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Autore: Koa__    20/05/2014    3 recensioni
Il sole è caldo in quella tiepida mattina di marzo mentre, a passo lento e cadenzato, passeggia lungo i cipresseti del cimitero di Brompton. John conosce a memoria ogni singola foglia di quel posto; tutto persino ogni fottutissimo fiorellino: ha percorso quel viale talmente tante volte da che Sherlock è stato seppellito lì, che di tanto in tanto si ritrova addirittura a ripulire lapidi di sconosciuti. E pensare detesta i cimiteri...
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mary Morstan
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Dedicata ad alivinghope,
perché ogni volta che leggo il suo nick
mi viene in mente il ritornello di Budapest
(la canzone di Ezra)
*alivido, ooooh, alivido*
La dedico a lei perché sembra riuscire a capire
la mia mente contorta in modo eccezionale.

 
 



Abbracciando la tua tomba, ti ho detto che ti amo
 



Sai, delle volte mi fermo a pensare…

E a cosa?

Ma a John, e a noi, e a questa cosa che abbiamo iniziato.

Si chiama relazione, Mary e credevo che il dottore ti piacesse.

Certo che sì, ma c’è qualcosa di lui che non mi convince.

E che vorrebbe dire?

Ecco, John non mi parla, non lo fa mai: se ne va sempre in quel posto orrendo e non so nemmeno perché ci vada. Prima tutti i giorni, ora una volta ogni paio di settimane, ma ci rimane per delle ore. Non so, Susan, non capisco. Non ci riesco davvero.


***


Il rumore della ghiaia che scricchiola sotto le sue scarpe, John Watson lo ha sempre trovato rilassante; gli piace la sensazione che dà, così come il camminare in un viale alberato e il sentire nelle narici il delicato profumo dell’erba e il leggero vento primaverile che spira, accarezzandogli la pelle del viso. Il sole è caldo in quella tiepida mattina di marzo mentre, a passo lento e cadenzato, passeggia lungo i cipresseti del cimitero di Brompton. John conosce a memoria ogni singola foglia di quel posto; tutto persino ogni fottutissimo fiorellino: ha percorso quel viale talmente tante volte da che Sherlock è stato seppellito lì, che di tanto in tanto si ritrova addirittura a ripulire lapidi di sconosciuti. E pensare che lui li detesta i cimiteri, non gli sono mai piaciuti fin da quando, da bambino, sua nonna ce lo portava dopo la messa della domenica. Per un malsano e personalissimo sadismo però non riesce a staccarvisi. Non ci va tutti i giorni e anche se i primi tempi è stato così, col passare dei mesi le visite sono diminuite ed ora ci si reca solo una volta ogni tanto, quando ne sente il bisogno. E sempre, appena varca il cancello e saluta il vecchio Ben seduto in guardiola con una copia del Times aperta davanti al naso, non può fare a meno che domandarsi se un giorno non smetterà anche di pensarci, a Sherlock Holmes. Ci riflette intensamente quando, ancora pochi passi, svolta dietro un viale, supera un albero ed infine la vede: la sua lapide nera e per un istante, per un singolo momento, a John Watson manca il fiato.


***


Strano, in che senso?

Ma non lo so, è pensieroso e distante e ogni tanto nemmeno mi ascolta mentre gli parlo. La notte fa spesso incubi sulla guerra, si sveglia urlando e poi a stento mi riconosce. Delle volte invece non mi parla e si chiude nel suo mutismo. John non è un uomo che parla tanto, lo fa poco in generale. Preferisce agire, è…

Un tipo fisico. Lo so. A dire il vero, Mary, non so più quante volte tu me l’abbia ripetuto. 

Scusami, sono noiosa, me ne rendo conto. È che è tutto così strano.

Tu credi che abbia a che fare con…

Lui? Ci ho pensato, Susan, ci ho pensato parecchio e credo che sia così, che ci stia ancora male.

Ma Sherlock Holmes è morto da quasi due anni, Mary, come può piangerlo fino a non rendersi conto di quanto sia fortunato ad averti?

 
***


John si inginocchia di fronte alla lapide di marmo nera. La gamba gli duole appena, ma non gli importa e nemmeno gli interessa dei sassi del ghiaietto che si conficcano nel ginocchio, coperto da una stoffa troppo leggera perché possa rendere la pelle insensibile. Solleva una mano ed accarezza con fare lento le lettere dorate che compongono il nome. Oro su nero. Oro brillante come quella mente geniale. Nero come i suoi capelli ricci. Come quel cappotto svolazzante. Nero come la custodia del violino che tanto amava suonare. Come la penna con cui scriveva sul pentagramma, quando componeva in piena notte. Nera come l’anima di chi lo ha spinto a suicidarsi e gli ha bruciato il cuore, uccidendolo. Nero come l’abisso in cui John è caduto da che lo ha perduto. Perché Sherlock Holmes è morto e lui ancora stenta a crederci. John ha smesso tanto tempo fa di sentirsi in colpa, di provare rabbia cieca, adesso però c’è solo dolore. Il suo dolore, un dolore senza fondo e scuro come la pece.


