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Autore: aniasolary    20/05/2014    21 recensioni
Natalie Truman, diciannove anni, buone intenzioni e scarsa capacità a far andare le cose come vorrebbe, non ha paura della vita. Tra sogni difficili, l’amore per un ragazzo irraggiungibile, impropri pasticci e situazioni imbarazzanti, il desiderio di diventare grande e sentirsi grande si fa sentire, rendendo il suo nido famigliare sempre più opprimente.
Il mondo è ai suoi piedi.
Al tempo stesso, quel mondo può caderle addosso.
L’unico modo per affrontarlo è cominciare a camminare con le proprie gambe, sperando di non inciampare nelle sue stesse scarpe.
«Un po’ per volta, il dolore se ne andrà. Non dimenticherai niente, ma starai bene. È un po’ come ricominciare a scrivere una melodia, ma senza cancellare le note precedenti. Con l’esempio del vecchio, puoi metter su davvero qualcosa di nuovo e migliore.»
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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nat Faccio un respiro profondo, inserisco la chiave nella serratura e giro. Più semplice di quel che pensassi. Con un enorme valigione fra le gambe – non accetto doppi sensi, gente –, non ho intenzione di fare niente di male.
Sto per scappare di casa.
Apro la porta.
Oh mio Dio, sto scappando di casa! Spingo di poco la valigia fuori, attenta a non fare rumore, e mi volto un’ultima volta verso il postoin cui ho vissuto diciannove, orribili anni della mia vita.
Ciao ciao, mami. 
Ciao ciao, papi.
Natalie spicca il volo.
… non intendevo in senso letterale!
La porta si richiude all’improvviso, spintonandomi dentro come l’indecente schiaffo di un buttafuori sul mio adorabile sedere. Cado di faccia a terra e il suono dell’allarme, simile alle sirene dell’ambulanza, mi invade le orecchie. Spalanco gli occhi e mi sollevo: raggi infrarossi invadono la stanza come una ragnatela. Manco fossi in una gioielleria, serrande di cui non ero a conoscenza si abbassano, rendendo inaccessibili le finestre. L’enorme televisore di fronte al divano si accende, rivelando il volto di un poliziotto con una voce robotica.
“Resta fermo. Sei circondato. Non puoi fuggire.”
Piano fallito.
Mi inventerò una scusa, nel frattempo mi sollevo: trovarmi sdraiata con il sedere all’aria non è fra i tanti sogni della mia vita. Alzandomi, sfioro una mensola e il cappello mi si abbassa sul viso.
«Mani in alto!» La voce di mio padre e il rumore del caricatore di una pistola.
Oh Signore Gesù Cristo Santa Maria Benedetta.
«Ba…»
«Mani in alto o sparo! »
Alzo le mani come mi ha chiesto. «Fomo Matalie,» grido, ma il cappello di lana mi copre la bocca.
«Che cosa? »
«Fomo Matalie, babà!»
Mi sfugge un singhiozzo.
Mi sento toccare la testa, finalmente il cappello cade a terra e così incontro gli occhi azzurri e furibondi di mio padre, con un pigiama rosa di spugna e la maschera da notte poggiata sui capelli grigiastri.
Gli rido in faccia.
«Che cosa volevi fare, signorina?» chiede, agitando la pistola.
Non mi viene più tanto da ridere, adesso.
«Buford! Buford, l’hanno rapita! L’hanno rapita, nella sua camera non c’è! » urla mia madre dalle scale.
«È qui.»
Mio padre mi indica con la pistola.
Aiuto.
«Oh Signore Gesù Cristo Santa Maria Benedetta,» esclama, correndo ad abbracciarmi con i bigodini fra i capelli e le ciabatte a forma di orso. «E i ladri? È già arrivata la polizia?»
Papà si avvicina al tavolino accanto alla poltrona, solleva il suo premio di lancio di giavellotto e rivela un pulsante. Non avevo la minima idea che esistesse! Lo preme e le serrande si alzano. Se solo l’avessi saputo…
«Il ladro è Natalie, pare. Mi spieghi, signorina, perché hai provato a uscire nel bel mezzo della notte? »
«… nel bel mezzo della notte? » gli fa eco mia madre.
«Sono le tre, Tracy cara, » le risponde papà con dolcezza e poi si rivolge a me, con gli occhi accesi di rabbia. «Allora, Natalie? »
Sono davvero le tre di notte?
Sospiro.
E l’unica cosa che viene fuori dalle mie labbra è un gran sbadiglio.

