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Autore: Sylphs    15/05/2014    4 recensioni
One Shot appartenente all'originale di Beauty "Grimm: no more happily ever after".
Anya, nel Campo dei Ribelli, si fa dare lezioni di scherma da Vincent, e benché il loro rapporto stia migliorando, il carattere di entrambi fa sì che schermaglie e punzecchiature restino comunque una costante tra di loro. Cosa succederebbe se, durante una conversazione, saltasse fuori Gaston e Vincent diventasse...geloso?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il momento giusto
 
 
 
 
 
Angolo autrice: Bene, prima che leggiate, occorre fare una precisazione. Questa OS è il risultato di un Art Trade che ho fatto con l’autrice Beauty e i personaggi, il loro background e la storia in generale appartengono a lei, e più precisamente alla sua long “Grimm: no more happily ever after”, che consiglio a tutti coloro che non la conoscono, perché merita veramente. Per quelli che invece, come me, sono fan della storia, anticipo che non vi saranno spoiler, tutto quello che ho saputo dall’autrice è che Vincent insegnerà ad Anya a maneggiare la spada, ma il modo in cui lo fa, o in cui lei decide di apprendere, quello che succede, fa parte di questo ipotetico What if? e non ha attinenza (meno male XD) con l’originale. La traccia che Beauty mi ha dato è la seguente, “Vincent litiga con Anya dopo aver scoperto di lei e Gaston (e aver frainteso ;) )”. Ecco, direi di averla presa molto larga, sono arrivata pian piano all’argomento Gaston. Ammetto di essere terrorizzata perché adoro “Grimm” e in particolare adoro i personaggi e ho una paura tremenda di averli rovinati, comunque ringrazio infinitamente Beauty per avermi permesso di divertirmi con loro e passare del tempo piacevole e spero tanto, tanto che non vorrà consegnarmi ai Grimm e all’Oscurità eterna dopo la fine della OS!
Un bacione a tutti,
Sylphs
 
Al Campo dei Ribelli era stata adibita una zona all’addestramento delle reclute, che sotto l’attenta guida di Kay, Brontolo e gli altri “pezzi grossi” imparavano a combattere e a farsi valere in battaglia, ma Anya non aveva nessuna intenzione di entrare a far parte della ribellione – erano faccende che non la riguardavano, lei doveva rimanere lì solo il tempo necessario a che Vincent si riprendesse completamente ed elaborasse un piano per andarsene, quel mondo assurdo e irrazionale non aveva nulla a che fare con lei e di conseguenza anche le beghe degli abitanti non le interessavano, doveva solo ritrovare sua sorella e questo avrebbe fatto - , perciò si era rifiutata categoricamente di essere ritenuta una “recluta”. Già era abbastanza frustrante che ovunque andasse quella gente si mettesse a fissare e a bisbigliare, trattandola con sacro timore e insistendo sul fatto che lei era la Salvatrice, le ci mancava soltanto un bell’arruolamento forzato. No, i personaggi delle favole non l’avrebbero avuta, questo era poco ma sicuro.
Tuttavia si era sorpresa, spesso, a seguire con interesse l’addestramento dei soldati, il modo in cui le armi, tra le loro mani, diventavano di giorno in giorno più letali, e aveva ricordato, con un brivido di curioso ed elettrico piacere, la sensazione provata mentre, impugnando la spada di Vincent, aveva respinto il non-morto che lo aveva morso, quel sentire braccio e lama fusi in un tutt’uno e il corpo che si tramutava in uno strumento per ferire e uccidere. Le era piaciuto, inutile negarlo. Le era piaciuto dare una lezione al putrido scheletro che li aveva presi alle spalle, rendersi utile, piantarla di fare la donzella in difficoltà e prendere in mano le redini della situazione, e non aveva potuto fare a meno di pensare che, una volta abbandonato il Campo dei Ribelli, lei e Vincent sarebbero nuovamente stati in balia dei mostri e dei pericoli di quel dannato mondo privo di logica. E cavolo, non aveva intenzione di affrontarli inerme come in passato, di dipendere totalmente dal suo compagno di viaggio che, sebbene un po’ meno bastardo di prima, restava comunque una delle persone più irritanti che avesse mai conosciuto.
Per questo gli aveva chiesto di insegnarle a maneggiare le armi, da soli, senza l’aiuto dei ribelli. E per questo si trovava lì, adesso, in uno spiazzo d’erba circondato da alberi, poco discosto dal raggruppamento di tende, a sudare sette camice e a subire il massacrante allenamento che lui, da bravo stronzo quale era, le aveva imposto. Inizialmente aveva provato a metterle in mano un arco, perché era la disciplina in cui era più ferrato, ma Anya aveva dimostrato di possedere una mira che definire “schifosa” era poco – le volte in cui non mandava la freccia fuori dal bersaglio, lo colpiva ai bordi – e in breve avevano rischiato di avventarsi l’uno alla gola dell’altro per la frustrazione, con Vincent che da una parte le urlava ordini misti a insulti e lei che si tratteneva a stento dal mandarlo affanculo. Così, in un raro momento di calma, avevano deciso di lasciar perdere, ed erano passati alla scherma. Che era andata meglio. Beh, un po’. Sicuramente meglio del tiro con l’arco.
