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Autore: 48crash    09/05/2014    1 recensioni
Ho cominciato a pubblicare su questo sito circa due anni fa, ma scrivo storie e poesie da quando riesco a ricordare. La mia prima long-fic l'ho scritta quando avevo 14-15 anni, e trata un mondo e una passione di cui qui non ho mai parlato: il pattinaggio sul ghiaccio. Il protagonista, insieme con altri del suo entourage, è Jeffrey Buttle, o meglio, una reporter italiana (mia creatura) installata a Toronto che lo conosce per caso, e inizia a frequentarlo. Era iniziata come una breve fanfic di tre capitoli, poi una mia carissima amica, innamorata del pattinatore in questione, mi ha spinto a continuarla. Molte cose accadute poi mi hanno portato ad interromperne la stesura. Ma rileggendola oggi sento che dovrei pubblicarla, per far sì che non sia stata fatica sprecata. Non sono più la stessa persona di allora, e per questo non l'ho modificata prima di postarla, salvo pochi errori di battitura. Per lo stesso motivo probabilmente non avrà mai una conclusione, seppur l'avessi allora come ora ben impressa in testa.
Per ora è nella sezione originali pur non appartenendovi, sarò ben lieta di spostarla una volta trovata una sezione appropriata.
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 3

 

Erano le nove del mattino. Il sole di febbraio era ormai alto nel cielo ed emanava una chiara luce dorata. Il vento freddo aveva spazzato via tutte le nuvole, e la giornata si prospettava meravigliosa nonostante il freddo e i cumuli di neve sparsi ai bordi delle strade.
Nel centro esatto di Toronto il monolocale di Beatrice era ancora vuoto, come lo aveva lasciato la sera precedente. La luce vi filtrava attraverso la grande finestra che occupava quasi tutto il lato est dell’appartamento facendo apparire tutto più luminoso.
Non era altrettanto vuota la camera di un albergo pressoché sconosciuto poco fuori città, sperduto nel dedalo delle vie di periferia, chiamato “Happiness Hotel”. Anche qui le tende erano scostate e lasciavano che il sole penetrasse attraverso i vetri colpendo e accompagnando il profilo di due ragazzi addormentati in un grande letto. Avvolgeva dolcemente il corpo della ragazza, distesa a pancia in giù, i suoi capelli scuri e le spalle nude e dolci, la testa affondata nel cuscino. Abbracciava il ragazzo, che dormiva girato su un fianco accanto a lei, la sua espressione serena e rilassata e i suoi capelli chiari scompigliati.
Ad un certo punto la ragazza aprì gli occhi svogliatamente. Sbatté un paio di volte le palpebre. “Che bello che è questo posto” pensò tra sé e sé. “Adoro Toronto…Meno male che Raffy mi ha prestato casa sua. Mi dispiacerà andarmene.” Con gli occhi chiusi si stiracchiò allargando la braccia.
Ad un certo punto toccò qualcosa di caldo e morbido. Spalancò gli occhi ma non si voltò. Di fronte a lei un muro pulito color verde mela. Seguì il profilo di ciò che aveva toccato con le dita: una spalla, un braccio… Ritrasse istintivamente la mano e si tirò su seduta.
“Oh signore, dove diavolo sono?” si chiese guardandosi intorno. Era in una camera d’albergo, piuttosto che nel monolocale di sua cugina. Tutto era in ordine: un borsone su un mobiletto col televisore, la sua borsetta appoggiata su una sedia accanto ad un armadio, il pavimento fin troppo pulito, il muro verde e impeccabile. Unica nota stonata i vestiti sparsi in giro: i suoi jeans spiegazzati accanto al letto, un altro paio di jeans più chiari da uomo sbattuti sulla televisione, la sua maglietta per terra di fronte all’armadio con la sua giacca un po’ più in là, una felpa nera con una scritta in rosso che pendeva dall’angolo del letto opposto al suo, una maglia bianca che aveva fatto la stessa fine, scarpe e calze buttate un po’ dovunque, il suo reggiseno sul comodino, due paia di mutande raggomitolate al centro del letto. L’unica cosa che Beatrice non studiò a fondo era lui, si rifiutò di farlo.
All’improvviso si ricordò tutto. Il locale, William, i cocktail, l’hotel, la nottata. Tutto tranne lui. Si ricordò anche fin troppo bene di aver bevuto troppo non appena fu presa da un improvviso conato di vomito e fu costretta a correre in bagno.
