Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Sylphs    22/05/2014    11 recensioni
(Helsa).
Mi guarda freddamente, con le mani non più guantate raccolte in grembo: "Non sarai condannato a morte" .
Taccio. Anche se volessi non saprei cosa risponderle.
"Domani mattina ti imbarcherai su una nave, lascerai Arendelle per sempre e farai ritorno alle Isole del Sud. Lì, saranno i tuoi fratelli a deliberare sulla tua sorte".
Rido debolmente: "I miei fratelli non ricordano nemmeno il mio nome".
Non so perchè l'ho detto. Non cerco compassione. Anna me ne avrebbe offerta, non Elsa.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa, Hans
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ice passion
 
 
 
 
 
 
Perché non l’ho uccisa?
Continuo a chiedermelo incessantemente, da quando mi hanno chiuso in questa cella, la stessa in cui ho imprigionato lei settimane fa, deponendo il suo corpo privo di sensi sulla branda fatiscente e logora sulla quale sto mezzo seduto in questo momento, ad affondare le dita tra i capelli arruffati e ad osservare la pietra sudicia e grigia che mi circonda da ogni parte. Sono fredde, le prigioni di Arendelle, fredde come la Regina che governa questo regno, questo regno che poteva essere mio, che avevo sul palmo della mano e che ho lasciato cadere sempre a causa della stessa, lacerante ragione. La ragione che mi tormenta più della cattività, delle occhiate di disprezzo e biasimo di cui vengo riversato, dei pasti frugali e dei miseri, lerci abiti che indosso, io che prima ero principe e adesso sono prigioniero, la ragione che mi fa martellare le tempie e desiderare di distruggere tutto quello che ho intorno, di uccidere la guardia che viene a portarmi la stessa brodaglia insapore a colazione, pranzo e cena.
Perché, perché non l’ho uccisa?
“Pensavo dopo sposati di escogitare un incidente per Elsa”.
Questo avevo detto a sua sorella, quando m’ero finalmente strappato la maschera, quella maschera gentile, cavalleresca e mansueta che esibivo anche con i miei fratelli, e m’ero rivelato per quello che ero. Perché sì, il mio obiettivo era quello, era sempre stato quello, eliminare la Regina di Arendelle per potermi insediare al suo posto, e farlo in modo tale da allontanare qualsiasi sospetto. Ci tenevo, alla mia immagine, ci ho sempre tenuto. E mi viene da ridere, adesso che sono qui, in questo misero e lurido buco, a guardare un regno perduto da una minuscola finestrella appannata, pensando che ero vicino tanto così a divenirne il sovrano. Mi era stato insegnato, fin da bambino, che un gentiluomo, un principe, è tale, è uomo solo se si comporta, almeno in pubblico, secondo una serie di regole e valori, un codice che tuttora saprei ripetere a memoria, se è generoso con il popolo, giusto con i malfattori, galante con le fanciulle, abile con le parole. Ed io ci credevo. Credevo, a queste finzioni, a questi inganni dorati, erano il requisito necessario per avere il potere, il tanto vagheggiato potere che solo l’erede di qualche sperduto Paese avrebbe potuto donarmi, me, tredicesimo fratello, invisibile, ignorato, costantemente messo in ombra e dimenticato.
Perché pensavo, dopo averlo ottenuto a qualsiasi costo – il fine giustifica i mezzi, Hans – di dimenticare i compromessi e le bassezze a cui ero giunto per conquistarlo e di dimostrarmi un Re saggio e onorevole, uno di quei sovrani di cui leggevo nei libri, indimenticabili e amati dalle folle, un dominatore quale nessuno dei miei fratelli sarebbe stato mai. Io, l’ombra, il fantasma, sarei stato l’unico a sopravvivere alla morte, ad esistere nella storia, e per farlo non dovevo sporcare la mia immagine, mai e poi mai. Dovevo rimanere immacolato agli occhi del volgo. Perché in fondo lo ero. Da quando m’hanno gettato qui, in attesa di caricarmi su una nave e spedirmi nelle Isole del Sud, ad implorare la clemenza di un fratello che si limiterà a chiudermi da qualche parte e a scordarmi, tutti si sono convinti che il vero Hans sia l’impostore, l’assassino, il crudele e spietato ingannatore che ha sedotto la Principessa, raggirato i più alti consiglieri e tentato di uccidere la Regina. Ed è vero. Ma in parte.