Per le lezioni, Anya abbandonava lo scomodo abito color prugna che le aveva dato Madama Holle per indossare dei morbidi calzoni di camoscio, degli stivali in cuoio e un corpetto di pelle nera, e si legava i capelli corvini in un’alta coda di cavallo. Una mise che le stava decisamente più adatta, e in cui si sentiva maggiormente a suo agio. Era Liz quella che amava gli abiti d’epoca, che sosteneva di essere nata nell’epoca sbagliata e che le sarebbe piaciuto tantissimo indossare vesti di seta colorata dalle lunghe gonne, a lei, Anya, andavano più che bene jeans e camicette, e non aveva nessuna intenzione di strizzarsi nei corsetti e nelle sottogonne che vedeva addosso alle altre donne presenti al Campo dei Ribelli.
Vincent, davanti a lei, era vestito completamente di nero, come al solito, e i suoi occhi, nell’intensa luce del sole pomeridiano, scintillavano di un normale azzurro ghiaccio. Anya non si era ancora abituata all’innaturale bagliore dorato che assumevano al calar delle tenebre. Erano uno di fronte all’altra, con le gambe aperte e leggermente piegate e un piede avanti rispetto all’altro, e impugnavano due lunghi bastoni di legno. Quando Vincent gliene aveva porto uno, durante la prima lezione, Anya non aveva potuto fare a meno di alzare un sopracciglio: “Quindi dall’arco siamo passati ai bastoni, fammi capire?”
“Se avessi un minimo di buonsenso, dall’arco non si sarebbe passati a nulla” aveva replicato lui, pungente: “Visti i risultati. E comunque” aveva aggiunto, bloccando sul nascere una replica: “Useremo i bastoni solo temporaneamente. Quando, e soprattutto se, avrai appreso a maneggiarli senza cavarti un occhio o mozzarti una mano da sola, passeremo alle spade”.
“Guarda che non sono completamente incapace” aveva borbottato. Non ce la faceva proprio a stare zitta, ogni volta sentiva il bisogno di obiettare e dire la sua, e Vincent, sebbene non la prendesse più con l’aggressività di un tempo, storceva ancora le labbra in una malcelata smorfia di fastidio.
“Questo lo scopriremo presto”.
 Erano alla terza lezione, adesso, e Anya aveva imparato a brandire il bastone che faceva le veci della spada in modo corretto, con le mani vicine tra di loro e molto in basso sul manico, e a seguire con la punta i movimenti di Vincent, che solcava l’aria agile e letale come una saetta, non perdendo mai il tempo e stando sempre un passo davanti a lei, cosa che la irritava ed esasperava parecchio. Era frustrante ritrovarsi continuamente indietro rispetto a quell’uomo impossibile che era, però, anche il suo unico alleato e la sua speranza di ricongiungersi a Liz, ovunque fosse in quel momento.
“No, no” disse Vincent, scuotendo seccamente la testa: “Stai troppo curva. Così offri la testa all’avversario e la testa è uno dei punti peggiori in cui essere colpiti”.
“Me l’hai detto tu di stare curva!” protestò Anya, stizzita. Il giorno prima era stato mezz’ora a correggerla sulla postura, ordinandole di non lasciare petto e fianchi scoperti e di proteggerli costantemente. Dannazione, cosa diavolo doveva fare per non essere colpita, stare in equilibrio sulle mani?!
“Io ti ho detto di stare meno dritta, non di piegare la schiena come una storpia” ribatté Vincent, irritato: “Prendi tutto troppo alla lettera. E le tue gambe…” le sottolineò con un volteggio del bastone: “Non fai che stringerle tra di loro. Così sarai meno salda sul terreno, e l’avversario potrà buttarti giù in un attimo”.
“E allora fammi vedere come si fa, no?” sbuffò Anya.
Vincent era quel genere di maestro annoiato e spassionato che non fa che ripeterti quanto gli costi concederti il suo tempo e il suo sapere e quanto lo tedi la tua incapacità senza, però, offrire validi suggerimenti o mostrare un minimo di pazienza. Al contrario, la ragazza aveva la sensazione che ci godesse, a rimproverarla e sbeffeggiarla, e si chiedeva spesso perché cavolo avesse accettato di darle lezioni se poi si limitava ad insultarla e farla sentire una perfetta idiota, cosa che aveva fatto fin dall’inizio. Trattenersi dal dargli il bastone sulla testa era un’impresa titanica.
Con suo grande stupore, invece di spararle una risposta fulminante, l’uomo le venne incontro, di malavoglia, percorrendo il breve tratto erboso che li separava. Anya arretrò d’impulso, sollevando il bastone, ma lui sogghignò brevemente: “Non temere, ti faccio solo vedere come si fa, non ti mando al tappeto. Non ancora, almeno” soggiunse con un’ombra di malevolenza.
Diffidente, e nel contempo furiosa perché, in effetti, l’aveva appena fatta sentire una perfetta idiota, Anya lo lasciò avvicinare e quando lui s’inginocchiò ai suoi piedi, spostò il peso da un piede all’altro, a disagio: “Ehi, che fai?”
“Ti pregherei di risparmiare il fiato per l’addestramento, e di non sprecarlo in parole inutili” sbuffò Vincent in tono di annoiato rimprovero: “Cerco di farti assumere la giusta posizione, comunque. E mi faresti un grande piacere se la mantenessi in futuro”.
