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Autore: Yvaine0    13/05/2014    5 recensioni
'Filofobia' è la paura di stringere un legame con qualcuno; dunque quella di Alice, che quando si rende conto di essere fin troppo innamorata di Luca, si fa prendere dal panico e fugge.
Cosa succederebbe se una sua vecchia amica d'infanzia, in visita a Roma per vedere il suo ragazzo, cercasse di combinare ad Alice un appuntamento al buio proprio con Luca, senza sapere che si tratta del suo ex?
Un doppio appuntamento pieno di disagio, domande scomode, nostalgia, paura e sentimenti.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'BG'
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Nota: Filofobia è la paura di innamorarsi. "Ricominciare da dove abbiamo smesso" è un sottotitolo e non una spiegazione del termine.
Nota 2: Se avete già letto una mia fan fiction con lo stesso titolo, vi acciso: è esattamente la stessa storia, ma in versione originale. E in questo caso la storia entra fa parte di quella serie di storie tratte da una long che di questo passo non scriverò mai. Buona lettura! :D
Nota 3: Grazie anche questa volta a Rigmarole, che ha betato la storia. ♥♥

 
Filofobia
Ricominciare da dove abbiamo smesso
 
 

Come on, skinny love,
what happened here?


 

 

 
Troppe parole non dette aleggiano nell'aria, resa pesante e irrespirabile dagli sguardi evitati e dai silenzi prolungati. Troppi rospi ingoiati, troppi perdoni precoci, troppe lacrime rispedite indietro prima che potessero farsi vedere.
La tensione è palpabile attorno alla tavola, ma Anita e Sebastiano fingono di non accorgersene, o forse non se ne accorgono davvero, troppo presi l'uno dall'altra.
L'accento romano di Sebastiano dà bella mostre di sé, mentre racconta di come ha conosciuto Ninì, al bar del bagno al mare durante la vacanza in Riviera; lei lo guarda sorridente, gli occhi verdi che brillano di gioia, le guance colorate da un adorabile rossore.
Luca ricorda quando anche Alice lo guardava in quel modo. Sono passate almeno due settimane dall'ultima volta che si sono visti; ne sono passate almeno due e un giorno dall'ultima volta che lei gli ha sorriso così, dopo che lui le ha preso i fianchi, lasciato un morso sul collo e l'ha trascinata con sé sul divano. Ricorda bene quell'episodio: è stata l'ultima volta che hanno fatto l'amore.
Poi hanno rotto.
La mattina dopo si è svegliato su quello stesso divano, abbracciato a lei. È suonato il telefono, si è alzato per rispondere; quando è tornato l'ha trovata sveglia. L'ha salutata con un bacio sulle labbra, che lei ha rifiutato voltando il capo dall'altro lato. E da lì tutto è proceduto in discesa, la rabbia ha preso velocità mentre scendeva lungo il pendio, finché loro stessi non hanno perso il controllo delle proprie parole. A mezzogiorno non erano più una coppia.
Luca non riesce a capacitarsene. Ogni mattina si sveglia e allunga una mano per cercare nel letto un calore che non può più trovare. E non sa il perché. Non riesce a rassegnarsi alla loro rottura perché, principalmente, non l'ha capita. Non sa quand'è iniziata la loro crisi, non sa perché. Chi l'ha deciso? Lui ha lasciato lei o lei ha lasciato lui? Erano forse di comune accordo?
«Quando hai finito di uccidere quella bistecca, mi passi l'acqua?»
La voce di Alice trema leggermente, nonostante lei si sia imposta di suonare fredda, parlando forte e con decisione. E con la sua voce, trema anche il cuore di Luca.
Reprime un sorriso, pensando a quante volte a casa lei gli abbia ripetuto una frase del genere; alza lentamente la testa, la guarda negli occhi, lei sposta lo sguardo sulla bottiglia – quello scambio di battute, deve essere chiaro, è limitato alla necessità.
Quando afferra la bottiglia, Luca deve concentrarsi per non lasciarla cadere. È come se non avesse più il controllo sul proprio corpo, come se ogni particella del suo organismo fosse concentrata solo ed esclusivamente su Alice, sul modo in cui evita di guardarlo e finge di non essere infuriata con la propria amica. Fino a poche settimane prima traeva sicurezza dalla sua sola presenza, ora è essa stessa che rischia di fargli cadere la bottiglia dalle mani. Ecco che dunque la stringe così forte che le nocche sbiancano, la posa sul tavolo di fronte alla sua ex ragazza con un po' troppa forza e torna a occuparsi della bistecca che sta lentamente torturando.
Alice trattiene il fiato quando Luca le posa violentemente davanti la bottiglia d'acqua. Qualcosa si spezza all'altezza del suo sterno, ma lei fa finta di niente.
Se Anita le avesse detto prima che il suo neo-ragazzo romano è niente meno che Sebastiano Castelli, probabilmente non si sarebbe presentata a quella cena per quattro. La situazione è assurda e disgustosa, tanto da farle venire la nausea.
La realtà è che la nausea è causata dallo stress. Tutti sanno l'effetto che ha il nervosismo su di lei; ecco perché si sta sforzando di mangiare, riempire lo stomaco, nonostante si senta sul punto di rimettere tutto il suo contenuto fin da quando ha incrociato lo sguardo di Luca, entrando.