***


Secondo me sei sempre in tempo a lasciarlo, insomma non è inciso sulla pietra che tu te lo debba sposare o che ci debba fare dei figli. Se non sei sicura, mollalo e non struggerti più. Se Sherlock Holmes fosse stata una donna, la sua donna, tu non ti saresti nemmeno avvicinata a lui. Voglio dire, io non lo vorrei mai uno che ancora piange la moglie defunta.

E se fosse proprio così? Se lui e Sherlock avessero condiviso ben altro che un’amicizia?

Vuoi dire che pensi che erano più che coinquilini?

Non lo so, era un’ipotesi. John è così chiuso: di lui non vuole mai parlare.

Ho capito, Mary, ma qualcosa te l’avrà pur detta, no? 

Poco o niente a dire il vero. So che era il suo migliore amico, che vivevano insieme e John lo aiutava nei casi di omicidio mentre lavorava al suo vecchio ambulatorio. Lui, quell’Holmes, aveva un carattere un po’ particolare, insomma faceva strani esperimenti e sparava al muro in piena notte. Un matto in piena regola, uno che non si faceva problemi ad insultare sconosciuti. 

E dove sarebbe la stranezza? John viveva con uno stronzo, sai quanti ne conosco io, di bastardi.

Sì, ma la cosa assurda e che anche adesso non capisco, è il sorriso di John. Quell’espressione che aveva mentre mi raccontava queste cose. Ricordo che ne fui gelosa e che sul momento troncai subito il discorso: quel sorriso con me non lo aveva mai avuto.


***


Rabbia, di quella John ne ha provata a sufficienza. Rabbia verso Mycroft, verso Moriarty, verso Lestrade e addirittura verso Anderson e la Donovan. Rabbia verso il mondo intero. E voglia. Voglia di prendere a pugni l’universo o di pestare a sangue quel fottutissimo destino per averglielo portato via. Rabbia che lentamente, inesorabile e bastarda, lo ha lasciato con un grande vuoto lì, al centro del petto. Un abisso da cui John non riesce più a riemergere. Si lascia andare a terra, appoggia la tempia contro la lapide e sospira. Il marmo è freddo e lui è seduto su un terreno inumidito dalle piogge notturne, sa che appena si rialzerà avrà i pantaloni sporchi di fango, ma non gli importa. Chiude gli occhi, John Watson, e si lascia cullare dal vento. Non crede in certe stronzate come la reincarnazione, ma da quando il suo amico è sepolto lì e gli si siede accanto, un vento fresco prende a spirare da nord e John, per un momento (uno solo), si convince che sia Sherlock. Già proprio lui: il suo freddo e logico coinquilino, colui il quale direbbe che la sua è un’idea irrazionale e priva di senso e che perdere tempo a convincersi di cose che non sono vere, non fa altro se non fargli sprecare energie preziose. Eppure a John piace pensarlo. Anche adesso se ne sta lì, con quel vento fresco che gli accarezza il viso, gli solletica i baffi mentre i pallidi raggi del sole lo baciano e si crogiola nell’ipotesi che quell’illusione possa essere vera. Perché se libera la mente e si lascia andare, ce l’ha per davvero la sensazione che sia tutto vero. È come se Sherlock fosse al suo fianco, seduto accanto a lui. Riesce persino a sentirne la voce baritonale, a tratti saccente, raccontargli di scienza o delitti. E John piace, adora il sentirlo parlare (d’altra parte) gli è sempre piaciuto.

 
***


Sai, Mary, forse dovresti parlarne a John. Intendo dire che sarebbe il caso che tu gli esprimessi questi dubbi, al massimo passerai per paranoica.

Dici che dovrei tentare? Io non vorrei che si chiudesse ancora di più e mi estromettesse completamente.

Beh, se non ci provi adesso, quando? Tra uno o due anni? E per allora sarai di certo molto più coinvolta. Non puoi vivere ancora con dubbi del genere, se John non vuole avere una relazione per via di quell’Holmes, legittimo per carità, tu hai il diritto di saperlo. 

Ma io…

Eddai, prendi il telefono e chiamalo. 


***


Il cellulare vibra nella tasca della giacca leggera che indossa. John lo prende spiando lo schermo che si illumina a ritmo degli squilli. È Mary, ma lui per assurdo si mette a pensare ad altro. Sorride, appena ricorda che quella suoneria gliel’aveva impostata Sherlock tanto tempo prima. John non ne è sicuro, ma col tempo e sentendola, si è quasi convinto che a suonare sia proprio lui, al violino. Sorride di nuovo mentre si lascia andare ancora di più addosso alla lapide e non risponde, non lo fa. È troppo preso a godersi quella musica splendida per pensare di poterla fermare (o di parlare con qualcuno), perché lui è felice. Felice come non lo è stato per tanto tempo. Perché con quel vento fresco che spira da nord, e il sole che lo bacia, e la musica che risuona nell’aria, è come se Sherlock fosse vivo. Vivo e splendidamente insopportabile. Vivo e lui gli è accanto, come sempre.

