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Autore: MeiyoMakoto    09/05/2014    0 recensioni
Ispirato molto liberamente alla concezione platonica dello Stato ideale, che immagino possa considerarsi un classico greco.
Ben lontano dall'essere utopico, secondo me, ma potrebbero nascerci delle storie interessanti.
Purtroppo la professoressa ha commesso alcune imprecisioni, cosa che ho scoperto solo quando ormai era troppo tardi: la storia era scritta, almeno nella mia testa.
Quindi, per chi non conosce Platone, siete i benvenuti a leggere, questo mondo appartiene più a me con la mia scarsa conoscenza del materiale originale che a lui. Se invece lo conoscete, mi scuso per le numerose imprecisioni.
1- Argento
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Argento (Parte I)

Era un onore venire scelte, quell'anno più che mai.
Mio padre aveva gli occhi lucidi quando ci comunicarono che ero tra le ragazze che sarebbero entrate a far parte della Caserma: era la prova indiscutibile che ero sana e forte, anzi, tra le fanciulle più sane e forti della città. Significava che la nostra famiglia era riuscita a superare la carestia, e questo era il suo orgoglio e la sua gioia.
Mia madre era più dubbiosa.
'Ci saranno un centinaio di uomini in quella caserma.', la sentii bisbigliare a mio padre quando gli inviati del governo furono usciti. 'Non è una sistemazione adatta a una brava ragazza.'
'Non è promiscuità se si tratta di rendere un servizio allo Stato.', le ricordò papà, leggermente innervosito.
'E che servizio.', ribatté lei. 'Una vita intera dedicata a sfornare figli.'
'Polissena avrà i bambini più belli e forti che questa città abbia mai visto.’, fece lui raggiante.
‘Peccato che non li guarderà mai in faccia; quei bambini apparterranno allo Stato, non a lei. Per non parlare del fatto che non saprà mai chi è il padre.’
Quanto a me, preferivo non fare congetture né fantasticare sulla mia nuova vita; sapevo che in ogni caso sarebbe stata ben diversa dalle mie aspettative. L’unica cosa di cui potevo stare certa era che senza di me e mio fratello Tiresia, che sarebbe partito a breve per la Scuola, c’erano due bocche in meno da sfamare. Certo c’erano anche quattro braccia in meno, ma Tiresia aveva solo nove anni, e io... Io ero più utile in Caserma che in casa, decisi.
Mio malgrado, però, aspettavo con ansia la Festa delle Fanciulle. Per due settimane all'anno le donne della Caserma, anche quelle che non erano più così fanciulle, tornavano a casa per visitare i loro cari. Le giovani tornavano in famiglia, di solito portando con sé come "ospite gradita" un'altra più anziana, che dopo una vita passata in Caserma non aveva più nessuno da andare a trovare. La loro famiglia adesso erano lo sciame di ragazze e i bambini della nursery, affidati loro perché li accudissero quando diveniva chiaro che di bambini propri non potevano più averne. Erano un po' le mamme di tutti.
Appena scese dalle carrozze le ragazze corsero ad abbracciare famiglia e amici, mentre le più anziane le seguivano con calma.
'Chi sono le vostre ospiti?', chiesi alle mie amiche Melania e Rossane quando ci fummo riabbracciate.
Rossane fece un cenno insofferente verso una vecchia dall'aria sveglia che stava parlando con i suoi genitori.
