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Autore: Love_in_London_night    19/05/2014    6 recensioni
Fernweh è una parola tedesca che definisce la nostalgia per posti in cui non si è mai stati.
Così recita il sito in cui l'ho trovata.
Ma cosa c'entra con Jared? Volete dirmi che un po' non ve lo ricorda?
C'è anche un po' di 'Buddha for Mary': "Tell me did you smell her taste". Lo scoprirà Jared quello di Leah?
E cosa c'entrerà un cappello?
Dalla shot: "«Fratello, è inutile che ti ostini a questa messinscena, quella è un osso duro, non cede alle tue moine psicologiche e contorte». Sorrise compiaciuto. «Chiedile di uscire e facciamola finita».
Jared sorrise, Shannon non capiva, non percepiva la tensione tra loro due. Il suo diventare nervosa e l’essere compiaciuta perché lui le dava attenzione. La preda e il cacciatore, lui amava la lieve violenza psicologica che imprimeva al corteggiamento per poi tramutarla in brutalità fisica durante il sesso, era quello che piaceva alle donne, non ci avrebbe rinunciato per una ragazza simile, per quanto diversa potesse apparire ai loro occhi.
«Cosa ne dici se portiamo la colazione anche agli altri in studio?»"

La prima shot senza eventi e finale catastrofici al suo interno.
Fossi in voi ne approfitterei!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla persona che mi aiuta a sistemare i banner come questo,
che mi sprona a scrivere e a credere in quello che faccio
ma che, soprattutto, mi capisce.

 
Dove sei?” un messaggio. Shannon.
In coda alla caffetteria vicino allo studio” inviò senza pensarci.
Era in anticipo, ma non aveva dormito poi molto quella notte, preso com’era dei propri – troppi – pensieri. Lo svantaggio di avere una mente che non ne voleva sapere di spegnersi.
Fissava la lista delle bevande, ma quella mattina sapeva di dover abbandonare il suo adorato the per dedicarsi a un più forte caffè nero senza zucchero, aveva bisogno di carburante per ingranare.
Caffè anche per me, ti raggiungo tra poco lì”.
Sorrise allo schermo. Eccolo il tossicodipendente. Se avesse potuto, suo fratello se lo sarebbe fatto iniettare endovena.
A Los Angeles era una bellissima giornata di sole. Erano le otto e faceva già caldo, abbastanza perché la gente si sentisse in dovere di andarsene in giro con maglioni leggeri o – addirittura – con magliette a maniche corte. Il café brulicava di vita, ma non era ancora pieno come voleva l’ora di punta della colazione, era frizzante come l’aria primaverile fuori, e a Jared piaceva quell’atmosfera.
Raggiunse la cassa per fare la propria ordinazione e successe tutto all’improvviso: venne raggiunto dal fratello che, fermandolo con una mano sulla spalla, chiese una tazza ancora più grande di caffè. La cosa strana era che la sua entrata fu accompagnata da un odore persistente.
Jared si ritrovò ad annusare l’aria: lavanda.
Pagò il conto con la carta di credito, non era abituato ad andare in giro con i contanti, e vide l’uomo che si stava occupando della sua ordinazione fare un cenno d’assenso accompagnato da un saluto verso il fondo della stanza; sembrava compiaciuto.
Si girò incuriosito verso la porta e vide una ragazza dai capelli biondi e scompigliati dal vento, un cappello con la tesa larga e una gonna più lunga dietro con una fantasia a fiori, una canotta bianca, una collana delle stesse tonalità della fantasia floreale che indossava e un paio di sandali con il tacco. Sorrideva tranquilla e aveva un certo stile personale, cosa che la faceva spiccare tra le altre donne lì dentro. Sembrava la classica ragazza di New York tutta preoccupata del proprio aspetto e di non arrivare in ritardo al briefing che sembrava aspettare solo lei.
Quel tipo di donne non attraevano Jared, ma lei aveva qualcosa di diverso. La classica ragazza adatta a New York che, però, con la grande mela non aveva niente a che fare, perché aveva l’aria di trovarsi bene dove stava.
Il trucco leggero – forse solo del mascara e un rossetto scuro – quasi volesse distinguersi. C’era riuscita.
Jared si intendeva di trucco, dato che troppe volte si era svegliato con il cuscino accanto al proprio sporco del mascara, fondotinta o rossetto che le donne avevano lasciato come unica traccia del loro passaggio, testimonianze della loro falsità. E ricordava come macchiava le federe lui stesso dopo aver abbondato con la matita nera attorno agli occhi chiari in tempi in cui i suoi capelli avevano tinte ancora più discutibili del make up.
No, poco trucco e un sorriso genuino, ecco il segreto di quella ragazza. Un qualcosa di diverso – come quel rossetto scuro e violento – a smontare l’aspetto perfetto e artificioso che se no l’avrebbe marchiata come una bambolina senza cervello. C’era un qualcosa che stonava e la rendeva unica e umana nonostante si avvicinasse a molti stereotipi, senza toccarli davvero.
L’uomo porse le ordinazioni di Jared e Shannon e posò sul bancone anche un terzo bicchiere di carta, con scritto un nome che il cantante non riuscì a decifrare.
La lavanda era tornata prepotente con una folata a tradimento. Un sorriso sincero: «Grazie Alex».
Si prese tutto il tempo di fissarla da vicino mentre passava il proprio caffè al fratello, ormai vicina per ritirare la propria colazione.
Lei gli sorrise, un gesto frizzante, poi si diresse con la calma di chi era alquanto sicuro di sé verso l’uscita.
«Bel cappello».
Le disse Jared prima che fosse troppo lontana, non voleva dare spettacolo ma desiderava che la ragazza sapesse quanto aveva apprezzato il suo stile, il suo essere se stessa.
«Grazie».
Un altro sorriso caldo come il sole che illuminava quella mattina, due passi per raggiungere Shannon e sedersi infine al tavolo con le spalle al bancone e gli occhi fissi sulla porta che si stava chiudendo.
«Bellissima ragazza, sì. Bionda ma non proprio il tuo genere». Lo prese in giro il fratello, conscio di quegli occhi insistenti che l’avevano seguita oltre la vetrata.
«Mh mh». Bevve il caffè caldo per non farsi scappare frasi o apprezzamenti troppo espliciti, non sarebbe stato da lui darla vinta a Shannon così facilmente, né tantomeno farsi colpire da una ragazza senza avanzare pretese verso di lei.
Allontanò la tazza dal naso e annusò l’aria e con gli occhi chiusi per concentrarsi sulla scia agrodolce che aveva lasciato di sé. Un campo di lavanda al tramonto, il rumore delle cicale in sottofondo e il sole arancio e bruciante che si tuffava nel viola dei fiori. Gli aveva trasmesso una sensazione rassicurante e serena.
I colori che indossava, come li portava, il sorriso frizzante. Quella ragazza era fresca, la freschezza che ogni persona si aspettava nelle giornate di primavera e che Los Angeles non portava con sé. Era l’elemento che mancava alla sua quotidianità.  La condizione che creava confusione nella routine e che, per questo, diventava necessaria perché il quadro generale funzionasse.
Si stropicciò gli occhi cercando di riprendere lucidità pensando che, nonostante tutto, aver passato la notte insonne e presentarsi in anticipo allo studio di incisione aveva già dato qualche frutto.
 