Lo fa perché non vuole che lui lo sappia: deve credere con fermezza di esserle indifferente, non deve farsi strane idee. Loro due non sono più niente, non esiste più nessun “loro due”. Sono di nuovo estranei. Non importa che lei conosca a memoria ogni singolo tratto di ogni tatuaggio sulla schiena di Luca, non importa che potrebbe ridisegnare perfettamente anche quelle parole in un'altra lingua che non sarà mai in grado di leggere. Non importa più.
Quando Anita l'ha invitata alla cena, ha accennato alla presenza di un amico di Sebastiano: le ha detto solo che è un figo da paura, ma, poverino, soffre tremendamente per via di una recente storia finita. Insomma, le ha detto sorridendo, è perfetto per lei, no?
Sì, forse, ha risposto Alice. Sapeva fin dall'inizio che non ci avrebbe provato con lui, che non era la persona giusta per ricucire i brandelli del cuore di un ragazzo, ma forse, essendo sulla stessa barca, potevano farsi compagnia almeno per un paio d'ore, reggere il moccolo insieme.
Farsi compagnia un cazzo!, pensa ora Alice, bevendo più acqua possibile per non dover riempire lo stomaco di cibo. Ha già in mente di scappare con una scusa non appena la cena sarà terminata; non ha intenzione di passare altro tempo con Luca Rinaldi, sicuramente non mentre i piccioncini tubano su quello schifo di un divano pulcioso nell'appartamento di Sebastiano Castelli.
Che la sfortuna la perseguiti è evidente.
Una sua vecchia amica dei tempi delle medie è scesa a Roma per vedere il proprio ragazzo. Quando possibilità c'erano che questi fosse il cugino del suo ex e che Anita cercasse di combinarle un appuntamento al buio proprio con quest'ultimo?
Una su un milione, forse, ma è esattamente questo che è successo.
Ecco perché Alice è freddamente furiosa, questa sera. Chi al posto suo non lo sarebbe?
«Quel bar è un posto magico» sta dicendo Sebastiano; scoppia poi in una risata chiassosa, mentre Ninì fa lo stesso, avendo però la decenza di coprirsi il viso con le mani per nascondere la bocca piena.
Alice alza gli occhi al soffitto con un sorrisetto di scherno. «Come darti torto» commenta sarcastica. Non vuole che il suo malumore ferisca l'amica, certo; non ha niente in contrario, però, a bersagliare di frecciatine quell'idiota del suo ragazzo. Quel Sebastiano, che oltretutto sembra star cercando di trovare a Luca una nuova fiamma, merita tutto il suo acido. Non che le importi di quello che fa Luca con altre donne, comunque: Alice mal sopporta Sebastiano Castelli da sempre, ovvero fin da quando, appena trasferitasi a Roma, l'ha sentito imitare per i suoi amici il suo accento riminese.
Anita nota la vena pungente nel tono dell'amica, ma la ignora: ha sempre avuto un senso dell'umorismo tutto particolare, che tutto sommato a lei piace, per cui non se ne lamenta. «Tu non hai un posto speciale, qui a Roma?» le domanda dunque.
Quando Alice s’irrigidisce e con gesti meccanici posa la forchetta e si pulisce la bocca, l'altra capisce di aver detto qualcosa di sbagliato. Ecco perché non insiste quando lei scuote leggermente il capo e risponde un freddo e laconico «No».
Alice sente lo sguardo penetrante di Luca su di sé, ma si impegna ad ignorarlo. Non vuole concentrarsi sulla sensazione di vuoto che si è impossessata del suo petto, e tanto meno sul groppo che inizia a serrarle la gola, mentre caccia via dalla propria testa qualche ricordo insistente. Pare che la nausea stia peggiorando un po'.
Ninì non sa che in tutta probabilità i “luoghi magici di Roma” della sua amica sono gli stessi di Luca – Alice non ha voluto dirglielo, per non rovinarle la serata. Ecco perché la ragazza pone a lui la stessa domanda, accompagnata da un sorriso allegro e sinceramente curioso.
Alice non lo sta guardando, ma sa che Luca ha sgranato appena gli occhi nocciola, sentendosi chiamato in causa. Sa che ha poi abbassato lo sguardo, abbozzato un sorriso. Sa che ora, mentre sceglie le parole giuste per parlare, sta torturando quella maledetta bistecca, di cui non ha mangiato che un paio di bocconi, nonché il piercing al lato del labbro inferiore. Annuisce, quindi, mentre risponde: «Sì, c'è un posto».
«Davvero? E quale?» insiste Ninì, davvero troppo spontanea e diretta per sapere cosa significhi lasciare spazio a una persona riservata come Luca. Non che ad Alice importi se lui è a disagio. Sente però l'ansia salire, percependo quello sguardo che continua a cercare il suo, mentre il silenzio denso di sottintesi si protrae per qualche istante di troppo.
«Sai il negozietto di libri usati all'incrocio tra Via delle Robinie e Via dei Castani?» Be', ovviamente no, non lo sa: Ninì non è del luogo. Alice però sì. Stringe i pugni sotto il tavolo. Le viene da vomitare. Prende un respiro profondo, allunga una mano tremante fino al bicchiere e prende un altro sorso d'acqua.