Anya sentì il calore affluirle alle guance quando l’uomo le appoggiò le mani sull’interno delle cosce e gliele aprì, costringendola ad allargare le gambe. L’impulso le suggeriva di chiuderle, di ribellarsi a quel contatto che una parte di lei trovava fin troppo intimo e un’altra si ostinava ad attribuire all’allenamento, ma si obbligò a rimanere immobile, rigida sotto le mani di Vincent, e scrollò la testa, infastidita dal calore che percepiva sul viso e sul collo. In fondo, le stava soltanto…distanziando le gambe.
Sì, toccandoti l’interno coscia.
Non c’entrava niente! E non avrebbe neanche dovuto avere certi pensieri, e provare imbarazzo. Tanto più che Vincent non sembrava minimamente a disagio o turbato da quel contatto. Maneggiava il suo corpo come se non fosse altro che uno strumento, un bastone, proprio come quello che teneva in mano, e la ragazza non sapeva se esserne sollevata o...o irritata. In ogni caso, non aveva mai sopportato di sentirsi in imbarazzo, e si sforzò di non darlo a vedere, mascherandosi dietro un impaziente: “Quindi? Va bene così?”
“Sì” Vincent si scostò fin troppo in fretta, mettendo le dovute distanze tra di loro: “Cerca di mantenere la posizione”.
“Okay” rispose Anya, con il viso ancora un po’ caldo: “Cominciamo?”
Un sorriso caustico comparve sulle labbra dell’uomo: “Una delle migliori doti in un combattente è la capacità di saper aspettare. O, se preferisci, la pazienza. È questo che fa un predatore, se desidera catturare la preda. Attende il momento giusto”.
La ragazza gli spedì un’occhiataccia. C’era stato qualcosa di strano, nella scelta di parole di Vincent, qualcosa che sembrava sottintendere tanti significati oltre quello più ovvio, ma era troppo impegnata a cercare una replica efficace per starci a pensare: “Come ha fatto quel non-morto. Ti ha preso alle spalle, quando eri totalmente impreparato. Tutti prima o poi interpretiamo la preda”.
Vincent si accigliò; Anya aveva imparato che detestava essere criticato, o che qualcuno rimarcasse un suo fallimento. Quando era in preda agli effetti del veleno del non-morto, aveva sputato fuori quel “grazie” come se gli costasse una fatica immane ammettere di essere stato salvato, di non aver saputo far fronte alla situazione, e lei si sentiva profondamente soddisfatta di come aveva agito al Castello di Rovi. Per una volta, una sola, preziosa volta, aveva preso il comando, e aveva salvato la pelle ad entrambi.
“Quella faccenda non ha nulla a che fare con la nostra lezione di oggi” sibilò Vincent. Poi scattò in avanti a sorpresa: “Cominciamo!”
Anya trasalì, facendo un salto indietro e parando l’affondo più per fortuna che per bravura, in uno stridulo cozzare di legno contro legno: “Ehi!” gridò: “Non ero pronta!”
“Pensi che l’Uomo Nero, o un non-morto, o magari un soldato della Regina aspetterebbe che tu sia pronta?” ribatté Vincent pugnace, danzandole intorno con la massima fluidità e costringendola a seguirlo goffamente con la punta del bastone: “Io non sono come quei ridicoli ribelli, non ti insegnerò a combattere in maniera tradizionale, con l’inchino e tutto il resto. Inchinati e ti ritroverai con la testa mozzata prima ancora di poterti raddrizzare. Per me la scherma è una danza di morte”.
“Ho capito, ho capito” sbuffò Anya, scostandosi dietro l’orecchio una ciocca sfuggita alla coda: “Ci sono”.
Vincent le sorrise, un sorriso affilato come una lama: “Stiamo a vedere”.
Iniziarono a muoversi, con l’erba che frusciava sotto i loro stivali, i bastoni puntati l’uno contro l’altro e i respiri affannosi a scandire il tempo, in un continuo attaccare a ritirarsi. Anya, concentrata al massimo sul corpo di Vincent, sui suoi movimenti fluidi, le sue mosse, i suoi occhi gelidi, si sforzava spasmodicamente di anticiparne gli assalti, o quantomeno di non indietreggiare troppo, e ogni volta che lui scattava in un affondo, lo parava prontamente o si spostava di lato, schivandolo. Se considerava quante ne aveva prese solo il giorno prima, era un vero trionfo riuscire ad evitare i suoi attacchi. L’uomo balzava fulmineo come un predatore, mirando ai punti scoperti, e Anya cercava di pensare a più cose contemporaneamente, il proteggersi, il parare, la postura. Era consapevole che se non si fosse difesa, lui l’avrebbe colpita duramente: sapeva essere spietato, e aveva scoperto sulla propria pelle parecchi lividi dopo quegli addestramenti, non si faceva problemi a sbatterla contro il tronco di un albero, farla cadere a terra o colpirla all’addome. Combatteva come…un animale. Un animale ferito.
“Beh?” la spronò ad un certo punto, indurendo il volto.
Beh cosa?” boccheggiò, sudata e ansimante, seguendolo goffamente mentre scartava di lato. I muscoli e le ossa protestavano di più ad ogni secondo che passava, e il nervosismo aumentava di conseguenza.
“Mi stai lasciando condurre il gioco!” disse Vincent, secco: “Attacca, non ti difendere soltanto. Come speri di battere il tuo avversario? Parando finché non si stanca?”