Un’altra notte insonne dopo quella giornata così splendente e atipica per lui, caratterizzata da una calma innaturale se percepita da Jared. Un altro risveglio avvenuto prima del tempo e la conseguente colazione alla caffetteria del giorno prima. Lo stesso scambio di sms con Shannon, lui che lo raggiungeva al tavolo, le chiacchiere sommesse.
La porta si aprì e l’aria cambiò. La lavanda si diffuse nell’ambiente famigliare riempito dalle conversazioni sommesse degli altri clienti, il sole sembrava aver accompagnato quel profumo, perché la luce si era fatta più vivida e calda nella caffetteria.
Il solito ordine, lo stesso modo di vestire impeccabile, un altro elemento violento che staccava e ricordava che la perfezione non era parte di lei.
Lo stesso cappello del giorno prima.
«Davvero un bel cappello». La smorfia compiaciuta e sicura, un solo angolo della bocca alzato e nascosto subito dal bicchiere di carta contente un caffè più forte di quello del giorno prima. Se avesse continuato così sarebbe diventato più dipendente di Shannon.
«Grazie mille». Un sorriso divertito prima di riprendere la marcia verso l’uscita. Questa volta la vide attraversare la strada per salire in auto.
Quante sfumature poteva avere un solo sorriso?
La domanda che lo accompagnò per tutto il giorno.
 
Durante  quella notte aveva deciso di rendere la ragazza, così disponibile all’ironia, il suo esperimento sociologico. Doveva giustificare il proprio interesse, non poteva accettare che solo il suo aspetto fisico l’avesse attratto così tanto a lei, doveva motivare in modo diverso il fatto che lei avesse catturato la sua attenzione senza cadere ai suoi piedi con fare svenevole; non ci era abituato. Specialmente se si trattava di una bionda.
Erano tutte sofisticate, ma non erano famose per la volontà di ferro. Lo feriva nell’orgoglio quella situazione.
L’essere in anticipo aveva voluto dire entrare nella normalità di quella ragazza e, dato che era una questione di tempistiche, decise di godersi ogni secondo delle sue mattine così fresche e colorate.
Era seduto al solito tavolo nella stessa posizione, Shannon davanti a lui si godeva il cibo e il sorriso compiaciuto di Jared. Prima gli aveva rubato la sciarpa perché, da buon fratello maggiore quale era, gli aveva detto chiaro e tondo che sembrava un cretino. O la sciarpa o la cuffia a forma di lupo. Sbuffando Jared si era tolto la sciarpa, sapeva che – nonostante non fosse lo stile del fratello – gli piaceva molto. Ma soprattutto mai avrebbe rinunciato al suo ‘cappello’.
Cercò di reprimere il sorriso davanti alla faccia sconvolta di lei una volta entrata nel café, quella ragazza che ancora non era diventata più di un grazie. Senza nome, senza identità e passioni da conoscere, ma con una carica tale da condurlo a lei senza un vero perché.
La sconosciuta si allontanò dal bancone in fretta e furia, ma qualcosa nella sua sicurezza si era incrinato, ogni giorno che passava la sua voglia di passare più tempo nella caffetteria diminuiva in modo evidente.
Jared sapeva che era a causa del suo comportamento irriverente, e trovava eccitante l’idea di renderla nervosa almeno quanto lei faceva con lui. Era un rapporto strano, morboso ma – dopotutto – equo.
«Leah, il caffè!» la richiamò Alex, il ragazzo che lavorava dietro il banco.
Tornò indietro a passo di marcia, irrigidita da quegli occhi chiari che sentiva su di sé, pronti a studiare ogni sua mossa.
Sentì Jared ridere e, prima che lui potesse ricomporsi, lo oltrepassò con un sorriso enigmatico, un misto frutto del suo imbarazzo, del compiacimento e dell’allegria che tentava di nascondere.
«Bel tentativo» sussurrò passandogli accanto senza nemmeno fissarlo.
Poi si fermò accanto a Shannon e lo guardò negli occhi.
Un sorriso cordiale, il self control tornato al suo posto. «Bella sciarpa, Shannon».
La prese tra le dita e la fece ricadere sulla spalla del batterista che, dopo aver alzato le sopracciglia, si ricordò di rivolgerle la parola: «Grazie».
Lavanda, rapidità e freschezza, era come passare le giornate a guardare le lenzuola bianche stese accanto a campi lilla e viola per Jared, ed era solo la sua colazione.
Era già sparita ben oltre la porta con la propria ingiustizia, quella era comunque la sua sciarpa, non quella di Shannon.
«Fratello, è inutile che ti ostini con questa messinscena, quella è un osso duro, non cede alle tue moine psicologiche e contorte». Sorrise compiaciuto. «Chiedile di uscire e facciamola finita».
Jared sorrise, Shannon non capiva, non percepiva la tensione tra loro due. Il suo diventare nervosa e l’essere compiaciuta perché lui le dava attenzione. La preda e il cacciatore, lui amava la lieve violenza psicologica che imprimeva al corteggiamento per poi tramutarla in brutalità fisica durante il sesso, era quello che piaceva alle donne, non ci avrebbe rinunciato per una ragazza simile, per quanto diversa potesse apparire ai loro occhi.
«Cosa ne dici se portiamo la colazione anche agli altri in studio?»
 
