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Autore: Jales    14/05/2014    4 recensioni
Sbuffai e mi avvicinai all’oblò, affacciandomi.
Mare, mare e ancora mare.
Non c’era altro se non quella stupida ed infinita distesa d’acqua che si estendeva per miglia e miglia in ogni direzione.
Sbuffai ancora e camminai fino alla sedia di fronte alla scrivania dove mi lasciai cadere a peso morto, lasciando andare indietro la testa e chiudendo gli occhi.
{Storia a quattro mani, Madness in me&Jales}
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo I}

Ero sdraiata sul letto, occhi chiusi e una mano aperta sullo stomaco a cercare di fermare quell’odioso senso di vomito causato dal continuo ondeggiare di quella dannata nave.
Il fastidioso rumore del mare mi stava facendo impazzire e le stupide voci sommate al rumore dei passi dei marinai al di sopra della mia testa non mi aiutavano a calmare i miei nervi.
Aprii gli occhi e mi tirai su di scatto, decisione che rimpiansi quasi subito dato che fui costretta ad appoggiarmi ad una parete della mia cabina per evitare di crollare al suolo a causa di un giramento di testa causato dal mio stupido scatto.
Sbuffai e mi avvicinai all’oblò, affacciandomi.
Mare, mare e ancora mare.
Non c’era altro se non quella stupida ed infinita distesa d’acqua che si estendeva per miglia e miglia in ogni direzione.
Sbuffai ancora e camminai fino alla sedia di fronte alla scrivania dove mi lasciai cadere a peso morto, lasciando andare indietro la testa e chiudendo gli occhi.
Dopo qualche minuto passato così, iniziai a sentire un leggero fastidio alla testa così mi tirai su, mi alzai in piedi e camminai fino all’enorme specchio, piazzandomici davanti.
Fissavo, disgustata, l’immagine che vedevo riflessa.
Una ragazza di soli 16 anni, per niente alta, lunghi capelli rossi che le arrivavano  fino a metà schiena, occhi color cioccolato, incastrata in un enorme vestito verde smeraldo pieno di pizzo e schifezzuole varie.
Quanto odiavo essere costretta a vestire in quello stupido modo, perché non potevo portare dei comodi pantaloni come gli uomini ?
Che avevo io in meno rispetto a loro per essere costretta in abiti così scomodi, fastidiosi e per giunta ridicoli ?
Imprecai, sottovoce perché, sì, a noi donne non era permesso nemmeno quello.
Niente parolacce, niente bestemmie, non era femminile, cortese o adatto ad una principessa.
Ma fanculo.
Non avevo chiesto di nascere donna e tantomeno principessa.
Calciai la sedia e mi affacciai di nuovo all’oblò, ispirando un po’ d’aria fresca.
Mi sarebbe piaciuto, davvero tanto, scappare da quel mondo stupido in cui ero segregata, invece no.
Ero su quella nave diretta verso il peggiore dei miei incubi.
Un uomo burbero, stolto e per giunta orribile mi attendeva.
Dove? Non ne avevo idea.
Sapevo solo che, da qualche parte oltre il mare, quest’uomo chiamato Jeremiah... Jeremiah qualcosa, mi attendeva per prendere la mia mano.
Non lo conoscevo se non di vista ed ora? Ora ero costretta a legarmi a lui per il resto della mia insulsa vita e per qual motivo? “Sei una principessa e come tale, devi avere il coraggio e l’intelletto necessari a capire quando è necessario donare la tua vita al tuo regno.” aveva detto mio padre.
Mio padre, lo stesso uomo che non era neanche venuto con me, su quella nave stupida e puzzolente, in questo viaggio noioso e senza senso che mi portava verso la fine della mia vita.
Il coraggio?
L’intelletto?
Il mio regno?
Stronzate.
Io ero solo una pedina, una stupida ragazza costretta a buttare tutta la sua vita per qualcosa di stupido ed insensato.
Sbuffai ancora, tornando a sedere sullo scomodo giaciglio di paglia camuffato da una coperta che usavo come letto da circa 15 notti.
Qualcuno bussò alla porta.
Provai ad ignorare, ma bussarono ancora.
“Azriel? So che sei sveglia, ti ho sentita camminare. Apri la porta, sono io, Alice.”
Sospirai e mi alzai, raggiunsi la porta, girai l’enorme chiave due volte e lasciai entrare la mia unica amica.
Chiusi la porta appena Alice fu entrata e mi voltai a guardarla mentre si sedeva.