Perché io sono anche il cavaliere gentile che avrebbe offerto al più sudicio dei mendicanti un boccale di grog e una coperta, il guerriero coraggioso che ha affrontato un gigante di ghiaccio ed è penetrato nel castello della Regina delle Nevi per riportarla indietro, l’impeccabile gentiluomo di cui la Principessa si è invaghita. Sono luce e tenebra, ma è un concetto troppo difficile. Per loro dovevo essere o l’uno, o l’altro. Ed ora sono l’altro. Per sempre. Non, però, a causa del sacrificio compiuto da Anna per salvare la sorella.
Lo sono perché non l’ho uccisa. Elsa. Perché l’ho salvata, andando contro a tutto ciò che avevo pianificato e progettato, tutto ciò per cui lottavo, tutto ciò in cui credevo.
I due bravi del Duca erano determinati ad eliminarla, e mi avrebbero reso un prezioso servizio, se solo li avessi lasciati fare, quel mattino, nel suo palazzo di ghiaccio, alla luce del sole nascente che dorava pareti e soffitti e li faceva risplendere come gioielli. L’avevo distratta, pronunciando quel “Non siate il mostro che tutti temono!” che, chissà perché, m’era uscito spontaneo e sincero – possibile che credessi davvero a quelle parole, dopo averne dette tante mendaci? – e lei s’era voltata a guardarmi con i suoi occhi azzurri e antichi, profondi e tremolanti come laghi nei quali brulicavano emozioni selvagge. Occhi che Anna non avrebbe mai potuto avere, e in cui mi ero smarrito per un lunghissimo istante. La Regina era diversa da come la ricordavo la sera del ballo, più dura, più affilata, più forte, anche se sempre in bilico, pronta a spezzarsi da un momento all’altro e terrorizzata da se stessa, ed era indescrivibilmente bella, tanto bella da lasciarmi a corto di fiato e stordito. Per un attimo la mia mente lucida e calcolatrice era venuta meno, e m’ero ritrovato a pensare, contro la mia stessa volontà, che non poteva esistere donna altrettanto forte, splendida e fragile al tempo stesso, una donna per cui chiunque avrebbe dato la vita e che invece era costretta a nascondersi ed isolarsi per sopravvivere.
M’aveva osservato di rimando, in un incatenarsi di sguardi a cui non ero riuscito a sottrarmi, improvvisamente smarrita, con l’ombra di un’oscura consapevolezza nelle pupille, e i turbini di ghiaccio che le fuoriuscivano dalle mani affusolate s’erano placati, la magia aveva abbandonato la sala. Ci eravamo compresi a vicenda e quando avevo scorto uno degli scagnozzi del Duca puntarle contro la balestra, non avevo pensato neppure un momento ai miei piani per impadronirmi di Arendelle, al fatto che Elsa dovesse sparire e che lasciarla uccidere da un altro sarebbe stata la soluzione più semplice e congeniale, giacché la sua morte non sarebbe ricaduta su di me.
No, avevo pensato soltanto ai suoi occhi gelidi e disperatamente anelanti al calore e alla salvezza, alla sua bellezza dura come il ghiaccio e morbida e accogliente come la neve, e qualcosa in me s’era opposto con violenza, un moto di rifiuto, di ripulsa m’aveva invaso, ed era stato quello a spingermi a deviare il colpo al lampadario, quello, ad indurmi a tenere a distanza quegli sciacalli dalla Regina, a sollevarla tra le braccia e a portarla ad Arendelle tenendola stretta al mio petto.
