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Autore: Sciarpata di verde    14/05/2014    1 recensioni
[Storia revisionata]
Al termine del vestiario un paio di francesine scure a punta, probabilmente davvero francesi il cui tacchetto risuonava sull’asfalto.
Che movenze eleganti e raffinate. No, quella non sembrava la classica napoletana…
Doveva diventare la protagonista del mio libro! A qualunque costo!
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Per un paio di francesine

Capitolo 2

IIIII

 

Bee-beep. Bee-beep.

Il raggio che penetrava dalle veneziane rifletteva sugli specchi presenti nella mia camera illuminandola e colpendo anche me disteso sul letto. Sentii il calore delicato della luce che accarezzava un mio zigomo. Strizzai gli occhi svegliandomi lentamente. Mi sedetti sul letto vedendo nello specchio di fronte a me i miei capelli completamente spennati che formavano intrecci e forme indecifrabili, e pensando che forse avrei dovuto tagliarli! No, forse li preferisco così.

Mi strofinai gli occhi con le mani incurvando la schiena come un gatto per stiracchiarmi.

“Non avevo sentito un rumore poco fa?” pensai prima di voltare lo sguardo verso il comodino.

Cianfrusaglie varie ammucchiate coprivano la visuale della mia sveglia. Spostai un paio di libri scoprendo l’ora segnata: 8.45. Strano. Avrebbe dovuto suonare alle 9.00…

Bee-beep. Bee-beep.

Finalmente avevo percepito cos’era quel suono. Era il telefono, un messaggio!

“A quest’ora? Ma dove cavolo ho messo il cellulare?”

Sul comodino non c’era, quindi mi guardai un po’ attorno, per terra, dove c’erano vestiti sparsi del giorno prima. Mi allungai sul letto e raggiunsi i miei jeans appoggiati sulla poltrona un po’ al centro della stanza. Non era una stanza molto grande.

Infilai le mani in tutte le tasche dei pantaloni, ma non c’era. Mi guardai ancora attorno e lo vidi appoggiato sul comò di fronte al letto. Fui costretto ad alzarmi. Il pavimento era freddo ed io senza né pantofole né calzini, arricciai le dita dei piedi. Mi appuntai mentalmente di dover comprare un tappeto per la stanza… o un paio di pantofole.

Arrivai al mobile e presi il telefono, poi sbloccai la tastiera. Due messaggi non visualizzati, da un numero sconosciuto…

“E’ sicuro di voler intervistare me? M.”

A quel primo messaggio rimasi un attimo sbalordito, ed improvvisamente ero più sveglio. In un primo momento non capii cosa potesse essere quella “M”. Poi i miei occhi si illuminarono quando mi resi conto che finalmente avevo attirato l’attenzione della mia nuova musa.

Lessi il secondo messaggio.

“Mi scusi! Spero di non averla svegliata! Ho i messaggi gratis e ho preferito non chiamarla, ma non ho guardato l’orario! Mi ero svegliata pensando alla sua proposta… non è proprio un gran bel periodo per me in questi giorni e solo oggi ho potuto pensarci seriamente… ma perché vuole intervistare me? Insomma… non vi conosco affatto! E mi avete vista per due secondi! Non mi sento molto adatta per essere la protagonista di un libro! M.”

Mi scappò un sorriso divertito dalle parole della signorina… non credevo che dopotutto si sarebbe convinta. Salvai il suo numero nella rubrica mentre sedevo comodamente sulla poltroncina.

“Ma che carina…”pensai mentre le rispondevo.

 “Diamoci del tu, è più comodo. In effetti mi hai svegliato! Ma con una bella sorpresa… Allora, fammi capire: questi sms sono stati un modo indiretto per dirmi che accetti l’intervista?”

Inviai. Mi fermai qualche secondo a pensare: chissà se stavo facendo qualche errore…

Ma scacciai subito quelle parole dalla mia mente per poi alzarmi velocemente e precipitarmi per le scale raggiungendo la cucina, la stanza forse più illuminata della casa di mattina. Nonostante le tende, penetrava una luce gialla e calda che illuminava tutta la casa, e rifletteva sul fornello e sulla cappa di metallo. Ecco un’altra cosa che mi piaceva molto di Napoli: la mattina quella luce forte riesce a riscaldarti anche il cuore. Ed era ancora inverno! Figuriamoci d’estate!

