Note d’Autrice.
Sono ritornata
sul fandom senza nessun’aspettativa, in realtà,
perché sono ben consapevole di non… avere una visione
consona al pubblico che mi offre EFP, diciamo così.
Tuttavia avevo
proprio voglia di scrivere di Magnus, e dato che l’askblog
[link]
è nato per questo, ho deciso di pubblicare l’operato anche su questa
piattaforma. Magari è la volta buona che qualcuno lo apprezza ♥
Il prompt era la frase che fa da titolo alla fan fiction, la
citazione del Piccolo Principe, sì – ringrazio yingsu per il prompt.
Buona lettura!
radioactive,
Aveva finito il
profumo.
Non era profumo
francese – quello. Lo aveva trovato in un negozietto durante un giro a Denver.
Una signora lo aveva fermato, chiedendogli di aiutarla a portare la spesa in
casa: al piano di sopra ci abitava, al piano di sotto aveva la sua piccola
profumeria.
La signora
faceva i profumi da sola, e nessun profumo era uguale all’altro: per questo
costavano un capitale.
Magnus si chiese
come facesse una donna del genere ad andare avanti, chi diavolo comprasse i
suoi profumi e altre domande che si persero nel tempo. Lo stregone fissò il suo
polso, di un caldo color caffélatte, e
si dispiacque nel vedere le gocce di quella colonia diventare vapore. Avrebbe
potuto schioccare le dita e riavere indietro tutta la boccetta – ma non lo
fece.
La boccetta era
vuota, e i raggi del sole splendevano stanchi sul vetro opaco. Socchiuse gli
occhi struccati e abbassò il braccio, lasciando che il fantasma di quel profumo
che tanto gli piaceva si dissolvesse dentro i suoi polmoni. Inspirò
profondamente, trattenne il fiato e poi espirò.
Lo faceva da
troppo tempo, ormai. Come avrebbe fatto ad andare avanti così?
― Come ho
sempre fatto ― si disse, lasciando che le parole gli scivolassero via
dalle labbra sottili.
Attraversò la
stanza con grandi falcate, schivando il gatto – era ingrassato, Robert – e un
paio di scarpe che non indossava da giorni. Si posizionò davanti allo specchio
osservando la propria figura fasciata dai jeans e dalla sobria maglia verde.
Gli metteva in risalto gli occhi senza che ci fosse bisogno di trucco.
Lo sapeva,
Magnus, di essere bello anche senza agghindarsi. Ma vestirsi con colori vivaci
e tessuti pregiati era diventato un hobby per ammazzare il tempo, come tanti altri. Come fare il baby-sitter ai
Cacciatori.
Sospirò,
schioccando le dita e facendo comparire un paio di scarpe alla sua destra. Si
sedette sulla moquette, infilandosi le calzature.
Robert – il Lightwood – gli aveva chiesto di presenziare all’Istituto.
― Vestiti decente ― gli aveva detto, sottolineato e ribadito.
Decente. Magnus sorrise, ricordando il volto imbruttito dalle rughe
d’espressione del Nephilim.
Si alzò da
terra, tirandosi i pantaloni dai passanti, aggiustandosi poi la maglia. ―
Ci sono! ― urlò, scendendo le scale. Il gatto lo accompagnò fino al
soggiorno.
Catarina stava seduta
sul divano magenta, la sua pelle azzurra brillava contro il rosa della stoffa,
bagnata dai raggi liquidi del tramonto. Era bellissima in quella camicia
bianca, i capelli raccolti e i pantaloni neri. Magnus le sorrise con una
dolcezza fraterna.
― Sei… ― incominciò lei, alzandosi.
― …Normale? ― propose lui, abbassando lo sguardo a
fissare la palla di pelo nera che si strusciava contro le gambe, ― hai
già mangiato, Robert! ― lo sgridò, ricevendo come risposta un miagolio
infastidito.
― Robert?
― domandò l’altra figlia di Lilith, ―
come il Lightwood? ― chiese conferma.
Si assomigliano davvero, allora. ― Stessa
faccia da culo.
― Magnus!
― È vero, Catarina! ― rise lui, aprendo la porta con uno schiocco
di dita, invitandola con la mano a passare. Era sempre stato un po’ galante,
lui. Dopotutto si era attraversato la Francia di Maria Antonietta e
l’Inghilterra di Elisabetta. Anche l’era del jazz non gli era dispiaciuta.
Il sole
tramontava, tutti i vetri riflettevano i raggi arancioni e le pupille di Magnus
erano ridotte ad una fessura sottilissima, quasi invisibile. Le sue iridi erano
diventate oro liquido con gemme smeraldine a galleggiare in quel mare giallo.
Si fermò ad osservare la palla rossa sopra le loro teste, in parte nascosta da
una nuvola.
Jasmine, il licantropo
che aveva amato, adorava i tramonti.
Spesso lo supplicava di accompagnarla a guardarlo da qualche parte – e lui non
riusciva a dirle di no: Jas era una bellezza esotica,
con la sua pelle scura che brillava al crepuscolo e i capelli che volavano al
vento come se fossero leggeri come farfalle. Era una bellezza da gitana, non
come quella delle stelle – ma come il tramonto. E la sua morte gli faceva
ancora male, come una ferita aperta immersa nello shampoo.
― Magnus ― lo chiamò Catarina, costringendolo a prestarle attenzione, ― lo
sai che Robert ama la puntualità. Se facciamo tardi è la volta buona che manda
all’aria tutto il contratto… ― mormorò: tirare
in ballo la coesistenza e cooperazione tra Nephilim e
Stregoni era un colpo basso, Catarina.
― Sì.
― Sei
triste? ― gli chiese, quando lo vide scuotere la testa, aggiunse ―
ti piacciono i tramonti? ― e gli sorrise.
― È così
evidente? ― domandò, accennando ad una risata. Non gli andava di parlare
di Jasmine.
― Allora
sei triste ― concluse, convinta, ― sai, Magnus…
quando si è molto tristi si amano i
tramonti ― gli disse.
Era una
citazione del Piccolo Principe, quella.
Ma Catarina aveva ragione: si sentiva infinitamente triste, e
non sopportava l’idea di vedere un altro tramonto da solo. Sospirò e,
poggiandole una mano sulla schiena, la invitò a riprendere il cammino verso
l’Istituto.
― Robert
ci sta aspettando per fare da tate ai suoi figliocci, dai.
― Non
andiamo lì per quello. Sei tu che ti metti a giocare con Isabelle e Alexander
invece di lavorare e fare il Sommo Stregone di Brooklyn quale sei.
Quello era vero,
doveva ammetterlo.