Ah, ancora risento sulla pelle la morbidezza e il calore – è la Regina delle Nevi, ma la sua carne è calda, come quella di qualsiasi donna – del suo corpo premuto contro il mio, abbandonato nell’incoscienza, ancora ricordo come la mia mano, animata da propria volontà, abbia indugiato in una carezza sul suo volto perfetto e quasi felino, e poi nella bionda capigliatura. Le pulsazioni del mio cuore erano aumentate, durante la cavalcata verso Arendelle, tuttavia non avevo voluto prestare ascolto ai segnali, troppo assorbito dal mio piano, troppo convinto dell’irraggiungibilità di Elsa. M’ero detto, per rassicurarmi, che l’avevo salvata solo perché pensavo che dovesse essere viva per riportare l’estate, che era questo, lo scopo che mi muoveva, e forte di queste deboli supposizioni l’avevo rinchiusa nella cella. Ma ora che di tempo per riflettere ne ho fin troppo, ora che ogni possibile futuro è sfumato e che la mia immagine si è disfatta, è inutile rifuggire la verità.
Non l’ho lasciata uccidere perché…perché l’amavo. E la desideravo con disperazione.
È sempre stato così. Anna, quella ragazzina ingenua e affamata d’amore, quel fiorellino ancora acerbo con la testa piena di favole, non ha mai suscitato in me nulla a parte un vago senso di pena all’inizio, e di disprezzo poi. Quando le ho detto, facendomi beffe del suo dolore, che non era all’altezza di Elsa, non mi riferivo al potere della Regina, come sicuramente avrà pensato. Non era e non sarebbe mai stata all’altezza di Elsa perché Elsa incarnava, con il suo dolore silente, la sua volontà al sacrificio e alla difesa dei cari, il suo autocontrollo ferreo, la rassegnazione dignitosa, la sensualità che il mondo l’aveva obbligata a tenere nascosta, una perfezione che la Principessa, con la sua eccitazione infantile e le sue lamentele querule, non potrà mai eguagliare. Perché se Elsa è donna sotto tutti i punti di vista, Anna è una bambina che crede ancora nel Vero Amore perfetto e idilliaco, pronta a dispensare i suoi sentimenti ovunque pensi che ci sia terreno fertile.
Io ed Elsa, invece, stiamo molto attenti a non sprecare i nostri, di sentimenti. Sappiamo quanto valgono, sappiamo quanto possono essere pericolosi, se lasciati crescere, e per questo li custodiamo con gelosia, lei ponendosi dietro una muraglia di ghiaccio, io celandomi dietro un’immagine irreprensibile ormai andata in frantumi. Noi siamo consapevoli del nostro ruolo e del nostro futuro, e non permettiamo mai alle illusioni di coglierci in fallo.
Mi colpì fin dall’inizio, con quella malinconia insolita in una ragazza tanto giovane, quello sguardo velato e costantemente concentrato, come se qualcosa, dentro di lei, lottasse per emergere ed ella fosse costretta a tenerlo a bada di continuo – com’erano fondate le mie intuizioni! – e quella bellezza al tempo stesso fredda e fatalmente seducente, l’andatura sinuosa e il pungolo affilato e provocante negli occhi che si sforzava di occultare dietro abiti pesanti e casti e un comportamento sì regale, ma distante, così distante. La vidi di rado prima dell’incoronazione, e sempre da lontano, tuttavia quando la scorgevo passare, impartendo ordini con l’imperiosità di una vera sovrana e sopportando la pressione a testa alta, così inflessibile, così irraggiungibile, così irrimediabilmente bella, immaginavo un avvenire in cui avremmo governato Arendelle insieme, in cui pian piano avrei abbattuto la sua muraglia di ghiaccio e avrei fatto breccia nel suo cuore, aiutandola a gestire i demoni che la torturavano. Un avvenire in cui avrei forzato la piega dura e dolorosa delle sue labbra carnose e l’avrei riscaldata con il tepore del mio fiato, con la mia lingua bollente, in cui le avrei strappato di dosso la sua armatura e l’avrei semplicemente amata, sfiorando ogni centimetro della sua pelle candida e inviolata.