Anita porta le mani sotto il mento, i gomiti ai lati del piatto le fanno da appoggio. Osserva Luca con aria rapita, aspettando che racconti di più: glielo si legge negli occhi, che quella che ha da raccontare è una bella storia. «No, non lo conosco. È un bel posto?»
Lui sorride nostalgico, ignorando l'espressione contrariata di Sebastiano che, proprio come Alice anche se per motivi diversi, pensa che non dovrebbe ricordare certe cose. «No, affatto» continua comunque lui, del tutto perso nei ricordi; la sua voce suona bassa, il tono è assorto e variegato da una traccia di nostalgica allegria. «È un posto orribile in cui sono finito per caso. Ci si trovano dei fumetti di vecchia edizione che le fumetterie non sempre hanno a disposizione, di quelli che hanno un gusto tutto particolare. Sono vissuti. È fin troppo buio, però, e puzza di muffa».
E di sigaro, aggiunge mentalmente Alice. Se chiude gli occhi riesce ancora a sentire l'odore asfissiante che stagna in quel piccolo locale. La prima volta che vi è entrata le ha girato la testa, ma ha fatto finta di nulla ed è andata lo stesso a cercare quel ragazzo dagli scompigliati capelli biondi che la fissava attraverso la vetrina.
Si ostina a non guardarlo, ma il ricordo le fa sbocciare un sorrisetto intenerito sulle labbra. Sorriso che estirpa in fretta, ricordandosi che loro due non sono più una coppia e non hanno più nulla da condividere, tanto meno sorrisi o bei ricordi. Non riesce però a impedire al proprio cuore di correre un po' più veloce, e per questo si odia.
Vorrebbe avere un po' più di controllo su se stessa, vorrebbe essere più distaccata, fin anche del tutto razionale.
«E perché questo luogo è magico?» domanda ancora Anita.
Alice la fulmina con lo sguardo – perché non smette di girare il coltello nella piaga?–, ma lei non se ne accorge, continua a sorridere.
«La vetrina...» Luca prende un respiro profondo, soffia un sorriso.
Alice non riesce a impedirsi di guardarlo, sconvolta dal sospiro appena udito, che può significare solo una cosa; fa male da morire trovare negli occhi lucidi di Luca la conferma a ciò che lei ha temuto: sta trattenendo le lacrime.
Stringe più forte i pugni sotto il tavolo.

Brucia. Raccontare certe cose con lei a pochi centimetri da lui senza poterla toccare, brucia come un mozzicone di sigaretta acceso e premuto contro la pelle. È doloroso vederla sorridere, poi pentirsene; è doloroso ricordare le ore passate tra quei vecchi fumetti usati, nella puzza di quel piccolo negozio, combattuto tra la passione per quelle illustrazioni e la tentazione di spiare la ragazza castana con gli occhi di ghiaccio, seduta a un tavolino del bar di fronte assieme all'amica ogni martedì pomeriggio. Sente ancora il cuore battere all'impazzata se ripensa a quando ha sentito il campanello alla porta del negozio suonare e, voltandosi a guardare chi fosse entrato, l'ha vista camminargli incontro di gran carriera, per chiedergli se avesse intenzione di guardarla in eterno o prima o poi le avrebbe chiesto di uscire.
Lui ha colto l'occasione al volo e le ha offerto un caffè; lei ha accettato, anche se Luca le aveva appena visto bere un espresso.
Il groppo che gli si è formato in gola gli rende difficile parlare, ma lo fa lo stesso. «La vetrina si affaccia su un bar, dall'altra parte della strada. E lì, ad un tavolino all'aperto, sedevano tutti giorni due ragazze...».
«Una... una era lei, non è vero?» gli chiede Anita, gli occhi brillanti per l'emozione. Luca sorride, un po' per la nostalgia e un po' perché quella ragazza gli fa tenerezza: sembra che stia ascoltando una fiaba, invece del racconto della sua relazione ormai conclusa. Annuisce.
È strano, ma parlando al passato è come se attingesse di nuovo coraggio dalla presenza di Alice – forse dalla vecchia Ali e non da quella seduta di fronte a lui, ma comunque da lei. È stata il suo contrappeso fin da subito, l'altro lato della sua stessa medaglia. Lo ha sempre controbilanciato, gli ha dato la carica per alzarsi la mattina, trascinarsi fuori dal letto e fare qualcosa della propria vita. Lo ha spinto a riconsiderare la monotonia della propria routine, trasformandola in una sicurezza, in qualcosa che gli piace vivere.
Stanno evitando l'uno lo sguardo dell'altra, ma Luca teme di conoscere l'espressione sul viso di lei anche non vedendola: è un cipiglio freddo, distaccato, forse addirittura acceso di scherno e adombrato dalla pietà. Lei è lì, a portata di mano, ma lontana anni luce da lui.