'Non l'ho neanche scelta io.', si lamentò. 'Vedi quant'è vecchia? Avrà almeno ottant'anni. E' una vera arpia, te lo dico io. Me l'hanno assegnata per tenermi d'occhio, perché non mi metta a fare la scema con i ragazzi di qui. Ho avuto il mio secondo bambino poche settimane fa e non vogliono che rimanga incinta di qualcuno che non sia un soldato.'
'Non puoi dargli torto.', le fece notare Melania, la cui virtù era protetta dalla pancia lievemente arrotondata.
Rossane scrollò le spalle. Prima di entrare in Caserma era stata promessa a un vecchio amico di suo padre -vecchio in tutti i sensi. Venire scelta era stata una vera benedizione per lei, giunta appena in tempo per salvarla dal matrimonio.
'Guardate la vecchia strega come va d'accordo con mio padre.', continuò Rossane. 'Non sia mai che mi permetta di divertirmi, lui.'
'Divertirsi va bene, il problema è che poi non lavori.', fece ancora Melania. 'Per questo ti voleva dare a quel vecchio schifoso, così avresti imparato una buona volta a renderti utile. Non ti va di fare niente.'
'Risparmia le prediche per il tuo bambino.', ringhiò Rossane.
Melania annuì distogliendo lo sguardo.
Quello sarebbe stato il suo primo figlio. Era più giovane di me e Rossane di un paio d'anni, entrata in Caserma l'anno precedente.
'Come va?', le chiesi mentre ci allontanavamo dalla folla tutte e tre a braccetto in cerca di un posto dove parlare tranquillamente. 'Ti hanno dato un impiego fisso?'
Lei annuì.
'Curo il giardino. O meglio, l'orto, ma sono riuscita a piantarci anche qualche fiore.'
'Se ti scoprono ti fanno nera.', fece Rossane. 'Non vogliono che si sprechi spazio.'
Per tutta risposta l'altra infilò la mano nella bisaccia e tirò fuori un mazzolino per ciascuna di noi.
'Sono belli, vero?', disse orgogliosa. 'Sono cresciuti bene.'
Io e Rossane ci scambiammo un'occhiata: eravamo amiche di Melania da una vita, non aveva più segreti per noi. Sapevamo che le si spezzava il cuore all'idea di abbandonare il suo bambino. Avrebbe voluto vederlo crescere bello e forte come quei fiori, accudirlo con la stessa cura. Non l'avevamo mai sentita lamentarsi, ma avevamo imparato a capire quando era turbata. Ci sorrise mestamente.
'E quindi quest'anno ci raggiungerai anche tu, Polissena!', cambiò discorso.
'Non avevo dubbi.', affermò Rossane. 'Una bella ragazza come te non poteva non venire scelta. Guarda che bel visino che ti ritrovi, guarda che occhi! Davvero, Polissena, non ho mai visto occhi come i tuoi. Cosa sono, verdi o grigi? I soldati cadranno tutti ai tuoi piedi, vedrai.'
'Come sono loro?', domandai.
Avevo sentito mille storie sui bei soldati dal cuore d'argento*, ma avevo bisogno di sentirmelo raccontare ancora una volta dalle mie migliori amiche.
'Non li vediamo quasi mai.', rispose Melania. 'La sera, poco prima di cena, vengono a trovarci al gineceo. Entrano uno alla volta per evitare risse, scelgono una di noi e se la portano via. Non entrano mai nello stesso ordine della sera prima; è quasi impossibile giacere con lo stesso uomo due volte di seguito.'
'I più giovani sono un disastro, specialmente appena arrivati.', aggiunse sprezzante Rossane. 'Sbarbatelli di tredici anni che arrossiscono come vergini, neanche ci guardano negli occhi quando ci prendono per mano. Ma prima o poi tutti diventano dei soldati veri e propri, asciutti e scolpiti. Ti divertirai, Polissena.'
Sorrisi imbarazzata, sperando che avesse ragione.