I suoi lunghissimi capelli neri lasciati sciolti che raggiungevano quasi il sedere, delle sottili labbra rosa e i suoi enormi occhi neri, anche lei costretta in un enorme e scomodo vestito blu, pieno anch’esso di merletti.
Presi posto sul letto, dritta davanti a lei e la guardai mentre chiudeva gli occhi e lasciava andare all’indietro la testa, stessi movimenti che pochi minuti prima avevo fatto anche io.
Anche Alice era una principessa ed anche lei si trovava su quella nave perché era promessa sposa ad un uomo che non conosceva, tutto per il suo regno.
Io e Alice ci eravamo conosciute esattamente 16 giorni prima, quando lei stessa era giunta al mio castello per imbarcarsi insieme a me.
Gli uomini che avremmo dovuto sposare erano fratelli e si dividevano il potere di un solo regno, questo significava che io e Alice avremmo passato il resto delle nostre vite insieme.
Ciò non mi dispiaceva affatto perché in quei sedici estenuanti giorni avevo avuto il piacere di scoprire che io e lei eravamo terribilmente simili.
Anche lei odiava i vestiti ingombranti, anche lei era scurrile come me e sognava continuamente di poter scappare da tutta quella stupida vita.
Solo che, rispetto a me, Alice era molto più silenziosa.
“Quanto manca?” domandai, improvvisamente.
“Il capitano ha detto circa sette giorni.” Disse Alice, spegnendo di colpo il sorriso che aveva tenuto in volto fino a quel momento ed iniziando a fissare un punto indefinito del pavimento di legno della cabina.
“Gli ultimi sette giorni di libertà..” sussurrai, sconfortata.
Alice sbuffò.
La vidi alzarsi e piazzarsi davanti all’oblò, dandomi le spalle.
Sbuffò di nuovo.
Qualcuno bussò alla porta.
“Chi è?” gridai.
“Principessa Azriel, sono il capitano, volevo semplicemente domandare se la principessa Alice fosse con lei.”
“Sì, è con me.” Guardai Alice, confusa.
Il capitano non si muoveva quasi mai dalla sua postazione e ancora più raramente veniva a cercarci di persona.
“Volevo pregare vostre altezze di non muovervi dalla vostra cabina per nessun motivo al mondo, siamo in zona di pirati e non vorremmo che qualche burbero potesse avvistare vossignorie sul ponte della nave e tentare un abbordaggio per farvi del male.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Grazie dell’informazione, non ci muoveremo di qui.” Annunciò Alice.
Sentimmo i passi del capitano allontanarsi e quando fummo sicure che fosse tornato sul ponte, sbuffammo sonoramente entrambe poi Alice tornò a guardare fuori dall’oblò ed io mi sdraiai nel letto, chiudendo gli occhi.
“Non sarebbe fantastico?” disse, improvvisamente gioiosa, Alice.
“Cosa?” domandai, voltandomi di scatto.
“Immagina, Azriel, chiudi gli occhi e immagina.” Disse, avvicinandosi al mio letto, inginocchiandosi e prendendo la mia mano.
“Cosa devo immaginare?” chiesi, confusa.
“Chiudi gli occhi e ascolta ciò che ti racconto.” Disse lei ed io obbedii, chiudendo gli occhi e rimanendo in ascolto.
“Immagina, un uomo coraggioso, bello e muscoloso che arriva, abbordando la nave e sfondando la porta di quetsa cella al grido di ‘SONO QUI PER SALVARE LA PRINCIPESSA’ e ti porta via, via da quei marinai tutti impettiti, via da quello stolto capitano barbuto, via da questa vita non nostra e ci porta via per essere finalmente felici, amate e magari anche rispettate!” C’era speranza, vitalità e gioia, nella voce della mia amica.
E mi lasciai trasportare da tale gioia.
Immaginai delle calde braccia che mi tenevano stretta, una soave voce che mi sussurrava parole dolci all’orecchio, una casa piccola ma accogliente in cui vivere per il resto della mia vita, finalmente felice.
Tra un’immagine e l’altra, una leggera lacrima scivolò, selvaggia, giù da un mio occhio.
“Azriel?” domandò Alice.
Aprii gli occhi e mi misi a sedere, senza lasciare la mano della mia amica che se ne stava in ginocchio sul pavimento.
“No.” Sussurrai.
Mi guardò, interrogativa.
“No, niente salvataggi in extremis, niente porte sfondate, niente grida e nessuna principessa salvata, mia cara e dolce Alice. Purtroppo non accadrà e riempirci la testa di sogni che saranno frantumati al suolo, non ha senso.” Le carezzai una guancia e la vidi chiudere gli occhi. “Apparteniamo ad un modo che non ci rispetta e che mai lo farà. E’ il destino che è stato scritto per noi e non possiamo cambiarlo. Dobbiamo solo essere forti.” Sussurrai, sentendo un terribile peso al centro del petto.