Ed è questo che lo terrorizza e gli fa male: lei è lì, con la nausea ad incasinarle le interiora, sicuramente offesa perché lui sta sprecando qualcosa che è solo loro raccontandolo ad altri, ma non può averla. Non può sfiorarla, non può baciarla, non può stringerla a sé e domani mattina non la vedrà al proprio fianco nel letto che hanno condiviso per più di un anno. E Luca non ha la minima idea del perché, nemmeno ricorda più cosa lei gli abbia strillato contro con odio, quando hanno litigato. Non lo sa e non gli importa. Luca sa solo che lei gli manca da impazzire, e rischia di uscire di testa davvero, se lei non gli rivolge la parola. Ha bisogno di sentire la sua voce, di essere rimproverato e preso in giro. Ha bisogno delle sue mani minuscole che gli tirano i capelli per dispetto, che gli pizzicano forte la pelle quando dice qualcosa di imbarazzante. Ha bisogno di guardarla, ma ha anche paura di farlo.
«Era lei, sì». Non sa dove trova la forza di parlare; la voce gli trema, ma continua lo stesso: «Era bellissima. Lo è ancora. L'ho vista per la prima volta per caso attraverso la vetrina, mentre sfogliavo dei fumetti. Mi è piaciuto il modo in cui prendeva in giro la sua amica, nonostante fosse chiaro le volesse bene. È sempre stata acida, ma allo stesso tempo attenta. È il genere di ragazza che si occupa di te con una premura infinita, senza stancarsene mai, anche se te lo fa pesare con mille frecciatine e lamentele campate in aria. Non ci crede nemmeno lei, che ti odia, mentre te lo dice».
«Ora basta».
Luca alza lo sguardo, sorpreso, verso Alice. Sta reggendo il bicchiere tra le mani, accostato alle labbra e guarda ostinatamente l'acqua al suo interno, mentre se ne sta seduta con schiena e spalle rigide.
Lui apre la bocca per parlare, ma non ne esce alcun suono. È Anita a chiedere: «Che cosa dici, Ali?».
Sebastiano svuota in fretta il proprio bicchiere di vino, preparandosi a quello che sta per succedere. Perché a quel punto è inevitabile che succeda qualcosa e tanto vale essere previdenti.
«Ora basta dire stronzate» ripete lei. Guarda Luca, però, e non Ninì.
Lui sente le ginocchia tremare, freme sotto il suo sguardo arrabbiato e ferito. «Perché?»
Alice non risponde. Abbozza un sorriso di scherno e aggiunge: «Sei sempre stato bravo a dire bugie».
Luca corruga la fronte. Non riesce a credere che lei abbia detto una cosa del genere. È abile a mentire – lo è sempre stato –, quando se ne presenta la necessità, ma l'ha anche sempre odiato. E con lei non è mai stato in grado di farlo. Mai, nemmeno una volta. Nemmeno per gioco. «Sai benissimo chi tra noi mentiva all'altro con più facilità» rincara allora, perché quell'insinuazione l'ha offeso. Lui non le racconterebbe mai menzogne, mai lo ha fatto da quando la conosce.
Alice spalanca la bocca, punta sul vivo da quell'affermazione. Si accorge dello sguardo di Anita che salta dall'uno all'altra, mentre inizia a rendersi conto dell'enorme gaffe che hanno fatto invitandoli lì quella sera. Nota anche Sebastiano che si fissa le mani incrociate sul tavolo, a disagio.
Allora posa il bicchiere e si alza in piedi. «Grazie della serata, Ninì. Perdona questo penoso siparietto» dice a mo' di congedo. Attraversa la sala in poche rapide falcate, recupera borsa e cappotto dall'appendiabiti e se ne va, senza una parola di più.
Luca rimane immobile qualche istante, lo sguardo perso nel vuoto, poi realizza quello che è successo. Si rende conto che sono due settimane che loro due non sono più una coppia e sono anche due settimane che lui cerca di contattarla per parlare dell'accaduto, ma lei si fa negare. Quindi si scusa a sua volta con Anita, scambia uno sguardo denso di scuse, promesse e speranze con il suo amico, poi si fionda a sua volta fuori dall'appartamento.
Mentre corre giù per le scale, sente i tacchi di Alice picchiettare ritmicamente nell'atrio del palazzo, segno che non è poi così lontana, grazie al cielo.
La raggiunge che lei sta camminando spedita lungo il marciapiede, il giubbotto ancora aperto, mentre si allaccia la sciarpa bianca attorno al collo.
La affianca di corsa, lei volta il capo dall'altra parte. Luca si ferma, spalanca le braccia e parla a voce alta con tutta l'onestà che possiede: «Non ti ho mai mentito, nemmeno una volta».
Alice lo guarda sprezzante, fa ancora qualche passo prima di fermarsi. Ed è solo per un attimo, il tempo di rinfacciargli la frase appena pronunciata: «E quindi sarei io quella che racconta frottole? Fammi il favore, Luca: cresci». Di qui riparte la sua fuga di tacchi picchiati rumorosamente contro le mattonelle grigie.
Lui non si arrende: la insegue. «Non lo so, mi hai mentito? Non so nemmeno io perché l'ho detto, Cice, non lo penso davvero».
«Chissà quante cose che non pensi davvero hai detto questa sera!» replica allora lei con astio.
Luca cammina a pochi passi da lei, di tanto in tanto la raggiunge, poi Alice aumenta il passo, lui rimane indietro e il gioco ricomincia.
