Per
un paio di francesine
Capitolo
2
IIIII
Bee-beep.
Bee-beep.
Il raggio
che penetrava dalle veneziane rifletteva sugli specchi
presenti nella mia camera illuminandola e colpendo anche me disteso sul
letto.
Sentii il calore delicato della luce che accarezzava un mio zigomo.
Strizzai
gli occhi svegliandomi lentamente. Mi sedetti sul letto vedendo nello
specchio
di fronte a me i miei capelli completamente spennati che formavano
intrecci e
forme indecifrabili, e pensando che forse avrei dovuto tagliarli! No,
forse li
preferisco così.
Mi strofinai
gli occhi con le mani incurvando la schiena come un gatto
per stiracchiarmi.
“Non avevo
sentito
un rumore poco fa?” pensai prima
di voltare lo sguardo verso il comodino.
Cianfrusaglie
varie ammucchiate coprivano la visuale della mia sveglia.
Spostai un paio di libri scoprendo l’ora segnata: 8.45. Strano. Avrebbe
dovuto
suonare alle 9.00…
Bee-beep.
Bee-beep.
Finalmente
avevo percepito cos’era quel suono. Era il telefono, un
messaggio!
“A
quest’ora? Ma
dove cavolo ho messo il cellulare?”
Sul comodino
non c’era, quindi mi guardai un po’ attorno, per terra,
dove c’erano vestiti sparsi del giorno prima. Mi allungai sul letto e
raggiunsi
i miei jeans appoggiati sulla poltrona un po’ al centro della stanza.
Non era
una stanza molto grande.
Infilai le
mani in tutte le tasche dei pantaloni, ma non c’era. Mi
guardai ancora attorno e lo vidi appoggiato sul comò di fronte al
letto. Fui costretto
ad alzarmi. Il pavimento era freddo ed io senza né pantofole né
calzini,
arricciai le dita dei piedi. Mi appuntai mentalmente di dover comprare
un
tappeto per la stanza… o un paio di pantofole.
Arrivai al
mobile e presi il telefono, poi sbloccai la tastiera. Due
messaggi non visualizzati, da un numero sconosciuto…
“E’ sicuro di voler intervistare me? M.”
A quel primo
messaggio rimasi un attimo sbalordito, ed improvvisamente
ero più sveglio. In un primo momento non capii cosa potesse essere
quella “M”.
Poi i miei occhi si illuminarono quando mi resi conto che finalmente
avevo
attirato l’attenzione della mia nuova musa.
Lessi il
secondo messaggio.
“Mi scusi! Spero di non averla
svegliata! Ho i messaggi gratis e ho
preferito non chiamarla, ma non ho guardato l’orario! Mi ero svegliata
pensando
alla sua proposta… non è proprio un gran bel periodo per me in questi
giorni e
solo oggi ho potuto pensarci seriamente… ma perché vuole intervistare
me?
Insomma… non vi conosco affatto! E mi avete vista per due secondi! Non
mi sento
molto adatta per essere la protagonista di un libro! M.”
Mi scappò un
sorriso divertito dalle parole della signorina… non credevo
che dopotutto si sarebbe convinta. Salvai il suo numero nella rubrica
mentre sedevo
comodamente sulla poltroncina.
“Ma che
carina…”pensai
mentre le
rispondevo.
“Diamoci del tu, è più comodo. In effetti mi
hai svegliato! Ma con una bella sorpresa… Allora, fammi capire: questi
sms sono
stati un modo indiretto per dirmi che accetti l’intervista?”
Inviai. Mi fermai qualche
secondo a pensare: chissà se stavo facendo
qualche errore…
Ma scacciai
subito quelle parole dalla mia mente per poi alzarmi
velocemente e precipitarmi per le scale raggiungendo la cucina, la
stanza forse
più illuminata della casa di mattina. Nonostante le tende, penetrava
una luce
gialla e calda che illuminava tutta la casa, e rifletteva sul fornello
e sulla
cappa di metallo. Ecco un’altra cosa che mi piaceva molto di Napoli: la
mattina
quella luce forte riesce a riscaldarti anche il cuore. Ed era ancora
inverno!
Figuriamoci d’estate!
