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Autore: londra555    16/05/2014    7 recensioni
In un mondo di cavalieri, magia e leggenda, Santana si troverà a dover scegliere tra il suo destino e i suoi desideri.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note:
Le note prima di iniziare di solito non sono una buona cosa secondo me… e nemmeno questa volta fa eccezione. Dunque prima di tutto son tornata anche se pensavo non sarebbe successo. Ovviamente Brittana e ovviamente AU! La storia doveva essere una shot ma poi mi è scappata di mano ma comunque non avrà più di tre capitoli (o almeno dovrebbe). Il genere è fantasy con un mondo medioevale e un po’ di magia. Spero vi piaccia. Per chi vuole leggerla vorrei dire che il fatto che ci sia tra gli avvisi “angst” non è casuale (gira così in questo periodo).
Grazie in anticipo a chiunque voglia leggere questo primo capitolo. Sapete che se volete lasciarmi due parole vi sarò grata e se non avete voglia vi sarò grata uguale per aver letto!
Un abbraccio e a presto!
  
 
 
Capitolo I
 
La giovane strinse con forza le redini e piantò i talloni nei fianchi della giumenta, che scartò seguendo il sentiero appena accennato tra gli alberi.
-Santana!
La voce di Puck e il rumore del suo grosso cavallo sauro che arrancava lungo il sentiero si facevano sempre più distanti, quasi attutiti dagli alberi e persi tra i mille altri suoni che la circondavano. Santana sogghignò. Non l’avrebbe raggiunta nemmeno questa volta. Ancora si domandava perché suo padre pensasse che Puck fosse adatto al compito di tenerla al sicuro, non era mai riuscito a starle dietro nemmeno quando erano ancora dei mocciosi che passavano i pomeriggi a fare a gara a chi salisse più in alto nei grandi alberi del giardino del castello. Non che Finn fosse uno scudiero migliore, per seminarlo le era bastato, come sempre, spronare il cavallo non appena aveva superato il grande portale in legno del suo castello e voltare a sinistra per buttarsi lungo la collina che scendeva leggermente sino al bosco, evitando così il villaggio e i suoi abitanti. Un paio di contadini piegati sulla terra che iniziava a cambiare decisamente dalle tonalità scure dell’inverno appena concluso a quelle verdi che confermavano l’arrivo ormai imminente della primavera, avevano sollevato lo sguardo ma nulla più. Erano abituati a vedere la figlia del loro sovrano cavalcare inseguita, più o meno da tergo, dai suoi scudieri. Per loro era naturale come vedere il sole che sorgeva ogni mattino.
Santana rallentò appena e con il movimento del corpo fece scartare ancora il suo cavallo per far perdere le sue tracce, Puck avrebbe dovuto faticare anche questa volta se voleva ritrovarla e non tornare al castello da solo e ricevere così l’ennesima lavata di capo dal loro maestro d’armi. Questo pensiero le strappò un sorriso e decise di allontanarsi ancora, spingendosi nel bosco il più possibile. Si chinò per evitare un ramo tendendo le orecchie per assicurarsi che non ci fosse lo scalpiccio degli zoccoli di un secondo cavallo e, mentre gli alberi si aprivano per fare spazio a una verde radura, Santana decise che quello fosse il posto adatto per fermarsi.
Smontò agilmente dal cavallo, con la lana spessa che le fasciava le gambe che le pizzicava la pelle, il farsetto di cuoio che le stringeva troppo appena sotto il collo e la spada corta che pesava, rassicurante, al suo fianco. Si guardò intorno accompagnando il cavallo lungo il ruscello affinché si ristorasse. Immerse lei stessa le mani nell’acqua e bagnò il suo volto e la nuca emettendo un suono misto di sollievo e fastidio per il freddo che le fece accapponare la pelle.