*

Erano state selezionate solo cinque ragazze. Forse la carestia aveva reso difficile trovare molte giovani forti, o forse lo Stato non aveva i mezzi per mantenere troppa gente nella Caserma.
Conoscevo tre di loro solo di sfuggita. Erano ragazze di campagna, dai corpi forti e i visi cotti dal sole. Noi cittadine eravamo più bianche ed esili, perché il nostro lavoro si svolgeva all'interno di una bottega e di solito non richiedeva tanta fatica quanto il lavoro dei campi. Io aiutavo mio padre a impastare l'argilla per i suoi vasi dopo la scuola, e Nefele, l'altra ragazza di città, gestiva un ristorante con i suoi genitori. Il cibo non le era mai mancato. Frequentava la mia stessa scuola, ma non si era mai impegnata più di tanto: il ristorante era un'azienda di famiglia, non aveva bisogno di trovare una materia in cui specializzarsi quando il suo futuro era nella cucina. Nel dire addio alla sua famiglia era scoppiata in lacrime e anche i suoi genitori avevano singhiozzato come dei bambini sotto gli occhi di tutti. Aveva ancora gli occhi lucidi e se ne stava in silenzio, persa nei suoi pensieri. Vedendo che non c'era speranza di comunicare con lei mi feci coraggio e mi rivolsi alle campagnole.
'Secondo voi quanto manca?'
'Poco.', rispose Ino, la più grande. 'Siamo diretti alla Caserma del Lago Ebuleo, quella più vicina alla città.’
Doveva avere circa diciannove anni. Era di una bellezza feroce: folti capelli scuri le ricadevano fino in vita, era alta e robusta come il tronco di una betulla. Le altre la trattavano con una certa deferenza, sembravano quasi imbarazzate dalla sua presenza. Sembrava che la virtù del Coraggio -cioè resistenza, prontezza d’animo e spirito di sacrificio- fosse ben radicata nella sua anima come in quella di un soldato. Mi domandai come mai non fosse stata scelta prima.
‘Dicono che sia la Caserma più bella.’, aggiunse Calliope, una giovane virago dai capelli color miele e il corpo muscoloso. ‘All’alba si vedono i cigni che si alzano in volo sul lago.’
Sorrisi.
'Non ho mai visto un cigno.'
Mi guardò come se avessi detto di non aver mai visto il sole.
‘Non sei mai stata fuori città.’, dedusse.
‘Non spesso.’, ammisi, un po’ seccata dal suo tono di sufficienza.
Non sarò stata una contadina, ma non ero certo una svenevole cresciuta tra agi e lussi: sapevo lavorare bene come chiunque altro. Non mi spaventava la prospettiva del duro lavoro, quanto quella di vivere rinchiusa con un centinaio di altre donne. Per non parlare degli uomini...
‘Siamo arrivati.’, osservò Anita, l’ultima ragazza.
Le sfuggì un sorrisetto mentre si affacciava.
Ci prememmo tutte a guardare fuori, e persino Nefele inclinò un po’ la testa per sbirciare.
Avevamo già oltrepassato il cancello, ormai eravamo nel bel mezzo di un grande campo di ocra rossa dove i ragazzi si esercitavano. Ci rivolsero occhiate curiose mentre passavamo, alcuni persino un sorriso ammiccante. Un temerario arrivò a fischiare, cosa che gli valse duecento addominali per punizione. Ino tornò a sedersi composta.
‘Meglio non disturbarli.’, disse serena.

*
Vidi Melania e Rossane soltanto la sera quando ci accompagnarono all’immenso dormitorio dove alloggiavamo tutte. Rossane mi corse incontro con un gridolino eccitato; Melania, appesantita dalla pancia ormai gonfia, ci raggiunse con calma.
‘Ci hanno messo subito a lavorare.’, raccontai mentre sistemavo le mie cose accanto al mio letto. ‘Hanno detto che per qualche mese ci faranno provare tutte le mansioni, poi quando ne troveremo una che ci piace particolarmente potremo chiedere di essere assegnate permanentemente lì. Nefele però è stata subito messa in cucina. L’ha chiesto lei, ha spiegato del ristorante e tutto quanto.’
‘Sì, conosciamo la routine.’, mi freddò Rossane. ‘Io ho scelto di tessere, mi sono messa d’accordo con alcune mie amiche e non è così male quando si sta tutte insieme a chiacchierare. Avete visto i soldati?’
‘Solo di sfuggita, arrivando. Non avevano il permesso di parlarci.’
‘Certo che no, non possiamo interferire con la loro vita militare. Siamo qui per cucinare, lavare, pulire e scopare, niente di più. Fa un po’ rabbia, ma sono loro a rimetterci, alla fin fine: la nostra vita è molto meno rigida della loro, anche se ci trattano come serve.’


