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Autore: katvil    20/05/2014    8 recensioni
Suo padre non era un tipo di grandi parole, ma si ricorda benissimo una frase che gli ripeteva sempre.
“Ricordati Tommaso: devi sempre cercare il tuo posto felice.”
Il suo posto felice.
Ha passato la vita a chiedersi quale fosse il suo posto felice e si è dato molteplici risposte.
Riflessioni di un musicista alla vigilia di un concerto che potrà cambiare la sua vita.
Partecipante al contest ‘Lo specchio dell’anima’ indetto da peetassmile sul forum
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Lo sò che il mio amore è una patologia'
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Eccomi qua! Sono tornata con questa bella OS. E' un MIssing Moment legato a "Lo so che il mio amore è una patologia": siccome qualcuno mi aveva detto che sarebbe stato carino vedere l'Arezzo Wave anche dal punto di vista degli altri ranocchietti e non solo da quello di Nik, ecco qua i tormenti del nostro amato Tommy. Questa OS si colloca a cavallo tra gli ultimi due capitoli della long: entriamo nella testa di Tommaso la sera prima dell'Arezzo Wave e lo accompagnamo fin sopra il palco.
Naturalmente la storia può essere letta anche da chi non conosce la long che si capisce lo stesso :)

Buona lettura!

 

“Devi cercare il tuo posto felice.”
Suo padre non era un tipo di grandi parole, non era uno che prendeva da parte i figli e faceva loro discorsi su come va il mondo. Era un meccanico che fumava due pacchetti di sigarette al giorno stando chiuso in officina. Silenzioso. Non ricorda di averlo mai visto dare un bacio a sua mamma, non ricorda di aver mai sentito il calore del suo abbraccio, non ricorda una sola cosa che lui gli abbia insegnato, a parte attaccarsi alla bottiglia e sfogarsi sul pacchetto di sigarette. Non era uno di quegli alcolizzati che se ne fregano della famiglia o mettono le mani addosso a moglie e figli, semplicemente aveva un animo irrequieto, un po’ come il suo, e lo stordirsi con l’alcol serviva per far tacere certi demoni, un po’ come fa lui. Con suo padre doveva accontentarsi, non pretendere troppo affetto. Per un po’ l’ha cercato quell’affetto, ha preteso che venisse elargito nel modo più tradizionale, nel modo che normalmente usa un padre, ma poi ha capito che l’avrebbe trovato in altri gesti: nel suo modo di guardarlo, in quelle rare pacche sulle spalle che gli donava, nel sorriso che aveva quando gli riusciva a comprare un paio di scarpe nuove.
Il momento della giornata della sua infanzia che gli è rimasto più impresso è la sera, quando suo padre rientrava a casa e lo vedeva intento a fare i compiti piuttosto che a combinare chissà quale disastro: lo guardava e gli chiedeva sempre la stessa cosa.
“Sei stato bravo oggi Tommaso?”
“Si papà, sono stato bravissimo.”
“E sei felice?”
Lui lo guardava dubbioso perché in realtà non sapeva rispondere alla sua domanda: non ha mai saputo rispondere a quella domanda perché forse non è mai stato davvero felice nella sua vita. Ha sempre avuto un senso di inquietudine che gli attanagliava l’anima così, senza un motivo apparente e ce l’ha tutt’ora.
Suo padre non era un tipo di grandi parole, ma si ricorda benissimo una frase che gli ripeteva sempre.
“Ricordati Tommaso: devi sempre cercare il tuo posto felice.”
Il suo posto felice.
Ha passato la vita a chiedersi quale fosse il suo posto felice e si è dato molteplici risposte.
Quando era piccolo il suo posto felice era nel lettone, quando s’infilava tra mamma e papà per farsi rassicurare. Forse quello era l’unico momento in cui sentiva davvero quel calore che cercava.
Poi c’era suo nonno, che arrivava con la chitarra scordata, lo prendeva sulle ginocchia e guidava la sua mano sulle corde cercando d’insegnargli come suonare. In quei momenti spariva tutto il mondo: c’erano solo lui, il nonno e quello strumento magico. Quello era il suo posto felice.
