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Autore: Moonage Daydreamer    17/05/2014    1 recensioni
Quarta classificata al contest “Award for best one-shot” indetto da Nirvana_04 sul forum di Efp.
Dal testo: "Uno raggio di sole colpiva la superficie liscia di un grande specchio appeso alla parete, ma invece di essere riflesso, ne era come inghiottito. La cornice era storta, consumata dal tempo e rovinata da graffi; se si guardava con molta attenzione fra le ombre che regnavano al suo interno si poteva distinguere qualcosa ad esse estraneo, una linea sfocata che a poco a poco delineava una figura sempre più definita."
Tratta da un'esperienza personale, è la storia cui per il momento sono maggiormente legata.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Lady in the Mirror
 
Nella stanza ogni cosa era immobile, come se fosse stata congelata in un’istantanea per un catalogo d’arredamento. Ovunque regnava un ordine totale e ossessivo: sulle coperte perfettamente ripiegate erano appoggiati numerosi cuscini posti in ordine di grandezza, nel mezzo dei quali spiccava un candido coniglio di peluche, il cui fiocco era intonato con il colore delle tende. Persino la polvere sembrava posarsi con uno schema preciso sul bordo dei mobili, dove giaceva senza che nulla la disturbasse.
   Da molto tempo, ormai, nessuno entrava più in quel luogo, che nella sua perfezione aveva qualcosa di profondamente inquietante, sensazione per nulla mitigata da qualche timido raggio di sole che entrava dalle stecche delle persiane chiuse. Uno di essi colpiva la superficie liscia di un grande specchio appeso alla parete, ma invece di essere riflesso, ne era come inghiottito. La cornice era storta, consumata dal tempo e rovinata da graffi; se si guardava con molta attenzione fra le ombre che regnavano al suo interno si poteva distinguere qualcosa ad esse estraneo, una linea sfocata che a poco a poco delineava una figura sempre più definita.  Era una ragazza, o almeno ciò che di lei rimaneva; dormiva rannicchiata come un feto nel ventre materno, le gambe scheletriche strette contro il seno appassito. I suoi capelli, cresciuti selvaggi e incolori, si incollavano al suo volto incavato, più simile a un teschio che al viso di una donna viva. Eppure il suo petto si alzava e si abbassava impercettibilmente e quando il sole la colpì lei aprì lentamente gli occhi acquosi cercando di schermarsi con le ciglia, come se fosse stata troppo a lungo nell’oscurità per vedere la luce in altro modo se non come un fastidio.
   Emise un sospiro, ma non mosse un muscolo: perché mai avrebbe dovuto farlo? Non avrebbe cambiato nulla. Ormai le sue membra si stavano intorpidendo e gli ultimi ricordi stavano scivolando via, come gocce di condensa lungo la superficie dello specchio. Avrebbe voluto assopirsi, dormire a lungo, senza che gli incubi tornassero a tormentarla. Voleva trovare pace, finalmente, ma non c’era pace in quella gabbia.
Eppure, doveva esserci stato, persino per lei, qualcos’altro al di fuori dello specchio, prima del buio e della solitudine.
 
Un’infanzia felice.
 Due bambine che giocano sull’altalena e ridono nella luce dorata del pomeriggio; quella più grande, dai folti capelli bruni, decide di spiccare un salto e atterra agilmente sul morbido prato. L’altra, bionda come il grano, ancora paffuta e goffa, cerca di imitarla, ma cade e si sbuccia le ginocchia. La mamma sgrida la sorella più grande.
«Sei troppo immatura per la tua età, quando ti deciderai a crescere?»
 La bimba ascolta, ma non presta attenzione e quando la mamma se ne va torna dalla sorellina.
Quella stessa sera, un “ti voglio bene” mormorato dalla piccola appena prima di addormentarsi fa scordare all’altra qualunque rimprovero.
Un’adolescenza difficile.
Lei se ne sta seduta in disparte, lontano da chi non riesce a capirla. A scuola è isolata e fa fatica -una maledetta fatica-, ma nessuno a casa se ne accorge. E per questo lei diventa la figlia sbagliata, quella venuta male, che ha qualcosa che non va. Tutto ciò che vuole è essere lasciata tranquilla, nel suo mondo, strambo forse, ma senza dubbio migliore di quello reale. Il solo conforto arriva dalla sua sorellina, che cresce con il sorriso sulle labbra, tranquilla, serena. Normale.
E poi...
