Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |      
Autore: Graeca    16/05/2014    2 recensioni
Se avesse esposto questo su ragionamento su Legno, Coccio e Vetro a qualcuno del campo, ma anche ad un perfetto sconosciuto, e successivamente gli avesse chiesto cos’era, secondo lui, Reyna Belladonna quello solo a guardarla avrebbe risposto
–Legno.-
Ed era proprio questo il problema. La gente guardava ma non vedeva.
Lui sapeva vedere. E Octavian vedeva che Reyna era vetro.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Octavian, Reyna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A mio cugino Vincenzo che ancora non capisce
come io possa shippare Reyna con Octavian,
ma che sclererà come non so cosa
quando gli dirò che gli ho dedicato questa cosa.
 
                                                                                     Di crepe e vetri infranti
 
Se c’è una cosa che la gente è brava a fare è ‘catalogare’ il prossimo. Tutti lo fanno. Poi naturalmente c’è l’ipocrita di turno che sostiene di non possedere questa sgradevole abitudine. Tsk! Gli individui del genere gli davano il voltastomaco. Octavian era fermamente convinto che tutti avessero, almeno una volta, ‘appeso un cartellino’ su qualcuno. Purtroppo lui era fra questi. Però a sua discolpa poteva dire che, mentre la maggior parte decidevano se un persona era ‘ok’ o meno in base all’abbigliamento o all’aspetto, Octavian lo faceva in base a criteri tutti suoi. Il tutto consisteva nel ‘mettere’ le varie persone in tre categorie da lui ideate:
Legno: Come il legno, per quanto un individuo possa essere crepato dentro, sbriciolato esso fa di tutto per non crollare e per nascondere il suo dolore.
Coccio: Sono le persone che mostrano subito i loro pezzi –il loro dolore- nella speranza che qualcuno possa rimetterli insieme.
Vetro: La gente di vetro anche se distrutta resiste fino all’ultimo. Ed essi per quanto provino a nascondere il proprio dolore, esso è.. estremamente palese.
Octavian aveva sviluppato questo mh… vizio durante la battaglia contro Gea. Ma ora, anche se la guerra era finalmente giunta al termine, non aveva ancora smesso. Forse perché analizzare il dolore degli altri lo aiutava a dimenticare il suo. O forse perché era pazzo e basta. A Octavian non importava. A Octavian, oramai, importava di pochissime cose ormai.
Se avesse esposto questo su ragionamento su Legno, Coccio e Vetro a qualcuno del campo, ma anche ad un perfetto sconosciuto, e successivamente gli avesse chiesto cos’era, secondo lui, Reyna Belladonna* quello solo a guardarla avrebbe risposto
–Legno.-                                                                                                        
Ed era proprio questo il problema. La gente guardava ma non vedeva. 
Lui sapeva vedere. E Octavian vedeva che Reyna era vetro.                                                                       .
 
 
Ne ebbe la conferma quando una notte –una notte fatta di incubi dalla quale aveva dovuto voluto scappare- ebbe la malsana idea di farsi una passeggiata per Nuova Roma. Peccato che per andare in qualsiasi posto si trovi nella città bisognava passare per la Via Principale. E disgraziatamente nella via principale si trovava ‘la pecca di Nuova Roma’. A questo punto urge spiegare cos’è, ‘la pecca di Nuova Roma’. Bene l’oggetto a cui Octavian aveva dato un soprannome così carino era il monumento commemorativo che onorava tutti coloro che erano morti durante la guerra contro i giganti. Octavian non lo chiamava così perché fosse brutto (era stato progettato da Annabeth Chase, non poteva essere brutto), e neanche perché la lista di nomi era lunga, decisamente troppo lunga. Octavian lo aveva soprannominato in questo modo per causa di due nomi scritti in fondo alla lastra di marmo, quasi a volerli nascondere –quasi a voler nascondere il dolore che portavano-.
Hazel Lavesque.
Frank Zhang.
Perché anche se non lo aveva rivelato a nessuno lui era affezionato a quel ragazzo così goffo e quella ragazza così timida. Perché anche se non lo aveva rivelato a nessuno vederli morire sotto i suoi occhi lo aveva distrutto. Perché anche se non lo aveva detto a nessuno vedere Reyna distrutta lo aveva distrutto. Perché anche se non lo aveva detto a nessuno lui era innamorato di Reyna.
 
