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Autore: MajoWriter    19/05/2014    1 recensioni
Siamo tutti intrappolati nell'attesa. Come facciamo ad uscirne? È davvero possibile uscirne?
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Veniva sempre in quel parco, Ada, ogni giorno. Una giovane donna che perse suo figlio di soli 4 anni, portatole via da un brutto male. Ogni giorno la donna sedeva lì, su quella panchina, ed attendeva. Attendeva che il figlio potesse sbucare all'improvviso da quella siepe in cui piaceva tanto nascondersi. Oppure che arrivasse correndo dopo aver fatto lo scivolo insieme ai suoi amichetti. O di vederlo andare avanti ed indietro sull'altalena, spinto dal suo sorridente padre. E, come ogni giorno, il marito Aldo all'uscita da lavoro, l'andava a riprendere.

«Michele non tornerà, Ada, devi fartene una ragione» diceva lui ogni volta.

Ma la donna sembrava non ascoltarlo. Rimaneva sempre in silenzio, fissando il vuoto. Solo raramente diceva qualche sporadica frase: «Hai sentito? Mi è sembrato di sentire la sua voce che mi chiamava. Diceva 'Mamma mamma, vieni anche tu sullo scivolo'» oppure «Non senti? Nostro figlio sta piangendo. Sarà caduto mentre giocava con i suoi amichetti?». Ed ogni volta Aldo scuoteva al testa, abbracciava sua moglie e la riportava a casa, tra pianti e lacrime. Ogni volta Aldo constatava quanto fosse dimagrita sua moglie. Quanto i suoi splendidi capelli a caschetto una volta neri, stessero diventando bianchi. E come i suoi occhi azzurri, un tempo pieni di gioia, ora siano solamente spenti, come un lago di notte. Si stava lasciando andare Ada, sempre di più verso un oblio. La disperazione stava colpendo anche Aldo, lui che è sempre stato forte, per se stesso e, soprattutto, per lei. Lui che riusciva sempre a rassicurarla grazie al suo aspetto, con i suoi lunghi capelli castani e i suoi bellissimi occhi verdi. Lui che con le sue braccia forti la stringeva a se e le sussurrava all'orecchio: 'andrà tutto bene'. Ma ora non più. Ora non sapeva più cosa fare.

 

Dall'altra parte della città, in un'ospedale, Alice era in attesa: stava aspettando che i medici le dessero qualche notizia circa la salute del suo ragazzo Gabriele che soffriva di cuore e aveva urgente bisogno di un trapianto. Purtroppo però, non si riusciva a trovare un donatore. Erano passati quattro giorni ormai, quattro giorni da quando la ragazza aveva salutato Gabriele per l'ultima volta. Da allora poteva vederlo solo attraverso un vetro: vederlo attaccato a quei cavi, immobile, senza alcun segno di vita, la faceva stare male. Non le rimaneva altro che pregare. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Pregava che un donatore si facesse vivo, che arrivasse questo cuore in grado di salvare la vita della persona che amava.

 

Sull'autostrada, una macchina sfrecciava a tutta velocità. Un uomo al volante, una donna sul sedile del passeggero e sui sedili posteriori, un cucciolo di 4 anni di labrador, sdraiato su dei teli da mare che si godeva il viaggio. Ma la macchina iniziò lentamente a rallentare, accostandosi sulla corsia d'emergenza. L'uomo scese dalla macchina, aprì una delle portiere posteriori e richiamò il cucciolo. Il cane prese a scodinzolare e scese subito dalla macchina, pensando di essere giunti a destinazione e di poter quindi correre liberamente, in qualche parco magari. Ma lo spettacolo che gli si presentava davanti era tutt'altro: macchine che sfrecciavano velocemente vicino a loro, rumori di motori, clacson, smog... non si aspettava proprio una cosa simile. L'uomo portò il cane vicino al guard rail, gli disse di accucciarsi e gli sfilò il collare. Il cane non capiva, ma continuava a scodinzolare. Dopo di ché l'uomo disse 'A cuccia, non ti muovere' e salì nuovamente in macchina mettendo in moto, per poi allontanarsi velocemente. Il cucciolo rimase fermo, immobile, sdraiato sull'asfalto. Smise anche di scodinzolare. Osservava la macchina allontanarsi a grande velocità. Tenne lo sguardo fisso in direzione della macchina, oramai sparita dal suo campo visivo. Ed aspettò. Attese speranzoso il ritorno del suo padrone. Sapeva che sarebbe tornato. Ad ogni macchina che passasse e gli ricordasse quella del suo padrone, lui si alzava sulle quattro zampe ed abbaiava, salvo poi tornare a sdraiarsi non appena la macchina scomparisse all'orizzonte.