Che alba. Presi il
latte e
il caffè del giorno prima dal frigo, poi una tazza abbastanza grande
dalla
credenza, zucchero e biscotti dal ripiano vicino al lavello. Mi sedetti
a
tavola per far colazione. Di fronte a me una vetrata coperta da delle
tende
arancioni un po’ trasparenti, mi davano la possibilità di ammirare quel
paesaggio meraviglioso che era l’alba.
“Niente
pensieri
negativi” mi
incoraggiai. Ed in quel momento un altro bee-beep ruppe
il silenzio della mia casa.
“Non ho confidenza, per il momento
preferisco il voi o il lei… comunque…
non sono ancora del tutto decisa. Che tipo di domande vorrebbe farmi?
M.”
Lessi
velocemente mentre mangiavo un biscotto.
“Non sarebbe meglio parlarne da vicino?
Magari davanti un caffè” inviai.
La risposta
arrivò quasi subito.
“Va bene. Piazza del Plebiscito, 10.30.
Ma poiché ancora non mi fido di
lei, sappia che conosco il kung fu!”
IIII
Arrivato nel
luogo stabilito, attesi con ansia il momento dell’incontro.
C’era talmente tanta gente! Ovunque io mi fermassi parevo inadeguato,
di
troppo, eppure nessuno mi notava particolarmente, le persone mi
lanciavano ogni
tanto occhiatine veloci e timide e mi sentivo un po’ a disagio.
Cambiavo
postazione in continuazione, non c’era nessuno lì fermo.
Aspettai un
po’, guardando in continuazione l’orario. Era in ritardo.
Poi
finalmente un: - Ehi! – mi fece sobbalzare. Era la sua voce, ma
guardandomi attorno non la vidi. Mi voltai un paio di volte prima di
identificarla come una macchia nera, ma luminosa, strano che non
l’avessi
notata! Era spuntata all’improvviso dietro qualcuno.
“Mimetizzazione
riuscita!”
- Bonjour! –
le porsi la mano, gesto che lei inizialmente non ricambiò.
- Salve –
sorrise con gentilezza per poi accorgersi del braccio teso in
aria – Oh! – esclamò solo, prima di stringere la mia mano – Non c’è il
vostro
collega?
- Intende
Corrado? Lui non è il mio collega, era un amico che mi
accompagnava. Non necessito della sua compagnia…
- Capisco.
- Siete in
ritardo! – dissi con ironia sorridendole.
- Voi
francesi siete tutti così puntuali?– rise – Io sono in perfetto
ritardo!
- Ah, bien! Basta saperlo –
continuai a sorriderle. Pensai in quel momento che sembrava davvero una
ragazza
simpatica.
- Quindi… le
offro un caffè mentre parliamo? – chiesi col mio solito
accento francese.
- Okay!
–abbassò lo sguardo.
E così, ci
sedemmo ad un tavolino all’aperto di un bar. Un cameriere
prese l’ordine e poi corse dentro.
Seduti,
notai che Melinda non era molto rilassata, come invece lo ero
io. Io sedevo tranquillamente con le gambe accavallate ed un gomito
appoggiato
al bracciolo decorato da ghirigori, quasi liberty.
Lei invece
sedeva sulla punta, quasi volesse scappare, la schiena
dritta, ma le spalle incurvate leggermente in avanti, probabilmente per
insicurezza, e si torturava le mani, nonostante i guanti, forse per
nervosismo.
Quello sguardo sempre basso, ma che muoveva spesso, a volte rivolto
verso le
fioriere alla mia sinistra, a volte verso il tavolino di fronte a noi,
a volte
verso le altre persone sedute vicino.
- Sembri
nervosa.
- Si, un po’
lo sono – sorrise ancora riportando lo sguardo su di me.
- Ne vous inquietéz pas. Non è
un interrogatorio – la rassicurai.
- Sono una
persona emotiva. Mi emoziono facilmente.
-
Oui?
Ecco, era
quello il momento. Il momento giusto per parlare. Presi dalla
tasca del mio giaccone il mio piccolo registratore portatile, lo
appoggiai sul
tavolo e lo accesi.
- E così vi
emozionate facilmente… - continuai col mio accento francese –
Bene, cominciamo l’intervista – le sorrisi.
- Va bene –
ricambiò.
- Madame Melinda Bloomwood,
acconsentite la registrazione? –
- Certo, ma
quel Madame – mi guardò un po’ infastidita e un po’
sarcastica - …No – aggiunse solo scuotendo velocemente la testa.