Li conosceva. Era stato un pensiero tardivo, formulato in una pausa che il bel tempo di Los Angeles invogliava a prendere. Se no non avrebbe saputo il nome di Shannon. Quindi, per forza, doveva sapere anche il suo. Era sempre stata avvantaggiata, ma anche lui conosceva il suo nome. Leah. Incisivo ma non scontato, una morbidezza che gli accarezzava il palato. Un suono dolce come il profumo che accompagnava le sue sfilate involontarie mattutine, frizzante come il carattere che traspariva dai suoi gesti.
Venerdì. Quarta notte insonne di fila, quarta colazione in caffetteria per cercare di carburare nel modo giusto. O, forse, di portare con sé il bottino su cui aveva posato lo sguardo.
Era giunta l’ora di sfoderare il carico da novanta, dato che il sabato era una giornata imprevedibile: solo in pochi si alzavano presto per lavorare, tra cui i Mars, ma non era sicuro che fosse lo stesso per Leah. Quel venerdì doveva giocarsi tutto.
Aveva preso uno dei suoi cappelli e se l’era calcato in testa. Forse Leah non lo sapeva, ma lui aveva davvero una fissazione per i copricapo di ogni sorta. Ecco spiegato il motivo di tanto interesse. Forse, segnare un punto in quella partita, gli avrebbe fatto passare la voglia di giocare con lei.
Sì, una volta avvenuta l’ammissione da parte di Leah sarebbe tornato tutto normale: le mattine, le notti, le colazioni. Lui.
Il cappello nero, quello faceva al caso suo.
E così si era presentato – solo – nello stesso posto, in anticipo rispetto alla sua solita tabella di marcia come quattro mattine prima. La aspettava al varco, pronto a cacciare, sicuro di sé come sempre quando si trattava di donne.
Era sempre stata femminile, si stupì nel vederla con i jeans e una semplice maglietta nera. Un cappello in tinta, i sandali alti ma all’apparenza comodi.
E l’immancabile lavanda, quel profumo che si spruzzava probabilmente prima di uscire senza esagerare, ma che a contatto con la sua pelle lo faceva risaltare.
La fissava sfacciato, consapevole di averla sorpresa con quella mossa.
Quando gli passò accanto con la sua ordinazione tra le mani Jared si apprestò a ridacchiare divertito e compiaciuto, così lei fece quello che entrambi si aspettavano: si fermò.
«Bel cappello, davvero» gli disse sincera e quasi stupita di saperlo in possesso di un accessorio così particolare e pregiato.
Dopo quella breve frase, e il conseguente sorriso di Jared sempre più ampio, posò il proprio bicchiere sul tavolo, poi si piegò su esso appoggiandosi ai lati, di fianco al cantante.
«Bravo, bella mossa, non me l’aspettavo. Però, mi dispiace dirtelo, hai scelto la persona sbagliata con cui giocare. Hai trovato pane per i tuoi denti».
Leah si ricompose, riassumendo la posizione eretta e riappropriandosi del proprio caffè. «Non è finita qui».
Per sottolineare la propria frustrazione diede un buffetto con l’indice alla falda del cappello di lui.
Un sorriso, questa volta pericoloso. Una nuova sfumatura così accattivante da far pensare a Jared che fosse eccitante almeno quanto la persona che glielo stava rivolgendo.
«Ciao, Leah». La salutò guardandola allontanarsi. Si focalizzò su un dettaglio del corpo in particolare, quei jeans non erano affatto male, dopotutto.
«Jared» rispose con un cenno sbrigativo della mano senza nemmeno voltarsi. Un gesto di stizza che aveva decretato la vittoria parziale del cantante.
Si erano parlati, e lei l’aveva lasciato in sospeso con una minaccia.
Bevve con soddisfazione il proprio caffè, almeno aveva la certezza che non fosse finita lì, forse l’avrebbe rivista prima di quanto avesse sperato.
 
«OmioDiononcipossocrederetuseiJaredLeto!» era sabato e nell’entrare nella caffetteria fu attentato con estrema velocità da qualcuno con un parlantina più veloce del rap di Eminem. Un pessimo modo per iniziare la giornata.
Era bassa, morbida e con un caschetto arruffato, eppure l’unica cosa che aveva notato Jared era l’odore di lavanda che si mischiava nell’aria a quello del caffè, e poteva dire con certezza che non apparteneva al piccolo vulcano appeso al suo collo.
Aprì gli occhi dopo il momento di panico iniziale e la vide: le braccia conserte e un sorriso divertito e compiaciuto. Quando fu sicura di avere l’attenzione del cantante gli mimò un “Te l’avevo detto”.
Era stato il suo turno di giocare sporco, ed era divertente per lei alzare le spalle per scrollarsi di dosso l’imbarazzo che lui le comunicava in modo inconsapevole con gli occhi.
“È mia amica, ma è pazza” e per sottolineare quelle parole espresse solo a gesti fece roteare l’indice vicino alla tempia, sempre più soddisfatta.
«Ehi!» disse Jared riprendendo il controllo di se stesso. «Come ti chiami?»
«Per la miseria Jared Leto vuole sapere il mio nome» mormorò tra sé la ragazza prima di rispondere: «Jennifer, piacere. Sai, se sono qui è solo merito di Leah. Mi ha detto che vi vedeva spesso in questa caffetteria e ha pensato a me dato che sono una vostra grandissima fan».
La indicò e Leah si fece avanti, circondando le spalle dell’amica.
«Eh sì, Jen. Sapevo che saresti stata felicissima di vedere il tuo idolo, non ho potuto resistere all’idea di farti un piccolo regalo».
Come sarebbe uscito Jared da quella situazione?
Non che Jennifer al momento lo stesse preoccupando, era troppo concentrato a squadrare Leah e imprimere ogni particolare nelle mente. Indossava una gonna nera corta e aderente, una camicia azzurra dal taglio maschile con le maniche arrotolate, delle infradito blu scure e un cappello di paglia. Era semplice e sbarazzina, sembrava pronta per andare in spiaggia. E a lui piaceva particolarmente la spensieratezza che trasmetteva, era ancora più allettante degli altri giorni. Imperfetta e letale.
«Scusa ma… Non c’è Shannon?»
Leah alzò gli occhi al cielo, la faccia contrariata.
Ecco la piccola falla nel suo piano che avrebbe permesso a Jared non solo di salvarsi, ma di volgere la situazione a suo vantaggio.
«No, purtroppo. Ma, ehi, cosa ne dite di essere nostre ospiti allo studio per oggi? Potrete conoscere anche gli altri Mars e sentire qualche canzone che stiamo incidendo».
Leah , che non si aspettava una simile contromossa, si affrettò a rispondere: «No, veramente volevamo andare a Mal…»
«Sì!» urlò Jennifer con tutto il fiato che possedeva in corpo. «Assolutamente sì!»
L’altra la fulminò con lo sguardo, ma Jenny non diede segni di cedimento. Leah sapeva quanto ci teneva a conoscerli davvero, ma mai avrebbe pensato che il suo stesso piano malefico potesse ritorcersi contro di lei.
«Va bene, andiamo». La sfortuna di avere il cuore tenero.
Vide comparire un sorriso compiaciuto sulle labbra sottili di Jared, ed era esattamente quello che voleva evitare, anche perché quel gesto la irritava almeno quanto la eccitava.
Fu così che si ritrovarono nello studio, Jennifer con gli occhi scintillanti di commozione e gioia, Leah con la curiosità di capire quanto di Jared ci fosse in tutto quello. Era affascinante vederlo muoversi nel suo ambiente e constatare quanto avesse abbandonato i modi di fare irriverenti per concedersi una più tranquilla e sana cortesia.
Facile per lui studiarla con gli occhi glaciali da lontano, era come osservare la propria cavia dentro la gabbia in cui la si era intrappolata. Con Jenny che aveva attenzioni solo per Shannon era stato facile convincerle a restare per pranzo, e ancora più facile rovesciare addosso a Leah un succo, macchiando la sua camicia chiara su cui in quel momento campeggiava una macchia arancione.
«Scusami, non volevo». Accorato e dispiaciuto come un buon attore sapeva fingere.
«Mio Dio, non posso aggirarmi conciata come una senzatetto per tutto il giorno!» Leah cercava di togliere l’alone con un tovagliolo di carta racimolato da non sapeva dove, ma stava solo peggiorando il danno.
«Vieni con me» le disse Jared prendendole il polso. «Andiamo a vedere se c’è qualcosa con cui rimediare all’inconveniente».
Leah riusciva a percepire le dita lunghe e sottili attorno al braccio, sentiva la presa salda e il calore che emanavano. Di colpo le frizioni tra loro due – anche se giocose – erano sparite, riempite da uno sfarfallio allo stomaco strano e gradito.
La condusse in una piccola stanza dove c’erano un divano, una scrivania, uno specchio e un piccolo stand di vestiti.
Senza dirle una parola prese la camicia, la tolse dalla gonna e la sfilò a una Leah ancora troppo sconvolta per la velocità del gesto per rendersi conto di quel che stava realmente succedendo. Difatti seguì i movimenti di lui con confusione, ormai in balìa degli eventi.
Ancora una volta, senza chiedere il permesso, Jared le prese il volto tra le mani e le si avvicinò sicuro. Le sue labbra avevano cercato irruente e fameliche quelle di lei in un bacio animalesco e impellente. La barba folta che pungeva il viso di Leah, le dita di Jared che non le permettevano di scappare o anche solo azzardarsi ad allontanare la sua bocca.
Era mezza svestita in una situazione che faceva fatica anche solo a concepire, eppure le piaceva. Leah mise le mani sui polsi di Jared e gli restituì il bacio con la stessa urgenza e forza. Uno scontro di morsi e gemiti, gli schiocchi prodotti da due labbra che si staccavano solo per riprendere fiato, mani che esploravano e pretendevano.
Poi, come tutto era iniziato, all’improvviso finì.
Lo sguardo impenetrabile di Jared era tornato a dominare la scena, così sicuro e padrone di sé da spaventarla.
«Si può sapere cosa hai intenzione di fare?» domandò Leah stizzita scuotendo in aria la camicia che le aveva tolto di dosso.
Era chiaro a entrambi cosa avessero avuto intenzione di fare, ma aveva preferito vertere su un altro argomento, un po’ meno spinoso.
«Ti aiuto» rispose pratico lui.
«Spogliandomi? Ma se fossi stata senza reggiseno?! Eh?» era accaldata. Quella malsana idea la mattina le era passata per la mente, per fortuna la sua parte razionale aveva avuto la meglio su quella trasgressiva e si era convinta a indossare il push up.
«Non sarebbe stato un mio problema». Si prese un attimo per pensare alla situazione, fissandola ancora mezza nuda. Sorrise soddisfatto. «Anzi…»
«Comunque, tieni» le disse Jared avvicinandosi allo stand senza darle il tempo di provare a rispondere, ma per lui era la normalità: tutti sottostavano al suo volere, era abitudine.
«Cos’è? Attingi al merchandising?! Devo pagartela?» domandò acida, il fatto che non le avesse lasciato scelta l’aveva irritata a morte. Non capiva cosa volesse da lei, se non l’intento più ovvio che avesse dimostrato. La sua arrendevolezza, fino a quel momento, non faceva che avvallare la tesi del cantante.
Jared la guardò duro, gli occhi più freddi che mai rispetto alla malizia contagiosa e calda dei giorni passati.
Fu glaciale anche il suo tono di voce: «No, è una mia maglia. Tengo sempre dei vestiti di scorta qui allo studio, in caso di emergenza».
Il gesto la colse di sorpresa: sembrava pronto a fare sesso con lei e nulla più, perché una persona famosa non poteva pretendere altro da una sconosciuta, eppure quel gesto così… intimo le faceva sperare di non essere usata, di non sembrare ai suoi occhi solo un oggetto, perché non l’avrebbe tollerato.
«Oh» rispose rossa in viso, non più accaldata per la situazione ma per la vergogna. «Grazie».
Lui alzò le spalle, offeso per l’accusa che lei gli aveva deliberatamente rivolto, quasi pensasse di conoscerlo.
Infilò spiccia quella che si rivelò essere una canotta con degli ampi scolli sui fianchi, tanto da lasciarle scoperta ampi lembi di pelle.
«Ti sta bene» le sussurrò quasi controvoglia mentre le si avvicinava.
Leah chiuse gli occhi, in fondo non le sarebbe dispiaciuto ripetere l’esperienza di poco prima nonostante i suoi modi autoritari e pretenziosi. Chiuse gli occhi aspettando le labbra di Jared sulle proprie.
«Bene, ora sei a posto. Ti aspetto di là, fai con comodo».
Sorrise soddisfatto e uscì dalla stanza senza voltarsi.
Niente di quello che Leah si era aspettata era avvenuto.
L’aveva spogliata e si era vergognata non per essere mezza nuda davanti a lui, ma per averlo insultato considerandolo venale e si era rivestita solo dopo averlo baciato con la voglia di andare ben oltre, anche se non sapeva fino a che punto avrebbe potuto spingersi con un uomo che da lei voleva solo una cosa. E ora la invitava a fare con comodo? Dopo che non le aveva dato il tempo di respirare e realizzare cosa fosse successo?
Si controllò nel riflesso dello specchio appeso alla parete. Aveva le labbra gonfie e i capelli spettinati, ma era sicura di essere l’unica a vedere i segni della sua stessa colpevolezza. Uscì dalla stanza di corsa, l’odore di Jared stava diventando troppo pungente, anche se ormai si era resa conto che non era nella stanza, bensì sulla sua pelle.
 
