And you
have got to see to believe
-
Congratulazioni -. Le esce dalla bocca in un tono
calmo e neutrale, come un semplice dato di fatto, e in effetti
è la cosa più
banale che potesse dire durante il loro piccolo party post-gara.
L’effetto,
però, è un po’ rovinato
perché non riesce a distogliere lo sguardo e sente le
guance scottare.
Più
lo guarda – guarda le dita lunghe e snelle che
terminano in unghie coperte di smalto chiaro, le ciocche fasulle che
ricadono
morbide e scure sulle spalle bianche e un po’ troppo larghe,
la stoffa lucente
che si tende su un petto troppo piatto – e più si
convince che solo un
austriaco poteva fare qualcosa del genere e vincere.
E che il suo amico avrà l’ennesima ragione per
vantarsi del proprio genio
musicale, adesso.
Beh,
Polonia forse avrebbe potuto provarci mandando
al posto delle sue ragazze
slave
qualche ragazzino sbarbato e sottile, conoscendolo, ma i suoi
concorrenti non
avrebbero avuto la stessa grazia e non sarebbero riusciti a conquistare
tutti
in quel modo. E nemmeno la gonnellina che Feliks stesso ha deciso di
indossare
stasera ha lo stesso effetto su di lei – non è
niente di così inaspettato e
così stranamente intrigante,
su di
lui.
Dietro
le lenti degli occhiali, le iridi violacee di
Austria scintillano di compiacimento, anche se le labbra sottili si
tendono
appena all’insù sopra la barba finta. – Danke
– le dice, e poi, come dopo un pensiero improvviso: - Quello
con la macchina
fotografica era tuo fratello?
Germania
sospira e si passa una mano tra i capelli,
imbarazzata per il solito comportamento da idiota di Prussia.
– Non ti
permetterà mai di dimenticarlo. Mi dispiace –
sospira. Non che non possa
costringere Gilbert a
sbarazzarsi
di quelle foto compromettenti, facendo quegli occhioni dolci da
sorellina
indifesa che per qualche assurda ragione riescono ancora ad ingannarlo
o
prendendolo a calci nei punti giusti – il vero problema
è che, a pensarci bene,
non vuole.
-
Sto supportando la mia candidata - che, tra
l’altro, ha appena vinto. Pensa forse che dovrei vergognarmi
per questo? -. Le
labbra di Austria si stirano per un attimo solo in una smorfia severa
di
disappunto, e un sopracciglio fine si inarca delicatamente –
e Germania è
sorpresa di non vedere nessuna traccia d’imbarazzo sul suo
viso.
Più
lo guarda e più pensa che, in mezzo alla folla
festante di Nazioni sovreccitate e abiti sgargianti che li circonda,
per quanto
sembri assurdo, Austria è davvero l’unico che
può fare qualcosa del genere e
mantenere la stessa dignità – la stessa regalità,
le viene in mente mentre si sofferma un po’ troppo sulla
sfumatura rosata della
sua bocca, sulla curva pallida ed elegante del suo collo – di
tutti i giorni.
Quella sua aria da vecchio gentiluomo distaccato e pieno
d’onore e di savoir
faire dovrebbe stridere con
quell’abito,
con quella barba ridicola, con il trucco scuro che gli cerchia gli
occhi –
eppure, non ci riesce.
Germania
si schiarisce la gola. – Non pensarci. Sai
com’è fatto – dice, e poi pensa che
dovrebbe dire qualcosa di più, ma lei non è
mai stata brava con la gente e non ha mai imparato l’arte
delle chiacchiere
frivole. Si sistema meglio la giacca bianca e già
impeccabile, tanto per fare
qualcosa, e rimane in silenzio.
Alla
fine, semplicemente, si salutano. Germania gli
fa le sue congratulazioni di nuovo, Austria le accetta ancora con
cortesia e
poi le dà le spalle per andare a cercare Ungheria o Svizzera.
Germania
sta cercando in tutti i modi di non fissare
le forma delle gambe snelle che intuisce dietro alla stoffa del
vestito, quando
l’altro si gira di nuovo, solo per un momento. E sorride.
– Ah, Germania – le dice,
rilassato e casuale, la sua voce troppo bassa per
quell’aspetto che si abbassa ancora
un po’ di più diventando un mormorio cospiratorio:
- Ho vissuto con Elizaveta per
qualche secolo, so riconoscere certi segni. Vediamoci in albergo, dopo.
E
poi si volta di nuovo, e la lascia lì da sola ad
arrossire e scuotere la testa e negare verità che conoscono
entrambi.