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Autore: Martowl    13/05/2014    3 recensioni
C'erano cose, nella vita di Ginevra, che non dovevano essere spiegate. Ad esempio l'abbraccio di Emanuele, il suo sorriso, o la piega che prendevano le sue labbra quando era arrabbiato.
Però c'erano cose che non capiva, per esempio quanto l'oceano fosse grande e come si mostrasse, durante una tempesta, nello sguardo di Matteo.
***
Dal prologo:
''Lo avrebbe voluto urlare al mondo, Ginevra era bella ma Ginevra non era su.''
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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La tempesta dell’oceano.
 
Ginevra pensava fosse semplice stare nell’abbraccio di Emanuele. Lo trovava sempre, appena alzava gli occhi, notava il suo sguardo su di sé che la scaldava e la faceva sentire al sicuro.
Passavano quei dieci minuti di pausa abbracciati, ridendo e scherzando con gli altri, ma pur sempre uniti. Oramai tutti erano abituati a vederli insieme.
Ginevra, a sua volta, era abituata a sentire quella leggera carezza nei suoi fianchi, così come Emanuele era abituato a sentire quelle mani fredde passare sotto la maglietta e appoggiarsi, a palmi aperti, sulla sua schiena.
Non erano un segreto, i sentimenti che provavano l’uno per l’altra. Il fatto che non stessero assieme, era una domanda che in molti si ponevano e loro non si erano mai sbilanciati troppo.
Però Ginevra ed Emanuele ne avevano parlato a lungo, nei loro momenti d’intimità.
Per spiegare quei due si poteva semplicemente parlare dello Yin e dello Jang. Ginevra era, senza dubbio, la parte nera, la negatività.
Mentre Emanuele era la positività.
Ciò non significa che a ragazza fosse sempre arrabbiata, ma era conosciuta per via del suo carattere alquanto particolare.
Oltretutto il fatto che dovesse confrontarsi con l’anima buona e romantica di Emanuele, la mandava tremendamente in crisi.
Era successo spesso, che il ragazzo si sentisse preso in giro dalle battute di Ginevra, seppur lei parlasse con affetto.
Avevano provato a stare insieme, ad arrivare a un livello superiore, ma il risultato non era proprio quello sperato.
In uno di quei weekend in cui la ragazza rimaneva sola, per via degli impegni che portavano lontano la sua famiglia, aveva invitato Emanuele e avevano parlato abbracciati sotto le coperte.
«Ema, non funziona» disse lei, stringendo la maglia del ragazzo per non dargli la possibilità di scappare.
«Lo so». Non aveva aggiunto altro. Si era avvicinato maggiormente alla ragazza ed era rimasto.
«Non voglio perderti, però» aveva risposto, sottovoce.
«Nemmeno io» si era sentita dire.
Si erano addormentati così, abbracciati vicini, senza riuscire però a completarsi.
 