La giornata era trascorsa in modo surreale. Giri turistici per lo studio, chiacchiere con i membri della band e i collaboratori ma, soprattutto, scambi di sguardi con Jared. Alcuni famelici, altri rabbiosi, occhiate pur sempre lungimiranti, che mai erano fini a loro stesse.
Era arrivata la sera e Jenny e Leah erano stremate. Si salutarono fuori dallo studio e si diressero ognuna alla rispettiva auto.
Fu solo quando Leah mise in moto la macchina che un odore diverso dalla lavanda le solleticò le narici, costringendola a fissarsi il busto: indossava ancora la canotta di Jared.
«Maledizione, la camicia!» ringhiò a denti stretti, nervosa riguardo le implicazioni che un suo ritorno avrebbe comportato. Sbuffò, spense il motore e scese dall’abitacolo diretta allo studio.
Sperava che ci fosse ancora qualcuno, ma si impose di fare una cosa rapida: toccata e fuga.
«Ehi, c’è nessuno? Sono Leah, sono tornata a riprendere la mia camicia» disse urlando per gli ambienti ormai deserti. «Presente? Quella sudicia di succo d’arancia».
Mentre parlava si dirigeva verso la stanza in cui l’aveva abbandonata nel primo pomeriggio.
«Bene» mormorò tra sé, soddisfatta di essere entrata e averla passata liscia. «Eccola qui».
Fece per uscire, ma Jared l’aveva raggiunta e, come nel pomeriggio, si era avvicinato per baciarla con una certa urgenza. Ancora una volta non le aveva dato il tempo di decidere, anche se lei stessa non avrebbe scelto in altro modo, perché lo voleva.
«Cosa stai facendo?» gli chiese confusa dopo che l’ebbe fatta sdraiare sotto di lui sul divano.
Jared le levò la maglietta, buttandola in un angolo lontano della stanza.
«Mi riprendo ciò che è sempre stato mio».
Leah non ebbe nulla da obiettare.
 