La radura era stranamente silenziosa, quasi come se fosse protetta da una campana di vetro che impedisse ai suoni di raggiungerla. Anche l’acqua del ruscello sembrava scivolare lungo il suo letto come fosse seta. Al centro c’era un enorme sicomoro, forse l’albero più grande che Santana avesse mai visto. Il suo tronco era rugoso e spesso con la corteccia che, in alcuni punti, quasi virava sull’arancione. Si avvicinò e posò una mano sul legno sollevando il viso, protetta dall’ombra delle grandi foglie ovali. Fissò in alto per lunghi istanti con le labbra semi aperte, decisamente era l’albero più grande che avesse mai visto. E, decisamente, era la prima volta che si trovava in quella radura. Una cosa che trovò curiosa, era quasi certa di conoscere quel bosco come il palmo della sua mano. Era quasi certa di aver visto ogni angolo. Per questo era tanto brava a nascondersi da Puck.
Accarezzò quasi dolcemente la corteccia un’ultima volta prima di abbassare il capo e voltarsi per assicurarsi che il suo cavallo non si fosse allontanato. Sospirò ed estrasse la spada dal suo semplice fodero di cuoio. I raggi del sole colpirono la lama creando un gioco di luci che la fece sorridere. Le dita della sua mano sinistra si strinsero con maggior fermezza sull’impugnatura e, improvvisamente, fece volteggiare la spada fendendo l’aria come fosse un nemico invisibile. Provò un paio di affondi e sospirò. Forse non era stata una buona idea seminare Puck e Finn. Forse sarebbe stato meglio averli lì per potersi allenare approfittando di quella radura naturale.
Del resto il suo maestro d’armi lo diceva sempre che era meglio avere un’altra spada e uno scudo con cui provare e riprovare ogni affondo, ogni posizione difensiva. L’aria non era mai un degno avversario.
Specialmente adesso che mancava così poco al momento tanto atteso.
Santana sentì un fremito d’eccitazione al solo pensarci. Era stato un inverno d’attesa e di preparazione. Aveva guardato la neve cadere e poi sciogliersi mentre i fabbri reali lavoravano a pieno regime per fabbricare le armi e i soldati si addestravano coscientemente per quello che sarebbe successo con la primavera e con i passi montagnosi di nuovo percorribili.
Suo padre stesso l’aveva addestrata, insieme ai migliori maestri per prepararla per quel momento, da sempre, da quando era stata in grado di stringere un’elsa tra le sue mani. Prima di saper camminare, o almeno così raccontavano nel castello i servi e i vecchi che l’avevano vista nascere.
E adesso, dopo tanto lavoro e sudore, quella era la primavera che aveva aspettato. Avrebbe cavalcato alla testa del suo esercito e avrebbe portato la guerra che il regno aveva atteso. Una guerra di vendetta che avrebbe lavato l’onta della sconfitta di suo padre e che avrebbe riunito nuovamente il regno.
Santana conosceva bene la storia, era quella che narravano tutte le canzoni, quella che il Maestro della Memoria le aveva fatto conoscere dagli annali, quella che suo padre le raccontava, quasi fosse una favola di fate e cavalieri, ogni notte prima di dormire. Era una storia di rivolta e lutto. La storia di come un semplice lord vassallo aveva tradito suo padre, re di diritto, e aveva diviso il regno.
E toccava a lei riconquistarlo. Questo le era stato insegnato e questo lei avrebbe fatto. In pochi giorni sarebbe partita, con l’esercito gonfio di spade e assetato di gloria. Con Puck al suo fianco e la Sacerdotessa a benedire i suoi passi.
Avrebbe compiuto il suo destino e ciò per cui era nata.
Immaginò di trovarsi in mezzo alla mischia, mosse la spada con precisione e infilzò al collo un soldato avversario, giusto nell’attaccatura delle squame della corazza. Schivò un fendente abbassandosi appena in tempo e colpì il soldato che l’aveva mancata con il suo scudo immaginario, quasi poteva sentirne il peso sul braccio. Si voltò improvvisamente per parare un affondo alle sue spalle…
-Non mi piacciono le spade.