«Solo che la bistecca era ben cotta, perché, perdonami, faceva schifo».
Alice lo fulmina con lo sguardo, senza nemmeno fermarsi. «L'ho cotta io» gli rivela con astio.
«Lo so. Non sei mai stata una gran cuoca» rincara lui con un sorriso sfrontato, che non la tange nemmeno per un secondo.
Perché Alice è così, quando s’impunta su qualcosa niente può farle cambiare idea, se non se stessa. E questa sera ha deciso di essere ancora arrabbiata con lui, ha deciso che non lo perdonerà mai. Una parte di lei sa che se ce l'ha con lui è solo perché le manca e ha paura di aver fatto un gran casino, ma l'altra parte, quella che sceglie cosa dire, non vuole ascoltarla.
«Benissimo, tanto ora tutto questo non è più un tuo problema, no?»
Luca si ferma sul posto, colpito da quella frase, mentre Alice continua a camminare.
«Sì» ammette. «È così. Ma perché, Cice? Cos'è successo tra noi?»
E ora si ferma anche lei, per esasperazione, diversi metri più avanti, trattenuta dall'insistenza del ragazzo. Mette le mani sui fianchi, le sottili sopracciglia ravvicinate per la collera – sembra una mamma severa che sgrida un figlio; Luca rimpiange i momenti passati in cui quella stessa scena sarebbe sfociata in una risata e qualche bacio rubato.
«Lo sai benissimo, cos'è successo tra noi!»
Luca è sincero, quando spalanca le braccia e scuote il capo; «No, non ne ho idea!»
Lei sputa una risatina sprezzante. «Smettila di fare il bambino» lo rimprovera. Fa per riavviarsi, ma le successive parole del ragazzo la bloccano: «Sai cosa so, Alice? So che mi manchi da impazzire. So che questa sera per me è stata una tortura, perché tu mi detesti ed io non ne capisco il motivo. So che non vuoi spiegarmi che cosa sta succedendo».
Lei scuote il capo, non lo lascia continuare. «Stai zitto!» gli strilla contro. «Sta' zitto, non dire stronzate! Abbiamo chiuso, hai capito? Chiuso! Basta, non abbiamo più nulla da dirci».
Luca non riesce a crederci. Tipico di Alice rinnegare tutto e non volerne più parlare. Tipico di Alice è anche avere paura del confronto, se non è certa di poterne uscire vincitrice. È proprio questa consapevolezza a fargli capire chi, in realtà, ha il coltello dalla parte del manico: lui. Forse non tutto è perduto.
Lascia cadere le braccia lungo i fianchi, mentre si avvicina camminando lentamente. «Sì, invece. Io ho tante cose da dirti. Devo dirti che mi manchi, che mi fa schifo guardare Amici la domenica sera senza di te e i tuoi commenti. C'è che non riesco più ad ascoltare la radio, perché trasmettono sempre quella merda di "I love it" e ogni volta mi sembra di sentirti, mentre la canti a squarciagola stonandola tutta. Il che, lasciamelo dire, è assurdo, perché tu, se vuoi, sai cantare benissimo!»
«Smetti di dire stronzate, Luca. Hai sempre odiato sentirmi cantare, i miei commenti alla televisione, la mia cucina. Odi sentirmi blaterare, le mie battute taglienti; mi chiami acida».
Lui continua, imperterrito, come se lei non avesse detto nulla. «Mi manca sentirti parlare al telefono a voce alta la mattina presto, mi mancano i tuoi calci nel bel mezzo della notte. Non ho più nemmeno un livido per via dei tuoi pizzicotti, sai?» aggiunge, un sorriso nostalgico in volto.
Alice scuote ostinatamente il capo. Non vuole ascoltarlo, ma non riesce ad andarsene. È come ipnotizzata da lui, dalle sue parole. Non si muove da dov'è, perché sa che ogni suo movimento non potrebbe che portarla più vicina a lui, che ha ripreso ad avanzare.
«Anche guardare The Big Bang Theory perde di significato. Non rido nemmeno una volta senza te che ti lamenti perché ti faccio perdere l'inizio di Skins».
«Dovevi pensarci prima» conclude lei in un sussurro, lo sguardo basso e gli occhi socchiusi. Ha le labbra carnose semichiuse, le guance arrossate. Luca la trova bellissima, la mangia con gli occhi ritrovando in lei tutti quei dettagli che nelle ultime due settimane ha cercato in ogni angolo della casa, senza trovarli. Nessuno sa quante volte abbia riguardato le foto di Alice sul proprio telefonino, cercando di saziare la propria voglia di vederla.
«Prima di cosa? Non so nemmeno cos'è successo quella mattina!»
Cala il silenzio sulla strada, per qualche secondo. Passa una macchina, ne passano due. Poi Alice esplode: «È successo che non ti sopportavo più, Luca Rinaldi. È successo che vedevo la tua faccia da cazzo tutte le mattine, ti spingevo giù dal letto a pedate per costringerti ad andare al lavoro, tu sbuffavi e ti sentivo lamentarti per ore, per qualunque cosa. Ti lamentavi della mia cucina, del mio disordine. Guardavi tv spazzatura, cantavi in giro per casa tutto il santo giorno oppure ti vedevo ammuffire su quel cazzo di divano verde pisello. Non so nemmeno come ci sono finita, a vivere con uno che guarda Le Tartarughe Ninja la domenica mattina!» Lascia cadere a sua volta le braccia lungo i fianchi, stanca, mentre – Luca ne è certo – sta combattendo contro le lacrime che minacciano di bagnarle il volto trasfigurato da una smorfia frustrata. «E sai cosa mi sta più sul cazzo di tutto, Luca?» sputa di nuovo, cercando di mascherare la voce rotta con un colpo di tosse.