Anya si sentì avvampare: “Sto facendo del mio meglio! Non puoi pretendere che mandi a segno qualche colpo alla terza lezione, contro di te che sei…”
“Sul campo di battaglia l’esperienza conta poco” la contraddisse lui: “Ho visto novellini alle prime armi buttare giù veterani di guerra. È l’istinto che fa la differenza, la tua volontà di sconfiggere l’avversario. Smetti di pensare”.
“Non posso non pensare. Se non penso come diavolo la mantengo la postura giusta? E le mosse? E…”
“Lo scopo di questo allenamento è insegnarti a non pensare. È farti ripetere le mosse fino alla nausea, fino a che il tuo corpo non le imparerà talmente bene da eseguirle istintivamente, senza bisogno che tu le pensi prima” Vincent parlava e attaccava contemporaneamente, con la massima naturalezza, e pareva anche fresco come una rosa, cosa irritante non poco. Anya si sentiva prossima a collassare e a farsi raccogliere con il cucchiaino. Al liceo era entrata nella squadra di football femminile e anche al college aveva continuato la sua attività sportiva, muoversi le piaceva, scaricava la tensione accumulata durante la settimana, tra suo padre assente e incapace di fare il genitore, Liz che aveva continui problemi a scuola e il lavoro al Once Upon A Time Cafè, ma questo era diverso. Questo era qualcosa di…massacrante. E, che cavolo, lei teneva all’opinione di Vincent. Voleva fargli una buona impressione, voleva stupirlo. Per questo era così frustrante, sbagliare di continuo. Non farne una giusta mai, nemmeno una fottuta…
“Ecco!” l’esclamazione dell’uomo la riscosse: “Hai visto? Eri distratta, pensavi a tutt’altro, ed hai eseguito una mossa perfetta. Senza neanche accorgertene”.
Sbatté le palpebre. Il volto di Vincent non lasciava trasparire nulla, né ammirazione, né compiacimento, eppure…lei quelle parole le aveva sentite. Represse a fatica un sorrisetto soddisfatto, per evitare di sembrare una bambinetta eccitata perché ha avuto la nota di merito, e ripartì all’attacco con rinnovata determinazione. L’uomo parve sorpreso dall’improvviso assalto – finora, in effetti, gli aveva lasciato condurre completamente il gioco, limitandosi a seguirlo e a tentare di anticipare le sue mosse – e indietreggiò appena appena, prima di riprendersi e piantare solidamente gli stivali sul terreno.
Anya sbuffò; quando Vincent puntava i piedi e innalzava le difese, penetrarle diventava pressoché impossibile. Non era un fragile non-morto scoordinato e fatto di ossa marcite – per quanto quelle creature la spaventassero tuttora, quando le ricordava – ma un uomo robusto, implacabile ed esperto, che sembrava sempre sapere in che modo lo avrebbe attaccato.
“Sono più grosso di te” disse lui ad un certo punto, forse accorgendosi delle sue difficoltà: “E quando hai a che fare con avversari più grossi – nel tuo caso, praticamente sempre – non puoi sperare di batterli andandogli contro a testa bassa come stai facendo adesso”.
La ragazza si sentì arrossire: “E quindi che faccio? Me la do a gambe?”
Aveva usato un tono volutamente ironico, ma Vincent replicò seccamente: “No. Devi girargli intorno, andargli alle spalle e buttarlo a terra. Una volta che è a terra, anche un orco muore con la stessa facilità di un ragazzino”.
“Grandioso” ansimò Anya: “Come?”
“È tutta questione di velocità, coordinazione, equilibrio”.
“Velocità, coordinazione, equilibrio” ripeté tra sé, con i capelli fradici di sudore e appiccicati al cranio.
“Muoviti intorno a me, e ad ogni movimento, colpiscimi con un fendente per tenermi impegnato” le spiegò Vincent, per una volta paziente: “Sta tutto nel gioco di gambe” le scoccò un’occhiata di sbieco: “Pensi di poterci riuscire?”
Lei annuì con uno scatto deciso: “Ci provo”.
Ma non andò esattamente al massimo. Anya cercò di danzargli intorno, ruotando i piedi e accompagnando ogni passo con un fendente – non era mai stata esattamente aggraziata, ma sapeva muoversi con agilità e precisione, se lo voleva – ed esultò dentro di sé quando riuscì a portarsi ad un lato di Vincent e scorse il lampo di stupore nei suoi occhi azzurri, ma poi, allorché tentò di andargli alle spalle, inciampò in un fottutissimo rametto piazzato lì, proprio lì, tra i suoi stivali, come per uno scherzo del fato, e si sbilanciò, perdendo il controllo della situazione. L’uomo, che sembrava sempre fulmineo e letale come un predatore, ne approfittò all’istante: si voltò verso di lei e Anya, ancora furiosa e disorientata per la mezza caduta, non vide arrivare l’allungo. Il bastone di Vincent la colpì all’addome, facendola piegare su se stessa, e perse la presa sul proprio, boccheggiando e dilatando gli occhi a causa della mancanza di ossigeno. Si lasciò sfuggire un: “Porca puttana!” soffocato.
“Allora?!” lui scagliò a terra la propria arma, aggressivo: “Perché non hai parato? Eri tanto brava a farlo prima, e adesso ti sei già dimenticata tutto?”