Santana sobbalzò e quasi inciampò sui suoi stessi piedi, spaventata da quella voce che non conosceva. Ritrovò l’equilibrio e, stringendo con forza l’arma con entrambe le mani si voltò verso il luogo da dove proveniva la voce.
Appoggiata al tronco del sicomoro vi era una fanciulla che la guardava con espressione corrucciata. Pelle candida e capelli dorati che qualche raggio di sole, che riusciva ad attraversare il fogliame, faceva brillare quasi fossero circondati da una corona d’oro. Aveva gli occhi socchiusi, come stessero valutando Santana in ogni aspetto, ma sembravano di uno strano azzurro cristallino.
Santana non abbassò la spada, più perché le dava una maggior sicurezza che perché si sentisse in pericolo. Quella fanciulla indossava un abito azzurro che si intonava con i suoi occhi, sembrava di seta preziosa e perfetto. Come se la giovane fosse apparsa lì improvvisamente e non avesse dovuto camminare tra gli alberi.
-Sei una contadina del villaggio?
La domanda di Santana aleggiò nell’aria sembrando insensata alle sue stesse orecchie. Bastava uno sguardo superficiale per accorgersi che non poteva essere una semplice ragazza del villaggio. Ma Santana era certa che non fosse neppure la figlia di qualche nobile vassallo del regno giunto per portare spade per la guerra imminente. Lei conosceva praticamente ogni volto nobile. Era parte dei suoi doveri.
E Santana rispettava sempre i suoi doveri.
La giovane si limitò a sorridere, enigmatica o forse solo divertita dall’assurda domanda. Piegò il capo e aprì leggermente i suoi occhi per puntarli in quelli scuri di Santana.
-Non mi piacciono le spade – ripeté.
Santana soppesò l’arma passandola leggermente da una mano all’altra. Sapeva che era inutile e che non correva nessun pericolo, ma non riusciva a convincersi a rinfoderarla. Sostenne quello sguardo e abbassò leggermente la punta dirigendola al suolo.
-Chi sei?
Questa volta la domanda non sembrò così insensata. Ma sul volto della ragazza continuava a danzare lo stesso sorriso. Distolse lo sguardo e si allontanò leggermente dal tronco del sicomoro prima di sistemare l’abito per sedersi, con una delicata grazia, al suolo. Per un momento Santana pensò che non avrebbe risposto neppure a quella domanda. Ma poi la fanciulla sollevò di nuovo lo sguardo.
-Chi credi che io sia?
Santana aggrottò la fronte, lasciò che la punta della spada toccasse terra e tenne l’elsa solo con la mano destra mentre portava la sinistra dietro la nuca, come se quel gesto l’aiutasse a pensare. Non era abituata a non ricevere risposte. Ma non sapeva se esserne irritata o affascinata.
-So chi non sei – borbottò quasi controvoglia – Non sei una contadina, non sei del villaggio e non sei ospite al castello.
Il sorriso sul volto della fanciulla si allargò appena di più.
-Sai più cose di quante sembra.
Santana era indecisa se prendere quella frase come un’offesa o meno. Una piccola parte di lei si sentiva derisa. Passò la spada da una mano all’altra. Guardò prima la lama e poi di nuovo la giovane davanti a lei alla ricerca di una frase adeguatamente irritata per mettere le cose in chiaro. Nessuna giovane, per quanto sembrasse nobile, poteva permettersi di deriderla.
-E tu chi sei?
Quella domanda la fece vacillare. Santana si accorse che doveva avere un’espressione stupidamente ebete quanto quella del giullare di corte e chiuse le labbra con uno schiocco secco per ritrovare la compostezza. Di nuovo la guardò per assicurarsi che non fosse vittima di uno scherzo, ma la fanciulla sembrava genuinamente curiosa. Santana raddrizzò la schiena, rimise la spada nel fodero e si schiarì la voce per avere un tono solenne.
-Sono Santana, erede legittima di questo regno e tua sovrana.
La fanciulla si lasciò scappare una risata, che suonò fresca e cristallina come le acque di una sorgente, alle orecchie di Santana, ma era pur sempre una risata e non poteva non leggervi scherno.