Alice non pianse, non disse nulla.
Annuì, fredda come il ghiaccio, carezzò una mia guancia poi si sdraiò sul letto, voltandosi di lato e dandomi le spalle.
Lentamente vidi il suo respiro diventare sempre più regolare e la vidi sprofondare in un sonno che, sperai, l’avrebbe tenuta lontana almeno per un po’ da quell’oscura realtà in cui eravamo costrette.
Mi alzai lentamente dal letto e raggiunsi di nuovo lo stupido oblò e ricominciai a fissare l’infinita distesa di mare.
Improvvisamente mi ritrovai a riflettere sulle parole di Alice, sorridendo.
Quanto sarebbe stato bello essere salvate.
Mi voltai a guardare Alice che dormiva tranquilla, sospirai e tornai a guardare il mare.
Non credevo in nessun tipo di dio, nessuna divinità sovraumana quindi non potevo pregare nessuno.
Temevo solo la meschinità dell’uomo.
Decisi che avrei fatto una passeggiata sul ponte.
Mi incamminai verso la porta e feci girare una volta la chiave, quando stavo per dare la seconda mandata Alice mi chiamò.
Mi voltai a la trovai, con gli occhi sgranati, seduta al centro del letto.
“Dove vai?” mi domandò.
“A passeggiare sul ponte.” Risposi, calma.
“Ma il capitano ha detto...” Si fermò.
“Non mi importa di cosa ha detto quello stupido dannato capitano, Al, figurati se qualcuno abborda questa nave orribile e malandata. E se anche dovesse accadere beh... morire per mano di un pirata sarebbe sicuramente meglio del futuro che mi attende, incatenata per il resto della mia vita ad uno stolto che se ne frega di me e mi vuole solo per il nome che sono costretta a portare.”
Rimasi a fissare Alice che, sconvolta, mi fissava in silenzio.
“Ti prego di non odiarmi per la cattiveria e la rabbia nelle mie parole.. sono semplicemente rassegnata.” Sussurrai, incamminandomi verso il letto e sedendomi sul bordo.
Alice poggiò la sua mano su una mia spalla.
La guardai e, dolcemente, mi sorrise.
Era il suo modo silenzioso di dire ‘non fa nulla’.
Sorrisi debolmente anch’io.
Stavo per parlare quando un botto sordo dal piano superiore mi fece zittire.
Rimasi in ascolto col cuore che si fermò, per un’istante, a causa del rumore improvviso.
Improvvisamente dal piano di sopra si sentì qualcosa che mi fece pensare all’inferno.
Passi svelti, gente che correva, grida da ogni dove, alcune disperate, altre furiose.
Mi voltai verso Alice, spaventata.
Stava accadendo davvero? No, no. Assolutamente.
Forse avevamo urtato uno scoglio.
Forse stavo immaginando tutto.
“La porta.” Sussurrò, fredda, la mia amica.
Mi alzai e corsi verso la porta, girando la chiave quattro volte poi tornai da Alice e la guardai, rimanendo in ascolto.
“AI PIANI INFERIORI!” gridò qualcuno che stava scendendo la scala.
Passi svelti si dirigevano verso il nostro piano.
“APRI LE PORTE, PRENDIAMO I TESORI E DIAMOCELA A GAMBE!” gridò qualcuno.
“Qui.” Gridò Alice, prendendomi per un polso e trascinandomi sotto il letto.
La guardai e lei mi fece cenno di rimanere in silenzio ed io annuii.
Qualcuno arrivò davanti alla porta e la mosse, provando ad aprirla.
“E’ CHIUSA A CHIAVE!” gridò qualcuno con un possente vocione da fuori la porta.
“CHIUSA A CHIAVE? PERCHE’ MAI DOVREBBE ESSERE CHIUSA A CHIAVE LA PORTA DI UN PESCHERECCIO? SFONDALA, DI SICURO CI SONO RICCHEZZE A NON FINIRE LI DENTRO!” gridò un altro.
Una possente botta e la porta vibrò, così come me e la mia amica, strette sotto il letto.
Un’altra botta ed Alice strinse la presa della mia mano.
Ancora una botta e la porta cedette, sfondandosi in mille pezzi.
Quattro piedi varcarono la porta, quindi due persone, che cominciarono a vagare per la stanza.
“Allora ?” domandò uno dei due.