j

Sdraiata, cerco con tutte le mie forze di rimanere immobile, trattenendo al massimo la mia inquietudine.
«Ferma, Nat, o con lo smalto farò un pasticcio,» mi rimprovera lei, seduta a gambe incrociate di fronte a me.
Sbuffo.
«Nessuno guarda i piedi della gente, Pam.»
«Non è vero: una volta su Ask un tipo mi ha chiesto la foto dei miei piedi. Avevo lo smalto fucsia evidenziatore con le stelline.»
Non riesco a trattenere lo shock a lungo, per questo la guardo di traverso e non riesco a capire come a Pamela ogni cosa strana del mondo possa sembrare normale: per questo è la mia migliore amica dalla seconda media.
«Credevo che facessi la modella per il mascara della profumeria di tua zia, non per i piedi.»
Pamela mi fissa con i suoi grandi occhi verdi e le ciglia lunghissime, e poi sorride in quel modo caldo e allegro che la rende bella in modo imbarazzante, come se l’avere le gambe lunghe e le tette e i capelli biondi e ricci naturali non fosse sufficiente. «Non si può mai sapere nella vita. Un altro minuto e la tortura finirà.» Pamela passa un'altra pennellata di smalto blu. «Ti hanno mai detto che hai le dita da pianista?»
«È un modo carino per dire che suono il pianoforte con i piedi? Non è carino da dire, Pam, sai quanto ci tengo…»
«Io riesco a muovere solo il ditone, ad esempio.» Sono felice che tu sia qui, Pam. «Vedrai che la punizione non durerà molto.»
«Oh, certo.»Tossicchio e imito la voce di mia madre. «Natalie Hanna Truman, non uscirai di casa per un mese intero se non per buttare la spazzatura nel bidone. Così sì che desidererai scappare, signorina.»
«Sei un’attrice nata!» Ride.
«Oh, no, solo un’imitatrice. Non ho abbastanza talento per fingere al meglio di essere qualcun altro.» Scuoto la testa. «Che sarà mai un mese di ufficiale prigionia? Il mio orario di ritirata era fissato per le nove… se solo avessi dato una controllata all’allarme! Come potevo sapere che funzionava anche dall’interno? Con il pulsante sotto il premio di lancio di giavellotto di mio padre…» Sono ancora sconvolta per questo.
Pamela si passa un ricciolo dietro l’orecchio. «Mi dispiace tanto, Nat. Vedrai che non sarà così per sempre.» Si viene a sedere accanto a me. «E se non potrai raggiungere le feste estive, sarò io a portare le feste estive da te.»
«Oh, magari! Ellen Darcy organizza sempre spettacoli di spogliarellisti cubani!» Gli occhi di Pamela assumono la luminosità di una super nova.
Salto sul mio posto.
«Davvero? »
«Sì! »
Pamela ride e si alza in piedi sul letto.
«Si spogliano e ballano, passano da un tavolo all’altro e muovono il loro fantastico sedere…»
«Così? » Fa un tentativo a metà fra la danza del ventre e quegli strani balli russi, la schiena le resta ferma come se avesse una stecca che la mantiene. Non è mai stata molto agile in queste cose.
«Pam, che cos’è questo? »
«Un ballo di seduzione! E poi si danno anche gli schiaffi… lì! »
Mi alzo anch’io sul mio posto e cerco di imitarla. Oddio, credevo fosse più semplice. «Sul davanti o sul di dietro?»
«Da entrambe le parti, credo.»
«E parlano in spagnolo!»
«Dio, sì! »
«Te gusta, segnorita?» Ondeggio il bacino e mi do uno schiaffo dietro. «O te gusta mucho altro? Scusa, sono una frana con lo spagnolo!» Continuo ad ondeggiare, sempre con più ritmo. «Io mucho caliente.»
Apro il pantalone della tuta sul davanti e continuo a ondeggiare in maniera spropositata.
«Natalie… »
«Pamela, io muy caliente… »
«Nat… »
«…Arrrrrrrrriba!»
«Natalie Hanna Truman, che cos’è questo?»
Mi immobilizzo sul posto.
Con lo sguardo fisso verso il vuoto, mi sistemo i pantaloni della tuta e mi volto verso mia madre che mi guarda con un’espressione di disgusto.
«Pamela Anderson.» Mia madre si rivolge a Pam.
«Jefferson, » la corregge lei.
«Sai dirmi che cos’è questo?»
«Vorrei saperlo anch’io.»
«Diciannove anni sprecati, » borbotta mamma.  «Mettiti qualcosa di decente addosso, Natalie. Stasera a cena c’è Arthur Benkison.»