Sono arrivati gli anni del liceo, quelli delle prime canne, delle prime sbandate alcoliche alla ricerca di qualcosa che potesse almeno per un po’ far tacere la sua anima e illuderlo di aver trovato il suo posto felice. Certo, per qualche ora funzionava. Eccome se funzionava! Ma era una felicità effimera, che come arrivava se ne andava via. Passava veloce come una folata di vento che ti scompiglia i capelli e lo lasciava ogni volta a terra sconfitto perché non aveva trovato il suo posto felice.
Il liceo è coinciso anche con il periodo in cui ha iniziato a suonare nelle prime band, il periodo in cui ha iniziato a capire che forse il suo posto felice era su un palco, con un microfono in mano perché quello era l’unico modo che aveva per far tacere davvero l’inquietudine che gli urlava nelle vene.
Crescendo, però, ha incominciato a credere che il suo posto felice fosse tra le braccia di una qualche donna così ha iniziato a cercarlo cambiando partner di continuo perché nessuna di loro era il suo posto felice finche non ha trovato Silvia: da qualche anno condividono i passi lungo i quali si muovono le loro vite e non sarà esattamente quello che intende come il suo posto felice, ma se non altro con lei sente di poter avere qualcuno su cui appoggiarsi quando la vita lo mette alla prova. Lo supporta, lo sopporta e sopporta anche tutti quei lati di lui che fanno si che non riesca a trovare da nessuna parte il suo posto felice.
Un altro che lo supporta e sopporta sempre è Max: con lui hanno deciso d’intraprendere un’attività e aprire un bar, il Bar della Piazza. Per dieci anni è stato il suo posto felice, o almeno s’illudeva fosse tale. In realtà non ha mai pensato al Bar della Piazza come al suo posto felice, ma piuttosto come ad un surrogato di esso.
Il suo posto felice era qui, in questo garage dove si è sempre venuto a rifugiare quando le sue inquietudini prendevano il sopravvento. Un foglio, una penna e una chitarra: non gli è mai servito altro.
Per un po’ gli è bastato tutto questo: aveva il suo bar e il suo rifugio dove scappare quando la realtà gli stava troppo alle costole. Però sentiva sempre quell’inquietudine dentro, quella sensazione di incompiuto che gli faceva capire che non aveva ancora trovato il suo posto felice.

Due anni fa era ad un festival musicale per seguire un paio di amici e ha conosciuto Giovanni, un ragazzo di trent’anni che si aggirava tra le fila del pubblico del concerto a caccia di non si sa bene cosa, probabilmente qualche ragazza, ma ha avuto la sfortuna di imbattersi in Tommy. Con lui è nata l’idea folle di formare una band: Gio suona la chitarra, Tommy canta. Gli serviva un batterista e così hanno arruolato il figlio del vicino di casa di Tommaso: Giacomo, Jack per gli amici, un venticinquenne biondo, con gli occhi allucinati e i capelli sempre sparati in aria che sembra essere sceso direttamente da Marte.
La band era fatta, mancava solo un nome. Una sera, mentre uscivano dal garage, hanno incrociato un rospo che saltellava allegramente davanti al portone per poi finire con l’infilarsi direttamente dentro e andare proprio sulla batteria di Jack.
“Jumpin’ Frog.”
Hanno sentito la voce di Jack che in tutta la sera non aveva spiccicato una parola. Il batterista ha guardato Tommy e Gio poi ha sorriso con un ghigno quasi mefistofelico.
“Jumpin’ Frog, potremmo chiamare così la band.”
Tommaso e il chitarrista si sono guardati: il nome era abbastanza assurdo, tanto da potergli anche piacere.
E così sono nati i Jumpin’ Frog, la sua band, il suo posto felice, l’unica cosa che lo fa stare davvero bene, l’unica cosa capace di far tacere i suoi demoni. Dopo un annetto il trio si è trasformato in un quintetto con l’aggiunta di un bassista (Nicola, un biondino un po’ sfasato) e di un secondo chitarrista (Francesco, un trentenne casinista e matto come un cavallo).
