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Autore: semplicementeme     26/07/2008    2 recensioni
La moto sfreccia veloce.
Pattina sull’asfalto nero e nel buio della notte siamo solo dei puntini.
Le auto vicine sono molto più lente di noi.
Sembra che si muovano a rallentatore.
Sono attimi.

Un sacrificio d'amore.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Attimi

Capitolo I : Lei

La moto sfreccia veloce.

Pattina sull’asfalto nero e nel buio della notte siamo solo dei puntini.

Le auto vicine sono molto più lente di noi.

Sembra che si muovano a rallentatore.

Sono attimi.

Fotogrammi di una notte.

Vorrei stringermi a te.

Al tuo torace.

Vorrei poggiare la testa sulla tua schiena ma non posso.

Il casco me lo impedisce.

O forse è qualcosa dentro di me.

Sono attimi.

Le dita appoggiate sul carburatore fanno male.

I crampi iniziano a diventare fastidiosi.

Non dico nulla.

Abbiamo litigato.

Tutto per colpa di questa moto.

Tutto per colpa sua.

Una lacrima scivola silenziosa.

No.

Non è colpa della velocità.

È il mio cuore che piange.

Io non riesco a stare con te.

Non in questa maniera.

Sei sempre dietro lei.

Usciamo e non possiamo fare più di duecento metri perché non la vedi più.

Andiamo a mangiare in un posto e devi tenere sempre sott’occhio la tua moto.

Sono stanca e gelosa.

Gelosa di una moto.

Non sai quante volte ho pensato di prenderla a martellate e distruggerla.

Poi però mi fermo.

Non posso privarti di lei.

Ti farei del male.

Ed il male che fai a me?

Non conta.

Però adesso basta.

Io non posso stare con te in queste condizioni.

Tu… mi stai tradendo per colpa di questa… cosa.

Lei ti ha portato via da me.

Oggi l’ennesima lite.

Ancora per lei.

Lo zaino che ho sulle spalle pesa.

Tra catene e bloster il peso da sostenere è eccessivo per la mia schiena.

Tu però non mi ascolti.

Dici che sono solo io a non volere capire.

Io… sono sempre io.

Io non capisco.

Io non vedo.

Io non ascolto.

Io sono sbagliata.

E tu?

Sei tanto meglio di me?

Ed intanto un’altra lacrima scende furtiva dai miei occhi.

Mi volto a vedere il mare alla mia destra.

La luna che si rispecchia in questa tavola blu.

È bellissima.

Alzo gli occhi al cielo e lo vedo trapunto di stelle.

Una stella cadente.

Seguo la scia.

Una lacrima.

Un desiderio.

“Aiutami”.

Sono attimi.

Torno a guardare il mare in cerca di un po’ di pace.

Chiudo gli occhi e lascio che il vento sul viso porti con sé le mie lacrime.

Restiamo in silenzio.

Non parliamo.

Non abbiamo nulla da dirci.

Non più. Io… ho deciso di lasciarti.

Troppo diversi, e la moto è solo la scusa.

Lo so io.

Lo sai tu.

Tu. Bello. Ricco. Intelligente.

Il principe azzurro e non perdi mai occasione per ricordarmelo.

Io. Gradevole. Povera. Allegra.

La Cenerentola delle fiabe, quando lo dico mi rimproveri, ma in fondo sai che ho ragione.

Diversi.

Lontani anni luce.

Ed io adesso sono stanca.

Dopo otto anni dico basta.

Non si tratta della moto, ma di noi.

Ti amo ma non posso sentirmi sempre inferiore a te.

Non posso.

Ed oggi le tue parole mi hanno fatto aprire gli occhi.

Ti faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.

Come se io non potessi permettermi di fare nulla.

Acceleri come se stessi percependo i miei pensieri.

Acceleri come se volessi scacciare via il mio dolore ma non funziona così.

Non puoi farmi piangere e poi dirmi “Scusa. Non volevo.”

Fa comodo.