 

Appena fuori città, in un orfanotrofio, Andrea se ne stava sempre in disparte. Era un bel bambino dai capelli ricci e biondi, occhi verdi e guance rosse. Mentre gli altri bambini andavano vestiti tutti eleganti con camicie e pantaloni formali, lui preferiva le t-shirt e dei jeans strappati, si trovava più comodo. 'Non troverai mai una famiglia disposta ad adottarti se ti vesti a quel modo' gli dicevano sempre. E lui soffrira dentro, senza darlo a vedere. Quando arrivava il momento delle visite da parte di famiglie disposte ad adottare qualche bambino, lui era sempre in disparte. Aveva paura che potesse essere giudicato male, di ricevere delle critiche. Ed allora aspettava. Attendeva che si accorgessero di lui e che potesse quindi essere adottato. Attendeva qualcuno che andasse oltre le apparenze, che gli volesse bene per quello che fosse veramente e non per come apparisse. Ma durante i ricevimenti, lui non veniva preso mai in considerazione. I bambini si ammassavano verso le future mamme ed i futuri papà, sfoggiando sorrisi e buone maniere, mentre Andrea se ne stava sempre lì, in quel suo angolo. 'Non verrai mai adottato se te ne stai sempre da solo e con quel muso lungo' gli dicevano sempre. E la sera, quando tutti dormivano, lui piangeva. Piangeva sul cuscino del suo letto, stringendo a se il cane di pezza che si portava sempre dietro, l'unico amico che aveva.

 

Un giorno, Aldo andò a prendere la moglie al solito parco, accompagnato da una donna.

«Tesoro, vorrei presentarti una persona» disse lui nel modo più dolce e gentile possibile.

Ada alzò lo sguardo ed osservò quella donna: aveva un viso gentile, con dei lineamenti delicati. I capelli neri e mossi che le coprivano parte del viso e due bei occhi neri, la rassicuravano.

«Io sono Giulia, sono un'assistente sociale. Suo marito mi ha raccontato la storia di vostro figlio... mi dispiace veramente tantissimo. Capisco che sia un dolore insostenibile, soprattutto per una madre, ma Ada, lei non deve buttarsi giù, lei deve reagire. Pensi a Michele, sarebbe felice di vederla in questo stato? Perché invece non prova ad andare avanti? Venga nel nostro orfanotrofio, abbiamo molti bambini desiderosi di ricevere l'affetto e l'amore di una famiglia. Non le sto dicendo di dimenticare Michele, assolutamente no. Le dico solo che potrebbe donare il suo, anzi, il vostro amore per un'altra creatura. Sono sicura che Michele sia d'accordo»

Una lacrima scese lungo il viso di Ada, che si alzò e chiese al marito di accompagnarla a questo orfanotrofio.

Lungo l'autostrada che portava all'orfanotrofio, Aldo vide che sull'altra carreggiata si era formato un ingorgo: una macchina aveva perso il controllo ed era andata a sbattere lungo il guard rail. Il conducente era stato sbalzato fuori dal veicolo.

"Che brutta botta....", pensò Aldo.

Arrivati all'orfanotrofio, la coppia andò subito nel cortile dove i bambini erano intenti a giocare. Alla vista della coppia, tutti smisero di fare ciò che stavano facendo e corsero verso di loro, ridendo dalla gioia. Tutti tranne uno: Andrea rimase sull'altalena, dondolandosi leggermente mentre fissava quella mandria di bambini intenti a fare le 'feste' ai due arrivati. "Sembrano un branco di cuccioli di cane" pensava con una punta di invidia.