Con loro, nel garage, su un palco, con la loro musica, Tommy non dice di aver trovato il suo posto felice, ma sicuramente qualcosa che ci va molto vicino.


Si siede in un angolo del garage, tra gli amplificatori spenti che aspettano di essere caricati sul furgone: tra poche ore devono affrontare un viaggio importante.
Ancora non ci crede che sono arrivati a questo punto. Sono quarant’anni che ci spera. Quaranta fottutissimi anni durante i quali ha sempre saputo dove fosse il suo posto felice, quaranta fottutissimi anni durante i quali ha sempre lottato per trovare il suo posto felice, anche inconsapevolmente.
Tra poche ore saranno su un palco, un palco vero, quello dell’Arezzo Wave. Se gliel’avessero detto qualche mese fa non ci avrebbe creduto: sembrava un’impresa impossibile per i Jumpin’ Frog finire su un palco così importante. Invece eccoli lì, pronti per prendere il volo. Quando tre mesi fa ha lasciato il bar per seguire il suo sogno, per vivere solo della sua musica, Tommy non si sarebbe mai aspettato questa svolta così in fretta. Certo, è consapevole che non è detto che da domani i Jumpin’ Frog saranno visti come i nuovi Rolling’ Stones, ma almeno avranno la possibilità di provarci.
Lo sguardo di Tommaso si perde verso un punto non ben definito del garage: se ne sta seduto a terra, le ginocchia strette al petto e le braccia che avvolgono le gambe. La testa è indietro, appoggiata al muro, proprio sotto la crepa che lui stesso ha procurato qualche mese prima prendendo a pugni il cartongesso bianco della parete durante uno dei suoi scatti d’ira. I capelli biondi, spettinati come al solito, gli ricadono a coprire gli occhi azzurri. Nella mano destra stringe una bottiglia di Jack Daniel’s: aveva promesso che dopo aver lasciato il bar avrebbe smesso di bere e lo farà, forse, ma non stanotte. Stanotte troppi demoni stanno giocando con la sua anima, troppe ansie si rincorrono dentro di lui e deve farli tacere: chissà se i Jumpin’ Frog saranno davvero all’altezza, se sapranno meritarsi di stare lì, nel loro posto felice.
Avvicina la bottiglia alle labbra, chiude gli occhi e lascia che il liquido scorra lento giù per la gola poi allunga la mano verso il pacchetto di sigarette che giace sul pavimento alla sua destra, ne estrae una, l’accende e inizia ad aspirare profondamente. Che ore sono? Le cinque. Tra un paio d’ore dove essere da Gio per recuperare lui, gli scatoloni con i cd, il merchandising e partire per Arezzo. Forse dovrebbe tentare di dormire almeno un po’, ma l’ansia non gli permette manco di chiudere gli occhi.
Deve darsi una calmata, o almeno provarci. Ma come? Come può pensare di riuscire a stare calmo a poche ore da quella che potrebbe essere l’ultima occasione per lui di trovare davvero il suo posto felice? In qualunque modo andrà, sa che una volta salito su quel palco quando scenderà sarà sicuramente un uomo diverso. Sa che stare lì non sarà una cosa facile: un conto è suonare in un qualche pub o ad una qualche festa di paese davanti ai soliti amici che ormai seguono i Jumpin’ Frog da anni, ma suonare ad un festival, davanti a gente che per lo più non sa neanche chi sei è tutt’altra cosa. E’ lì che devi tirare fuori le palle, far vedere quanto vali, far capire a tutti che tu non sei lì per caso, ma perché ti meriti davvero il tuo posto felice. Non può fare a meno di chiedersi se saranno in grado di fare tutto questo.
Poi si alza di scatto e tira un calcio al muro: al Diavolo tutte le paranoie! Sul viso di Tommy si disegna il suo solito ghigno sicuro e sarcastico: sono mesi che si preparano per quel palco e non falliranno. Sarà il concerto migliore della loro vita e tutti finalmente sapranno chi sono i Jumpin’ Frog.
