuove cicatrici, un corpo più duro, più secco.
Ma non ha importanza. Non ha alcuna importanza. Rangiku si aggrappa a lui con le braccia e con le gambe, gli stringe la pelle della schiena con le dita e con le unghie, e farebbe qualsiasi cosa perché non se ne vada mai più.
- … soltanto per te – ansima, voltando il viso contro quello di lui. Non importa se lui non risponde. Sussurra frettolosa con il respiro che le sfugge, le labbra contro il suo orecchio, i propri capelli e quelli di lui tra le ciglia.
- Ti amo. Ti amo… -
Lui solleva una mano dai suoi fianchi per posargliela alla base della nuca. Le fa male.
La stringe con troppa forza.
- Non andartene… - lo prega, in un singulto. – Rimani qui… solo per stavolta… -
Una volta sola. Non è chiedere troppo.
Non è chiedere troppo, pensa, o forse non sapendo trattenersi lo sussurra, anche quello, ad occhi chiusi; mentre respira il suo profumo e riconosce quello che di vecchio c’è nel nuovo.
- Gin… -
Soffia il suo nome quando lui le spinge con più forza il bacino contro il divano, in una spinta conclusiva e nervosa, e per pochi attimi lei si sente come se avesse di nuovo Haineko dentro di sé, e vorrebbe avvolgerlo e graffiarlo, e mai più lasciarlo andare via.
Soltanto per pochi attimi.
Lo sente riprendere fiato lentamente, sente i suoi ampi respiri e il tremore alle spalle, ma è incapace di lasciarlo andare.
- Io me ne andrò, Ran. -
Lei si blocca.
Ma è solo un istante.
Poi rilassa gli arti e la presa invasiva diventa un laccio affezionato, mentre lo stringe chinando il capo sulla sua spalla, vestendolo con i suoi capelli, come un cucciolo ubbidiente.
Non ha più nemmeno dignità.
Sa solo che saranno gli ultimi momenti.
- Sono venuto a prenderti. -
Per un istante è sicura di non aver capito bene. E poi lo sente.
Il suo reiatsu è di nuovo qui. E’ di nuovo il reiatsu di Gin che lei riconoscerebbe ovunque, ed è forte come vento, come una tempesta del deserto che porta con sé ricordi e profumi e suoni, come se tutto fosse di nuovo qui per loro, in questa medesima stanza – ogni cosa: le lucciole fuori dalla loro capanna e i tasselli colorati nella porta del dojo e il profumo delle strade di Rukongai, i fiori nel suo ufficio di luogotenente e i fuochi d’artificio invernali, la corte della Seireitei e l’urlo della battaglia.
E capisce il disprezzo per le stanze banali della sua casa posticcia e per il trillare falsamente allegro dei suoi orecchini di bigiotteria. Capisce la bellezza della notte fuori, dove volano le anime, come hanno sempre fatto. Sente forze e voci e pensieri muoversi nell’aria e il potere è tutto intorno a loro come è sempre stato.
Il potere di andare avanti. Il potere di tornare indietro.
Gin sposta la testa contro la sua e le sfiora il mento, lei può vedergli la bocca aperta in un respiro un po’ affaticato, un po’ teso.
- Verrai, Ran? -
Lei abbassa le palpebre e le riapre. Sono così pesanti.
Le sembra di non dormire davvero da anni – è stato tutto un lungo, ininterrotto incubo. Fino ad ora.
- Ti amo, Gin… -
E’ appena un sussurro.
- Lo so, Ran. –
E’ la più bella dichiarazione che abbia mai sentito.

… I must have died alone,
a long, long time ago.

   
 
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