***
«Ahi!»
Pamela mi tira i capelli per legarli.
«Quindi tua madre intendeva quell’Arthur Benkison? »
«Sì, Pam. Conosci qualche altro Arthur Benkison? »
«Non si può mai sapere nella vita. »
«Ma questo è risaputo»
«Intendi il fatto che una volta faceste il bagnetto insieme nella vasca dei tuoi? »
«Oh, Dio.» Mi sento le guance infiammate. «È il sogno erotico di tutta la mia vita.»
Pamela sistema le forcine fra le mie ciocche ribelli. «Intendi anche il fatto che è stratosfericamente bellissimo e sette anni più grande di te?»
Fisso il mio volto nello specchio. Con i capelli alzati si notano ancora di più le guance piene, e le lentiggini sul naso sono evidenti anche se ci ho messo fondotinta e fard.
«Anche quello è risaputo. »
Continuo a guardarmi: i miei occhi mi piacciono. Di un marrone così scuro che mi fa sentire protetta da me stessa, da quella che ci può essere dentro di me. Pamela dà un’altra spazzolata alla mia coda arancione, ed il fatto che si veda la mia ricrescita castana è voluto.
«Ed intendi anche il fatto che ti chiama… »
Il rumore di un clacson attira le mie orecchie e mi giro di scatto.
«È qui!»
***
Pamela è uscita dalla porta sul retro ed io me ne sto nel corridoio del piano di sopra, appoggiata al muro. Le scarpe alte mi fanno male alle caviglie, lo smalto si è rovinato ma tanto i piedi non li guarda nessuno e il vestito è troppo corto e aderente e mi si vedono troppo le gambe. Le accarezzo affranta. Dio, dovrei dimagrire…
«Oh, Arthur, bello come il sole!» sento mia madre che parla.
Dio… le calze sono rotte.
«Oh, ma certo che Natalie è qui! » alza ancora di più la voce. «Natalie cara? C’è Arthur! Sta venendo a portarti giù!»
Oddiooddiooddio. 
Corro in stanza, mi alzo il vestito, mi abbasso le calze, slaccio i cinturini di entrambe le scarpe, lancio via le calze, metto una scarpa, allaccio il cinturino. Yuppi!
Toc toc.
Prendo l’altra scarpa. «Chi è? » La mia voce viene fuori tremante.
La porta si apre ed entra l’essere più meraviglioso presente in quest’universo.
Sorride scuotendo di poco la testa, in modo che i capelli biondi e ondulati lunghi fino al mento si spostino per non dargli fastidio. Ha un sorriso che mi fa sentire sul punto di cadere giù da un burrone. «Solo Arthur.»
Solo Arthur.
La sua fossetta sul mento. Il viso abbronzato ma naturale, con le guance rosee. Gli occhi più verdi che io abbia mai visto.
Ma questo è risaputo.
Intendi il fatto che una volta faceste il bagnetto insieme nel tuo bagno?
Alto più di un metro e novanta, dal corpo slanciato, proporzionato, perfetto, avvolto in uno splendido completo d’Armani grigio, arriva davanti a me e si mette in ginocchio.
Intendi anche il fatto che è stratosfericamente bellissimo e sette anni più grande di te?
«Arthur.» Sospiro. «Ciao. »
Spero di non sembrare la ragazza più tonta sulla faccia della terra.
Mi sfiora la pelle delle caviglie e mi infila la scarpa e lo guardo e potrei morire. Spero davvero che non guardi il mio smalto orribile!
«Che è successo alle tue unghie? »
«Oh… niente, è uno smalto sensibile, sai.» Mi mordo le labbra. «Cambia con l’umore… quelle scalanature indicano la felicità.»
«Oh, che strano!»
«Eh già! »
«Solo tu potevi metterti una cosa del genere.»
Evito di guardarlo negli occhi e mi allaccio il cinturino, quando torno a guardarlo lui sta fissando me.
Mi porge la mano.
Ed intendi anche il fatto che ti chiama …
 «Trottolina.»
… Ecco.
Arrossisco.
«Dovresti smetterla di chiamarmi così. »
Mi fa camminare facendomi appoggiare al suo braccio. «Quand’eri piccola trotterellasti giù dalle scale come una palla da bowling per venirmi e salutare e cadesti di faccia terra.» Si vede dove è cominciato tutto… «Ora non lo fai più.»
No, lo faccio ancora, credimi.
«Be’, Arthur.» Mi gonfio un po’. «Sono cresciuta, sai.»