Non può che andare così.
Deve andare così.
Prende un altro sorso del suo amico JD poi finisce la sigaretta e getta a terra il mozzicone. L’alcol inizia a fare effetto così si dirige barcollante verso il divano che ha sistemato in un angolo del garage: sapeva che prima o poi sarebbe tornato utile.
Si sdraia, lo sguardo fisso sul soffitto ingiallito dal fumo. Le palpebre iniziano a farsi pesanti e a poco a poco gli occhi si chiudono cedendo alle lusinghe di Morfeo.
Sul volto di Tommaso rimane disegnato un sorriso: adesso è pronto per trovare davvero il suo posto felice.


La luce tenue che filtra dalla finestra colpendolo dritto in faccia lo sveglia. Si stropiccia gli occhi, ancora incerto su dove si trova. L’unica cosa di cui è sicuro è che la sera prima ha esagerato con il suo amico JD visto il cerchio alla testa che lo attanaglia. Sente le ossa della schiena scricchiolare mentre cerca di sedersi e mettere a fuoco l’ambiente che lo circonda. Si gratta la testa poi si passa una mano sugli occhi sfregandoli per poi proseguire giù, verso il collo e sgranchirselo sbadigliando. Il cervello inizia a poco a poco ad attivarsi mentre si rende conto di aver dormito sul divano del garage. Guarda il cellulare: ci sono sette chiamate perse. Sei sono di Silvia: deve richiamarla subito per rassicurarla sul fatto che sia ancora vivo. Una invece è di Giovanni, arrivata pochi minuti prima.
Giovanni… CAZZO!
Con uno scatto improvviso si alza dal divano e si precipita fuori dal garage, verso la macchina: oggi è il giorno dell’Arezzo Wave! Mette in moto mentre cerca di chiamare Silvia che non risponde: la chiamerà più tardi, adesso deve correre a prendere Giovanni per andare ad Arezzo.
Sente il telefono squillare.
“Ciao Silvia. Sono vivo e sto andando ad Arezzo, ci sentiamo più tardi.”
Riattacca senza neanche darle il tempo di rispondere. Sente l’ansia crescergli dentro: le dita iniziano a picchiettare sul volante incontrollate. Ha bisogno di una sigaretta: cerca il pacchetto sparso in giro nella macchina, ne estrae una e l’aspira gettando il fumo fuori dal finestrino.
Vede la strada correre veloce davanti a lui e i pensieri vagano: si vede sul palco dell’Arezzo Wave, con tutta la folla davanti e per un attimo sente il panico crescergli dentro. Non è ancora del tutto convinto che riusciranno a stare su quel palco, a conquistarsi il loro posto felice, ma cerca di respirare profondamente e scacciare ogni pensiero.
Finalmente arriva a casa di Giovanni: il ragazzo lo sta aspettando con i cartoni dei cd, delle magliette e dei gadgets vari. Scende dall’auto, apre il baule e iniziano a caricare roba.
“Sara non viene con noi?”
“No, lei arriva più tardi che deve passare a prendere Laura.”
“Laura? E’ proprio necessario che venga anche lei?”
“Se ti preoccupi per Nik direi che puoi stare tranquillo: lo sai che quando sale sul palco sparisce tutto il resto.”
“Speriamo altrimenti lo faccio rinsavire io a microfonate sulla capoccia.”
I due si guardano e scoppiano a ridere mentre sistemano l’ultimo cartone.
“Abbiamo preso tutto? La chitarra l’hai caricata in macchina?”
“Quella è stata la prima cosa a finire nel baule! Direi che siamo pronti a partire.”
“E allora andiamo!”
Giovanni saluta Sara poi salgono in macchina e partono: entrambi sono tesi e nell’abitacolo cala il silenzio. Gio guarda fuori dal finestrino la strada, gli alberi che corrono veloci poi fa un sospiro e si gira verso l’uomo alla guida.