La ragazza si sentiva prossima a vomitare entrambi i polmoni: “Non ho visto arrivare il colpo!” ribatté con quel poco fiato che le rimaneva: “E quel maledetto ramo…”
“Non è colpa del ramo se hai perso il controllo della situazione” sibilò Vincent con improvviso livore: “Tu sei cieca, non sei consapevole di ciò che ti circonda. Un vero guerriero sa sempre dove sono le cose e le persone intorno a lui, percepisce il minimo rumore, e non si fa mai prendere di sorpresa”.
“In caso non l’avessi notato” ad Anya pulsava ancora il petto: “Io sono agli inizi! E comunque mi dispiace, okay? Mi dispiace di essere inciampata”.
Lui rimase a fissarla, immobile, per qualche minuto, mentre boccheggiava e si premeva una mano sull’addome, sforzandosi di riacquistare una normale respirazione. Poi scosse la testa, brutalmente, e le si avvicinò: “Siediti un attimo” disse, in tono ruvido ma più gentile del precedente: “Riprendi fiato”.
“È quello che…sto cercando…di fare!” gemette Anya.
“Siediti” ribadì Vincent, vagamente spazientito, posandole con delicatezza una mano guantata sulla schiena e accompagnandola a terra, sul prato folto e morbido. Anya si abbandonò alla sua presa, troppo stanca per opporre resistenza – e in fondo neppure lo voleva – e trovò stranamente confortante il calore della mano di lui tra le scapole. Rovesciò indietro la testa, respirando a pieni polmoni, e pian piano l’oppressione al petto se ne andò, così come il dolore che sentiva nel punto in cui era stata colpita dal bastone.
“Va meglio?” le chiese Vincent, serio.
Annuì debolmente: “Sì. Grazie” aggiunse, facendogli un cenno della testa.
“Non avresti dovuto chiedermi di insegnarti” il tono di Vincent era cupo: “Non sono abituato a questo genere di cose, non so controllare i miei colpi”.
La ragazza lo sbirciò di sottecchi. Si sentiva in colpa? Lui, uno dei più grossi stronzi che avesse mai conosciuto – e ne aveva conosciuti parecchi – si sentiva in colpa per averla colpita? Questa sì che era una novità.
Gli diede una lieve gomitata, ghignando: “Vorresti lasciarmi in pasto a Brontolo? O farmi combattere insieme a tredicenni brufolosi e infilzare fantocci di paglia? Non ci penso neanche morta. Già mi danno abbastanza sui nervi con la storia della Salvatrice, non è proprio il caso di dargli ulteriori motivi per starmi addosso”.
“Ce l’hai ancora?” le chiese, guardandola intensamente: “La bellezza nella morte?”
Anya tastò impulsivamente il sacchetto in cui aveva infilato la pietra e che portava sempre con sé, appeso al collo, sotto agli abiti. In effetti s’era pentita di aver insistito sul fatto di volerla custodire lei – molte persone lo avevano interpretato come un gesto degno della grande Salvatrice, cosa che non era assolutamente, e non ci teneva a fare la guardiana di un oggetto che un sacco di gente poco raccomandabile voleva per sé - ma aveva preso una decisione e non sarebbe tornata indietro. “Sì, ce l’ho ancora” borbottò: “Me l’avrai chiesto come minimo centomila volte. Ma cos’è che può fare, esattamente, a parte aprire passaggi segreti e brillare come una luce psichedelica?”
“Nessuno lo sa con esattezza” tagliò corto lui: “Comunque è bene che tu non la perda. Non hai idea di quanto può essere preziosa e utile per ritrovare tua sorella” si slacciò una borraccia dalla cintura e gliela porse sbrigativamente: “Bevi, piuttosto. Hai l’aria distrutta”.
Anya non se lo fece ripetere due volte, e prosciugò avidamente diverse sorsate, restituendogli la borraccia con un ulteriore ringraziamento. Lui favorì a sua volta, prima di riagganciarsela sui fianchi. Per qualche istante rimasero in silenzio, seduti uno accanto all’altra, in mezzo al frinire dei grilli e ai fruscii del vento tra le foglie. La ragazza trovava il momento piacevole e rilassante, dopo la faticata di poco prima.
La domanda di Vincent giunse inaspettata: “Come si chiama tua sorella?”
Gli rivolse uno sguardo perplesso: “Eh?”
“Ti ho chiesto come si chiama tua sorella” sbottò, spazientito.
Anya non riuscì a nascondere lo sbalordimento. Di solito era sempre lei ad iniziare una conversazione, Vincent si lasciava cavare le parole con le pinze, e spesso e volentieri ostentava l’aria di chi si piegava a parlare molto di malavoglia. Per lo più le aveva chiesto qualcosa di personale, si era… interessato a lei. Cosa che non faceva mai. Per la maggior parte del tempo che avevano trascorso insieme, l’aveva trattata come un impiastro ingombrante che si era ritrovato per infausta casualità tra capo e collo. Fu per questo che reagì con qualche secondo di ritardo, obbligandosi a piantarla di fissarlo come una cretina: “Oh! Elizabeth. Si chiama…Elizabeth”.
Lui annuì piano; la sua espressione, come al solito, non lasciava trapelare nulla, i suoi stessi occhi erano di ghiaccio, troppo impenetrabili perché si potesse intravedere cosa vi era celato: “È più giovane di te”.