Che alba. Presi il latte e il caffè del giorno prima dal frigo, poi una tazza abbastanza grande dalla credenza, zucchero e biscotti dal ripiano vicino al lavello. Mi sedetti a tavola per far colazione. Di fronte a me una vetrata coperta da delle tende arancioni un po’ trasparenti, mi davano la possibilità di ammirare quel paesaggio meraviglioso che era l’alba.

“Niente pensieri negativi” mi incoraggiai. Ed in quel momento un altro bee-beep ruppe il silenzio della mia casa.

“Non ho confidenza, per il momento preferisco il voi o il lei… comunque… non sono ancora del tutto decisa. Che tipo di domande vorrebbe farmi? M.”

Lessi velocemente mentre mangiavo un biscotto.

“Non sarebbe meglio parlarne da vicino? Magari davanti un caffè” inviai.

La risposta arrivò quasi subito.

“Va bene. Piazza del Plebiscito, 10.30. Ma poiché ancora non mi fido di lei, sappia che conosco il kung fu!”

 

IIII

 

Arrivato nel luogo stabilito, attesi con ansia il momento dell’incontro. C’era talmente tanta gente! Ovunque io mi fermassi parevo inadeguato, di troppo, eppure nessuno mi notava particolarmente, le persone mi lanciavano ogni tanto occhiatine veloci e timide e mi sentivo un po’ a disagio. Cambiavo postazione in continuazione, non c’era nessuno lì fermo.

Aspettai un po’, guardando in continuazione l’orario. Era in ritardo.

Poi finalmente un: - Ehi! – mi fece sobbalzare. Era la sua voce, ma guardandomi attorno non la vidi. Mi voltai un paio di volte prima di identificarla come una macchia nera, ma luminosa, strano che non l’avessi notata! Era spuntata all’improvviso dietro qualcuno.

“Mimetizzazione riuscita!”

- Bonjour! – le porsi la mano, gesto che lei inizialmente non ricambiò.

- Salve – sorrise con gentilezza per poi accorgersi del braccio teso in aria – Oh! – esclamò solo, prima di stringere la mia mano – Non c’è il vostro collega?

- Intende Corrado? Lui non è il mio collega, era un amico che mi accompagnava. Non necessito della sua compagnia…

- Capisco.

- Siete in ritardo! – dissi con ironia sorridendole.

- Voi francesi siete tutti così puntuali?– rise – Io sono in perfetto ritardo!

- Ah, bien! Basta saperlo – continuai a sorriderle. Pensai in quel momento che sembrava davvero una ragazza simpatica.

- Quindi… le offro un caffè mentre parliamo? – chiesi col mio solito accento francese.

- Okay! –abbassò lo sguardo.

E così, ci sedemmo ad un tavolino all’aperto di un bar. Un cameriere prese l’ordine e poi corse dentro.

Seduti, notai che Melinda non era molto rilassata, come invece lo ero io. Io sedevo tranquillamente con le gambe accavallate ed un gomito appoggiato al bracciolo decorato da ghirigori, quasi liberty.

Lei invece sedeva sulla punta, quasi volesse scappare, la schiena dritta, ma le spalle incurvate leggermente in avanti, probabilmente per insicurezza, e si torturava le mani, nonostante i guanti, forse per nervosismo. Quello sguardo sempre basso, ma che muoveva spesso, a volte rivolto verso le fioriere alla mia sinistra, a volte verso il tavolino di fronte a noi, a volte verso le altre persone sedute vicino.

- Sembri nervosa.

- Si, un po’ lo sono – sorrise ancora riportando lo sguardo su di me.

- Ne vous inquietéz pas. Non è un interrogatorio – la rassicurai.

- Sono una persona emotiva. Mi emoziono facilmente.

- Oui?

Ecco, era quello il momento. Il momento giusto per parlare. Presi dalla tasca del mio giaccone il mio piccolo registratore portatile, lo appoggiai sul tavolo e lo accesi.

- E così vi emozionate facilmente… - continuai col mio accento francese – Bene, cominciamo l’intervista – le sorrisi.

- Va bene – ricambiò.