-Ma questo non è possibile!
La giovane continuava a guardarla con un’espressione così sincera che Santana non seppe a quale istinto dar retta, a quello che le diceva che non poteva tollerare tali insulti o a quello che la spingeva a indagare di più per scoprire chi fosse davvero la persona con cui stava parlando.
-Come non è possibile?
-Io non ho sovrani.
Santana aprì di nuovo la bocca. Stupita, incuriosita e sconcertata allo stesso tempo. Serrò le labbra nuovamente con un gesto secco, doveva ricordarsi di mantenere la compostezza, maledizione.
-Sei in questo regno, quindi ribadisco che stai parlando con la tua sovrana… e dovresti fare attenzione e mostrare rispetto.
La fanciulla non sembrò accorgersi della lieve minaccia con cui Santana aveva voluto concludere la frase. Oppure semplicemente non pensava che lo fosse. Del resto la stessa Santana non era sicura che sarebbe davvero riuscita a fare alcun male alla giovane davanti ai suoi occhi. Per quanto sembrasse deriderla.
-Sono solo di passaggio.
Santana annuì, poco convinta. Una straniera? Avrebbe spiegato molte cose, ma non tutte. Da dove veniva? Come era arrivata lì sola? Dove stava andando?
-Non so il tuo nome.
-Puoi chiamarmi Brittany.
Santana annuì squadrandola curiosa. Fece un passo verso di lei e si fermò, indecisa. Brittany sembrò leggere la sua incertezza.
-Siediti con me.
Santana annuì nuovamente e fece un passo e poi un altro. Più si avvicinava più poteva vedere i dettagli di quella creatura davanti a lei. La pelle era più pallida di quanto pensava fosse possibile e sembrava anche più morbida di qualunque cosa avesse mai visto. I capelli erano biondi e sembravano brillare di una luce propria. I suoi occhi erano azzurri e limpidi come l’acqua della sorgente più profonda. Brittany sembrava quasi avvolta in una luce che irradiava lei stessa.
Santana pensò stupidamente che non poteva essere di questo mondo. Ricordi dei racconti della sua infanzia di un mondo fantastico che si era perso nel buio del passare dei secoli, danzavano leggeri nella sua testa.
-Santana!
La voce che la chiamava era ancora distante, ma perfettamente percepibile e riconoscibile. Santana si voltò alla sua destra ma Puck non era in vista. Ciò non di meno sapeva che era lui che l’aveva chiamata e sapeva che si stava avvicinando.
Guardò rapidamente Brittany e fece una smorfia.
-Devo andare – disse a malincuore.
Brittany annuì, come se lo sapesse perfettamente. Santana si voltò e salì sul cavallo, lo spinse ai margini della radura e si voltò ancora per guardare la giovane ancora tranquillamente seduta al suolo.
-Ci rivedremo? – domandò.
Sperava che la risposta fosse affermativa, perché aveva così tante domande da fare e così tante risposte da ricevere.
-Sì – rispose semplicemente Brittany.
Santana sorrise. Grata di sentirlo da quelle labbra, come se ogni suono pronunciato da loro non potesse essere altro che una verità.
-Santana!
La voce di Puck era sempre più vicina, Santana riuscì anche a sentire come malediva a voce alta evidentemente frustrato dalla lunga ricerca.
Gettò un’ultima occhiata alla ragazza, le fece un gesto con la testa, come un saluto, e si inoltrò nel bosco. Vide Puck tra gli alberi a pochi metri.
-Qui! – gli urlò.
Il ragazzo si voltò di scatto e strinse la mascella quando la vide.
-Alla buonora! – sbottò – Stavo per tornare al castello!
Santana si limitò a un sogghigno. Poi si voltò per gettare un’ultima occhiata alla radura. La visuale non era perfetta a causa della fitta vegetazione, ma riuscì a vedere il tronco del sicomoro, grosso e ruvido e solo.
Non vi era traccia di nessuna fanciulla.  
   
     
  
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