“Nulla. Una sedia, una scrivania, uno specchio ed un letto.” Disse quello col vocione.
“Un letto? Da quando i pescatori hanno tutto questo lusso ? E che se ne fanno di uno specchio?” domandò l’altro.
Trattenni il fiato.
“Ci sono delle donne a bordo.” Annunciò l’uomo col vocione.
“REV!” gridò l’altro, dopo vari secondi di silenzio “CI SONO DONNE TRA L’EQUIPAGGIO?”
Silenzio.
“Non sono tra i marinai di sopra e le stanze le abbiamo controllate tutte, dove possono essere?” domandò ancora.
Strinsi la mano di Alice.
Sentii qualcuno fare  “Shh” e poi vidi due piedi voltati verso il letto.
Che ci avessero viste ? Impossibile.
Cominciai a guardarmi intorno, nervosa.
Quando notai un piccolo dettaglio, era troppo tardi.
I due piedi che avevo avvistato voltati verso di noi, camminavano lentamente verso il letto.
Avevo notato un lembo del mio stupido ed ingombrante vestito sbucare fuori dal letto.
Cosa dovevo fare?
Guardai Alice che ancora non aveva realizzato.
Trattenni il fiato ed attesi che l’uomo fosse abbastanza vicino e quando si piegò chiusi gli occhi e tirai un possente pugno davanti a me.
L’uomo cadde all’indietro, imprecando e portandosi le mani sul naso.
Senza riflettere afferrai il polso di Alice e mi trascinai, con lei, fuori dal letto.
Tenendo stretta la mano della mia amica cominciai a correre per il lungo corridoio del piano inferiore, cercando un nascondiglio.
Sentivo i passi dei due uomini dietro di me e l’enorme vestito mi impediva di correre a dovere.
Girai un angolo e spinsi Alice in una stanza sussurrandole un frettoloso “nasconditi, ti prego” e chiudendo la porta senza neanche guardarla  poi mi assicurai che i due mi notassero e continuai a correre, raggiungendo infine la camera del capitano.
Spalancai la porta, entrai, mi richiusi la porta alle spalle e mi infilai nell’enorme armadio di legno che conteneva tutte le carte per la navigazione, assicurandomi che nessun lembo del mio vestito fosse visibile.
Mi rannicchiai, portandomi le ginocchia al petto e cercando di trattenere il respiro.
Sentii la porta aprirsi e nello stesso istante, in lontananza, Alice gridò “LASCIAMI MALEDETTO, METTIMI GIU’”.
Stavo per uscire ma dei passi all’interno della stanza mi fecero fermare.
Correre fuori non sarebbe servito a nulla, quel tipo mi avrebbe presa e non sarei comunque riuscita a salvare Alice.
Trattenni il respiro, imprecando mentalmente.
“Dai bambina, vieni fuori. So che sei qui e prima o poi ti troverò.” Disse l’uomo dal vocione possente.
Trattenni un conato di vomito e mi strinsi ancora di più le gambe al petto.
Lo sentivo muoversi per la stanza e buttare all’aria qualsiasi cosa.
Improvvisamente si fermò.
Era davanti l’armadio?
Sgranai gli occhi e rimasi in attesa.
La porta dell’armadio si spalancò e mi ritrovai davanti un enorme uomo, ricoperto di tatuaggi e mostruosamente muscoloso, alto quasi quanto l’armadio con due enormi occhioni verdi che sorrideva, mettendo in mostra delle fossette che stonavano terribilmente con il suo essere.. pirata.
“FINALMENTE! CIAO. Il mio amico ti deve un naso sanguinante.” Mi disse, poi allungò le mani verso di me.
Dimenarmi e gridare si dimostrò inutile, l’omone mi afferrò per la vita e mi portò su una spalla, come pesassi meno di zero e si incamminò.
Raggiunto il ponte fui gettata a terra come un sacco di patate ed imprecai al tocco col legno.
“Che modi, non sono da signora!” mi disse qualcuno.
“FANCULO!” gridai, alzandomi in piedi.
“AZRIEL!” gridò Alice e mi voltai a guardarla, trovandola che veniva tenuta ferma da un uomo piuttosto grassottello, pieno di tatuaggi anche lui.
“LASCIALA MALEDETTO!” provai a fare un passo avanti ma un altro uomo fu davanti a me.
Alzai lo sguardo e mi trovai davanti un altro uomo muscoloso, dei lunghi capelli neri e degli occhi castani.
Il naso sanguinante.
“Ti devo un naso sanguinante.” Mi disse, minaccioso.
Feci un passo indietro.