Un mese dopo erano ancora lì, insieme.
Leah stesa a pancia in giù sul letto, il lenzuolo bianco a coprirle il corpo dalla vita in poi. L’inibizione davanti a Jared era passata, non aveva più difficoltà a mostrarsi senza vestiti viste le innumerevoli volte in cui era stato lui stesso a toglierli senza permesso. Non una parola, un tacito ordine che lei assecondava con voglia, figlia di un desiderio comune.
Fissò i dettagli di quella camera, ma era difficile distinguerle dalle altre: tutte bianche, tutte così tremendamente uguali. Gli hotel sembravano fatti con lo stampino, ecco perché Leah preferiva portarlo nel suo appartamento, anche se a Jared l’idea non piaceva particolarmente, la riteneva troppo personale, spostando la loro situazione in un territorio pericoloso. Ecco perché non l’aveva mai portata a casa sua ma prenotava asettiche e banali camere d’albergo: era il modo silenzioso per farle capire di non far parte della sua vita, che la sua riservatezza, il vero Jared, andava ben oltre i loro incontri.
Una volta avevano preso un caffè, un’altra erano andati a una mostra temporanea a West Hollywood, ma solo perché Leah aveva insistito fino allo sfinimento. Esperimenti falliti, Jared aveva sì apprezzato le uscite, ma non si era mostrato poi coinvolto, se non alla fine di quelli che aveva definito supplizi, quando l’aveva spinta contro un muro e poi portata tra quattro pareti per recuperare il tempo perduto.
Leah non capiva cosa ci fosse di sbagliato in lei.
Jared uscì dal bagno senza nulla addosso e con i capelli ancora umidi, la vide arrendevole nel letto e si fermò a rimirarla: tutto poteva diventare fonte di ispirazione, anche la luce del sole che sbatteva contro la sua schiena nuda e sui capelli dorati sparsi da una parte soltanto del cuscino.
Un momento rotto e dolce, sospeso come i granelli di polvere che danzavano nel fascio di luce, che lo coglievano davanti a quegli occhi intensi e a tratti tristi, perché non era mai riuscito a cogliere cosa Leah celasse al suo interno. Forse non si era mai applicato abbastanza per comprenderli.
Abbandonò per terra la salvietta con cui si era asciugato e, senza preoccuparsi di indossare la propria biancheria, si mise sul letto su di lei. Poggiò i palmi su cui sostenersi accanto alle anche della ragazza e, con una calma esasperante per entrambi, posò la punta del naso appena sopra l’osso sacro e la fece scorrere fino alla base del collo, inspirando l’odore di lavanda che la pelle accaldata di Leah sprigionava.
Se qualcuno gli avesse chiesto come immaginava il paradiso gli avrebbe risposto che per lui era lavanda e pelle accaldata dalla luce del tramonto, nulla più.
«Sei calda». Si sdraiò accanto a lei nella sua stessa posizione, ma il viso continuava a vagare tra la spalla e il collo di Leah, in una piacevole tortura per entrambi. A Jared piaceva vedere la pelle di lei arrossata dalla propria barba, il segno non definitivo che un qualcosa di quella ragazza e di quell’odore apparteneva a lui, nonostante tutto.
«Colpa del sole che picchia su di me».
Fece scorrere il naso di nuovo sulla sua pelle, lasciando baci e morsi quando più preferiva, respirando a pieni polmoni ciò che Leah era.
«Sei maledettamente buona, una droga». Inspirò ancora.
«È solo il profumo dei prodotti che uso». Le piaceva ricevere quelle attenzioni da Jared, le sembrava di essere importante in quei momenti. Peccato che l’illusione finisse fuori da quelle stanze, perché la loro bolla di sapone si infrangeva a contatto con la realtà, una vita in cui lui non la contemplava affatto, bastavano i suoi silenzi per rimarcare il peso della sua stessa assenza.
«È molto di più». E Leah ci sperava davvero.
«Scommetto che gli altri che hai avuto non si sono mai soffermati sui dettagli, non hanno apprezzato ogni tua piccola sfumatura»
«No». Deglutì a fatica, Jared stava rendendo a voce le emozioni che lei provava. Traduceva i brividi che percepiva passare sulla sua pelle. «Non mi hanno mai annusata, se stai insinuando questo»
«Sto insinuando» e le leccò una spalla mentre con il corpo si spostava sopra di lei per poter continuare quel martirio così deleterio per il cuore di Leah, facendolo diventare un percorso fatto di denti e labbra che solcavano ciò che a Jared dava più piacere: la sua pelle. «Che non ti abbiano mai sniffato come si deve. Io sto percependo la tua anima, è come arrivare a ciò che mi tieni nascosto».
Leah tremò. Era impossibile, non poteva aver capito davvero, si sarebbe ritrovato nel suo profumo, se fosse stato veramente attento. In mezzo al campo di lavanda avrebbe percepito una nota di bucato, quella che lui aveva sempre addosso. Era pulito, nonostante le sue intenzioni lo fossero meno del suo odore.
Si stava prendendo un’altra parte di lei senza chiedere il permesso.
Jared scostò il lenzuolo dalla vita di lei e la fece voltare, pronto a scoprire quanti altri sapori potesse avere Leah.
«Non puoi arrivare a tanto». Avrebbe voluto impedirglielo con tutte le forze.
«Un profumo rivela molto di più di una persona, la tua pelle non è da meno. L’odore acuisce la memoria, è potente». Le stava baciando la pelle sotto l’ombelico. «Se un tossicodipendente scegliesse meglio da cosa essere assuefatto, soprattuto da chi, avremmo meno persone frustrate e molte di più in pace con il mondo»
«Tu lo sei?» chiese lei con la voce roca. In pace col mondo, non con l’anima in subbuglio come in quel momento.
«Io lo sono, e la mia scelta ricadrebbe sempre sulla lavanda a causa tua». Affondò la faccia con convinzione dove avrebbe potuto percepire altro di Leah, soprattutto il suo piacere.
Qualcosa si era rotto in tutto quello, era stata la parte di Jared più nascosta a parlare, e Leah iniziava a crederci davvero.
 