Ma è scorretto.

Chiudo gli occhi e rendo la presa ancora più salda.

Ho paura della velocità.

Ho paura di cadere.

Ma per orgoglio non dico nulla.

Sono in apnea.

Sono attimi.

La velocità è tale da farmi mancare il fiato.

Ma stasera è l’ultima volta che ci salirò.

Voglio godermi sino alla fine questa corsa.

Ho deciso di vivere quest’ultima corsa.

Me lo hai portato via.

Hai vinto la guerra.

Io voglio vincere l’ultima battaglia.

Voglio vedere mentre sfrecciamo a tutta velocità per le strade notturne.

Impaurita apro gli occhi.

Un’altra lacrima, ma questa causata dalla velocità.

Sorrido mestamente al pensiero che sarà l’ultima volta.

Non ci saranno altre possibilità di godere di questo.

Il tuo profumo.

Il tuo calore.

È l’ultima volta.

Osservo il mare per un istante.

Poi riporto lo sguardo davanti a noi.

Ed allora la vedo.

Una macchina sorpassa in curva.

Arriva diritta davanti a noi.

Mi dici di stringermi al tuo torace.

Lo faccio.

Sono attimi.

Interminabili.

Il cuore batte a mille.

Lo sento in testa.

Sono attimi.

Le luci dell’auto mi abbagliano.

Chiudo gli occhi impaurita.

Il respiro accelerato.

Sono attimi.

Tu che cerchi di decelerare.

La sterzata.

Lo stridere delle ruote sull’asfalto.

Sono attimi.

Il botto.

Le orecchie che fischiano.

Il rumore di qualcosa che va in pezzi.

Sono attimi.

Dolore? No. Non sento nulla.

Sono attimi.

Mi rialzo come se non fosse successo nulla.

Mi guardo attorno.

La vedo.

Lei. La moto.

A terra su di un fianco.

La ruota davanti ancora gira, come se fosse leggera, come se fosse quella delle biciclette.

Il faro si accende e si spegne.

La carena completamente distrutta.

Istintivamente mi porto le mani alla bocca.

Sono attimi.

Cerco di slacciare il casco ma con sorpresa noto di non indossarlo più.

Deve essermi caduto durante la caduta.

Un senso di angoscia mi pervade l’animo.

Mi volto a destra e a sinistra.

Ti vedo.

Sdraiato in terra.

Corro verso di te.

Mi inginocchio.

Non ti sfioro.

Non riesco.

I jeans strappati.

Il maglione lacerato.

Il casco mezzo rotto.

Il viso tumefatto dagli urti.

Paura.

Il sangue scivola lento da una ferita alla tempia.

Una pozza di sangue si allarga sull’asfalto.

Sono attimi.

Piango.

Allungo una mano.

Mi blocco.

Ho paura.

- Non puoi fare nulla per lui.

Una voce infantile. Triste. Addolorata.

- Cosa vuoi dire?

Neanche mi volto verso chi mi ha parlato.

Tremo. Paura. Panico.

- Sono qui per portare via la sua anima.

Solo adesso trovo il coraggio per farlo.

Mi volto lentamente.

Deglutisco.

- Chi sei?

Una bambina.

Sei, al massimo sette anni.

Pallida. Magra.

I capelli corvini lasciati liberi sulle spalle.

Occhi azzurri come i ghiacci.

Espressione seria e composta.

- Sai chi sono.

Ancora la sua voce infantile.

Il tremore aumenta.

Mi alzo e mi paro davanti al tuo corpo, come a volerti proteggere.

- No. Non lo so. Chi sei?

Non ci credo.

È solo un incubo.

- Perché vuoi soffrire?

Una lacrima solca la mia guancia.

Ormai ho perso il conto di quante ne ho versate.

- Chi sei?

La voce strozzata esce dalle mie labbra.

I singhiozzi quasi mi impediscono di parlare.

La bambina sospira.

È come se fosse un’adulta imprigionata nel suo corpo di bambina.