Più che una domanda, pareva una constatazione, anche se a rigor di logica lui non poteva conoscere l’età di Liz, dato che era apparso dopo che sua sorella era stata risucchiata in quel maledetto vortice, ma Anya si limitò a scrollare le spalle: “Sì. Ma non è abbastanza matura” le parole le scapparono quasi contro la sua volontà, sollecitate dall’apprensione e dalla paura che provava da quando erano state separate: “Io, alla sua età, avevo già capito da un bel pezzo come funzionava il mondo. Mentre lei…vive in una dimensione tutta sua. Spesso pensa che se vuoi una cosa quella si realizza così, per magia”.
Rabbrividì nel pronunciare l’ultima parola. Magia. Pareva che nel Regno delle Favole ne esistesse fin troppa, di magia. E lei non ci andava affatto d’accordo, era qualcosa che sfuggiva al suo modo di pensare. Non vedeva l’ora di tornare a New York, dove vigevano regole che le andavano di gran lunga più a genio.
Vincent taceva, ma dall’intensità dei suoi occhi fissi su di lei e dalla serietà del suo volto, Anya ebbe l’impressione che la stesse ascoltando con attenzione e interesse, cosa che la lusingò, spingendola a continuare, a scoprirsi un po’ di più: “Ne ha prese fin troppe, a causa della sua incapacità di fare i conti con la realtà. E ho paura che…che potrebbe esporsi ai pericoli. Insomma, prima quel dannato Uomo Nero, poi l’orda di non-morti e…”
“La Foresta Incantata è notoriamente un luogo pieno di pericoli” replicò Vincent, asciutto: “Può darsi che il portale abbia condotto tua sorella in un posto più sicuro. Ne esistono ancora, dopotutto” commentò con un’ombra di sarcasmo.
“E se non fosse così?” lo incalzò Anya, accalorandosi: “Come faccio ad esserne sicura? Vincent, quando ce ne andremo dal campo?”
Lui ebbe uno scatto della testa, come se stesse allontanando una mosca: “Te l’ho detto, sto aspettando…”
“…il momento giusto?” lo interruppe la ragazza. Serrò le labbra: “E quando sarebbe, questo momento giusto? Sai, è davvero frustrante questo vostro pretendere che ci adeguiamo ai vostri desideri”.
“Di chi accidenti stai parlando?” Vincent appariva leggermente irritato.
“Di tutti voi” rispose Anya: “Tu, mio padre, Gaston…”
“Chi è Gaston?”
La voce dell’uomo la colpì: secca, dura, tagliente. Nel corso della loro conversazione, benché avesse mantenuto il suo solito atteggiamento scostante, Vincent le aveva dato l’impressione di essersi rilassato, di aver abbassato un poco le difese, e si era persino interessato a lei, a Liz. Adesso, nel suo tono colse quella nota fredda e affilata che lo aveva caratterizzato i primi tempi, e alzando lo sguardo lo trovò rigido, con il volto contratto.
“Eh?” aggrottò le sopracciglia: “Gaston è…Gaston”.
“Questa non è una risposta” sibilò Vincent, seguitando a fissarla duramente con i suoi occhi azzurro ghiaccio.
Anya si mise sulla difensiva, e adottò un tono agguerrito: “Vacci piano. Non sono cavoli tuoi, fino a prova contraria. Comunque Gaston è semplicemente..” uno scimmione scappato dal circo? Un idiota senza cervello? “…un tizio che s’è fissato con me”.
Vincent buttò indietro la testa e rise. Una risata priva di allegria, sguaiata, crudele, schernitrice. Che la ferì come il bastone poco prima.
“Oh, capisco” la sua voce trasudava scherno: “Dunque ti sei lasciata qualcuno alle spalle, quando sei venuta qui”.
Anya avvampò: “Non è quello che ho…”
“E dimmi” la interruppe lui, scoprendo i denti in un ghigno che non si estendeva agli occhi, dietro cui le parve di scorgere della rabbia: “Sei tanto ansiosa di trovare la tua piccola sorellina perché sei in pena per lei, o piuttosto perché non vedi l’ora di tornare dal tuo amante?”
“Il mio…” Anya spalancò gli occhi, non riusciva a credere alle sue orecchie: “Ma sei scemo, per caso? Gaston non…non…e anche se fosse, non hai il diritto di trattarmi in questo modo!”
“Ah!” Vincent rise di nuovo, con aria di freddo, rabbioso trionfo, illividendo in viso: “Quindi è per questo che insisti tanto sull’andartene di qui. Fai tanto l’orgogliosa, l’indipendente, ma in definitiva tutto quello che fai, lo fai per il tuo uomo”.
Anya era totalmente indecisa tra lo stupore e la collera. Si era sentita quasi in pace, a parlare, riprendendo fiato dopo l’allenamento e sfogandosi su Liz, e adesso quel…quello…stronzo aveva male interpretato le sue parole, facendo tutto da solo, e la stava accusando di cose assurde, sparando una quantità di puttanate tale da lasciarla senza fiato. Scattò istintivamente in piedi, serrando i pugni per la rabbia: “Ascoltami bene, stronzo” ringhiò: “Piantala. Piantala immediatamente. O io…”
“Cosa?” ribatté Vincent, sprezzante: “Chiederai a Gaston di difendere il tuo onore? Mi auguro che sia più bravo di te a combattere”.
Aveva una voglia matta di avventarsi su di lui e strangolarlo. O di prenderlo a sberle su quella faccia da schiaffi che si ritrovava. O…o….e perché cavolo stava facendo tutta quella storia, poi? Era geloso, per caso? Geloso di Gaston?
