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Autore: AxXx    20/05/2014    2 recensioni
Sono passati molti mesi dalla guerra contro Gea. I sette eroi della profezia sono tornati tutti a casa e i due Campi sono riuniti sotto l'insegna della pace.
Tutto sembra tornato alla normalità, ma un fantasma del passato tornerà a spaventare i nostri eroi, rischiando di sconvolgere la pace appena ritrovata. L'ombra del più antico degli Dei si staglia minacciosa sui campi, scatenando una nuova guerra.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bianca di Angelo, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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??? - COME SVEGLIARSI MALE

 

Storia ispirata in parte, e con alcune parti simili ad una storia di BSHallow. Per evitare denuncia, vi dico subito che lei mi ha dato il suo permesso. La storia a cui mi sono ispirato è questa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2524266

 

 

 

 

Cosa sapevo di me?

Nulla.

Nemmeno come mi chiamavo, mi ero risvegliata in un grande parco pieno di gente, alberi e animali e che ero distesa su una panchina. Mi alzai sentendo la testa girare. Era effettivamente, una zona alberata, ma intorno ad essa si vedevano dei palazzi e delle costruzioni in cemento. Ero a New York.
Non so da dove mi fosse venuto il nome, ma sentivo di essere in una città con quel nome. Il parco, quindi, doveva essere Central Park. Intorno a me la gente parlava, bambini giocavano e alcune persone andavano in giro con i propri animali da compagnia. Le voci arrivavano ovattate alle mie orecchie, come se avessi del cotone nel padiglione auricolare.

Scossi la testa, cercando di schiarirmi le idee, magari iniziare a sentire meglio.
L’unico risultato fu che la testa iniziò a girarmi.
Emisi un lamento e mi tenni la fronte. Cercai di mettermi in piedi ma barcollai.

“Dannazione, perché sto così male?” Mi domandai, confusa. “E perché non ricordo nulla?”

“Signorina? Si sente bene?”
Davanti a me era apparso un uomo sulla trentina. Indossava quella che mi pareva una sorta di uniforme blu con una stella a sei punte appuntata al petto. Sulla testa aveva uno strano copricapo con visiera.

“Scusi?” Chiesi, strizzando gli occhi, cercando di schiarirmi la vista annebbiata.

“Le ho chiesto se si sente bene… e direi di no, a giudicare dalle sue condizioni.” Puntualizzò, sorreggendomi, mentre barcollavo di nuovo a causa dell’ennesimo giramento di testa.

“In effetti… sono un po’ stordita. Solo… devo rinfrescarmi un attimo.” Risposi, poco convinta. Non avevo nemmeno idea da dove mi venissero quelle parole.

L’uomo sembrava parecchio dubbioso e mi seguì mentre mi dirigevo, o meglio, arrancavo, fino alla fontana più vicina. Appena aprii l’acqua e me la passai sul viso, mi sentii subito meglio, anche se non molto. Almeno mi si erano schiarite le idee, anche se continuavo ad avere dei problemi tipo le orecchie tappate e il giramento di testa.

“Signorina, cos’ha legato alla cintura?” Mi chiese, nuovamente, il tipo che mi aveva soccorso, accigliandosi.

Mi irrigidii, mentre, scrutavo il mio vestiario. Indossavo una specie di giacca, abbastanza leggera, color argento con un cappuccio con sotto una maglietta nero. Avevo anche un paio di pantaloni dello stesso colore tenuti stretti in vita da una cintura a cui era legato un pugnale.
Rabbrividii, mentre il mio soccorritore si faceva più scuro in volto. Si voltò e pescò dalla sua cintura una scatoletta nera. Una radio.

Mi resi conto che non ero in una bella situazione. Quella che portavo era senza dubbio un’arma e questo non era un punto a mio favore. Mi chiesi se avesse usato la pistola che aveva con se, o se mi avesse arrestata. Poteva?
Non lo pensavo, ma avrebbe potuto trattenermi.

Approfittai del fatto che fosse voltato per dileguarmi. Nonostante mi girasse la testa, le mie gambe avevano ricominciato a funzionare. Non avevo una meta precisa, ma intuii che, forse, non era bene aspettare che il tipo smettesse di parlare. Corsi lungo il viale alberato gettandomi qualche occhiata alle spalle per assicurarmi di non essere seguita. Urtai un paio di persone a cui borbottai delle scuse affrettate, finché non raggiunsi l’uscita del parco.

Cavolo, se era stata una mossa sbagliata.
Il traffico mi faceva fischiare le orecchie non ancora rimesse in sesto. Mi sembrava di avere uno spillo ficcato al lato della testa. Camminai, cercando di estraniare i rumori delle auto, il rombo del motore, la gente che urlava. Avevo il presentimento che rimanere sola, in un unico punto, non fosse una buona idea.

E così camminai.