Risi.
- Sei tu che
hai voluto dare del voi!
- Non ho
detto che Madame andava bene! Okay, se vi trovate più a vostro
agio col tu, ci daremo del tu! Bene! –
- Bon, parlami un po’ di te.
Partiamo dalle cose più banali – feci un gesto con la mano per
incitarla a
parlare liberamente.
-
Bene…Allora comincerò dalla cosa che mi rende più fiera: sono
un’attrice teatrale, un po’ particolare – mentre spiegava il suo
sorriso si era
illuminato, i suoi occhi brillavano, le sue mani si erano calmate e un
senso di
estasi sembrava pervaderla.
- Faccio parte di una piccola
compagnia di attori, ma non recitiamo cose come Shakespeare, Goldoni
eccetera…
Per questo dico che sono un po’ particolare, perché le storie le scelgo
io e
molto spesso non sono quelle, poi altri miei colleghi scrivono il
copione
basandosi sulla mia idea, costruiscono le scenografie e cuciono i
costumi. Io
so fare un po’ tutto quindi cerco di dare una mano.
- Ah, quindi
tu non reciti?
- Certo che
recito! È la parte migliore! – sembrò irritata.
- Excuse, avevo capito male.
Continua.
- Recitare
per me è la cosa più bella, posso essere tutte le persone che
voglio, non ne sono mai una sola. Forse soffro di personalità multipla!
– disse
ironicamente mentre il cameriere posava due caffè sul nostro tavolino –
Ma è
così bello, fuoriesce tutto ciò che è in me, tutta la mia passione.
Quando sono
sul palco sto bene. Eppure, devi sapere che io sono una persona molto
timida,
ma quando recito non lo sono. È un po’ difficile da capire perché tutti
si
chiedono “come fai a recitare e a ricordarti cosa dire ignorando te
stessa?”.
Ma io non è che ignoro me stessa, io tiro fuori quella mia
parte di personalità che è
la persona che sto interpretando…
-
Interessante… Quindi…? – non mi fece terminare la frase.
- Quindi se
puoi immaginarlo, puoi esserlo…
- Quanti
anni hai? – chiesi un po’ sorpreso sorseggiando il caffè.
- Venti,
perché? – lei invece mi guardò dubbiosa prendendo la sua
tazzina.
- Sei
davvero strana! – risi.
- Ahahah!
Si, lo so! – rispose ridendo anche lei. La sua era una risata
contagiosa e un po’ rumorosa. Un sorriso largo e simpatico.
In quel
momento le squillò il cellulare… una suoneria francese! Ma
quando vide il numero sul display il suo sorriso pian piano sparì, posò
il
caffè ed esclamò: - Ah… Fantastico… - con davvero poca emozione nel
tono di
voce.
- Scusami –
mi disse prima di rispondere.
Misi in
pausa il registratore, non volevo sprecare nastro. Si, sono
l’unico al mondo che usa ancora cassette! Ultimamente non ne trovo più
in giro
purtroppo… sarò costretto a comprare un mp3.
Non ascoltai
la conversazione di Melinda al telefono per intero, ma
sentii il suo inveire contro quella persona, il suo turbamento. La vidi
passarsi
una mano tra i capelli per poi posarsi sotto gli occhiali, stringendo
il setto
nasale in segno di stress e stanchezza e chiudendo leggermente gli
occhi.
Sbiancò.
- D’accordo,
ora arrivo… - aveva terminato la conversazione.
- Mi spiace,
devo andare! – posò il cellulare, si alzò ed infilò di nuovo
i suoi guanti di pelle – A quanto pare mi hanno sfrattata… - sorrise
tristemente. Salutò e corse via velocemente. Io avevo teso solo una
mano in
avanti, verso di lei. Le parole rimasero non dette. Le mie labbra si
erano a
malappena dischiuse. La schiena protesa in avanti. Eppure sono uno
scrittore…
In quel momento non mi sentii in grado di parlare.
L’unica cosa
che riuscii a pensare fu “Devo seguirla!”, ma era già
lontana…
Angolo Autrice: Allora, questo
capitolo
è più dialogato che altro. Finalmente si parlano! XD Chiedo
sempre perdono per gli enormi ritardi ): Su,
ancora un po’ di pazienza, al prossimo capitolo!!