Come no. Sarà meno bastardo di prima, ma ti tratta ancora come una ragazzina incapace.
Avvampò, furiosa con i suoi stessi pensieri, con l’assurdo corso che stavano prendendo. Vincent, nel frattempo, si era alzato bruscamente dall’erba, rassettandosi i vestiti, e si stava avviando verso la linea di alberi che conduceva al Campo dei Ribelli, con passo pesante e sostenuto.
“Ehi!” strillò Anya, rossa in volto: “Dove cavolo vai adesso?!”
“A farmi un bagno, tanto per cominciare” le rispose lui, secco, senza nemmeno voltarsi.
“Ma la lezione non è ancora finita!”
“Sì, invece” Vincent volse appena il viso, offrendole un profilo aspro, un occhio che luccicava, covando rabbia dentro di sé: “È evidente che anziché concentrarti pensi al tuo amante, e finché ti comporterai in questo modo, non farai alcun progresso. Mi rifiuto di sprecare il mio tempo con una causa persa”.
“Tu…tu…” la ragazza tremava: “Queste sono solo patetiche scuse che stai avvallando perché…” non dirlo. Non dirlo. “Perché ti rode qualcosa di Gaston, anche se sei troppo codardo per ammetterlo!” finì per strillare, mandando dignità e ritegno a farsi benedire.
Vincent si fermò. Per un attimo, restò immobile, come una scultura di marmo, senza accennare il minimo movimento, una figura nera e quasi tenebrosa che si stagliava contro la luce del sole. Anya lo fissava, ansimando, strappandosi il sudore dalla fronte, aspettando con strana trepidazione che rispondesse alla provocazione. Qualcosa le fremeva, nello stomaco, e le mani le formicolavano.
“Tu sei pazza” disse infine l’uomo, in tono sferzante. Quindi riprese a camminare.
La rabbia e la frustrazione quasi la soffocavano. In fondo, si disse, doveva fregarsene se quello stronzo la trattava come una pezza da scarpe e sciorinava le sue insinuazioni senza né capo né coda. Sapeva com’era fatto, e anche se una maledetta parte di lei soffriva, un’altra, quella che aveva ricevuto fin troppi colpi dalla vita, e in particolare dagli uomini – suo padre, i ragazzi con cui era uscita, uno più coglione dell’altro, e Gaston, sì – le suggeriva di prenderla con filosofia. Vincent era soltanto un personaggio delle favole, da un certo punto di vista non era nemmeno reale, o comunque non lo sarebbe stato una volta che fosse tornata a New York. Perché diamine le importava a tal punto della sua opinione? Che se ne andasse. Che covasse la sua rabbia immotivata. Non erano affari suoi. Lei doveva pensare a Liz, non perdere tempo con quelle stronzate.
La figura dell’uomo era in procinto di svanire tra gli alberi, già si stava tramutando in un’ombra, un’esile sagoma scura.
Oh, al diavolo!
I riflessi di Vincent erano infallibili, e furono quelli ad avvertirlo del bastone che, da dietro, stava calando con forza spaventosa sulla sua testa. Si voltò di scatto, tuffandosi di lato ed evitandolo, e dilatò gli occhi per lo stupore, puntandoli sulla ragazza che, brandendo l’arma con ambedue le mani e riducendo le palpebre a fessure sottilissime, gli venne nuovamente incontro, minacciosa, nonostante il colpo andato a vuoto.
“Sei impazzita?!” gridò Vincent, incapace di celare lo sconcerto: “Che diavolo stai facendo?!”
“Metto in pratica i tuoi insegnamenti” rispose lei, gli occhi verdi fiammeggianti: “Tanto per cominciare, ho aspettato il momento giusto e ti ho colto impreparato e disarmato. Non è così?”
Lui arretrò, spostando rapidamente lo sguardo dal bastone puntato al suo petto al volto truce della giovane: “Hai perso del tutto la tua maledetta testa, ragazza?”
“Punto primo” fulminea, Anya eseguì un fendente così come lui stesso le aveva insegnato il giorno prima e lo colpì al fianco, facendolo sbilanciare leggermente e soffiare un’imprecazione tra i denti: “Il mio nome è Anya, Anya Hadleigh. Mi sarò presentata come minimo settimane fa, ma nella tua maledetta testa pare che la cosa non entri”.
Vincent la stava incenerendo con un’occhiata omicida: “Se non la smetti immediatamente, giuro che…”
“Punto secondo!” un affondo volò in direzione dell’uomo, che stavolta lo evitò con una mezza contorsione, costretto ad arretrare dalla propria mancanza di armi: “Non hai nessun diritto di trattarmi di merda sulla base di assurde supposizioni che partorisci senza nessun motivo” Anya si fermò un attimo a recuperare il fiato, era parecchio accaldata e infervorata. Precisò, borbottando: “Comunque tra me e Gaston non c’è niente”.  
Perché diavolo lo stesse dicendo, poi, non lo sapeva. Dopotutto non erano affari di Vincent se lei stava con quello scimmione da circo o meno. Eppure…
“Pensi che me ne importi qualcosa?” replicò l’uomo, continuando a saltare e piroettare per evitare la pioggia di bastonate che gli stava riversando addosso. Forse erano tutte allucinazioni, forse quel dannato mondo la stava influenzando, eppure Anya ebbe l’impressione che i muscoli di lui si fossero lievemente rilassati e che, benché la smorfia di rabbia e stupore fosse rimasta al suo posto, gli occhi azzurri avessero cessato di emanare il bagliore gelido di prima. Questo la spinse a non demordere.