Grida nel mezzo della notte: i suoi genitori stanno litigando ancora. Urla, piatti che volano, lacrime. E lei ascolta in silenzio, nascosta dietro la porta. Ogni insulto, ogni malignità sputata a denti stretti è un coltello che le penetra nel cervello. La sorella compare al suo fianco, i capelli arruffati e gli occhi impauriti.
La maggiore le accarezza la testa e le copre le orecchie. Sa che deve proteggerla, in qualche modo; non può permettere che quella sozzura la soffochi. Ma la bimba piange e gli adulti non la smettono di gridare!
Lei non si spiega come, ma un tarlo comincia a insinuarsi dentro di lei e le dà il tormento: e se fosse colpa sua?
Valigie fatte e disfatte, una casa nuova e silenziosa, un divorzio. La spirale continua ad avvitarsi, sempre più veloce, sempre più dolorosa.
In quel momento, quando pensa che ormai sia arrivata alla fine, 
la vede, e non sa che il baratro è molto più profondo di quanto possa immaginare. È una visione meravigliosa, perfetta, ma solo lei è capace di percepirla, quando guarda nello specchio. È esattamente come la ragazza vorrebbe essere: la pelle splendente, i capelli morbidi, gli occhi simili a stelle. Ma è cattiva, davvero crudele.
«Sei orrenda - sono le sue prime parole. - Non meravigliarti se nessuno vuole starti accanto.»
La ragazza ne è ferita, ma non può fare a meno di guardarla, di sentirla parlare: vuole diventare come lei, ne è affascinata, le chiede consiglio nonostante da lei riceva soltanto offese e parole avvelenate. Fa tutto ciò che la Donna le suggerisce, nella speranza che un giorno il suo riflesso e l’immagine di lei possano combaciare. Giorno e notte la Donna la ossessiona, è ovunque nella sua testa, e le sue parole cominciano a diventare quelle della ragazza, che comincia a pensare ciò che l’altra pensa: di essere orrenda, ripugnante, talmente mostruosa da essere la causa di tutto ciò che di brutto è accaduto a lei e alla sua famiglia.
La sua mente comincia ad ammalarsi, il suo corpo a deperire. Ma lei non se ne accorge, non riesce a capire dove la strada su cui quella donna l’ha posta la porterà. Quando sua madre o sua sorella cercano di aprirle gli occhi su cosa sta diventando, non riesce a vedere altro che il riflesso della donna.
« Loro non capiscono. - le dice sempre. - Io ti sto salvando. »
Si sta decomponendo, pur essendo ancora viva, ma ai suoi occhi si sta avvicinando sempre di più all’ambita meta della perfezione. C’è quasi ormai, mancano solo pochi passi. Ancora poco e potrà lasciarsi il suo corpo immondo alle sue spalle.
« C’è ancora una cosa che devi fare. - dice la Donna nello specchio. - Ma richiede un grande sacrificio.»
La ragazza, ridotta ormai a una marionetta di cartapesta, è pronta a tutto.
« Devi raggiungermi qui, dove sono io.»
E il riflesso spalanca le braccia,e sorride di un sorriso diabolico, mentre la ragazza, senza esitare nemmeno per un istante, si getta a occhi chiusi dentro lo specchio.

 
La porta si aprì cigolando, spezzando il silenzio e il flusso incontrollato dei pensieri della ragazza, che istintivamente volse lo sguardo nel punto da cui il rumore proveniva. L’uscio era in ombra, ma la ragazza riuscì a scorgere la figura che vi indugiava, anche se stentò a riconoscerla. Di quella che ricordava erano rimasti soltanto i capelli biondi e il viso paffuto, sul quale tuttavia era tracciata un’espressione stravolta. Rimaneva immobile, combattuta dall’istinto che le diceva di entrare e la ragione che le consigliava di fuggire il più lontano possibile da quel posto maledetto, di lasciarselo alle spalle una volta per tutte.
Sospirò e lentamente mosse un passo, quindi un altro e un altro ancora. Andò ad aprire le imposte e la luce e l’aria pulita fecero irruzione nella stanza. Si sedette sul letto, guardandosi intorno, come se non riconoscesse il posto in cui si trovava. Non era possibile che quel pavimento coperto di polvere fosse lo stesso su cui aveva giocato per ore, né che quelle coperte fredde e consumate l’avessero accolta tante volte, quando nelle notti d’inverno cercava un riparo dal gelo e dal buio. Afferrò il coniglio di peluche e cominciò ad accarezzarlo distrattamente.
Dov’erano finiti quei tempi felici? Erano perduti, come disegni nella sabbia al volgere della marea.
Il suo sguardo si posò sulle vecchie fotografie appoggiate su una mensola e si riempì di lacrime.