Lui smette di camminare a poco più di un metro da lei. Ha il respiro affannato, lo hanno entrambi.
«Che cosa?» chiede.
Alice abbassa lo sguardo sui piedi di Luca. Una parte di lei li rivede sporti oltre lo schienale del divano di quell'improponibile colore verde acceso, mentre legge un fumetto a testa in giù. Sorride, tra le lacrime che ormai non riesce più a frenare. «Tutto questo mi manca» risponde in sussurro.
Luca la guarda, le sue labbra si dischiudono quando quelle parole lo colpiscono come un pugno nello stomaco. Gli manca l'aria per un istante, quello dopo le sta accarezzando una guancia umida, guardandola dall'alto, così vicino che la voglia di abbracciarla gli impregna dolorosamente i muscoli. Si trattiene, però, spaventato all'idea che lei possa sgusciare via e fuggire fuori dalla sua portata un'altra volta. «Che cosa ci impedisce di riprendercelo?» le chiede dolcemente, appigliandosi così a quell'ultimo barlume di speranza. Non le sta solo chiedendo spiegazioni, le sta offrendo la possibilità di ricominciare da dove si sono fermati, di lasciare che sia lui a cucinare per entrambi e lei a scegliere i film, di passare le serate a commentare la TV spazzatura fingendosi poco interessati; le sta proponendo di tornare a dormire con lui, di ritrovarsi nella propria quotidianità quando si cercano. Le sta chiedendo di guardare Le Tartarughe Ninja con lui la domenica mattina, perché gli ricordano la casa in cui è cresciuto; di scegliere insieme un divano nuovo dal colore meno disgustoso, di non vedere la fine di The Big Bang Theory pur di permetterle di guardare l'intero episodio di Skins.
Alice scuote il capo con la stessa ostinazione di una bambina capricciosa. Sta piangendo, ma al momento non le importa.
Ha vissuto gli ultimi diciassette giorni chiusa in casa, senza Luca, combattendo per auto-convincersi di aver fatto la scelta giusta. È sopravvissuta al torpore di una vecchia routine non più sua, chiusa nella propria camera da adolescente, a casa della madre, rifiutando di rispondere alle sue domande come a quelle di Angela e Francesco – i fratelli. La loro storia è finita e basta, non esistono perché, come, quando, se e ma. Esiste solo la parola “fine”.
Si è costruita attorno un muro di ostinazione e menzogne a cui attaccarsi per non dover tornare sui propri passi, per non ammettere di aver sbagliato, di aver avuto paura.
Non si può tornare indietro; ecco cosa significa il suo testardo scuotere il capo. Non si può. Ora lo sa, se ne rende conto, che ha fatto uno degli errori più grossi della sua vita lasciando Luca, ma ormai è tardi ed è giusto pagare per i propri errori. Merita di brancolare nella monotonia delle proprie giornate trascorse in solitudine, merita di soffrire quella perdita che si è auto-inflitta.
«Non si può tornare indietro» ripete in un sussurro soffocato da un improvviso singhiozzo. Le manca ancora l'aria, fatica a respirare, lo stomaco si contorce dolorosamente.
Non ha la forza di allontanare le carezze del ragazzo, di sottrarsi all'infrangersi del suo respiro sulla propria fronte; freme dalla voglia di rifugiarsi tra le sue braccia, l'unico luogo in cui si sente davvero al sicuro, ma stringe i pugni, piega il capo e se lo impedisce. Non può, non è giusto; deve smettere di ferire le persone, deve imparare sulla propria pelle cosa significhi avere a che fare con Alice Fabbri. Non è mai stata in grado di perdonare qualcun altro, perché dovrebbe saper perdonare se stessa?
Si è sempre sentita migliore degli altri, ma la realtà è che si sbagliava. Non è niente più che una ragazzina stupida e presuntuosa.
È stata la paura ad allontanarla da quei sorrisi con la lingua tra i denti e dagli occhi vigili che mai l'avrebbero abbandonata. È la paura a impedirle di riprenderseli, di tuffarsi tra quelle braccia che profumano di casa.
Sta singhiozzando, quando è lui a stringerla a sé. Inspira quell'odore che ha cercato tante volte affondando il naso nei propri vestiti negli ultimi giorni, quell'odore che è svanito fin troppo in fretta dalle narici ma non dai ricordi.
«No» protesta debolmente, senza tuttavia cercare davvero di allontanarlo. «È tardi, Luca, è tardi».