*
La prima sera le novizie venivano esentate dal rituale notturno: dovevamo riposarci dal viaggio, adattarci un po'. Era già abbastanza dura passare la nostra prima notte lontane da casa senza aggiungerci la perdita della nostra innocenza, che si presumeva avessimo conservato fino a quel momento -sarebbe stato spiacevole dover accudire un bambino dall'anima di bronzo anziché d'argento.
Ma la seconda notte non c'era scampo: venimmo allineate davanti al gregge di donne in modo da essere le prime a venire scelte. Era tradizione in caserma; per fortuna, Melania mi aveva spiegato che era tradizione anche che i ragazzi più giovani venissero chiamati a scegliere per primi quella notte. Così probabilmente avremmo perduto la verginità insieme, e non c'era il rischio che fossero rudi come potevano talvolta essere gli uomini più vecchi.
Sentivo le donne che bisbigliavano eccitate alle mie spalle e provai una fitta di antipatia per tutte loro, anche per Rossane e Melania: ci erano passate tutte, dalla prima all'ultima, e adesso godevano che fosse il nostro turno e non il loro. Erano state tutte lì a fissare la porta chiusa, cercando di stare composte senza tormentarsi l'orlo della veste o arricciarsi i capelli, chiedendosi chi sarebbe stato il primo a portarle via...
Guardai le mie compagne. Ino era accanto a me, bella come una creatura dei boschi, lo sguardo imperscrutabile. Sarebbe stata sicuramente la prima a venire scelta. Mi vergognai al pensiero: che importava? Non eravamo lì a fare un concorso di bellezza o a trovare un ragazzo a cui piacere, eravamo lì per venire montate come delle giumente, e presto o tardi sarebbe successo a tutte quella notte. Ma guardando il viso rosso e sudaticcio di Nefele mi sentii comunque più tranquilla al pensiero che probabilmente non sarei stata scelta per ultima.
Il brusio cessò l'istante esatto in cui si aprì la porta. Gli sguardi di tutte si inchiodarono a un ragazzo che poteva avere circa la mia età, biondo, per niente brutto, anche se un po' troppo tozzo per i miei gusti. Esitò per qualche istante, intimidito dall'attenzione generale. Il suo sguardo saettò su tutte e cinque, soffermandosi rapidamente su Calliope, poi più a lungo su Ino, e finalmente incrociando il mio. Aspettai che lo distogliesse, ma dopo alcuni istanti divenne chiaro che non ne aveva intenzione. Rimanemmo così, a fissarci, prendendo le misure l'uno dell'altra; poi lui mi tese lentamente la mano. La presi e lo seguii disorientata, gettando un'occhiata di sfuggita alle altre. Ino mi strizzò l'occhio, e dietro di lei vidi Rossane bisbigliare qualcosa a Melania, che sorrideva soddisfatta. Effettivamente poteva andarmi peggio, riflettei.
Quando la porta si richiuse alle nostre spalle mi trovai davanti una fila chilometrica e rumorosa, aperta da una quindicina di ragazzi che cercavano di dissimulare il nervosismo come meglio potevano. Venimmo accolti da una serie di fischi, urla e perfino qualche applauso.
'E bravo Filo!', esclamò un soldato dalla barba brizzolata. 'Te la sei scelta bene la tua prima, eh? La mia era una cozza spaventosa, mi hanno fatto entrare per ultimo...'
'Basta un po'!', ringhiò un vecchio graduato appoggiato allo stipite della porta, segnando qualcosa su una tavoletta d'argilla e facendo cenno al prossimo perché entrasse nel gineceo.
Io e il ragazzo continuammo a camminare in silenzio, mano nella mano, finché non ci fummo lasciati il vocio alle spalle. Notai che aveva la mano sudata. Lo guardai con la coda dell'occhio: aveva le sopracciglia corrugate e il cipiglio deciso, come se stesse per andare in battaglia. Non sapevo se fosse un buon segno o no.