Ada era felice di vedere tutti quei bambini gioiosi, ma era ancora titubante.

«Che c'è amore, non sei ancora convinta?» chiese Aldo.

Ada stava per rispondere, quando alzò lo sguardo e vide Andrea che li fissava. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, ma alla donna bastò per capire tutto. Capì che erano simili, che entrambi avevano sofferto e che entrambi erano in attesa di un qualcosa che forse non avrebbero mai più rivisto. Ma che forse, poteva superare. Insieme.

La coppia decise di adottare Andrea. Ada era felice, Aldo non la vedeva così felice da anni ormai.

Durante il viaggio di ritorno in autostrada, Ada e Andrea chiacchieravano allegramente. Ma ad un certo punto, Andrea urlò: «Fermati, ferma la macchina! C'è un cagnolino lì!»

Aldo accostò nella corsia di emergenza e Ada scese dalla macchina per controllare. Un cucciolo di labrador era lì, sul ciglio della strada, al limite della corsia di emergenza, sdraiato sull'asfalto e con lo sguardo fisso nel vuoto. La donna si avvicinò cautamente al cucciolo ed allungò la mano verso il suo musetto. Il cucciolo iniziò ad annusare la mano della donna. Dalla macchina intanto, Andrea si affacciò dal sedile posteriore, guardando la scena attraverso il lunotto. Gli sguardi del bambino e del cucciolo si incrociarono. Quest'ultimo iniziò così a scondinzolare. Leccò la mano della donna e si alzò in piedi, avvicinando il suo muso al viso della donna e cominciare a leccare anch'esso. Aldo, che era sceso dall'auto ed aveva visto la scena, fece cenno di portare il cane in macchina. Lì, Andrea ed il cucciolo fecero conoscenza e la nuova famiglia così costituita fece ritorno a casa.

 

Alice stava ancora pregando quel giorno. Con le mani tra i suoi lunghi capelli rossi e le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi castani, era nella disperazione più totale. Si era stancata di attendere, non ce la faceva più. Ma ecco che un medico le si avvicinò e disse: «signorina, abbiamo ottime notizie: abbiamo un cuore per Gabriele! Lo stiamo portando in sala operatoria, tra qualche ora potrete riabbracciarvi»

Alice si asciugò le lacrime ed alzò lo sguardo, fissò il medico e disse: «Come l'avete trovato?»

«Purtroppo è stata una fortuna nella sfortuna: la macchina di una giovane coppia che stava andando fuori città per le vacanze, ha sbandato improvvisamente mentre si trovava in autostrada. Sbandando si è schiantata contro il guard rail ed il conducente è stato sbalzato fuori dal veicolo, morendo sul colpo. La compagna non ha riportato gravi ferite, è stata ricoverata in questo stesso ospedale»

«Mi dica il numero della sua stanza»

«La 404»

 

La ragazza si affacciò alla porta della stanza 404 e vide una giovane donna in piedi, davanti alla finestra intenta a fissare il vuoto. Era piena di cerotti e fasciature. Alice entrò con discrezione. La donna, accorgendosi della presenza di Alice, si voltò e le due si fissarono negli occhi. Bastò uno sguardo. Alice scoppiò a piangere ed abbraccio la donna, stringendola forte, senza smettere di pronunciare la parola 'Grazie'. La donna intuì cosa fosse successo, strinse la ragazza a sua volta e disse sottovoce: «Almeno così avrà espiato le sue colpe...»

 

È così l'attesa: tu sei lì, impotente ed incapace di fare nulla. Sei lì che aspetti che la situazione cambi. A volte però basta farsi forza ed affrontare la situazione per sperare in qualche cambiamento. Altre volte la soluzione arriva così, all'improvviso ed inaspettatamente. Qualunque sia la situazione, una cosa non bisogna mai fare: smettere di sperare. La speranza è quella cosa che ci permette di affrontare e superare l'attesa. Senza la speranza, saremmo perduti. 

Perduti nell'attesa, in un limbo senza fine.

   
 
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