È tardi per cosa?, le chiede lui, poi affonda il volto tra i suoi capelli, ne annusa il profumo fruttato del balsamo. Un formicolio allo stomaco lo informa che è sempre lo stesso, che lei è sempre la stessa. La stessa ragazza che combatte la propria battaglia remandosi contro da sola, troppo severa con gli altri ma soprattutto con se stessa. Non si è mai perdonata un solo errore, non ne ha mai dimenticato uno e non ha intenzione di farlo nemmeno ora. La conosce bene come nessun altro, ecco perché sa esattamente cosa sta pensando. È questo a fargli male e, allo stesso tempo, a dargli speranza.
«Perché no?» le chiede con urgenza; la pazienza è sempre stato il suo forte, al contrario di Alice, ma ora non ha energia da sprecare nell'attesa. È stanco; stanco di sentire la sua mancanza, di chiedersi cosa non andasse tra loro.
Erano felici, insieme; non di quella felicità zuccherosa con i colori dell'arcobaleno, che dopo due cucchiai impasta la bocca e fa venire voglia di affogare il tutto con una bottiglia di limonata.
La loro era una felicità sporcata dal fumo delle sigarette di Luca e dai colpi di tosse forzati di Alice, insaporita dalla pizza del venerdì sera e dal tè ogni mattina; un insieme di piccole cose, di compromessi e bisticci, prese in giro, sorrisi, baci rubati, morsi, pizzicotti e capelli tirati. Una soddisfazione agrodolce, che non annoia mai, che si porta con sé in mezzo alla gente anche se non si sta tutto il tempo mano nella mano, che dà la forza di arrivare a fine giornata.
«È troppo tardi!» sbotta lei, la voce acuta. Lo spinge via.
Lui la lascia fare, scioglie l'abbraccio, fa un passo indietro, ma non si arrende. «È tardi per cosa, Alice?» grida ora, le braccia spalancate e l'esasperazione a spegnergli lo sguardo. «Tu sei qui! Io sono qui! Per cosa è tardi? Cosa?»
«Per tutto!» strilla lei allora, stringendo i pugni per la disperazione, le braccia tese lungo i fianchi. È tutto così difficile; perché? Si passa le mani tra i capelli, scuote ancora il capo come se non fosse in grado di fare altro. È stanca, troppo stanca. Vorrebbe spegnere il cervello, premere il tasto rewind e tornare indietro di quei diciassette giorni per impedirsi di lasciarsi prendere dal panico e di sputare tutte le menzogne che l'hanno allontanata da lui. Luca ha ragione: è sempre stata lei l'unica a mentire, tra loro. Lo sa e per questo si odia ancora di più.
Una macchina passa loro accanto, centra una pozzanghera, li schizza.
«Vaffanculo!» le urla dietro Alice, con tutta la rabbia che ha in corpo. Rabbia indirizzata per lo più a se stessa e alla propria incapacità di affrontare la vita nel modo giusto. L'unica cosa che le ha impedito di detestarsi, durante tutto quell'anno, è stato Luca. La sua presenza al suo fianco, i suoi sorrisi e la consapevolezza di essere amata da qualcuno le hanno impedito di pensare alla propria stupidità, al solito ossessionarsi ai propri errori senza mai perdonarli.
«Vaffanculo» ripete in tono più basso e rassegnato. Le ginocchia tremano, lei si piega su se stessa. Il dolore le rimbomba dentro, le contorce lo stomaco, fa pulsare le tempie. Singhiozza, nascondendo ora il volto fra le mani. Poi si rialza, lo guarda negli occhi e scuote il capo un'ultima volta. «N-no, Luca, non si può...»
Luca non la lascia finire. Copre con un solo passo la distanza tra loro, lascia scorrere le mani sulle maniche a tratti bagnate del suo cappotto fino a cingerle i gomiti. «Sì, invece» la corregge. «Sì, Cice, si può. Perché non dovrebbe?»
«Perché non è giusto!» risponde, gli occhi leggermente sgranati per palesare l'ovvietà di quell'affermazione. Affonda il volto nella sciarpa e prende un respiro profondo; deve calmarsi, riprendere il controllo di sé.
Luca cerca di sorridere e inclina il capo da un lato. «E chi se ne frega, se è giusto o meno? Ci siamo solo io e te, qui. Io so cosa voglio. Tu lo sai?»
Cosa vuole?, gli domanda lei sottovoce. Sente le palpebre pensanti per via del pianto, vorrebbe andare a casa – a casa con lui – e dormire.
«Voglio svegliarmi accanto a te, domani mattina, che avrai strofinato i piedi freddi contro le mie gambe per scaldarli. Sai quanto amo riscaldarti, vero? Voglio sentire il tuo profumo sul cuscino, il suono irritante della tua stupida sveglia. Ho voglia di ritirare la testa sotto le coperte e ridere piano finché non mi spingi sul pavimento. Voglio far finta di non ascoltarti, quando mi vesto, mentre ti lamenti perché sono troppo magro».
Alice si lascia sfuggire un sorriso nostalgico. È meno doloroso sentirsi dire certe cose, ora che sembrano a portata di mano. «Tu sei troppo magro» gli ricorda, tirando su col naso. Lo guarda, mentre parla; lo osserva in ogni minimo dettaglio, sorprendendosi di scoprire tutto al proprio posto. Sono passati solo diciassette giorni, ma sembra un secolo; quasi si aspettava di trovarlo cambiato.