'Dove stiamo andando?', borbottai incerta.
'Non lontano.', grugnì lui. 'C'è un posto fatto apposta, oltre il cortile.'
Oltrepassammo due guardie che gettarono un'occhiata severa al mio accompagnatore, il quale ricambiò con un breve cenno.
'Occhio a come ti comporti, ragazzino.', ringhiò uno dei due. 'Non costringerci a intervenire.'
'Nossignore.', fece lui incolore.
Dunque avevamo almeno un paio di soldati a proteggerci per ogni evenienza, riflettei. Tutto sommato sembrava che la sicurezza delle ragazze non fosse presa sottogamba.
'Hai un'ora precisa.', aggiunse la guardia. 'Non un minuto di più.'
'Sissignore.', fu la risposta.
Entrammo in un cortile tappezzato di edifici lunghi e bassi, ciascuno dei quali custodito da altre due guardie. Il ragazzo mi condusse verso il primo degli edifici e spinse la porta, rivelando un lungo corridoio contornato da decine di stanze tutte uguali, le porte spalancate come a segnalare che erano libere. Lui scelse la prima a sinistra e mi fece cenno di entrare, lasciandomi bruscamente la mano. Obbedii. Mi guardai intorno: era una stanza piccola, come mobile solo un letto che la occupava quasi tutta. Il legno sembrava robusto, le lenzuola perfettamente pulite -il rischio di malattie era sempre incombente, guai ad aumentarlo lavando la biancheria senza criterio. Nessuno voleva un bambino malsano, dunque tutto si doveva svolgere all'insegna dell'igiene. C'era una finestrella col davanzale scavato nel muro che faceva anche da scaffale: sopra di esso, una candela accesa, e accanto una scatola con altre candele e un acciarino. Era questa l'unica fonte di luce; riuscivo a malapena a vedere il viso del ragazzo nella penombra. Tutto era funzionale alla nostra necessità, nulla di più e nulla di meno. In caserma tutto si svolgeva con la massima efficienza.
Lui chiuse cautamente la porta alle proprie spalle. Io rimasi ferma dov'ero, incerta su come muovermi. Dovevo sdraiarmi sul letto? Spogliarmi? Aspettare che fosse lui a prendere l'iniziativa? Ma lui sembrava confuso quanto me, cosa che mi fece provare un moto d'irritazione: perché non si sbrigava? Non era certo per divertirmi che mi trovavo in quella situazione frustrante. Mi aveva condotto fino a quel punto e adesso stava lì a girarsi i pollici. Mi accorsi mio malgrado di essermi aspettata che mi saltasse addosso appena chiusa quella maledetta porta. Ma dopotutto che ne sapevo? Perché, poi? Solo perché era un uomo? Tutti gli uomini perdevano la testa in queste situazioni?
Non lo sapevo, e non sapevo che fare. Alla fine mi sedetti sul letto con un tonfo. Lui mi imitò. Aveva sempre quell'espressione concentrata. Si spogliò. Mi tolse lentamente la camicia da notte, indugiando su ogni laccio. Io aspettati pazientemente. Allungò la mano, sfiorandomi la spalla. Mi adagiò delicatamente sul materasso. Si sdraiò sopra di me, guardandomi negli occhi.
Poi si sciolse in lacrime.


Note:

(I)
*Secondo Platone, l'occupazione di una persona doveva riflettere la sa naturale inclinazione:
I filosofi, che governavano, avevano un'anima "d'oro", inclini alla saggezza e alla giutizia.
I soldati avevano un'anima "d'argento", pronti al coraggio e alla disciplina stoica.
I contadini e gli atrigiani avevano un'anima "di bronzo", senza particolari qualità se non la temperanza, la capacità umana di suordinare l'istinto alla ragione.

(II)
Questo mondo ricalca la poleis greca, ma non è assolutamnte identico ad essa. Per questo i nomi sono simili a quelli greci, per la maggior parte presi dal mito, ma non rigorosamente identici: Rossane era un nome persiano, Filomele un nome femminile.



  
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