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Autore: Alexcatania    10/05/2014    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se Severus Piton e Albus Silente si fossero incontrati per caso davanti allo Specchio delle Brame?
Due uomini così diversi, eppure così uguali, di fronte ai loro demoni. Quale modo migliore di affrontarli, se non insieme?
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Piton, con sua grande sorpresa, si scoprì trepidante e curioso di sapere ciò che avrebbe visto.
Affondò il viso nel Pensatoio e fu scagliato in un'altra dimensione, dritto dentro i ricordi di Albus Silente.
(...)
Piton ebbe una strana sensazione di déjà vu: si erano materializzati in una casa mezza distrutta. Ariana era rannicchiata a terra e strillava con tutto il fiato che aveva nei polmoni, cercando di liberarsi dalla morsa del fratello Aberforth.
Tra le macerie giaceva Kendra Silente: il corpo ricoperto di sangue, gli occhi spalancati e privi di calore.
Piton osservò due diverse versioni di Albus Silente inginocchiarsi ai piedi della madre. Quello del passato urlò tutto il suo dolore e la prese tra le braccia. Quello del presente l'avrebbe fatto a sua volta, se solo avesse potuto. Si limitò a piangere, impotente e sconfitto.
«Mamma...» la chiamarono all'unisono, soffocando tra un singhiozzo e l'altro. Ma lei non avrebbe mai risposto...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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The Mirror of Erised

Nei corridoi e nelle scale di Hogwarts regnavano l'oscurità e il silenzio.
Le candele che veleggiavano sopra i quattro lunghi tavoli della Sala Grande erano spente, ma grazie al chiarore di luna che faceva capolino dal soffitto incantato, era possibile scorgere almeno una dozzina di giganteschi alberi di natale sfarzosamente addobbati.
Sembrava una notte come tante altre.
Improvvisamente, qualche piano più su, il fruscio di un mantello interruppe la quiete notturna: un uomo avanzava nell'ombra con passo sicuro e un atteggiamento guardingo.
L'uomo voltò ad un angolo del corridoio del terzo piano e si fermò di fronte ad una stretta finestra, dalla quale si scorgevano le acque nere e profonde del lago.
Le nuvole si diramarono e rivelarono la luna piena: un opaco bagliore illuminò un volto spigoloso e dall'aspetto malaticcio.
Gli occhi di Severus Piton, ancor più neri e profondi del lago, scrutarono il cielo: a giudicare dalla posizione delle stelle, gli restavano ancora dieci minuti di ronda prima di potersi concedere un po' di riposo.
Le misure di sicurezza del terzo piano erano state intensificate, dopo il tentativo di Raptor di eludere gli ostacoli che lui e gli altri professori avevano ideato per proteggere la Pietra Filosofale.
Dopo quell'avvenimento, Silente lo aveva incaricato di tenere d'occhio il nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
Piton, dal canto suo, non reputava Raptor una grande minaccia, ma aveva imparato a fidarsi del giudizio di Silente.
Tuttavia, pensò Piton stringendo i pugni, se solo Silente mi avesse assegnato quella cattedra, ora forse non ci sarebbe bisogno di fare la ronda a notte fonda.
Da dieci anni faceva domanda per ottenere quel posto, ma il preside di Hogwarts trovava sempre una buona scusa per assegnarlo ad un mago meno meritevole e preparato. Era molto frustrante sapere che Silente non lo ritenesse capace di resistere alla tentazione di ricadere nelle Arti Oscure.
Non pensarci, si disse. Quell'uomo ti ha dato molto più di quanto meriterai mai.
Tutto taceva intorno a lui. L'immobilità della notte conferiva al castello un fascino oscuro.
Hogwarts era la sua casa. Lo era sempre stata, sin da quando l'aveva vista per la prima volta.
Chiuse gli occhi e tornò sulla barca che fendeva le acque dello stesso lago che stava osservando un attimo prima: il castello illuminato si ergeva in tutto il suo splendore, con le sue innumerevoli torri e torrette. Accanto a lui, c'era una bambina dai lunghi capelli rossi e gli occhi verdi, che ammirava il castello con una buffissima espressione di sorpresa e la bocca spalancata. Aveva rivisitato quel ricordo talmente tante volte nel Pensatoio, che ormai era impresso indelebilmente nella sua memoria.
Si costrinse ad aprire gli occhi e a camminare, ignorando la minaccia di un forte dolore al petto che si insinuava nella sua mente.
Entrò in Biblioteca per tenersi impegnato, ma dopo una decina di metri si fermò di scattò. Alla sua destra, tra due altissimi scaffali, c'era una vecchia poltrona che pareva reggersi in piedi per magia.