La sua voce arriva come una condanna.

- La Morte.

Le mie speranza si infrangono.

No. Non è una bambina.

Non è umana.

La Morte non è mai umana.

Ti porta via ciò che più ami.

Come sta facendo adesso.

Mi avvicino di corsa alla bambina.

L’afferro per le spalle e la scuoto ripetutamente.

- Perché? Perché lui?

Lei non risponde.

Mi osserva con i suoi occhi di ghiaccio.

In fondo ad essi posso leggervi tutto il dolore che sta provando in questo momento.

Forse…

Forse anche la morte è umana.

Ho ancora qualche speranza.

- Perché lui?

Ancora la mia domanda.

Ancora la mia voce strozzata.

- Il suo cuore si sta per fermare.

È solo in questo momento che una domanda si formula nella mia mente.

Sono attimi.

- E se prendessi me?

La bambina mi guarda interrogativa.

Ripeto ancora la mia richiesta.

- Prendi me al suo posto. Io sono viva. Sto bene.

La bambina scuote il capo addolorata.

Volta il viso da un’altra parte ed io seguo il suo sguardo.

Ed allora me ne accorgo.

Proprio dove mi trovavo io pochi minuti fa c’è un corpo.

Mi avvicino lentamente.

Non voglio lasciarti solo ma non posso fare diversamente.

Avanzo lentamente.

Nel mio cuore già so cosa troverò.

Infatti non mi sono sbagliata.

Sono io.

Lì a terra.

Sdraiata su di un fianco.

Il braccio sinistro ricade sul fianco destro.

Il casco ancora allacciato.

Respiro?

- Sì. Sei ancora viva.

Osservo il sangue solcare il mio viso.

La manica del giubbotto è strappata.

Un pezzo di acciaio è conficcato nel mio braccio.

Mi inginocchio distrutta.

Mi volto verso la bambina che si è inginocchiata al mio fianco.

- Adesso ti trovi in una specie di limbo.

La sua voce sembra più tranquilla di prima.

- Sono in coma?

Sembra pensarci su, alla fine annuisce con il capo.

- Se sono ancora viva allora puoi prendere me.

La bambina mi guarda senza capire.

È come se le stessi dicendo qualcosa di folle.

- Sei qui per prendere un’anima. Che importa se è la sua o la mia?

Scuote il capo inorridita.

- Il suo cuore si sta per fermare. Il tuo no.

Sono io stavolta a scuotere il capo.

- Perché la mia anima non va bene?

Non sa cosa rispondermi.

Mi avvicino e poso delicatamente una mano sulla sua spalla.

È molto più bassa di me.

Devo chinare il capo per poterla guardare negli occhi.

Un po’ come fai tu quando devi parlarmi.

- Prendi me. Andiamo, non ti cambia nulla.

- Tu volevi lasciarlo prima dell’incidente.

Le sue parole arrivano come una doccia fredda.

Prima dell’incidente.

Una vita fa.

Sono attimi.

- Lo so. È vero. Ma lo avrei lasciato vivo. Adesso è diverso.

La bambina inizia a piangere e a fare di non con la testa.

Il suo è un pianto disperato che mi stringe il cuore.

Mi avvicino e l’abbraccio cercando di tranquillizzarla.

- Perché? Tu lo volevi lasciare. Adesso… adesso ti sacrifichi per lui. Perché?

Asciugo le sue lacrime.

Sorrido davanti a questa bambina.

Sì. È solo una bambina.

Mi ero illusa che fosse la morte ma non è vero.

È solo una creatura innocente.

- Lo amo e non potrei sopravvivere sapendo che non ho fatto nulla per salvarlo.

I singhiozzi si acquietano.

Le guance hanno acquistato un po’ di colore.

- Se verrai via con me non potrai più tornare indietro.

La guardo.

È così piccola ma riveste un ruolo così importante.

- Non preoccuparti. Lo so ma devo farlo. Io lo amo.