Non sapevo dove stessi andando, ma, ogni tanto, sentivo come una strana vocina guidarmi lungo i marciapiedi e le strade. Evitavo accuratamente le stradine secondarie che sembravano trappole a misura d’uomo con dei predatori in agguato negli angoli bui. Dovevano essere passate ore, quando, alla fine, mi fermai. Il sole, ormai, batteva forte sulla mia testa, inondandomi di calore fastidioso. Sudavo e mi sentivo sporca e appiccicata ai miei stessi abiti. Cercai qualcosa nella borsa a tracollo che mi ero accorta di avere. Magari una bottiglietta d’acqua, ma trovai solo una ventina di dollari e delle strane monete d’argento. Non avevo praticamente nulla ed ero seduta su una panchina di quello che pareva un cortile davanti ad un grosso edificio in mattoni rossi alto tre piani, più o meno.

Quella sembrava proprio una scuola.

Avevo la sensazione di aver già frequentato un luogo simile, e senza troppo successo. Forse non mi piaceva nemmeno.
Non avevo idea del perché la vocina che sentivo nella mia testa mi avesse portato lì, ma erano diversi minuti che non la sentivo sussurrare direzioni nella mia mente, il che mi fece capire che, ovunque mi volesse far arrivare, ero arrivata.

“Avanti, voce. Dimmi cosa vuoi che faccia.” Pensai, quasi mi aspettasse che quella mi rispondesse.

Nulla.

Sospirai ed iniziai a guardarmi intorno, cercando di darmi dei punti di riferimento, dato che, finalmente, la mia vista si era schiarita del tutto e il mio udito si era ripreso completamente. La mia attenzione fu attirata da una specie di locale.

Un bar.

Mi avvicinai cautamente, anche perché avevo sempre strani timori e non riuscivo a rilassarmi del tutto. Credo che sia normale, quando ti risvegli in una città senza ricordarti assolutamente nulla. Eppure, quando l’odore di dolci da poco sfornati e cibo mi arrivò alle narici non potei fare a meno di essere attratta.

Il mio stomaco emise un brontolio.
Cavolo, ecco perché mi sentivo così debole: avevo fame. Dal vetro notavo che, su un bancone erano sistemate delle ciambelle, crostate, cornetti e molta altra roba da mangiare dall’aspetto delizioso.

Il mio stomaco, intanto, continuava a urlare per potersi riempire ed io l’avrei accontentato volentieri, solo che avevo paura di ritrovarmi senza soldi, in poco tempo. Cavolo, non sapevo dove andare. Non sapevo nemmeno se avevo una casa o dei genitori.
Così sfidai la mia resistenza, sperando che quella vocina che sentivo mi portasse in un posto familiare.
Inutilmente.

Passò circa un’altra ora, prima che, con un sospiro, abbandonassi la mia panchina, andando al bar di prima. Sbuffai, osservando i miei miseri venti dollari e mi avvicinai al bancone, assicurandomi che il pugnale fosse ben nascosto sotto la giacca e che non fossi io stessa, troppo sospetta. Insomma, cercai di assumere la mia faccia più angelica.
Il locale era vuoto. La maggior parte dei clienti dovevano essere i ragazzi che si fermavano lì a fare colazione o dopo la scuola.

“Posso fare qualcosa per lei?” Mi chiese il proprietario al bancone, alzando un attimo lo sguardo. Stava pulendo dei bicchieri.

“Sì, ecco…” Mi voltai verso il bancone ed osservai i dolci. “Prendo un cornetto.” Dissi, indicando quello che avevo scelto dall’altra parte del vetro.
L’uomo mi fissò un attimo, poi annuì e sorrise.

“Calo di zuccheri, eh? Bisognerebbe fare colazione la mattina.” Borbottò, mentre mi serviva.

Decisi di non protestare. Mi limitai ad annuire e pagare il conto sorridendo ingenuamente. Uscii rapidamente, sentendomi immediatamente più leggera. Gli spazi chiusi non mi dispiacevano, ma, con quella dannata amnesia, non mi sentivo sicura. Decisi di non pensarci e, dopo averlo osservato un attimo, addentai il cornetto.

Cavolo, se era buono.

Non avevo idea di quale roba chimica avessero usato per renderla così o se era abilità di chi l’aveva preparata, ma la pasta esterna si scioglieva praticamente, mentre era in bocca, mentre il ripieno dolciastro, che sapeva di albicocca, scivolava nel palato dandomi una sensazione davvero fantastica.  Lo mangiai alla velocità della luce, felice di sentire lo stomaco riempirsi e le energie tornarmi.   

