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Autore: slytherin ele    12/05/2014    2 recensioni
Queste storie partecipano al contest a turni, indetto da Frantasy94, "Fritto di paranza".
Alec... con la sua nebbia che toglie la percezione del mondo... con la sua malignità e brutalità... in una parola solo: Alec, uno dei personaggi che preferisco di Twilight.
I: L'arma più potente (drabble) --> Alec, la gurdia de Volturi... soltanto?
II: Non sono la tua arma. (Flash-fic) --> A volte le persone che ti sono più vicine, anche i tuoi sottoposti, sono le più pericolose...
III: Premonizione e Potere: l'avvento di Alec Volturi (one-shot) --> E prima della guardia Volturi? Come nacquero i suoi poteri?
Raccolta disomogenea e slegata in sè di alcuni momenti, inventati e non, della vita di Alec...
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec, Altro personaggio, Aro, Jane, Volturi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Premonizione e potere: l’avvento di Alec Volturi.

 

Alec non si sarebbe mai definito una persona ordinaria, neanche prima del morso, prima di diventare un vampiro. Non era mai stato un bambino convenzionale, pur non avendo poteri di alcun genere, c’era sempre stato qualcosa nella sua mente che lo distingueva dai normali esseri umani: era spietato, impietoso e provava una certa soddisfazione nel veder altre persone soffrire, soprattutto coloro che davano fastidio a sua sorella Jane. Non era stato sempre così e, a distanza di secoli, riusciva ancora a portare la memoria al giorno in cui il mondo cambiò, la sua visione di esso mutò, facendolo divenire un cumulo di individui banali e inetti ai suoi occhi.

Era la notte del 15 aprile dell’ 813, il cielo era buio e la luna era coperta dalle nuvole, un temporale minacciava di imperversare da un momento all’altro e qualche tuono si era già fatto sentire nel silenzio della stanza che condivideva con Jane e altri otto ragazzi nell’orfanatrofio di Salem; aveva guardato Jane per qualche minuto, mentre dormiva beata al suo fianco e poi si era messo a fissare la finestra, aveva visto tre fulmini scendere dalle nubi nere prima di riuscire ad addormentarsi. Era stata un sonno turbato, strane figure l’avevano popolato, facendolo agitare sul letto, fino a svegliare la sorella, che non se n’era curata più di tanto, pensando fosse un semplice incubo. Così era stato per un po’, c’era gente che gridava, correva e moriva, era uno dei sogni ordinari di Alec, tra i più banali che gli capitasse di fare; poi la scena era cambiata. La visione delle immagini non era esterna, lui divenne il protagonista, il ragazzino che faceva gridare e accoltellava delle persone che non avevano volto, né voce vera e propria: era più una litania ripetitiva, quasi fastidiosa, che alimentava una furia cieca di cui non comprendeva la causa. Poi comparve un uomo, aveva un volto familiare, un collega di suo padre forse, sì, il signor Gliscow o Glascow… non ricordava bene. Sua figlia era morta in un incidente qualche giorno prima, Alec e Jane avevano assistito al funerale per volere del padre. Quella persona lo aveva fissato lugubre per tutto il tempo, quasi fosse certo che al ragazzino non importasse nulla della figlia, il che era vero, non la conosceva neppure… e Alec non fingeva, non ne sentiva il bisogno, non provava pena per la madre in lacrime, né per il fratellino che non capiva l’accaduto, né tantomeno per il capofamiglia. Era indifferente: l’empatia non faceva parte della sua persona.

E ora quell’uomo gli era davanti, la stessa espressione lugubre di quel giorno, lo stesso disprezzo negli occhi… c’era qualcosa in più! Odio, forse… i suoi occhi esprimevano odio, no… rabbia! Era infuriato e sembrava esserlo nei suoi confronti. Vide il suo volto girarsi e ne seguì la traiettoria e la vide: la figlia giaceva, accatasta sulle decine di corpi che aveva pugnalato e dilaniato. Non si era neanche accorto che ne facesse parte, non era che un gioco per lui. Lo sguardo di quell’individuo tornò su di lui e poi lo vide fare un passo e un altro e un altro ancora. Alec indietreggiò allo stesso ritmo del suo aggressore, finché la sua schiena non sbatté contro qualcosa in pietra. Si girò, si aspettava di trovare un muro dietro di sé, ma non fu così: vi era una lapide.

L’incisione scritta narrava:   

Janeth Glascow

799-809

Figlia amata, che rimarrà nel cuore dei suoi cari.

Assassino: Alec Volturi

Aveva sbarrato gli occhi incerto, chiedendosi perché fosse accusato di un omicidio che non aveva commesso e perché non c’era il suo cognome sulla lapide, ma una parola che non gli apparteneva.

Si era girato di scatto, sentendo una mano fredda toccarlo, ma non aveva avuto il tempo di dire nulla, i suoi sensi sembravano essersi annullati del tutto e mentre il mondo perdeva la consistenza e si sentiva perso, il signor Glascow rideva sguaiatamente, ma Alec non poteva sentirlo. La sua risata sembrava più l’eco di una creatura maligna che lo faceva sentire impotente e inutile.

 

Si era svegliato, trattenendo a stento un urlo e aveva guardato Jane, l’aveva sfiorata. Toccare la pelle chiara della gemella era bastato a calmarlo.

 

Da quel giorno, non era più stato un ragazzo normale: il suo potere venne fuori, identico a quello del sogno, ma non era lui a esserne colpito. Quella notte aveva avuto una premonizione, anche se non se ne poteva rendere conto e con il nascere e l’accrescersi delle sue capacità, erano venute fuori anche quelle di Jane. I due gemelli erano talmente legati da andare di pari passo anche in questo, Alec non sapeva se anche Jane avesse avuto un incubo che l’aveva avvertita di tutto ciò e non aveva mai posto domande per non dover raccontare. Si fidava della gemella e forse solo di lei si sarebbe fidato in tutta la vita, ma non voleva ammettere di aver provato paura. Erano sempre stati soli, solo loro due, anche durante la condanna al rogo per stregoneria, finché non era arrivato Aro: lì tutto era mutato…

“Alec, che ci fai qui?” Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da Felix che entrò nel suo campo visivo. Fece una smorfia infastidita e balzò giù dal muretto del terrazzo; il castello di Volterra in cui vivevano era grande, perché l’altro vampiro non poteva scegliere un altro posto?

“Avresti una risposta se te la porgessi io la domanda?”

Felix ghignò, consapevole che fosse meglio non fare domande inopportune. C’era sempre stato un tacito accordo fra loro: non m’irritare e tutti i pezzi del tuo corpo rimarranno al loro posto.

“È strano vederti lontano da Jane.” disse solo, intendendo molto di più con le sue parole. C’erano numerosi significati nascosti e domande non dette: hai qualcosa da nascondere? Non ti fidi come prima di lei? Non siete poi così legati?

Nessuna di queste domande fu posta.

Alec non rispose.

“La battaglia contro i Cullen ci aspetta, andiamo. Forse Aro metterà le mani su Alice, stavolta.” aggiunse Felix, sogghignando.

“Non è nulla di speciale.” Fu la risposta lapidaria di Alec.

 

 

 

 

   
 
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