“DAI GATES, FALLE VEDERE COME SI COMPORTA UN VERO UOMO!” gridò qualcuno, mi voltai e trovai di nuovo il ragazzo dagli occhi verdi sorridere.
“Non fare il coglione, Syn.” Disse qualcuno.
Era un altro tipo, degli strani capelli dritti, come la cresta di un gallo, anche lui tatuato ma molto più basso rispetto gli altri.
“Sta zitto tu.” Ringhiò il tipo dagli occhi castani.
“Torniamo a noi...” continuò, minaccioso, sempre sorridendo.
“Fanculo.” Dissi, di nuovo.
Il tipo dagli occhi castani mi prese il viso con una mano, stringendo e smettendo di sorridere.
“INSOLENTE RAGAZZINA!” gridò.
“GATES!” sentii gridare.
Appena udita quella possente voce, la mano del mio aggressore lasciò il mio viso e lui, così come tutti gli altri tipi, si voltarono in direzione di tale voce.
Così feci anche io.
Un uomo terribilmente alto, anche più del tipo dagli occhi verdi, con dei corti capelli neri come la pece camminava verso di noi.
Il mio aggressore indietreggiò di qualche passo mentre io rimasi immobile, quasi paralizzata, mentre il gigante camminava verso di me.
Si piegò, per raggiungere la mia altezza e mi fissò negli occhi ed io mi persi nei suoi, dell’azzurro più puro immaginabile, anche più belli di qualsiasi cielo o qualsiasi mare.
“Perdonerete la scortesia dei miei uomini, non sono affatto abituati a trattare con una donzella.” Mi disse e fui rapita anche dalla sua soave voce, come se gli occhi e il corpo slanciato, muscoloso e ricoperto di tatuaggi non fossero abbastanza.
Continuavo a fissare quegli occhi così terribilmente perfetti, trattenendo il fiato.
“Purtroppo, come sapete, siamo pirati e  non possiamo lasciare in vita nessuno a bordo delle navi che abbordiamo, altrimenti perderemmo il rispetto che abbiamo faticato per guadagnare.. non posso però macchiarmi del crimine di uccidere due belle e giovani donne come voi. Quindi, mi limiterò a portarvi via e prendere il tempo necessario per decidere cosa fare con voi.” Il gigante sorrise, sorprendentemente dolce e si tirò su, voltandosi verso i suoi uomini che ormai erano tutti intorno alla mia amica.
“Gates, Shadows, Christ, prendete tutte le ricchezze che riuscite a racimolare e tornate sulla nave. Vengeance, tu aiutami ad accompagnare le signorine sulla nostra nave.” Il tipo grassottello annuì e prese, con forza, un braccio di Alice che urlò “FA PIANO!” e quello la strattonò.
“Sii più gentile con le nostre ospiti.” Disse, serio, il gigante che, al mio fianco, mi spingeva delicatamente verso l’asta di legno che stava in bilico e andava dal bordo della piccola nave su cui ci trovavamo a quello dell’enorme vascello di fronte.
Stavo per salire sulla lastra di legno quando sentii il tipo dagli occhi azzurri dire “No, assolutamente”, stavo per voltarmi ma qualcuno mi tirò su.
Mi ritrovai tra le braccia del gigante che camminava sulla lastra di legno.
“Non vorrei lasciarvi cadere in mare.” Rimasi stupita da tanta cortesia.
Mi voltai un secondo e notai che Alice era nella mia stessa condizione ma tra le braccia del tipo grassottello.
Poi mi voltai di nuovo a scrutare il volto sereno e rilassato dell’uomo che mi teneva tra le sue braccia, muscolose e tatuate.
Cosa diavolo stava accadendo?
Perché quel tipo mi dava tanta sicurezza?
E poi, a dire la verità, mi importava davvero ciò che stava accadendo?
Qualsiasi cosa sarebbe successa, sarebbe stata meglio del futuro che mi aspettava nel castello di quel Jeremiah, ne ero certa.
Ne ero certa?

Note: storia scritta a quattro mani con Madness in me. Questo capitolo è dunque frutto della deliziosa testolina della piccola Sah, indi gioitene e complimentatevi con lei <3
Ci alterneremo, un capitolo a testa. Unitevi alla ciurma, abbiamo spade di legno e cappellini di carta (e rum, perchè il rum non può mancare su una nave che si rispetti)!
Il mio capitano e io ci auguriamo che questo esperimento piaccia a voi quanto a noi immaginarlo e scriverlo.
Somuchlove,

Capitano Sah (e marinaia Al).

  
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