Luca le sorride, avvicinandola un po' di più a sé. Fa scontrare delicatamente le loro fronti, le lascia un leggero bacio sulla punta del naso. «E tu sei troppo severa con te stessa» ricambia.
«Lo so, ma tu dovresti davvero mangiare di più» insiste lei, in uno sciocco tentativo di svicolare per non dover affrontare l'argomento. Lui non merita un disastro come lei nella sua vita. È ancora convinta di aver sbagliato tutto, di essere stata una stupida, ma, proprio come ha sempre fatto, la vicinanza di Luca sta allontanando i suoi demoni.
«Oppure potrei lasciare che sia tu a cucinare per sempre e morire di fame» propone lui, ridendo.
Alice fa una smorfia, cerca di spingerlo via; «Sei il solito stronzo» lo accusa.
Luca la sente, la tensione che cala. Ecco perché ride; lascia che lei si divincoli dalla sua presa solo per poterla poi abbracciare da dietro e accarezzarle una guancia con la propria. «Be', sì» conferma con un sorrisetto divertito. Il groppo in gola è sparito, i suoi occhi sono lucidi, ma non sta più trattenendo le lacrime. La speranza è cresciuta, lo spinge a posare un leggero bacio sulla guancia di lei. «E tu? Sei sempre la solita acida?»
Alice rimane in silenzio qualche istante, concentrata sulla sensazione della barba rada che torna a graffiarle la pelle, poi sbuffa. «Secondo te?»
«Mh, non lo so» mormora, mentre affonda il volto nella sua sciarpa per strofinare il naso contro il collo e bearsi di quel profumo che tanto gli è mancato. «Mi sembravi mansueta prima, a tavola».
Lei si divincola dalla sua presa, infastidita. Luca la lascia sgusciare via, sentendo il cuore fare una capriola, quando torna da lui e gli getta le braccia al collo. «Sai com'è» gli dice. «Qualcuno stava cantando le mie lodi ai quattro venti».
Le circonda la vita con le braccia. «Ai quattro venti!» Luca ridacchia, gettando il capo all'indietro. Il cielo su di loro è stranamente sereno, dopo l'acquazzone che ha imperversato quel pomeriggio; sperare di vedere le stelle sarebbe davvero troppo, ma è un bene, perché non avrebbe il tempo di stare a guardarle. C'è qualcosa, tra le sue braccia, che merita molto di più la sua attenzione. «Mi piace la tua riservatezza» osserva, tornando a guardarla.
E il suo sguardo è così intenso che Alice non può che alzarsi in punta di piedi e lasciargli un bacio a fior di labbra. Luca rabbrividisce – gli era mancata quella sensazione – e si affretta a ripristinare e approfondire quel contatto. Un braccio continua a cingerle possessivamente la vita, mentre l'altra mano sale ad accarezzare il collo, le guance umide, i capelli stravolti di Alice. C'è una certa urgenza in quel bacio, ma ci sono anche perdono, speranza e un'infinita tenerezza.
Quando si separano, Luca ha gli occhi chiusi, la fronte su quella di lei e un sorriso che si espande spontaneo sulle labbra morbide. «Mi sei mancata da impazzire. Perché mi sei mancata così tanto?» mormora, la mano che torna lentamente sulla sua schiena esile.
Lei abbozza un sorriso dispiaciuto. «Perché mi ami» risponde. E lo sa, sa di aver ragione, sa che Luca la ama da morire. Lo percepisce, lui glielo fa capire in tutti i modi possibile.
È lei quella incapace di dimostrare amore. È lei quella che, quando si è resa conto di innamorarsi di lui ogni giorno di più, ha avuto paura ed è scappata.
«No» la corregge lui. «Perché hai fatto in modo di mancarmi così tanto?» si spiega meglio.
E Alice lo sa fin dall'inizio che è questo che vuole sapere. Perché ha combinato tutto quel casino?
«Io... non so amare le persone. Faccio casini, sono egoista e stupida» ammette con un sospiro rassegnato. È così, lui non può negarlo. Alice non ci ha pensato due volte a scatenare una lite piena di bugie e rancori inesistenti per aver l'occasione di fuggire. «Mi dispiace» sussurra.
Luca la stringe ancora un po' di più a sé, le lascia un bacio sulla fronte. Anche lui è spaventato dall'amare così tanto qualcuno. È terrorizzato dalla forza distruttiva di quel sentimento, ne ha provato sulla pelle un assaggio in quelle due settimane e ne ha paura. Ne ha paura, ma è disposto a sfidare quel sentimento, a lasciarlo crescere, sbocciare, fin anche appassire. Vuole viverlo perché, se lo sente nelle ossa, ne vale la pena. Alice ne vale la pena, vale tutte le pene dell'inferno.
«Torni a casa con me stasera» le dice.
Non vuole essere una domanda, ma lo sembra. Alice si sorprende, accorgendosi che Luca teme una risposta negativa. Sorride e lascia scivolare una mano sotto al maglione del ragazzo, per poi stringergli forte un lembo di pelle tra le dita. Lui emette un lieve lamento di dolore, accompagnato da una smorfia, e lei ride. «Hai detto che ti sono mancati i miei pizzicotti, Luca Rinaldi, ora non puoi rimangiarti la parola».
  
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