Ero così felice di sentirmi di nuovo in forze che, per poco, non sobbalzai, quando sentii la campanella della scuola vicina suonare. Dal portone principale stavano uscendo un numero esorbitante di ragazzi. Forse la voce mi aveva portata in quel posto perché c’era un mio amico. Forse c’era qualcuno che mi conosceva e, vedendolo, mi sarebbe tornato in mente qualcosa. Così iniziai a far correre lo sguardo da una parte all’altra della folla di ragazzi che uscivano alla rinfusa, cercando qualsiasi cosa mi potesse aiutare. Fissai per alcuni istanti un gruppo di ragazze che ridacchiavano all’uscita, mentre un loro compagno le guardava, facendo strani gesti ad una di loro. Poi guardai un ragazzo biondo che teneva le mani nelle tasche dei jeans decisamente TROPPO a vita bassa.

Nulla, nessuno di loro mi faceva venire in mente un luogo, un viso o una persona a me familiare. Stavo per rinunciare quando il mio sguardo cadde su uno degli ultimi ragazzi.

Doveva avere sui diciassette anni. Aveva un aria ribelle, gli occhi verde-azzurro, come l’acqua di un mare calmo e tranquillo. I capelli mossi ricordavano le onde dell’oceano. Il volto era dolce e sorridente, come se dovesse combinare guai per forza ma senza cattiveria, e, nonostante fosse coperto da maglietta e pantaloni, potei intuire che avesse un fisico molto ben allenato.

Ecco: quello era un viso familiare.

Lo osservai con maggiore attenzione e notai che, nonostante stesse sorridendo, aveva lo sguardo guardingo, come se si aspettasse un attacco. Teneva una mano nella tasca destra dei pantaloni ed era seguito da un gigantesco ragazzone stretto in un impermeabile troppo pesante, anche per la mattinata non troppo calda. Sembrava volersi nascondere da sguardi indiscreti.
Troppo grosso per essere una persona normale.

Di solito, una persona normale, non seguirebbe i primi due tipi che gli si parano davanti, seguendoli come se fossero una lucina di segnalazione, ma, ehi! Mi ero appena svegliata senza ricordare nulla! Qualsiasi cosa fosse familiare, mi avrebbe potuto aiutare. Così mi misi alle costole dei due tipi, cercando di evitare di farmi scoprire.
Con mio disappunto si diressero in un vicoletto ai lati della palestra (O quella che, a vedere, era una palestra)  e la cosa mi insospettì. Nessuno sembrava averci seguiti, quindi, a parte me e quei due, quella non era una strada molto frequentata. Automaticamente, intuii che, se qualcuno voleva tornare a casa non passava MAI da lì. Mentre li seguivo osservai diversi murales e altri graffiti disegnati ovunque. Era un posto squallido e disastrato. Bastava vedere quanto fossero sporchi e scoloriti i colori stessi che, spesso, si sovrapponevano.

Mi trattenni dal commentare certe immagini fin troppo orrende. Avevo altro da fare.

Ad un certo punto, però, voltato l’angolo, sentii una specie di tonfo e sobbalzai. Un suono seguì quello che avevo sentito e mi parve proprio il muggito di un toro.  

“Ehi, testa di manzo! Sono un paio di anni che non ci si vede!” Testa di manzo? Che razza di insulto è? Quello doveva essere il ragazzo che avevo notato per prima.

Voltai l’angolo e mi ritrovai davanti ad una scena che mi fece accapponare la pelle. Al posto dell’enorme ragazzo c’era una creatura alta tre metri, con una testa sproporzionatamente grande rispetto al resto del corpo, dai lati della quale si estendevano due grandi corna. Il corpo era ricoperto di peli rossicci e le enormi braccia sembravano dei tronchi.
Come se la scena non fosse, già di per sé, abbastanza scioccante, il ragazzo dagli occhi verdi aveva abbandonato il suo zaino per terra e aveva estratto una penna dalla tasca che, un secondo dopo, si era allungata diventando una spada lunga novanta centimetri che sembrava simile al mio pugnale.

Mi accucciai dietro il muro spaventata, mentre sentivo muggiti e armi che cozzavano contro le corna della creatura. Cercai di riprendermi e mi detti un pizzicotto per sicurezza. No, non stavo sognando. Avevo davvero visto un uomo trasformarsi in un gigante cornuto ed un ragazzo tirare fuori una spada dalla tasca dei pantaloni.  

Sbirciai di nuovo dietro l’angolo. Erano ancora lì ad affrontarsi: il ragazzo era rapido e sembrava saperla usare bene quella spada. Il problema era che anche il mostro sembrava conoscere piuttosto bene le mosse del suo avversario e, nonostante le proporzioni, riusciva ad evitare la maggior parte dei fendenti.
Fui tentata di intervenire. Anzi: dovevo farlo. Il problema era che il mio cervello non sembrava funzionare correttamente. Una parte di me mi diceva di correre via alla velocità della luce a chiedere aiuto.
Dopotutto sembrava anche la scelta migliore: cosa potevo fare, io, povera ragazzetta smemorata, contro un bestione del genere?
E poi cos’avevo, io, che poteva essermi utile, contro quel bestione? Una borsetta, Una decina di monete d’argento, la carta del cornetto, alcuni dollari, uno spazzolino da denti, un berretto verde e un pugnale di fattura sconosciuta.