Jared dopo quella volta si era irrigidito, conscio di aver detto troppo. Leah non era stupida, sapeva quanto lui dipendesse dall’odore di lei, e le aveva confidato che nella lavanda, che lei tanto adorava per la sua freschezza, lui la ritrovava. Una debolezza a cui aveva rimediato subito dopo il sesso con la solita freddezza.
Eppure nei mesi qualcosa era cambiato.
Si vedevano solo quando voleva lui, perché era Jared a dettare i tempi di quel rapporto che non esisteva – almeno ai suoi occhi – ma si vedevano più spesso. In più occasioni erano usciti senza finire a fare sesso, ed erano stati immortalati dai paparazzi. Una cena, un vernissage, una camminata a Santa Monica.
La cosa che l’aveva stupita era che riuscivano a parlare, anche se solo superficialmente. Lei gli aveva rivelato di avere origini tedesche, e Jared si era interessato, chiedendole se lo sapeva parlare. Sì, era la sua seconda lingua madre. Gli aveva raccontato di come avesse paura di fare il bagno in mare aperto, di quando aveva preso lezioni di ginnastica ritmica con scarsi risultati e del suo odio verso i broccoli e di come fosse diventata la modellista di un atelier lì a Los Angeles, la sua città natale. Lui ascoltava, ma non aveva fatto tesoro di quelle informazioni, forse non ritenendole così importanti, non capendo invece che erano parte di lei, che erano le piccole cose a formarla e renderla ciò che era.
Leah aveva provato a farlo aprire, ma lui sembrava protetto da un involucro che lei non riusciva a superare. Parlava del lavoro, certo, ma non parlava di sé e del suo passato, non le aveva mai fatto capire cosa l’avesse portato a essere una simile persona, non le era permesso arrivare a conoscere perché fosse il risultato di determinate scelte.
Eppure a volte le metteva un braccio attorno alla vita, altre le baciava la testa e altre ancora in cui la prendeva per il polso prima di far scivolare le dita tra quelle di lei. Gesti inconsapevoli fatti alla luce del sole accompagnati da un mezzo sorriso soddisfatto, celato dalla barba lunga.
«A cosa pensi?» gli chiedeva Leah.
«A niente» rispondeva Jared alzando gli occhiali da sole, quasi volesse eliminare ogni barriera tra loro, poi la lasciava andare, come se si fosse reso conto di ciò che inconsciamente aveva fatto.
A Leah sembrava reale. Tornava a casa con il sorriso, felice di non essere solo un oggetto o uno sfogo.
Poi arrivava il resto a farle crollare quelle esili sensazioni.
Ogni volta che uscivano foto di Jared con lei, specialmente in simili atteggiamenti, il giorno dopo uscivano foto di lui in compagnia di un’altra donna. Cento volte più belle di lei, più giovani, meno vogliose di legarsi a un uomo perché molto più attaccate alla loro carriera. Carriera che si basava spesso sui vestiti che lei stessa disegnava, cosa che le corrodeva l’anima.
Piangeva, e quando Jared la cercava litigavano, ma finiva sempre per farlo salire in casa, nel proprio letto. Perché come le dimostrava ogni volta non era più di quello ciò che lui cercava in lei, nonostante avesse sentito molto di più.
Poi un gesto di lui le faceva dimenticare tutto, e ricominciavano daccapo.
E così era stato anche quella volta, in un’altra camera d’albergo.
Avevano fatto sesso, e dopo c’erano state risate e carezze, gesti semplici ma importanti.
Avevano chiacchierato di quanto Jamie avesse bisogno di una donna, di Jennifer che provava ancora a seguire Shannon, del fratello di Leah che era andato a lavorare in Germania, avvantaggiato per sapere la lingua.
Jared non era avvezzo a soffermarsi per dedicarsi alle effusioni con le donne con cui scopava, ma con Leah era diverso. Si trovava bene e non sentiva pressioni di sorta, era come essere fuori dal mondo e, al contempo, esserne al centro.
«Mi piace passare il tempo con te» aveva mormorato Leah girandosi sulla pancia per poterlo guardare negli occhi che ormai non le facevano più paura.
Jared alzò un angolo della bocca mentre le sistemava i capelli dietro l’orecchio, continuando ad accarezzarle la testa. «A tutte le donne piace passare il tempo con me».
Umiliata per l’ennesima volta.
«Grazie per farmi sentire una delle tante»
«Lo sei… E non lo sei. Sto bene con te, ma sto meglio con me stesso».
Quando voleva sapeva essere chiaro e diretto, senza preoccuparsi di ferire chi aveva davanti pur di non lasciare adito a dubbi.
Si sentiva persa, perché senza di lui ci sapeva stare, ma non riusciva ad immaginarsi davvero.
«Non sei solo una di quelle che mi scopo, se no non saresti qua dopo mesi. Sei Leah, e mi basta».
Ma forse quello a lei non bastava più.
«Possiamo cambiare discorso? Sono qui per godermi il mio tempo libero, non per litigare»
«Ok» rispose rabbiosa e rassegnata. «Descriviti in una parola».
Voleva che il vero Jared saltasse fuori, doveva scontrarsi con l’immagine che a lei non sarebbe mai andata bene e svelargli al tempo stesso la vera Leah, di modo che potessero giocare a carte scoperte l’ultima mano di quella partita.
«Direi sognatore, ma penso sia una cosa più legata alla mia carriera. Se dovessi scegliere un aggettivo che rappresenti me in quanto uomo, opterei per egoista».
Era stato naturale pronunciare quelle parole, si vedeva che non c’era malizia o cattiveria, ma solo la voglia di farsi capire. E, da buon egoista quale si era appena definito, non aveva pensato all’impatto che quella scelta potesse avere su di lei.
«Perché, tu che parola useresti per descriverti? Sono curioso». Lui avrebbe usato lavanda, ma non rientrava nella categoria ‘aggettivi’, anche se nell’essenza di quella pianta era racchiusa tutta quella di Leah.
«Fernweh» rispose lei senza esitazione. «È una parola tedesca che definisce la nostalgia per posti in cui non si è mai stati».
Stava pregando con tutta se stessa che Jared capisse, che aprisse gli occhi su ciò che lei provava nei suoi confronti e su quello che lui, forse, ricambiava.
Invece rise.
«Sei così ingenua a volte, ecco cosa mi piace di te. È un bel pensiero, un po’ superficiale ma bello».
Le scompigliò i capelli quasi a volere sdrammatizzare il momento. Sembrava che, più che non capire, si ostinasse a non voler vedere dove quella frequentazione li avesse portati.
«Ora vado a fare la doccia, stasera esco con amici per parlare di lavoro»
«Ok, fai pure. Io rispondo a qualche mail». Si rimise sdraiata cercando di reprimere il pianto, mai gli avrebbe dato una soddisfazione simile.
Si era preso tutto di lei fin dal primo momento senza mai chiedere il suo consenso: la sua camicia, i suoi baci, il suo corpo fino ad arrivare all’essenza della sua anima, non gli avrebbe permesso di prendersi anche l’ultimo briciolo della sua dignità.
Quando sentì lo scroscio d’acqua percepì il bisogno impellente di alzarsi dal letto. Si infilò con fare febbrile i vestiti sparsi per la stanza, sentiva il bisogno di sparire, di dare una svolta a quel rapporto e farlo finire come era iniziato: di colpo e per sbaglio, come quella mattina in caffetteria.
 

 
Fernweh per me eri tu. Sei tu il posto in cui non sono mai stata e in cui vorrei andare, arrivare. Mi hai fatto capire in tutti i modi che non fa per me, quel posto. Ora che l’ho compreso ho deciso di evitarti piagnistei e sfuriate. Tu cercavi un passatempo, io invece in te ho visto molto di più, eri il tempo che volevo avere sempre. Qualunque cosa fosse quella tra noi è finita. Tu non vuoi una persona con cui stare, io non posso frequentare un uomo che mi faccia male, mi voglio ancora abbastanza bene per impedirmi di continuare a soffrire ora che mi è tutto chiaro.
Spero che tu possa trovare una donna che reputi al tuo livello, ti auguro il meglio.
Non cercarmi più.
Leah”
 