Non farlo, pensò Piton, ma prima che finisse di formulare quel pensiero, fece il giro intorno ad uno scaffale alle sue spalle.
Sfoderò la bacchetta, cercando di ignorare una vocina nella testa che ripeteva la parola "masochista", e mormorò: «Lumos
Non impiegò molto a trovare ciò che stava cercando. Prese un libro particolarmente voluminoso intitolato "I Roghi delle Streghe del Quattordicesimo Secolo" e si incurvò per spiare nello spazio vuoto creato dal libro che aveva appena estratto.
Da quella posizione aveva una visuale perfetta della poltrona, ma qualcosa era cambiato: una ragazza vi era seduta e sfogliava un libro giallastro.
Era di nuovo lei: la bambina sulla barca, ma ora non era più una bambina. Aveva diciassette anni ed era talmente bella da avere l'effetto inebriante e stordente di un filtro d'amore.
Piton veniva ad osservarla tutti i giorni, incapace di darsi per vinto. Improvvisamente, notò che sulla vecchia fodera del libro che aveva preso, qualcuno aveva scritto un minuscolo: "Smettila di spiarmi!"
Il sangue gli si congelò nelle vene e tornò a spiare nella fessura: la ragazza era sparita.
«Hai bisogno che te lo dica in faccia, Sev?!» disse una voce alle sue spalle. Piton fece un balzo indietro per la sorpresa e sbatté la testa contro lo scaffale.
«Adesso sai cosa si prova ad essere osservati a propria insaputa!» esclamò Lily Evans, con le braccia incrociate e un espressione di disappunto.
«Scusa» biascicò Piton, in preda al panico «quante volte devo dirtelo?»
«Non devi dirmelo più, pensavo di essere stata chiara!» sbottò lei, con la voce tremante di rabbia.
«Non voglio avere niente a che fare con te e con la tua lurida compagnia di Mangiamorte! Devi lasciarmi in pace, non voglio più vedere la tua faccia! Mi fai schifo!»
Lily gli voltò le spalle e uscì dalla Biblioteca sbattendo la porta.
Piton restò immobile, con un braccio a mezz'aria e la bocca mezza spalancata. Quelle parole parevano rimbalzare all'interno della sua cassa toracica, ogni rimbalzo era peggio di un pugno sferrato allo stomaco.
In quel momento, qualcosa dentro di lui si ruppe per sempre: realizzò di non avere più niente. Niente da perdere e niente da guadagnare.
Tredici anni dopo, Severus Piton era immobile esattamente nello stesso punto. Quel ricordo continuava a tormentarlo come pochi altri. Quelle parole rimbalzavano ancora nella sua cassa toracica: "Mi fai schifo!"
Le ultime parole che Lily Evans gli aveva rivolto.
Riposò il libro al suo posto e gli si mozzò il fiato: "Smettila di spiarmi!"
Seppur sbiadite, quelle parole erano ancora ben visibili. Ma stavolta Lily Evans non lo avrebbe sorpreso alle spalle.
La fitta al petto diventò uno squarcio, sembrava che il suo corpo avesse deciso spontaneamente di dividersi in due. Prese a correre verso la porta: avrebbe voluto raggiungere la ragazza che era appena uscita e rivederla un'ultima volta, ma non poteva. Non ancora, perlomeno.
Aveva pensato più volte di attraversare quella porta, nella speranza di rivederla. Non temeva la morte, non era questo che lo aveva fermato, ma la paura delle parole che lei gli avrebbe rivolto.
Se gli aveva detto "Mi fai schifo!" perché frequentava dei Mangiamorte e l'aveva chiamata Mezzosangue, cosa avrebbe detto ora che lui l'aveva consegnata nelle mani di Voldemort?
Non osava immaginarlo e non si illudeva che la missione che aveva promesso di portare a termine, proteggere suo figlio, avrebbe cambiato qualcosa.
Non badava più a dove andava, voleva semplicemente allontanarsi da tutto quel dolore. Attraversò un lungo corridoio e notò una porta socchiusa alla sua sinistra: entrò e si chiuse la porta alle spalle, sperando di lasciare indietro i suoi demoni.
Si appoggiò contro il muro e si asciugò il sudore freddo della fronte con la manica. Chiuse gli occhi, inspirò ed espirò profondamente dal naso e cercò di vuotare la mente.
Negli ultimi anni sembrava che i suoi tormenti si fossero leggermente placati, ma l'arrivo di Harry Potter ad Hogwarts li aveva risvegliati e peggiorati.
Dopo qualche minuto, il battito del suo cuore tornò regolare ed aprì gli occhi. Si trovava in una stanza spaziosa che non aveva mai visto prima.