Quando Davide, all’inizio della settimana, aveva cominciato con le sue battute, era rimasto sorpreso davanti al sorriso amareggiato di Emanuele.
Era così girata velocemente la voce della fine di quella storia.
Ad ogni modo, Ginevra non fu disturbata da nessuno, come se avesse un cartello di proprietà privata.
Era anche per quello che tutti smisero di parlare, all’arrivo di quel giovane.
Ginevra alzò lo sguardo, richiamata da quel silenzio.
«Scusate ragazzi, sapete dirmi dove posso trovare la professoressa Pili?».
Fu così che Ginevra riconobbe quel tono roco.
«Matteo?» disse, sconcertata.
E un leggero brusio si alzò, dopo quel nome. Tutti sapevano dell’esistenza di un Matteo, nella vita della ragazza.
La carezza di Emanuele s’intensificò sui suoi fianchi, mentre lei cercava di sciogliere l’abbraccio.
«Ginevra?» sembrava sorpreso Matteo. «Non ti ho più visto, agli allenamenti» constatò.
E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Un mormorio più evidente si espanse, mentre Emanuele sbuffò.
«Il nuotatore, immagino» borbottò, contro i capelli della ragazza.
Il nuotatore era il suo soprannome. Nessuno capiva perché non lo chiamasse per nome.
«Sono partita, per due settimane. Sono venuta solo un giorno, ma tu non c’eri» rispose Ginevra, ignorando l’altro.
Lo sguardo che si scambiarono fu talmente intenso che anche Emanuele si sentì di troppo.
«Come mai cercavi la professoressa Pili?» chiese Giorgio, un amico dei ragazzi, che aveva partecipato passivamente a quell’incontro.
Matteo rinsavì.
«Sono il suo nuovo assistente, almeno fino al ritorno della Galiardi che è in maternità».
Un brusio si diffuse in tutto il gruppo.
Quel Matteo, quello che era finito sulla bocca di tutti, l’unico motivo del rossore evidente sul viso di Ginevra, quel Matteo, era il nuovo professore di Ginevra, ma nessuno ebbe il coraggio di esternare quel pensiero.
 
«Corredo, è arrivato!» sorrise la professoressa Pili, una donna abbondante, con una voce buona e innamorata dei suoi alunni.
«Salve professoressa, la stavo cercando» sorrise Matteo.
Era bello guardare gli occhi di Matteo. Non erano mai uguali.
Matteo non parlava con le parole, Matteo era capace di parlare con gli occhi.
Quando sorrideva, oltre le leggere rughe ai lati, le sue iridi diventavano lucide, con un azzurro intenso, difficile da classificare.
Matteo riusciva a creare un oceano, nei suoi occhi.
Per ogni persona, per ogni emozione, Matteo creava qualcosa.
Quando non si divertiva, vedevi solo un piccolo fiume, quando era arrabbiato, un iceberg prendeva possesso di tutto. Quando stava bene, proprio come in quel momento, c’era il mare. Un mare piatto, tranquillo. Solo una volta aveva visto l’oceano, cioè quando era davanti alla vasca della piscina. Prima di tuffarsi, la guardava in tutta la sua lunghezza, e sorrideva, come se da lei –da quell’oggetto inanimato- ne dipendesse la sua felicità, come se fosse capace di dargli le risposte che nessun altro era stato capace.
E per quanto nessuno lo capisse, Ginevra ci riusciva.
Anche Ginevra, aveva le risposte in acqua. I suoni attutiti, il dolore delle braccia, gli occhi che bruciavano erano la cosa più bella per Ginevra, paradossalmente. Riusciva finalmente a sentirsi a casa; ed era bello poi guardare Matteo e notare di non essere sola.
 
Al suono della fine dell’intervallo, ognuno prese la sua strada. Emanuele, però, la fermò per un polso.
«Non mi piace come ti guarda» borbottò, fissando il punto in cui Matteo era scomparso.
Ginevra non era stupida, sapeva ciò che la gente pensava di loro, sapeva di essere una sua proprietà, per l’intera scuola. Era anche compiaciuta dall’affetto che la legava al ragazzo, però sapeva quanto questo a volte era pesante.
«Ema, a te non piace nemmeno lo sguardo che mi rivolge il professor Levissi ed è strabico» sorrise divertita dal broncio del ragazzo.
Lo salutò con un leggero bacio sulle labbra e andò per la sua strada.
 