Non cercarmi più. L’aveva scritto e lo pensava davvero, ma sperava che Jared non la prendesse in parola, che le dimostrasse che si sbagliava.
Ancora una volta, però, dovette scontrarsi con le proprie illusioni: il cantante era rimasto sulle sue posizioni, senza nemmeno mostrarle il proprio disappunto o il suo approvare la scelta.
Il silenzio, l’arma con cui aveva ferito più volte la persona da cui diceva di dipendere.
Leah era forte e, per quanto non ne fosse uscita intatta, non portava segni di quella storia che non si potessero rimarginare con il tempo. Se ne era chiamata fuori prima che la situazione potesse essere troppo distruttiva anche per una persona coriacea come lei.
Dopo quasi due mesi aveva trovato un messaggio vocale di Jared in cui le dava qualche ordine, cosa che le fece riportare a galla la rabbia che quella situazione le aveva fatto accumulare.
Rispondi cazzo, non vedo perché tu debba decidere per entrambi. Avrò anche io il diritto di avere voce in capitolo?!” il tono rabbioso di quelle parole le era parso fuori luogo, non solo per la pretesa che avanzava nei suoi confronti dopo tempo, ma per il contenuto di quelle frasi.
Jared, ancora una volta, rivendicava il proprio diritto di avere l’ultima parola e sistemare le cose come avrebbe preferito lui.
Leah, furiosa per i toni e il messaggio, ma sconvolta perché a quanto pare Jared non era riuscito a dimenticare la faccenda come lei stessa aveva creduto, gli aveva risposto con un sms: “Ora sai come ci si sente. Benvenuto nel club. Bello essere ripagati con la stessa moneta?
E il silenzio era diventato il più potente mezzo per esprimere il suo disappunto.
Rispondi”. Il messaggio che Jared le mandava dopo ogni chiamata a cui Leah non rispondeva. Almeno tre volte al giorno si ritrovava a odiare se stessa, e quando si sentiva vicino a cedere gli inviava un semplice “No”, giusto per dimostrargli che i messaggi arrivavano al destinatario. In fondo aveva solo paura che lui smettesse di mostrarle il proprio interesse, anche se minimo.
 