Un tempo doveva essere un'aula, pensò Piton, osservando i banchi e le sedie impolverate accostate lungo le pareti.
Ma una cosa in particolare catturò la sua attenzione, facendogli quasi dimenticare in che modo era arrivato lì: uno specchio gigantesco dalla cornice dorata, che occupava buona parte della parete che aveva di fronte.
Piton si avvicinò, attirato dal quel curioso oggetto, e vide il suo riflesso: aveva un aspetto sciupato con quel colorito ancor più pallido del solito e i capelli lunghi e neri in disordine.
Quando si fermò, a circa un metro dallo specchio, non era preparato in alcun modo a fronteggiare ciò che vide.
Nel riflesso, una donna era in piedi accanto a lui: aveva dei capelli rossi lunghi fino alla vita, un sorriso brillante e degli occhi verdi e lucenti che lo guardavano.
Il cuore di Piton precipitò verso il basso, come se una voragine si fosse appena materializzata dentro di lui. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Non riusciva a credere a quegli occhi.
Si voltò, pur sapendo di essere solo in quella stanza, ed infatti era così. Lo specchio doveva avere un potere nascosto.
Tornò a fissare l'immagine riflessa e si perse nel volto di Lily, in ogni suo piccolo dettaglio: gli occhi a mandorla di un verde mozzafiato, il naso sottile, le minuscole lentiggini sulle guance, le onde formate dalle ciocche dei suoi folti capelli, le labbra piene. Sembrava tutto così... vero.
Poi notò un particolare che gli era sfuggito: nella parte più alta della cornice erano incise le parole "Erouc li amotlov li ottelfirnon".
Non rifletto il volto ma il cuore scritto al contrario, capì subito Piton.
Solo allora realizzò ciò che aveva di fronte: quello specchio doveva essere capace di mostrare i più profondi desideri di chi vi si specchiava.
Sospirò profondamente, prestò nuovamente attenzione al riflesso e si accorse che era stato così preso dal volto di Lily, da non aver notato che un bambino si stava nascondendo dietro le sue gambe, con fare giocoso.
Lily sorrise e il bambino provò a scappare, passandogli a carponi in mezzo alle gambe. Lei lo acciuffò, gli cinse le braccia e lo strinse a sé.
Era piuttosto basso, ma dimostrava almeno undici anni: aveva i capelli neri e lisci, gli occhi verdi come quelli di Lily ed un naso piuttosto pronunciato.
Come il mio, pensò.
Piton cadde in ginocchio, gli occhi spalancati e il respiro mozzato. Si portò talmente vicino allo specchio che il suo naso quasi lo sfiorava.
Allungò una mano verso quella del bambino, che gli sorrise di rimando.
Piton sorrise a sua volta per una frazione di secondo, poi sul volto gli si dipinsero l'angoscia e la disperazione.
Era come se la gravità non esistesse più, come se il mondo si fosse inspiegabilmente capovolto. Un dolore indescrivibile lo trapassò, sembrava che qualcuno avesse stregato mille coltelli in modo che lo pugnalassero all'unisono.
Voleva morire. Voleva porre fine a tutto questo.
Distolse lo sguardo dal bambino, non ne avrebbe sopportato la vista per un secondo di più.
Si allontanò di qualche passo dallo specchio, tremante della testa ai piedi, e notò che il Severus Piton del riflesso era calmo e sorrideva.
Il dolore passò istantaneamente, sostituito da una rabbia disumana come mai aveva provato prima. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, ma non era sufficiente. Voleva cancellare quel riflesso per sempre, voleva distruggere quello specchio maledetto.
Prese una delle sedie impolverate e la scaraventò con tutta la forza che aveva. Lo specchio restò immobile, indifferente alla sua ira. Frustrato dall'insuccesso, si avvicinò al suo riflesso sorridente ed urlò: «È TUTTA COLPA TUA!»
Con la coda dell'occhio vide che Lily lo stava osservando. Continuava a sorridere, come se nulla fosse accaduto. Come se non le avesse mai lanciato contro una sedia. Come se non l'avesse mai insultata. Come se non l'avesse mai condannata a morte.
Restò lì ad osservarla per chissà quanto tempo.
Non provava più niente, voleva semplicemente stare lì: di fronte a lei.
Il tempo si annullò. I secondi non avevano più alcuno scopo o significato. Quanto era lungo un minuto? Non aveva più importanza. Niente aveva più importanza, se non quegli occhi verdi.
Dopo quella che sembrava un'eternità, uno strano sfrigolio alle sue spalle lo riportò alla realtà: Albus Silente era appoggiato al muro e stava scartando una caramella.
   
 
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