Lei mi guarda smarrita.

- Ed i tuoi genitori?

I miei genitori?

Non avevo pensato a loro.

Mamma. Papà.

- Mi perdoneranno.

I singhiozzi della piccola diventano più forti.

Ha ripreso a piangere come prima.

Disperatamente.

- Lui non lo avrebbe fatto per te.

Forse è vero.

Lui non si sarebbe mai sacrificato al posto mio.

- Però lo avrebbe fatto per la sua moto.

La bambina si ferma e sorride tristemente.

- Lo fai per amore?

Annuisco serena.

Morirò per amore.

Spero solo che lui si ricordi di me.

- Sai che non potrai tornare indietro e che Nessuno si impietosirà per il tuo sacrificio?

Annuisco ancora.

Non è un film.

Lo so.

- Vuoi… vuoi vederlo per l’ultima volta?

Mi fermo.

Vederlo per l’ultima volta?

Sono attimi.

- No. Preferisco conservare il ricordo del suo volto sorridente.

Adesso è il turno della bambina di annuire.

Mi porge la mano ed io l’afferro senza paura.

Un paio di passi e poi mi blocco.

- Ci hai ripensato?

- No. Solo che… soffrirò?

Lei scuote la testa e riprendiamo il nostro cammino.

Piango perché non potrò più rivedere i miei cari.

Piango perché so che mia madre soffrirà tanto da desiderare di morire.

Piango perché temo per mio padre. Il suo cuore già provato dovrà reggere un dolore simile.

Piango perché so che lui si sentirà in colpa.

- Se vuoi… possiamo fare uno strappo alle regole. I tuoi cari sapranno che li ami.

Sorrido alla piccola.

Asciugo le mie lacrime.

Sento il cuore più leggero.

È questo quello di cui avevo bisogno.

Essere rassicurata.

Con l’animo leggero la seguo.

Dopo un paio di minuti rompo il silenzio.

- Come ti chiami?

Mi fissa interdetta.

- Cosa vorresti dire? Il mio nome è Morte.

Scuoto la testa e cerco di formulare diversamente la mia domanda.

- Avrai un nome con cui gli altri ti chiamavano prima di iniziare... questo lavoro!

Lei si volta e mi guarda triste.

- Non lo ricordo più.

- Che ne diresti se te ne dessi uno io?

Mi guarda e annuisce contenta.

Mi soffermo a ragionare.

Poi ho l’idea.

- Che ne dici del nome Sara?

- Perché Sara?

L’abbraccio forte.

Sento un po’ di calore.

Ma non è il tuo.

- Sara è il nome che avrei voluto dare ad una figlia.

- Sì, mi piace. Sara… suona bene!

Sorride Sara.

Sorride come una bambina.

Insieme continuiamo questo percorso che mi porterà non so dove.

Però sono felice.

Ti ho salvato.

Non avrebbe avuto senso lasciarti morire.

Volevo lasciarti è vero.

Ma ti avrei lasciato vivo.

Con un futuro davanti.

Con un’intera vita da vivere.

Non potevo permettere che Sara commettesse un simile errore.

Hai mille motivi per vivere.

Da oggi ne avrai mille ed uno.

Dovrai vivere anche per me.

Vivi sereno.

Vivi felice.

Io sarò sempre pronta a vegliare su di te.

Perché?

Perché adesso sei tu che non capisci!

Ti amo.

Ti basta come spiegazione?

Ammetto che la parte relativa all’incidente dove la protagonista parla della moto come se si trattasse di una persona in carne ed ossa è assurda, ma che volete farci. Molti ragazzi vivono per le loro moto dimenticandosi delle persone che le circondano.

Le frasi sono brevi e striminzite, ma è una scelta narrativa. Spero di dare velocità al racconto.

Questa è la prima parte. A breve cercherò di pubblicare il secondo capitolo con i pensieri di lui.

Spero che qualcuno si fermi a leggerla e che trovi il tempo per lasciare qualche recensione.

   
 
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