Da un paio di giorni Jared aveva smesso di farsi sentire, aveva desistito con le chiamate e con i messaggi. Leah ci era rimasta male, di nuovo; non si aspettava che mollasse la presa dopo due settimane, non ora che sembrava tornato.
Ma era una delle sue caratteristiche: non essere presente anche quando c’era, quindi avrebbe dovuto aspettarselo.
Aveva parcheggiato sotto casa dopo una giornata infernale: non solo la questione Jared le attanagliava lo stomaco, ma a lavoro era un delirio a causa della nuova collezione, erano giorni cruciali per capire quale tendenza seguire e – quindi – quali modelli scegliere e quali scartare. Continuava a correggere e aggiungere, poi a cancellare e togliere. Visionava materiale e accessori e le sembrava di non venirne mai a capo.
Fissava la luce particolarmente arancio del tramonto che si rifletteva sulle colline davanti a sé. Tutti a quell’ora si stavano preparando per uscire o erano a qualche aperitivo nei locali più fighi della città, mentre lei, che li vestiva a dovere per quelle occasioni, desiderava solo farsi un bagno, mettersi dei pantaloncini anonimi e una canotta senza forma per guardarsi un film.
Sbuffò contro quella vita ingiusta e scese dall’auto.
Fissò il portoncino di casa propria sicura che la vista fosse falsata a causa del riverbero del sole, ma il cervello le stava dicendo che tutto quello era reale. Un colpo al cuore.
Jared la aspettava appoggiato alla parete, gli occhiali da sole sul naso e un’espressione indecifrabile sul volto.
Decise di agire come un qualsiasi adulto in quella situazione, ignorando il battito cardiaco accelerato. Quindi optò per fuggire e fingere indifferenza.
Gli passò davanti a passo spedito e con il mento alto, mostrando il suo distacco.
«Ciao». Mormorò lui con il suo tono freddo.
«Ciao». Se quella era una gara avrebbe fatto di tutto per vincerla, aveva visto Frozen un sacco di volte: Elsa era la sua nuova eroina, lui non poteva batterla.
Fece scattare la serratura del portoncino sotto lo sguardo attento di Jared e sorrise sollevata quando riuscì a spalancare la porta.
Un sorriso che si incrinò quando il braccio del cantante le ostacolò il passaggio, impedendole di varcare l’uscio. Le sembrava che fosse andato tutto troppo bene fino a quel momento.
Sospirò arresa.
«Mi manchi». Dritto al punto, come suo solito. Peccato che quella confessione, nonostante le facesse piacere, fosse solo la punta dell’iceberg, perché non le mostrava nulla di ciò che Jared provava, né tantomeno come fosse arrivato a quella conclusione.
«E, di grazia, quando te ne saresti accorto? Tra la modella dell’est che deve ancora cambiare i denti da latte e la pseudo attrice maggiorata, o tra una canzone e – Dio ce ne scampi – una mora? Illuminami, sono proprio curiosa».
Incrociò le braccia al petto, affilando lo sguardo. Non voleva mostrarsi debole, avrebbe puntato tutto sulla propria aggressività, una parte di sé che quella discussione stava alimentando.
Jared si guardò attorno, non gli piaceva che la gente si facesse i fatti suoi. «Possiamo parlarne in privato?»
«Mi sembra di essere stata abbastanza chiara nel mio biglietto. Non ho altro da aggiungere, se non che la cosa non mi tange. Non più».
Cercò di superarlo e passare sotto al braccio, ma Jared aveva intercettato i suoi movimenti e si era messo davanti all’uscio, impedendole di scappare.
«Certo, si vedeva poco fa come la cosa non ti toccasse minimamente, quando ti sei mostrata gelosa delle mie amiche facendole passare per delle poco di buono»
Stronzo. Era un ottimo osservatore, sapeva di non poterlo ingannare.
«Ah, amiche? Ora è così che definisci quelle che ti scopi?! Perché io non ho avuto l’onore di questo titolo?» tanto valeva portare la conversazione su un altro piano, senza negare la gelosia ma tentando di insabbiarla cambiando argomento.
«Perché tu non lo sei mai stata».
Dio, quegli occhi la stavano incantando non aveva paura di fissarla come suo solito, era terribilmente serio. Quella sicurezza le metteva paura, sembrava si stesse alimentando di quella di lei. Se fossero andati avanti così non sarebbe durata molto, anche perché le parole di Jared la colpivano dove le faceva più male.
«Di sicuro non valgo nemmeno la metà di loro, vero? Non avrò neppure un po’ della loro esperienza in ambito sessuale…»
«Tu sei sempre stata molto di più». Lo sguardo sicuro, ma le parole appena sussurrate come se gli costasse dover ripetere concetti così importanti. «Te l’avevo già detto»
«E questo non ti ha impedito di trattarmi come una qualunque di queste tue amiche».
Leah si grattò la punta del naso in imbarazzo, non credeva di certo che Jared fosse pronto a fare suo quel concetto, men che mai a ripeterlo ad alta voce.
«Perché non volevo rendermi conto della situazione». Mise le mani in tasca, più tranquillo, quasi si stesse inoltrando in un terreno a lui più congeniale. «Era facile cercarti solo per il sesso, e mi sono chiuso quando tu hai provato ad andare oltre. Volevi sapere chi sono, come stavo, desideravi conoscere il mio passato per capire perché sono così ora. Era una situazione scomoda…»
«La fai sembrare una cosa orrenda» mormorò rossa in viso, la testa bassa per la vergogna.
«Avevo paura delle implicazioni che quelle domande avrebbero portato tra noi».
La voce una carezza dalla quale Leah si lasciò cullare prima di sbottare.
«Cos’è cambiato ora? Paura della solitudine? Mancanza di gratificazione del tuo ego? Non sono un’opzione Jared. Ti ho detto chiaramente che voglio essere una scelta, e tu mi hai dimostrato in modo altrettanto chiaro che non lo sono».
Risoluta come lo era sempre stato lui, erano finiti i tempi in cui era Jared a condurre la situazione con i suoi modi quasi autoritari senza nemmeno darle una spiegazione. Era arrivato il momento di pretendere almeno chiarezza, le era rimasto un briciolo di amor proprio.
«Ho aperto gli occhi, ecco cosa è cambiato» rispose quasi esasperato da quella conversazione. «Ti avevo detto che con te stavo bene, ma stavo meglio con me stesso. Beh, non era vero. Quando te ne sei andata me ne sono reso conto. Mi ero detto che alla tua assenza ci avrei fatto l’abitudine, ma non è stato così. Mi mancava tutto di te, a partire dal tuo odore di lavanda»
«Puoi sempre comprarti il profumo che uso e spruzzarlo sui cuscini».
Male. Di solito Leah ricorreva al sarcasmo quando le argomentazioni valide iniziavano a scarseggiare. E quando le argomentazioni valide iniziavano a scarseggiare voleva dire che stava iniziando ad abbandonare la razionalità per seguire l’istinto.
«Non si riduce a quello. Sei tu, la tua essenza. La lavanda la racchiude e la rappresenta».
Bam. La stessa sensazione di uno schiaffo, solo che era molto più piacevole. Il tuffo allo stomaco provocato da quelle parole era stata la sensazione migliore degli ultimi mesi, per Leah.
«E dove vorresti arrivare, dunque? Non ho tempo da perdere con te, non più».
Non voleva risultare dura, ma arrivare al punto della questione, le sembrava che Jared ci avesse girato intorno abbastanza, era giunto il momento per lei di sapere se era arrivato fino a lì per un motivo valido per entrambi o se si era presentato solo per pulirsi la coscienza.
Jared si era avvicinato per spingerla contro l’anta fissa del portoncino. Si percepiva quanto desiderasse essere ascoltato con attenzione e quanto non volesse che Leah scappasse da lì, dalle braccia che la bloccavano contro il legno.
«Voglio arrivare al momento in cui ti scelgo. Sono stato solo abbastanza per dire che con me sto bene, ma sto meglio con te. Mi sono reso conto che senza di te ci potrei anche stare, perché me la so cavare bene da solo. Il problema è che non voglio».
Ci sarebbero state tante cose che Leah avrebbe voluto dire, ma non riusciva a formulare un pensiero coerente, men che meno ad articolare una frase di senso compiuto.
Preso dal proprio discorso, Jared continuò con più convinzione, accarezzandole con un pollice la guancia arrossata dalle sue parole.
«Ci ho ragionato tanto, e non riesco nemmeno a dirti tutto quello che penso. So solo che ti davo per scontata e non te lo meritavi. Voglio ascoltarti, imparare a conoscerti. Perché tu ora sei il mio fernweh, e se me lo permetterai ci tengo a cambiare la cosa, perché sei l’unico posto in cui voglio stare».
Con il pollice raccolse la prima lacrima che scappò dall’occhio, non riuscendo però a fermare le altre. Per la prima volta Leah stava piangendo a causa di Jared per la gioia.
«Ma allora non è vero che non mi ascoltavi…» un sussurro emozionato, finalmente consapevole di non aver sprecato con Jared un solo momento o una singola parola. Valeva ogni respiro che gli aveva dedicato.
«Non ti prestavo la giusta attenzione, è diverso». Le baciò la fronte prima di scendere nel collo ad annusare l’odore che tanto gli era mancato. Non l’avrebbe mai ammesso ma aveva paura della sua risposta. Aveva già provato la sensazione di perderla, e l’idea che potesse succedere di nuovo non gli piaceva per nulla, eppure quella volta le avrebbe dato la possibilità di scegliere e rispettato la sua decisione, qualunque essa fosse.
Leah gli circondò il collo con le braccia per avvicinarlo a sé. Certi sentimenti non avevano bisogno di essere urlati, bastava solo sentirli vibrare nei battiti accelerati dei loro cuori.
«Sai che se ora ti accetto non ti libererai mai più di me?» per questo aveva bisbigliato una domanda così importante, perché il leggero eco sarebbe rimbombato nelle loro casse toraciche per sempre.
Jared alzò lo sguardo per incrociare quello di lei, limpido e frizzante come quello che l’aveva attratto tempo addietro. Non si sarebbe mai stancato di fissare il mondo che vedeva nei suoi occhi.
«Me lo prometti?» la fronte sulla sua, la bocca così vicina da sentire i respiri mischiarsi.
«Sì».
L’aveva baciata con rispetto e dolcezza, cercando di comunicarle con quel gesto quanto volesse impegnarsi per mantenere quelle promesse in ogni aspetto delle loro vite. Non c’era urgenza, ma il bisogno di colmare un’assenza che solo lei poteva completare, perché era diventata parte di Jared.
La sua spontaneità, la sua delicatezza, tutto era diventato importante senza che lui se ne rendesse conto, se non quando era diventato troppo tardi per tirarsi indietro.
Abbandonò la sua bocca e la prese per mano, guidandola verso la sua auto.
«Dove stiamo andando?»
Leah inspirò l’aria del tramonto e percepì tutte le cose che Jared gli aveva raccontato. Sentiva la lavanda e il profumo del bucato pulito lasciato asciugare al sole che si tuffava nell’orizzonte, il rumore dell’erba secca e il silenzio del mondo che li cullava in un campo desolato. Era l’odore di qualcosa di nuovo a cui però non avrebbe saputo rinunciare. Erano loro che si disperdevano su Los Angeles.
«Ti sto portando in un posto dove potrai conoscermi un po’ meglio. In un posto dove non sei mai stata». ‘Te. Almeno in parte’. Un pensiero che non avrebbe più dovuto preoccuparla, ecco il motivo di quel principio di sorriso.
«Ovvero?» era diventata incapace a nascondere la propria felicità. Forse non ne era mai stata in grado.
«Casa mia» rispose Jared divertito. «C’è un cappello che secondo me ti starebbe benissimo. Dovresti provarlo».
La condivisione di un qualcosa che andava ben oltre l’apparenza.
Mise in moto e si diresse verso le colline davanti a loro.
«E proviamolo» disse Leah sistemandosi sul sedile con un sorriso sempre più largo sul volto.
Lo sapeva, quella prova andava ben oltre la condivisione di un accessorio, era la fusione di due mondi, il tentativo che entrambi volevano intraprendere incrociando le loro strade.
Era il paradiso, e assomigliava a un campo di lavanda bagnato dalla luce rossastra del tramonto in cui i panni stesi si asciugavano alle carezze del vento.


 


Lo so, avevo detto che mi sarei presa una pausa dal fandom proprio sotto l'altra shot (Christine) ma, complice la data dell'esame che si è rivelata più avanti nel tempo e l'illuminazione divina, non ho potuto fare a meno di scrivere questa cosa.
In realtà doveva essere corta e meno introspettiva, ma quello che mi importa è che - per quanto prolissa e, appunto, introspettiva - sia una shot a lieto fine.
Un evento più unico che raro, lo so!
Volevo qualcosa di diverso, che ci posso fare? E questa parola così strana, con il suo significato, mi ha aperto un mondo. L'ho trovata molto adatta per Jared.
Niente, vi saluto perchè è inutile che io mi dilunghi, spero solo che vi sia piaciuta.
Vi ricordo il mio gruppo fb: Love Doses.
A non si sa mai, Cris.

 

   
 
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