Sì, direi che erano tutte armi letali contro un bestione cornuto di tre metri.

Mi morsi la lingua per non gridare per l’esasperazione. Tornare dagli uomini in blu? Non se ne parlava, mi mettevano a disagio. Urlare come una pazza? Non sono mica scema. Mi avrebbe sentito anche quel mostro e non volevo certo che se la prendesse con me.
Mi rimaneva un'unica opzione che, per la miseria, era quella che odiavo di più: aiutare il ragazzo dai capelli neri. Ma come? Cosa dovevo fare? Se avessi provato a distrarre il mostro? E con cosa? Non avevo idea di che fare. Poi mi ricordai del pugnale che portavo al fianco. Non ero sicura di saperlo usare, ma potevo farlo. Avrei potuto attaccarlo alle spalle. Ma se mi avesse sentita?

Non ebbi altro tempo per pensarci.

Il ragazzo aveva sbagliato movimento e il mostro taurino ne aveva approfittato per colpirlo con un potente pugno al petto che l’aveva fatto volare per una decina di metri facendogli perdere la spada, mandandolo a sbattere contro un muro di mattoni.
Dovevo agire in fretta. Quel tipo era la mia unica speranza di scoprire chi ero.
Mi alzai, stringendo convulsamente il pugnale, mentre uscivo dal mio nascondiglio, avvicinandomi al mostro che mi dava le spalle, per avvicinarsi alla sua vittima.

“Ehi, amico! Calma… ok? Siamo partiti con la zampa sbagliata, forse.” A quanto pare il ragazzo mi aveva vista e stava cercando di guadagnare tempo,. O forse stava solo cercando di riprendere la sua spada. In ogni caso stava distraendo il mostro.

Mi avvicinai, rendendomi conto di stare sudando come una fontana. La mia mano era scivolosa e dovetti muovere le dita per riassicurarle all’elsa del pugnale. Il mostro era solo ad un metro ed io ero praticamente in apnea. Non volevo che mi sentisse o sarei stata spacciata. Mosse come quelle che aveva fatto il tipo dagli occhi verdi, me le sognavo. Dovevo colpire velocemente.

Stavo per colpire quando il mostro alzò il muso, annusando l’aria.

Sgranai gli occhi ed iniziai a sudare ancora di più, se possibile. Aveva fiutato il mio odore.

Radunai tutto il mio coraggio e saltai. Non pensavo di poter essere agile (O forse era vero il detto ‘La Paura mette le ali ai piedi’), ma gli atterrai sulle spalle e, con tutta la mia forza, lo colpii alla gola.
Pensai che avrei visto il sangue uscire. Invece, sotto di me, il mostro iniziò a disintegrarsi con un muggito dolorante. In poco tempo era sparito ed io precipitai in mezzo alle ceneri che lo componevano.

“Ah.” Mi lamentai, piano, mentre mi rialzavo. Dovevo aver fatto uno sforzo un po’ eccessivo per il mio corpo, o forse avevo sbattuto, dato che le ginocchia mi mandarono delle fitte dolorose.

“Ehi, amica, grazie.” Mi chiamò il ragazzo che avevo salvato. Alzai lo sguardo e lo vidi che si stava spolverando i resti del mostro di dosso.

“Di nulla.” Risposi in automatico.

Fu allora che lui si bloccò di colpo come se la mia voce gli avesse fatto venire un attacco di cuore. Quando alzò gli occhi mi sentii strana, come se fossi fuoriposto, con lui. Vi lessi paura, felicità, sconcerto, sorpresa e molto stupore. Si avvicinò a me di qualche passo, come se temesse di vedermi sparire.
Mi toccò la fronte, facendomi scorrere una specie di brivido lungo tutta la spina dorsale.

“B-Bianca?” Chiese, con la voce carica di incredulità.

Per qualche ragione, quel nome mi suonò familiare.

E capii che era il mio.    

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo dell’autore]

Salve! Mentre la cara Water Wolf non potrà essere con noi, per un po’ di tempo, io mi spingerò a fare questa possibile storia. Dopo un tentativo, a mio parere, fallito, ho deciso di tentare questa storia che segue una possibile avventura seguito dell’originaria (sperando che il buon Rick, non mi secchi nessun personaggi dei sette. D: )
Ad ogni modo, spero che la storia vi sia piaciuta, con questa apparizione molto a sorpresa dei nostro semidio preferito. ;)
Quindi, vi chiedo di recensire.
AxXx

 

 

  
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