Il rumore di singhiozzi soffocati mi giunse, anche se confuso, quand’ero ancora abbastanza lontano dalla Via Principalis. Aggrottai la fronte. Erano le tre di notte, quale scellerato girava per Nuova Roma a quest’ora? Respinsi in un angolino della mia mente quell’irritante vocina che mi stava ricordando che lui stava effettivamente girando per Nuova Roma alle tre di notte, ed accellerai il passo. La lastra di marmo, illuminata dalla luna, sembrava fatta d’argento. Una macchia nera indistinta, sul fondo, cozzava con il chiarore innaturale del monumento. Incuriosito continuai ad avanzare, mentre i singhiozzi si facevano più nitidi. Persi probabilmente dieci anni quando mi accorsi che quella macchia scura erano i capelli di Reyna. Se ne stava lì inginocchiata, le spalle chine e la mano, incurvata a mo’ d’artiglio, copriva due nomi –due rimorsi-. Non feci neanche in tempo a spiccicare parola che lei urlò.
-Vaffanculo! Chiunque tu sia, vaffanculo!-
Dovetti fare appello a tutte le mie per non scappare via a gambe levate. Reyna faceva davvero paura quando voleva. Deglutii mentre continuavo, imperterrito, ad avanzare. Mi inginocchiai. Il suo bel volto era contratto in una maschera di dolore. I singhiozzi la scuotevano da capo a piedi, eppure lei non piangeva, anche se le lacrime minacciavano di uscire lei le tratteneva, lei non piangeva.                                              
Vetro. 
Jason se n'era dovuto andare. Troppi ricordi, troppo dolore, troppo male. Invece Reyna era restata, sie era distrutta m aera restata e lui con lei.                                                                                                                   
–Reyna..- mormorai, inginocchiandomi accanto a lei. Lei emise un guaito e graffiò la lastra di marmo.                     –Octavian.- Si coprì il volto con le mani –Sono a pezzi.- 
Fu allora che crollò.                                                 
Fu allora che il vetro si ruppe.
Affondò il viso nel mio petto inzuppandomi la maglietta viola del campo.
-Avrai dovuto salvarli. Avrei dovuto impedire a quel maledetto pezzo di legno di bruciare! Avrei dovuto impedire a quel maledetto gigante di ucciderla! Avrei dovuto esserci io al loro posto!-
Sfregai i palmi delle mie mani sulla sua schiena, quasi a voler scacciare il gelo che aveva dentro.
-Avrei dovuto salvarli.- disse nuovamente, in un sussurro.
Rimanemmo così, in silenzio, per un tempo indefinito fin quando non la sentii irrigidirsi tra le mie braccia. Solo adesso mi resi effettivamente conto del fatto che le mie mani fossero collocate sulla sua schiena, pericolosamente vicine al fondo della sua schiena.
La prima volta che l’avevo vista al Campo di Giove, mi era subito sembrata antipatica, antipatia che si era trasformata in odio quando era diventata pretore. Finché i miei sentimenti nei suoi confronti non erano mutati nuovamente. Ricordo di essermi reso conto di essere innamorato di lei quando la guerra era iniziata, quando il rischio di perderla era reale.
Ma questo lei non lo sapeva. Lei non sapeva che avevo una cotta paurosa per lei. Lei non sapeva che per ogni minuto della battaglia avevo temuto che potesse succederle qualcosa. Per lei ero sempre l’irritante ragazzo che avrebbe fatto di tutto per soffiarle l’incarico di pretore. Eppure non si era staccata, eppure si era mostrata debole ai miei occhi.
Alzò lo sguardo su di me e subito dopo lo spostò sul monumento. La ragazza fragile o bisognosa di consolo di neanche dieci minuti sembrava scomparsa. Aveva le sopracciglia aggrottate e la mascella serrata. Sembrava arrabbiata ed infastidita.
Eppure era ancora tra le mie braccia.
Fece un sospiro e accarezzò i due nomi –Hazel Lavesque, Frank Zhang- con la punta delle dita.
-Sono a pezzi- disse ancora, ma questa volta con voce ferma.
-Anch’io- mi lasciai sfuggire.
Lei si girò verso di me, stupita. Mi morsi le labbra.
-Forse... forse potremmo riaggiustarci a vicenda?-
Mi molla un pugno fra tre.. due .. uno..
-Si, potremmo-
Mi voltai verso di lei con occhi sgranati, ma il suo sguardo era sul monumento.
Hazel Lavesque, Frank Zhang.
Improvvisamente quelle due incisioni –quei due ricordi- non fecero più paura ad Octavian. Sentì Reyna fare pressione con i palmi delle mani sul suo petto per poi darsi la spinta per alzarsi. La imitò e mi tirai su anch’io.
Non erano più abbracciati, ma le loro mani erano ancora unite. Loro erano ancora uniti. Non si separarono mai più.
 
 
*Perché Reyna di cognome si chiama Belladonna. Stop.




Hello there, Graeca is here!
Seriamente non chiedetemi da dove si uscita fuori questa cosa, perchè vi giuro che non-lo-so. E non chiedetemi il perchè io shippi Reyctavian perchè non so nemmeno questo. Che ignorante, eh? Comunque ho un po' di cosette da dire prima di andare a fare le mille mila equazioni che mi hanno assegnato (Atena, help me!!), ma andiamo con ordine.
Number One: Hazel e Frank. Non fraintendetemi. Io li adoro. Ma insomma sono praticamente purtroppo morti. E quindi li ho fatti morire. E adesso i sensi di colpa mi stanno divorando *scoppia a piangere*.
Number Two: Jason dopo la morte di Hazel e Frank si è trasferito al Campo Mezzosangue, per tentare di dimenticare.
Number Three: Molto probabilmente sia Reyna che Octavian sono OOC, ma essendo nuova su EFP non lo so di preciso.
Number Four (Tobias *---*): Questa è la mia seconda ff quindi per piacere siate clementi XD.
Mi sembra che non ci sia nient'altro, quindi ringrazio tutti quelli che leggerano e recensiranno e me ne vado a fare algebra <3 <3 <
3
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Graeca