«Non sapevo stessi con qualcuno» la spaventò la voce di Matteo.
Matteo, che la sovrastava di tutta una testa. Con le sue spalle larghe, il sorriso beffardo.
Matteo che la completava dentro, ma che andava contro ogni suo canone di bellezza.
Il principe azzurro non lo aveva mai voluto, sua madre la chiamava Principessa Ribelle, perché cercava sempre un paio di occhi verdi, con dei riccioli lunghi ribelli di un castano scuro.
Matteo era biondo, con dei riccioli talmente corti, da essere quasi invisibili. Gli occhi di un azzurro fuori dal comune. L’unica cosa che adorava, forse, era la protezione che le davano le sue spalle larghe.
Emanuele, in confronto, era perfetto. Adorava passare minuti interi con le mani perse tra i suoi ricci, tirandone a volte alcuni, facendo comparire una smorfia nel viso del ragazzo, magari proprio sotto quegli occhi verdi che, con il passare del tempo, aveva riconosciuto come casa.
Ma Emanuele era il fratello, era la casa di famiglia, era il bilocale dell’infanzia.
Mentre Matteo era il buio. Questo perché nulla, in quel corpo, diceva tranquillità. Urlava caos, con tutta la forza che possedeva.
Caos erano i suoi passi veloci, caos erano le sue bracciate in acqua, caos erano i suoi occhi.
 
Caos, però, era diventato il centro della vita di Ginevra.
 
«Non sapevo saresti venuto a insegnare qui» rispose, senza in realtà rispondere.
«Non pensavo fosse importante» disse lui.
«Mi scusi, devo tornare in classe» borbottò, seria Ginevra, ricevendo come risposta una risata.
«Da quando in qua ci diamo del lei?» domandò divertito Matteo.
Ginevra lo guardò, senza muoversi.
«Da quanto lei è un mio professore».
Matteo perse il sorriso.
Ghiaccio.
Eccolo il caos.
 
Erano passati giorni interi da quella conversazione, erano giorni che Ginevra evitava Matteo, erano giorni che cercava di non pensarci, con scarsi risultati.
In classe, era l’argomento principale.
Quelle situazioni accadevano nei film, nelle storie che leggeva su internet sua sorella Eleonora.
Quelle situazioni non potevano accadere a lei.
Quando capitavano le ore della Pili, Ginevra tendeva a chiudersi a riccio, evitando accuratamente gli occhi di Matteo che, puntualmente, sentiva su di sé.
Matteo, da parte sua, non si spiegava tutto quell’interesse e quel disinteresse, da parte della ragazza.
Era certo di non esserseli sognati quei sorrisi, all’allenamento.
Quegli occhi divertiti, vivaci, che sapevano di veri.
Era certo di aver trovato un rifugio, un buon posto caldo, ma quando l’aveva vista tra le braccia di quel ragazzo, quando aveva sentito il gelo, dopo la rivelazione del suo nuovo posto di lavoro, non ne era tanto convinto.
E poi rimaneva quell’impiastro, quello dagli occhi verdi, dai riccioli scomposti che gli cadevano malamente sul volto.
Emanuele non gli toglieva gli occhi di dosso, quando aveva lezione in classe sua, e lui non faceva nulla per evitare quella situazione.
Emanuele non toglieva gli occhi di dosso nemmeno a Ginevra e vedendo i comportamenti degli altri ragazzi, quella era una situazione normale.
Ginevra salutava tutti, Ginevra sorrideva ai professori, Ginevra accettava qualsiasi lavoro. Ginevra era bella.
Ed era strano pensarlo, era strano sorridere quando lei sorrideva, era strano anche fregarsene di mostrare i propri sentimenti.
Lo avrebbe voluto urlare al mondo, Ginevra era bella ma Ginevra non era sua.
 
Discorsi insensati di una mente mentalmente stabile.
 
Buonasera care menti malate che seguono la mia instabilità,
questa è una piccola storia partorita durante le ore noiose del mio quinto anno.
Durerà due capitoli e questo, seppur in sede separata, era per presentarvi i personaggi e la loro situazione, sentimentale e non.
Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto o che vi sia piaciuto e se qualcuno di voi, seguisse la mia instabilità –sì, ancora!-  gradirei davvero tanto una piccola recensione, anche con scritto ‘Ciao, fa cagare, ciao!’.

Grazie per aver letto,
un bacio.
 
Martowl.
   
 
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