- Madame Melinda Bloomwood, acconsentite la registrazione? –

- Certo, ma quel Madame – mi guardò un po’ infastidita e un po’ sarcastica - …No – aggiunse solo scuotendo velocemente la testa.

Risi.

- Sei tu che hai voluto dare del voi!

- Non ho detto che Madame andava bene! Okay, se vi trovate più a vostro agio col tu, ci daremo del tu! Bene! –

- Bon, parlami un po’ di te. Partiamo dalle cose più banali – feci un gesto con la mano per incitarla a parlare liberamente.

- Bene…Allora comincerò dalla cosa che mi rende più fiera: sono un’attrice teatrale, un po’ particolare – mentre spiegava il suo sorriso si era illuminato, i suoi occhi brillavano, le sue mani si erano calmate e un senso di estasi sembrava pervaderla.

 - Faccio parte di una piccola compagnia di attori, ma non recitiamo cose come Shakespeare, Goldoni eccetera… Per questo dico che sono un po’ particolare, perché le storie le scelgo io e molto spesso non sono quelle, poi altri miei colleghi scrivono il copione basandosi sulla mia idea, costruiscono le scenografie e cuciono i costumi. Io so fare un po’ tutto quindi cerco di dare una mano.

- Ah, quindi tu non reciti?

- Certo che recito! È la parte migliore! – sembrò irritata.

- Excuse, avevo capito male. Continua.

- Recitare per me è la cosa più bella, posso essere tutte le persone che voglio, non ne sono mai una sola. Forse soffro di personalità multipla! – disse ironicamente mentre il cameriere posava due caffè sul nostro tavolino – Ma è così bello, fuoriesce tutto ciò che è in me, tutta la mia passione. Quando sono sul palco sto bene. Eppure, devi sapere che io sono una persona molto timida, ma quando recito non lo sono. È un po’ difficile da capire perché tutti si chiedono “come fai a recitare e a ricordarti cosa dire ignorando te stessa?”. Ma io non è che ignoro me stessa, io tiro fuori quella mia parte di personalità che è la persona che sto interpretando…

- Interessante… Quindi…? – non mi fece terminare la frase.

- Quindi se puoi immaginarlo, puoi esserlo…

- Quanti anni hai? – chiesi un po’ sorpreso sorseggiando il caffè.

- Venti, perché? – lei invece mi guardò dubbiosa prendendo la sua tazzina.

- Sei davvero strana! – risi.

- Ahahah! Si, lo so! – rispose ridendo anche lei. La sua era una risata contagiosa e un po’ rumorosa. Un sorriso largo e simpatico.

In quel momento le squillò il cellulare… una suoneria francese! Ma quando vide il numero sul display il suo sorriso pian piano sparì, posò il caffè ed esclamò: - Ah… Fantastico… - con davvero poca emozione nel tono di voce.

- Scusami – mi disse prima di rispondere.

Misi in pausa il registratore, non volevo sprecare nastro. Si, sono l’unico al mondo che usa ancora cassette! Ultimamente non ne trovo più in giro purtroppo… sarò costretto a comprare un mp3.

Non ascoltai la conversazione di Melinda al telefono per intero, ma sentii il suo inveire contro quella persona, il suo turbamento. La vidi passarsi una mano tra i capelli per poi posarsi sotto gli occhiali, stringendo il setto nasale in segno di stress e stanchezza e chiudendo leggermente gli occhi. Sbiancò.

- D’accordo, ora arrivo… - aveva terminato la conversazione.

- Mi spiace, devo andare! – posò il cellulare, si alzò ed infilò di nuovo i suoi guanti di pelle – A quanto pare mi hanno sfrattata… - sorrise tristemente. Salutò e corse via velocemente. Io avevo teso solo una mano in avanti, verso di lei. Le parole rimasero non dette. Le mie labbra si erano a malappena dischiuse. La schiena protesa in avanti. Eppure sono uno scrittore… In quel momento non mi sentii in grado di parlare.

L’unica cosa che riuscii a pensare fu “Devo seguirla!”, ma era già lontana…

 

Angolo Autrice: Allora, questo capitolo è più dialogato che altro. Finalmente si parlano! XD  Chiedo sempre perdono per gli enormi ritardi  ):  Su, ancora un po’ di pazienza, al prossimo capitolo!!

   
 
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