Faccio per chiudermi la porta della mia stanza alle spalle ma lui mi ferma, fissando i suoi occhi nei miei; potrebbero cedermi le ginocchia.
«Si vede che sei cresciuta, Nat,» sussurra.  Mi incanto a guardarlo… quanto può essere sexy. «Per questo dobbiamo parlare.»
Ohibò. 
«Non stiamo già parlando?»
«Intendo da soli.»
Doppio ohibò.
«Vedi qualcuno nei paraggi?»
Ride: ha una risata che condensa l’aria, mi stordisce, è incredibilmente solare. «Ma al piano di sotto ci sono i tuoi genitori e i miei. Sentirebbero le tue urla.»
Ohibò alla decima.
Spalanco la bocca per replicare quando «Natalie cara?» mi chiama ancora mia madre, ed io vorrei replicare, e non avere una faccia da cretina e trovare la mia sensualità repressa.
 
A cena Wanda, la nostra cameriera, serve Canapè Primavera, Dartois agli Champignons e pomodori da Insalata Ripieni al Roquefort. 
«E alla fine abbiamo vinto la causa, » dice papà.
«Be’, non mi sarei aspettato niente di diverso, » constata il signor Benkison, un Arthur con trent’anni in più, ma pur sempre affascinante. Accanto a lui sua moglie taglia il carpaccio con una lentezza esasperante, sembra che la carne desti in lei sospetti da detective. Da lei Arthur ha preso gli occhi, decisamente, anche se questa donna ha un’espressione arcigna non solo quando guarda la carne, ma anche quando guarda me. Sarà per il fatto che sono fatta di carne anch’io, credo.
«Abbiamo capito, Buford, ma non dovresti parlare di lavoro a cena,» la mamma rimbecca papà sorridendo.
«Signora Truman, siete sposata con l’avvocato più famoso di Liverpool, mi sorprenderei se parlasse di sport.» Arthur si inserisce nella conversazione, disinvolto e sereno. Io vorrei solo ficcargli la forchetta sulla mano – dalle dita lunghe e agili, come quelle di un musicista – perché è decisamente troppo a suo agio, mentre io vado in corto circuito con le sue parole nella testa.
«Oh, ti sbagli! Parli da economista, ragazzo!» Ride papà. «Io gioco a golf. »
«Ma non riesce mai a centrare la buca. » Mamma scuote la testa.
«Be’, pare che questo sia un gran problema per un uomo,» afferma il signor Benkison. «Chi dobbiamo ringraziare per la nascita di Natalie?»
La mamma fa la sua risata finta, secca e inceppata come un vecchio disco.
«Ringraziare qualcuno? » La signora Benkison fulmina suo marito. «Se potessero andrebbero da quel qualcuno e lo prenderebbero a sprangate. Natalie li delude un giorno sì e l’altro anche. »
Cado dall’universo di nuvole in cui mi sono rifugiata e mi ritrovo qui, sulla sedia rossa dell’elegante sala da pranzo di quella che è sempre stata la mia casa, con la signora Benkison che mi guarda con disgusto e la vergogna sul volto dei miei genitori.
«Mamma…» la chiama Arthur.
«Che… che cosa? » chiedo, alzando la voce.
«Scherzava.» Arthur mi sorride.
«Scherzare, io? » La signora Benkison posa il tovagliolo sulla tavola come se volesse uccidere un insetto. «Scappare di casa in piena notte dopo tutto quello che ha fatto... è una vergogna. »
Arthur china il capo, le guance gli diventano rosse e stringe le mani a pugno. «Non ne ho avuto il tempo, l’avrei fatto senza di voi. »
«Che cosa? » grido. «Mamma, gliel’hai detto?» mi volto verso mia madre.
«Natalie, tutto il vicinato ha sentito l’allarme, » risponde papà.
«Non significa niente! » grido e vorrei solo scappare per sempre, scavare una buca nel pavimento e andare sempre più a fondo e dare vita ad una civiltà sotterranea: difficile, ma molto più divertente che stare qui. «Poteva essere stato un errore! Perché non mi lasciate mai vivere la mia vita senza che tutti i vostri amici la conoscano e mi giudichino? Mi bastate già voi! »
«Natalie, non urlare,» mi dice mamma a denti stretti.
«Arthur, » la signora Benkison lo chiama. «Le hai parlato? Avevi detto che l’avresti fatto. »
Arthur mi lancia uno sguardo dolce ed io vorrei che contasse solo questo, il suo sguardo.
