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Autore: Hypoprenya    10/05/2014    0 recensioni
Avrebbe anche potuto estrarre il cuore dalla cassa toracica, trafiggerlo con centinaia di lame fino a quando non avrebbe cessato di battere, ma no, non sarebbe stato abbastanza, quel male posto affianco a quel dannatissimo “qualcuno”, si sarebbe annullato.
Amalia.
Quel nome.
Sentiva ancora bruciarle nel petto quelle sei lettere.
Non riusciva nemmeno a pronunciarlo, non era abbastanza forte.
Ogni secondo che passava senza di Lei trascorreva troppo lentamente, ed era come incassare decine di pugnalate all’altezza dello stomaco.
Ma a tanto a chi importava?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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12 Settembre 2013 Giulia, come tutti i giorni, si svegliò con la musica nelle orecchie. Si alzò, svogliatamente, dal letto. “Can you hear the silence? Can you see the dark? Can you fix the broken? Can you feel… can you feel my heart? “Puoi sentire il silenzio? Puoi vedere l’oscurità? Puoi riparare ciò che è distrutto? Puoi percepire … puoi percepire il mio cuore?” Rifletté fin troppo spesso su quell’ultimo verso. “Posso percepire … posso percepire il mio cuore?” Si portò la mano sinistra al petto, appunto, all’altezza del cuore. Il ritmo cardiaco era lento. Forse troppo. Avvertì un leggero malore alle tempie: i sintomi del suo mal di testa giornaliero. Niente medicinali. Non voleva essere schiava di niente e nessuno, figuriamoci di una compressa … tsk. Si mise dinnanzi all’unico specchio presente in quella vecchia camera. Si scrutò attentamente. Odiava le sue ossa troppo sporgenti tanto quanto le cicatrici ancora visibili sul braccio sinistro e su entrambe le cosce. Odiava la sua voce, a parer suo dal suono eccessivamente maschile per appartenere ad una ragazza. L’unica cosa che apprezzava di sé erano le sue lentiggini. Sbuffò, dopodiché si diresse verso il vecchio mobile in legno poco distante da lei, aprì il secondo cassetto, prelevò con cura la sua vecchia felpa, inspirò forte il suo odore. Una lacrima, partendo dall’occhio sinistro, prese a rigarle il volto. Amalia. Sapeva di lei. Le mancava. Era la sua dipendenza. Ne aveva bisogno. Si mise la felpa; un sorriso si dipinse sul suo gelido volto. I suoi occhi, di norma scurissimi, si schiarirono. L’abito le stava enormemente grande, tanto da coprirle i pantaloncini che portava sopra le calze. Custodiva fin troppi ricordi, fin troppe emozioni. Tolse l’elastico dal suo polso destro usandolo per legarsi i capelli. Mise le mani in tasca, fece per andarsene, giunta dinnanzi alla porta, si fermò di colpo, tornò indietro, prese il suo guanto di cuoio abbandonato sul letto ormai disfatto, lo afferrò per poi indossarlo, mise di nuovo le mani in tasca e varcò la soglia della porta. Scese lentamente le scale per arrivare in cucina. Era Lunedì. Odiava il Lunedì. Sì, era alquanto stupido, e forse anche infantile, avere preferenze riguardo cose talmente frivole. Il Lunedì per lei rappresentava un occasione per farti credere che un nuovo giorno rappresenti un nuovo inizio, e quindi, una nuova vita. Non era così. Non per lei. Nuovo giorno, stessa vita. Stessa, monotona, vita di tutti i giorni. Giunse in cucina, non c’era nessun altro. Le girava la testa. Si sentiva debole. Aveva bisogno di cibo. Si diresse verso lo spazioso frigorifero distante da lei pochi metri. Arrivata quasi a destinazione, si senti svenire, cadde. Svenne.
  
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