«Dove sei?» sussurrò con un filo di voce, prima che i singhiozzi le bloccassero il respiro. Strinse il coniglio al petto e vi nascose il viso.
   Dentro lo specchio, la ragazza la guardava incredula, cercando di capire se quello fosse un nuovo inganno che la Donna aveva escogitato. Quel pianto penetrava dentro il suo cuore disseccato e all’improvviso qualcosa si riscosse, come svegliato da un lungo sonno dal lamento di un uccellino ferito. Cercò di alzarsi, tremando sulle membra atrofizzate, ma queste erano troppo fragili per sostenerla; non era nemmeno a metà della strada che cadde e rovinò  a terra. Tradita dal suo stesso corpo, si rannicchiò sul pavimento e la speranza appena nata morì.
   Ma fuori da quello specchio c’era lei, la sua sorellina, che piangeva disperata e lei sentiva che doveva fare qualcosa per proteggerla, perché non era giusto che lei soffrisse per il suo errore. Tentò di nuovo, ma cadde ancora; si alzò una terza volta, urlando imprecazioni e maledizioni contro la sua debolezza. Provò e riprovò. A ogni caduta un osso si spezzava, ma lei stringeva i denti. Finalmente, sostenuta più dalla sua volontà che dalle sue gambe, riuscì a rimanere in equilibrio.
Anche la sorella ora era in piedi e si stava avvicinando rapidamente.
«Sono qui!» gridò la maggiore, con le labbra trasparenti piegate in un sorriso, già pensando di essere salva. Ma l’altra guardava nello specchio senza riuscire a vederla, il suo sguardo era pieno di una rabbia e di un odio che distorcevano i lineamenti del suo volto.
«E’ tutta colpa tua, maledetto. – sibilò. – Me l’hai portata via!»
«So che puoi sentirmi!»
La ragazzina si morse le labbra, mentre le lacrime tornavano a rigarle il volto. Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella carne; fece per colpire con violenza la superficie delle specchio, ma si fermò a pochi centimetri prima del vetro. L’espressione nel suo sguardo cambiò, tornando alla disperata rassegnazione. Abbassò lentamente il braccio e lo portò lungo il fianco.
Dall’altra parte, la sorella cercava in tutti i modi di farsi sentire, piangendo e gridando, implorandola di non mollare, di non lasciarla lì in quella prigione, di non rinunciare a salvarla. Cominciò a battere contro lo specchio, con tutte le sue forze, ma senza ottenere nulla se non di tagliarsi la pelle consunta.
« Dove sei? » ripeté la ragazzina.
Abbassò lo sguardo e scosse la testa: in cuor suo cominciava a dubitare. Si voltò e si allontanò lentamente.
« No, no, no! » gridò la sorella, tirando pugni furiosi contro lo specchio. Ma l’altra non poteva sentirla e si avvicinava sempre di più alla porta.
« Ti prego, sono qui!»
Ormai aveva superato l’uscio.
«Sono viva!»
La porta si stava richiudendo.
La ragazza sferrò un ultimo pugno con le poche forze che le erano rimaste, ma tutto rimase immobile. Era finita. Non sarebbe mai uscita da lì.

Poi, all’improvviso, lo specchio si infranse.
Migliaia di pezzi esplosero e lei fu vomitata all’esterno. Rotolò sul pavimento impolverato. Ignorando il dolore del suo corpo che si frantumava, formulò un unico pensiero: gridare con tutto il fiato che aveva il nome di sua sorella.
   Nel silenzio che seguì l’urlo, la porta si fermò, un momento prima di chiudersi definitivamente.
La ragazzina tornò sui suoi passi, fece di nuovo capolino dall’uscio.I suoi occhi erano sgranati in un’espressione di completa incredulità. Quando vide quella carcassa, sua sorella, accasciata sul pavimento si coprì la bocca con le mani, tremando per la sorpresa. Si avvicinò lentamente, indecisa, come se quella fosse una visione destinata a scomparire presto; si chinò sulla maggiore e allungò la mano. L’altra la afferrò con le sue dita sottili e con decisione se la portò al volto.
Un secondo dopo erano strette in un abbraccio, piangendo e ridendo nello stesso momento. Quando le lacrime della sorellina toccavano la pelle consunta dell’altra, avevano l’effetto di un balsamo e lenivano la sofferenza di quel corpo maltrattato.
   Si strinsero ancora, una contro il petto dell’altra, come se non volessero mai più separarsi, e non poterono sentire l’urlo vano della Donna mentre intorno a loro  frammenti dello specchio si dissolvevano nell’aria luminosa
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