«No, » le dice. «Aspettavo che fossimo soli.»
Mi alzo dal mio posto senza dire niente, per poco vado a sbattere contro Wanda e il vassoio con il salmone, passo dalla cucina per uscire dalla porta sul retro, inciampo sulla scopa, la ciotola con le patatine salta all’aria e mi appoggio alla mensola per non scivolare.  Il contenitore delle mandorle tritate finisce sulla torta alla fragola. Oddio. Prendo la panna e la ricopro tutta, almeno questo è rilassante.
Sto per aprire la porta quando sento qualcosa stringermi il braccio: è Arthur.
«Natalie, mi dispiace,» mi dice, e so che è dispiaciuto davvero. Forse è l’unica persona che, insieme a Pam, è sempre stata sincera con me, senza chiedermi qualcosa che non potevo dare. «Non ne parliamo più, va bene?»
«Non ne parliamo più? Ah, sì? E che cosa mi volevi dire di carino? »
Arthur sbuffa. «Ecco perché volevo che fossimo soli. Quando ti arrabbi gridi sempre. »
Che vergogna. «Quindi… prima parlavi di queste urla? »
Ed io che avevo già immaginato l’orgasmo stratosferico che mi avrebbe fatto vibrare tutta… povera illusa.
«La rabbia ti tappa le orecchie. »
«Mi tappa cosa? »
Arthur si indica con le mani. «Le orecchie, trottolina. E dopo mi spiegherai perché hai cercato di fare questa follia.»
«Non è una follia!» gli urlo contro. «È la cosa più intelligente che mi sia venuta in mente da quando sono nata! A diciannove anni mi trattano come una bambina, li deludo anche respirando… perché non dovrei andarmene? »
«Sei solo arrabbiata. »
«Sono arrabbiata da anni. »
Profuma di pino e del miele caramellato che aromatizzava il tacchino, fra le sue braccia tutto diventa intenso, tutto ha un sapore esagerato e sconvolgente. È Arthur che mi bacia sulla fronte.
Rabbrividisco.
«Si risolverà tutto.»
Come può farmi così male senza rendersene conto?
«Non si risolverà mai,» gli dico, sicura. «Arthur, tu uscirai da questa casa, e ti lascerai alle spalle i problemi di Natalie e dei suoi genitori. Ma io resto qui e, se resto, qui niente cambierà mai.»
«Troveremo una soluzione, te lo prometto.» Mi sposta una ciocca di capelli sfuggita all’elastico dietro l’orecchio. «Wanda sta servendo il salmone e dopo c’è il dolce, andiamo?»
Non riesco proprio a godermi la cena, anche se Wanda cucina benissimo. Spero di rifarmi sul dolce… le mandorle renderanno tutto più originale. Wanda arriva trafelata.
«Mi spiace, signori,» dice. «Non sono riuscita a decorarla per bene.»
… Che peccato.
«Le fragole sono meravigliose,» dice Arthur, addentando un pezzo di torta.
Sorrido fra me.
«C’è qualcosa di croccante, » dice il signor Benkison.
«Noci?» chiede la mamma.
Mi volto verso Arthur e mi cade la forchetta di mano. Con il volto rosso si porta una mano alle labbra, ora gonfie e arrossate, con gli occhi verdi pieni di lacrime. «Mandorle…» dice tossendo.
«Oh no!» esclama la signor Benkison. «Arthur è allergico!»
Arthur scivola sul pavimento ed io corro verso di lui, gli stringo la mano mentre con l’altra mi porto il telefono all’orecchio per chiamare l’ambulanza. Sono. Un. Completo. Disastro.
«Oh Signore Gesù Cristo Santa Maria Benedetta!» grida mamma.
Attento alla vita del ragazzo che amo da sempre!
Chiudo la telefonata.
«Stanno arrivando,» gli dico, cercando di sorridere. «Mio Dio, mi dispiace…»
«Non è colpa fua… froffolina.»
Quanto mi prenderei a randellate sulle gengive. 
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Ciao a tutti, lettori! :D Per chi non mi conoscesse... sono Ania, scribacchina a tempo perso e guadagnato :). Seguo sempre l'ispirazione, ed è per questo che mi sono trovata a scrivere l'inizio di questa storia. Una ragazza combina guai, un amore impossibile di cui conoscete ancora troppo poco e una vita che vorrebbe cambiare.
Spero tanto di avervi strappato un sorriso.
Ringrazio tanto cenerella per aver betato questa mia cosina :3 Ed Emi, per la sua benzina sul fuoco :*
   
 
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