No! È sbagliato perché Sherlock è morto e John se ne rende conto appena la musica cessa e John ritorna brutalmente alla realtà. Si risveglia come d’improvviso, addirittura si alza da terra, quasi quel marmo lo scottasse e non potesse più toccarlo. Cammina nervosamente e fa per andarsene, ma poi ritorna sui propri passi. S’inginocchia, ma si rialza subito. S’allontana, questa volta è deciso ad andarsene e a lasciar perdere Sherlock Holmes una volta per tutte. Perché è morto e non c’è più spazio dentro di lui per miracoli o fanciulleschi sogni. Non può più aspettare che Sherlock ritorni, che rispunti all’improvviso con quella faccia da schiaffi che si ritrova ad avere. Questa volta lo farà: se ne andrà da lì e si lascerà alle spalle tutto e, anzi, deve prendere il telefono e chiamare Mary. Dirle che la ama e…


***


Niente?

No. Forse non ha sentito. 

O più probabilmente non voleva proprio rispondere, Mary, inizia a fartene una ragione: la tomba di un morto è più importante di te.

No. Lui non ha sentito.


***


Diavolo, ma chi vuole prendere in giro? Se Sherlock fosse lì in quel momento direbbe che le cose gliele si legge in faccia e che ciò che pensa dovrebbe (in termini assoluti) essere meno lampante, perché solo un idiota non se ne renderebbe conto. Pertanto fa dietro front e torna verso la lapide. Lo fa a grandi passi e mosso da un impeto e da una rabbia, a cui non crede nemmeno lui. Ira cieca e furente. Ira nera come la lastra di marmo che ora ha di fronte. Quella tomba bella ed elegante con intarsi d’oro a comporre il nome del defunto, quella lastra di pietra di cui conosce ogni screziatura e venatura. Ira che svanisce non appena si rende conto che non può più fingere perché una volta che ci si ritrova davanti, crolla a terra. Si inginocchia e piange, piange come non aveva mai fatto. Abbraccia la lapide come se fosse Sherlock in persona e, se possibile, piange ancora di più perché quello non è altro se non una tomba fredda con eleganti intarsi in oro sì, ma non è di certo il suo caro e insopportabile, amabile e odioso amico. Ciò che John Watson sta stringendo a sé non è altro se non la lapide costosa voluta da Mycroft. Unica, in un cimitero di tombe bianche ed angeli piangenti. Unica come lo era Sherlock Holmes.

«Perché?» E il sussurro di John si perde nel vento, mentre il sapore salato delle lacrime gli bagna le labbra.
«Perché mi hai lasciato, gran figlio di puttana che non sei altro? Egoista. Sei sempre stato un egoista del cazzo, quello che contava era soltanto quello che volevi tu. E io, Sherlock? Quello che provo io non te ne importa di quello?» Le lacrime diventano singhiozzi, l’abbraccio si fa lento e, piano, John scivola a terra, sconfitto. Distrutto, sopraffatto.
«Io ti amavo, bastardo e ti amo ancora.» Quelle parole sanno di confessione, hanno un retrogusto amaro è vero, ma sono così liberatorie che John quasi si accontenta di star parlando ad una tomba. Ed è allora che John Watson glielo dice, perché tenersi dentro dell’altro non ha davvero più senso. Parla perché sa di doverlo fare, perché lo aspetterà ancora per un po’ anche se più si reca alla sua tomba, più sente una parte di sé stesso scivolare via. John si sta consumando in attesa. In leale e devota attesa. In quell’illogico ed insensato aspettare che trasuda devozione, ma che in fondo non è altro che fiducia e speranza. Perché non può credere nemmeno ai propri ricordi, non può credere a quello che ha visto.

«Ti aspetterò. Attenderò il tuo miracolo, Sherlock, ma tu sbrigati, Sherlock, sbrigati» sussurra infine, chiudendo gli occhi.
 

***


Sai, delle volte mi fermo a pensare….

E a cosa?

Se Sherlock Holmes tornasse, domani, John sceglierebbe ancora me? 
 


Fine



Ci sono due riferimenti da segnalare:

- Brompton Cimitery: sorge vicino ad Earl's Court, a West Brompton, una zona di Kensington e Chelsea. Fa parte dei Parchi reali di Londra e dei sette cimiteri principali della città. Pur non essendo chiaramente un parco, essendo un ampio spazio verde, è stato ammesso in questa categoria.
- Angeli piangenti: è un chiaro riferimento (perché sono whovian nell’anima) a Doctor Who.


Questo è un po’ un esperimento. Ogni tanto mi viene voglia di provare… Ah, tra i "personaggi" ho indicato anche Sherlock, vi siete resi conto che non è che ci sia... è indicato perché alla fine è una johnlock, e perché in un certo senso, lui c'è. L'ispirazione mi è venuta leggendo questa storia. La trama e il tutto non c'entra niente con questa, diciamo che ho avuto una folgorazione. Ringrazio chi ha letto fino in fondo.
Koa
   
 
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