“Tommy, sei sicuro che saremo all’altezza dell’Arezzo Wave? Lo so che sono mesi che prepariamo questo concerto, che ormai conosciamo talmente bene i pezzi nuovi che quasi si suonano da soli, ma sono anche consapevole del fatto che non abbiamo mai suonato su un palco del genere.”
Tommaso finge sicurezza per cercare di tranquillizzare l’amico e se stesso.
“Beh… da qualche parte dovremo pur cominciare: non vorrai mica suonare per tutta la vita davanti ai soliti sfigati del pub?”
“No di certo, ma sai com’è… sarà una bella prova.”
Tommy non risponde: lo sguardo si perde oltre il vetro della macchina, lungo la strada, mentre le dita ricominciano a picchiettare nervosamente sul volante.
Sarà una bella prova.
Dentro di lui si fa sempre più spazio la consapevolezza che da quel palco i Jumpin’ Frog faranno davvero un bel salto e il risultato non potrà che essere definitivo: spiccheranno il volo oppure si schianteranno a terra. Scuote la testa per scacciare questa seconda opzione poi si volta verso il suo amico con un sorriso sghembo dei suoi.
“Ce la faremo Gio, non possiamo fallire. Siamo i Jumpin’ Frog cazzo!”
I due si guardano e scoppiano a ridere mentre la strada corre veloce sotto le ruote avvicinandoli sempre più a quel palco tanto desiderato.


Tommy si avvicina alla tenda nera che li separa dal palco e da un’occhiata fuori: c’è una folla immensa là sotto!
Di fianco a lui c'è Nik: è agitatissimo e continua a guardare fuori.
“Tommy sei sicuro che riusciremo a suonare? Ho una paura fottuta!”
“Calmati Nik. Prendi un bel respiro e smetti di guardare il pubblico. Certo che ce la faremo! Chi siamo noi?”
“I Jumpin’ Frog…”
“Come? Non ho sentito bene. Chi siamo noi?”
“I JUMPIN’ FROOOOG!”
“Ecco, i JUMPIN’ FROG! Allora metti via quell’espressione da pesce lesso, sfodera il tuo sorriso migliore e andiamo che questa volta SPACCHIAMO TUTTO!”
Non è molto sicuro di quello che ha appena detto, ma finge per cercare di calmare almeno un po’ il bassista. Vede Gio nascondersi dietro i suoi inseparabili occhiali da sole, Jack tamburellare con le bacchette sul bidone di plastica blu dell’immondizia e Frank fingere di aiutare le ragazze a sistemare il banchetto del merchandising mentre continua a guardare l’ora fumando una sigaretta dietro l’altra.
Sono stati due mesi intensi per i Jumpin’ Frog, soprattutto l’ultimo tra incidenti, gravidanze inaspettate, ma finalmente è arrivato il grande giorno. I musicisti sono frenetici e la tensione è altissima.
Tommy si accende l’ennesima sigaretta e da un’occhiata alla scaletta: quelli che stanno suonando saranno l’ultima band dopo toccherà ai Jumpin’ Frog salire su quel palco. Si guarda intorno a caccia degli altri ragazzi poi prende un respiro profondo. Dal palco arrivano le note dell’ultima canzone: tra pochi minuti tocca a loro.
Vede gli altri musicisti scendere dal palco e inizia un gran via vai di tecnici che sistemano cavi e strumenti per il cambio palco: Jack sale a controllare che non facciano casini con la sua batteria, Gio va a sistemare la sua chitarra e lo stesso fanno Nik e Frank. Pochi minuti poi gli altri musicisti lo raggiungono e rimangono tutti e cinque a fissarsi come se non si fossero mai visti prima. Getta la sigaretta a terra e chiude gli occhi cercando di respirare profondamente.
Un ragazzo avverte che il palco è pronto: è ora di salire. Tommy spalanca gli occhi e fa un sorriso mefistofelico dei suoi mentre si avvicina al resto della band. Si mettono tutti in cerchio abbracciati, al grido di “MERDA MERDA MERDA!” cercano di darsi la carica e salgono sul palco andando verso il loro posto felice.
   
 
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