Sollevò il coperchio del water e si liberò di tutto l’alcool che aveva in corpo. Poi tirò l’acqua, si avvolse in un accappatoio e si sciacquò la bocca nel lavandino. Si sedette per terra con la schiena contro al muro. Ad ogni battito del suo cuore una domanda, sempre la stessa. “Cosa ho fatto?”
In precedenza le era capitato di andare a letto con uno sconosciuto dopo essersi ubriacata soltanto un paio di volte, e, non essendoci abituata, ognuna di quelle volte si era sentita malissimo per un bel po’. Alla fine, fortunatamente, si era sempre risolto tutto bene.
“E se fossi rimasta incinta?” Uno dei suoi timori era quello, un figlio. E se il padre non avesse voluto prendersene cura? Poi veniva la storia delle malattie, che la preoccupava parecchio anche quella.
Si abbandonò con la testa contro le piastrelle fredde del muro. Qualcosa doveva pur fare.
Prese la sua decisione: si sollevò da terra, respirò a fondo un paio di volte e si diresse verso la porta del bagno.
Afferrò la maniglia della porta e la strinse forte. “Speriamo solo che sia un tipo ragionevole” pensò.
Un altro respiro ed era pronta a tuffarsi.
Si diresse a grandi passi, con i lembi dell’accappatoio che svolazzavano, verso il letto.
Un altro respiro. Dentro, fuori. Dentro, fuori.
Si accovacciò accanto alla sagoma raggomitolata sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto e pregando Dio che quello con cui aveva passato la notte non fosse uno di quegli stupidi che vanno a letto con le donne soltanto per vantarsene. Non era sicura di voler scoprire chi fosse.
Un altro respiro. Dentro, fuori. Dentro, fuori.
“Coraggio, Bea. Il danno è fatto oramai. Datti una calmata”.
Il cuore di Beatrice ormai stava battendo tanto forte da esploderle fuori dal petto.
Alla fine si decise a controllare chi fosse il ragazzo che c’era nel letto. Diede una sbirciatina sotto le coperte: era raggomitolato su un fianco, le gambe erano muscolose, probabilmente quelle di uno sportivo, gli addominali e i pettorali scolpiti, le braccia ben messe anche quelle. Il corpo era perfetto. Poi Beatrice salì con lo sguardo. Il ragazzo aveva il viso ovale e i capelli castani con ciocche bionde un po’ scompigliati, la pelle abbastanza chiara e liscia. Beatrice si soffermò sulla bocca, abbastanza larga, con labbra non troppo carnose, leggermente dischiuse a scoprire una fila di denti bianchissimi (quasi abbaglianti) e perfetti, che come numero sembravano anche più del normale. Il naso era ben proporzionato e un po’ a punta e le sopracciglia folte e castane. Gli occhi, non grandissimi, erano chiusi ma lei sapeva che quando li avrebbe aperti sarebbero stati blu e che quel ragazzo aveva degli occhiali da qualche parte.
E sapeva il suo nome e tutto quanto e le stava tornando tutto in mente su di lui.
Beatrice stava quasi per dare di matto.
Si alzò e girò intorno al letto. Sollevò di nuovo le coperte e guardò il tatuaggio che aveva sulla schiena per assicurarsi che fosse lui. Allungò una mano e gli sfiorò i capelli. Poi corse verso la sua borsa e ne rovesciò parte del contenuto per terra, ci frugò un po’ e infine riuscì a ritrovare il suo cellulare. Seduta per terra, compose il numero alla velocità della luce. E non le importava che ora fosse dall’altra parte del mondo.
<< Pronto? >>esclamò troppo su di giri per darsi un contegno.
<< Pronto?... >>fece stanca la voce dall’altro capo del telefono.
<< Camy?! Oddio, ho una cosa da dirti! >>
<< Sì, ma stai calma… >>protestò Camilla, che probabilmente era rientrata da poche ore da una notte brava e non aveva ancora recuperato tutte le ore di sonno dovute.
<< Non posso stare calma. Sono appena andata a letto con un ragazzo. Quel ragazzo si chiama Jeffrey Buttle >>.



Oddio.
Eccomi qua, la pazza è tornata! Nessuno conti su un'eventuale ispirazione, perché qui mi sono limitata a sistemare la roba vecchia, dato che l'altra sera mi è capitato di rileggere questa storia sul mio hard disk esterno e mi sono ricordata di aver preso l'impegno di pubblicarla con "una certa regolarità" eoni fa. Sono fatta così (male).
Sono molto contenta alla fine del personaggio di Beatrice: anche andando avanti a leggere, è così diversa dai personaggi che creo adesso, mi dà una speranza, mi fa quasi credere di non saper creare solo figure di un certo tipo.
Quindi, se siete arrivati fino in fondo senza sentirvi male, grazie di cuore!

A presto,
Lucy

 

 

  
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