“Penso che te ne importi abbastanza” replicò aggressiva: “Visto che scena hai fatto! E come vedi mi concentro, durante le nostre lezioni”.
“Ho capito!” ruggì lui, abbassandosi a schivare un colpo di taglio che per poco non lo prese in piena tempia: “Ho capito, ma adesso lascia quel bastone, siano maledetti i Grimm, prima che…”
Perse l’equilibrio, inciampando in una radice così come lei, prima, era inciampata nel ramo – giustizia è stata fatta, pensò Anya – e impulsivamente allungò una mano e l’afferrò per il corpetto, trascinandola con sé nella caduta. La ragazza si lasciò sfuggire un grido e crollarono pesantemente a terra, in un groviglio di braccia e gambe che si contorcevano, lui sotto di lei, lei sopra di lui. Anya tossì, facendo leva sul petto di Vincent per sollevarsi leggermente, e realizzò che i loro volti erano ad appena una spanna di distanza l’uno dall’altro. Poteva contargli le ciglia una ad una, distinguere la radissima peluria che gli ombreggiava guance e mento, e ogni singola sfumatura delle iridi azzurro ghiaccio, che di notte si facevano gialle come quelle di un lupo. Si ansimavano vicendevolmente in faccia, stremati.
Un bizzarro calore, non sgradevole, né ustionante come quello di prima, le serpeggiò nel petto come un liquore bollente e lo sentì salire alle guance e alle orecchie in una vampata potente. Persino il volto di Vincent, dell’impenetrabile, acido Vincent, si fece lievemente più colorito, e gli occhi azzurri scapparono ai verdi come quelli di un animale che teme di essere catturato e preso nella rete. Anya si sentiva come inchiodata in quella posizione, incapace di muoversi o di parlare. Il tempo era…svanito. E se fosse venuto qualcuno e li avesse trovati in quel modo…
Fu lui a spezzare l’innaturale e denso silenzio calato sulla radura, in un tono che voleva essere sarcastico ma che non ci riusciva fino in fondo: “Ci terrei a farti notare che non sei una piuma, Anya Hadleigh”.
Il rossore sulle guance della ragazza si fece, se possibile, ancora più evidente. Doveva essere una dote di Vincent, quella di farla sentire sempre, sempre una perfetta cretina.
Ma stavolta è diverso.
Si raddrizzò in fretta e furia, togliendosi da sopra di lui, e strisciò rapidamente indietro, appoggiando la schiena ad un albero e abbassando il capo. Il cuore le batteva nella gabbia toracica ad un ritmo irregolare e affannoso. Che scenata melodrammatica aveva fatto. E solo perché si era comportato da stronzo per l’ennesima volta! Doveva averla persa davvero, la sua maledetta testa. Si era resa ridicola in una maniera che…
“Scusa”.
Rialzò il capo di scatto, spalancando gli occhi.
Vincent, accovacciato nel punto dov’erano caduti, aveva parlato senza guardarla, fissando invece la macchia di alberi con una lieve smorfia e la mascella contratta, eppure quell’unica parola era riecheggiata, sibillina e assordante, nella quiete dopo la tempesta che li circondava. Ad Anya parve vagamente…a disagio.
“Non dovevo aggredirti” ammise, strappandosi le parole a forza nel suo tipico modo: “Ho sbagliato” la guardò con rabbia: “Mi dispiace, va bene?!”
Anya sbatté le palpebre. Il cuore non aveva smesso di battere forte. Né le sue mani di tremare. Non sapeva bene che dire. Delle scuse erano l’ultima cosa che si sarebbe aspettata, dopo tutto quel casino. Quell’uomo era…incredibile. Decifrarlo sarebbe stata un’impresa impossibile persino per Freud, e peraltro a lei la psicologia non era nemmeno mai interessata più di tanto.
“V…va bene” finì per balbettare, imbarazzata.
Vincent si mise in piedi, spolverandosi seccamente i pantaloni, e le venne incontro, tendendole una mano: “Coraggio, alzati. Sei esausta, ti devi riposare. E credo proprio che per oggi abbiamo fatto abbastanza”.
Dopo un breve attimo di disorientamento, la ragazza accettò la sua mano e si fece tirare su. Il palmo di Vincent era sudato, ma la presa salda, abbastanza forte di sorreggerla, ma abbastanza delicata da non farle male. Rabbrividì, mentre lui le lasciava andare la mano quasi sbrigativamente. Guardarono entrambi altrove, ignorando i due bastoni che giacevano in terra.
“Comunque sei stata brava” fece Vincent.
Anya lo studiò: “Come?”
“Hai saputo cogliere il momento giusto” spiegò lui in tono neutro: “E ne hai approfittato. Forse non sei del tutto una causa persa con la spada”.
“Ah, ti ringrazio” rispose sarcasticamente.
Forse era solo un’impressione, ma le parve che le labbra di Vincent accennassero, per mezza frazione di secondo, un sorriso.
“Domani passeremo a delle tecniche di combattimento più complicate” la informò: “Adesso torniamo al campo”.
Durante il tragitto che li ricondusse dai ribelli, il cuore di Anya seguitò a battere in quel modo strano e irregolare, scandendo il ritmo dei loro passi in sincronia.

 
  
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