Un avvenire che già allora sapevo inesistente.
“Elsa sarebbe stata preferibile, ma nessuno aveva possibilità con lei”.
I giovani nobili che frequentavo di solito, ragazzi oziosi e annoiati che ammazzavano il tedio in battute di caccia, cavalcate, mani di poker e piccole conquiste occasionali, parlavano spesso di quanto questa o quella dama fosse disponibile, della sua avvenenza e del modo in cui rispondeva ad un corteggiamento, delle volte ci eravamo persino sfidati a delle scommesse, tuttavia avevano nominato Elsa in una sola occasione e assai brevemente, come se davvero non facesse parte del mondo, come se ne fosse estranea, separata, cosa che mi faceva letteralmente impazzire dal desiderio.
“Non è mai comparsa in società, dicono che le porte della reggia di Arendelle siano sempre chiuse, e che lei trascorra le sue giornate nei suoi appartamenti”.
“Come mai?” avevo provato a domandare, incuriosito.
“Nessuno lo sa. La famiglia reale sa tenere ben nascosti i suoi segreti”.
La risposta m’aveva lasciato insoddisfatto – puntavo Arendelle già da un po’, sentivo che lì avrei trovato la mia occasione, e scoprire che la legittima erede al trono era un tipo così difficile mi frustrava non poco – però, per non sollevare sospetti, avevo finto indifferenza: “Ho sentito dire che è molto bella”.
“Può essere bella quanto vuoi, ma non perdere tempo con lei. Nessuno riuscirà mai ad avvicinarla”.
Frasi del genere non sono forse un invito implicito a raccogliere la sfida? A tentare? C’era qualcosa, negli occhi di Elsa, che mi faceva credere che la Regina delle Nevi, sotto sotto, desiderasse essere avvicinata, essere salvata, ma che la paura di se stessa la frenasse dal manifestare quest’inclinazione. Ero giunto ad Arendelle con la nebulosa idea di tentare, di abbattere la sua barriera e scoprire cosa nascondeva dietro quell’espressione di perenne fermezza e rassegnazione, ma poi sua sorella mi era piombata letteralmente tra le braccia e il mio desiderio di ottenere un riscatto, di fargliela pagare ai miei fratelli e di ottenere il potere aveva prevalso, spingendomi a cogliere l’occasione al volo, un’occasione che non potevo lasciarmi sfuggire. Sedurre quella sciocca era stato talmente facile da annoiarmi persino. Mi avevano cresciuto con l’idea di farmi valere e di lottare per guadagnare ciò che volevo, di essere temerario e cocciuto, e un trionfo servito su un piatto d’argento era tutt’altro che appagante per il mio ego. Quella ragazzina, quella nullità, mi avrebbe sposato senza che io facessi niente. Era pronta a baciarmi addirittura dopo aver stretto un profondo rapporto con un altro uomo, pur di tener fede alle sue fissazioni.
Era stata Elsa – malinconica, stupenda Elsa – ancora una volta a rappresentare un degno avversario. Capendo in un lampo ciò che sua sorella non avrebbe compreso mai, se non glielo avessi sbattuto crudelmente in faccia tempo dopo, ci aveva negato la sua benedizione con una risolutezza che m’aveva lasciato profondamente ammirato. Sarebbe stato comodo per lei dare il consenso, avrebbe guadagnato in un attimo il rinnovato affetto della sorella e la felicità del popolo che certo avrebbe apprezzato un matrimonio tra due importanti casate, invece, per proteggere quest’ultima, per rispettare le proprie opinioni, se l’era messa contro. Ed io, io impulsivamente avevo fatto per divincolarmi da Anna, attirato dalla Regina come lo è una falena dalla luce: “Maestà, se permettete che io possa…”
“No, non puoi, e penso che tu debba andare”.
Secca, concisa, gelida. Non mi aveva lasciato un unico spiraglio.
Ed io l’avevo amata per questo. Era come me, per perseguire il suo obiettivo – tenere la sorella al sicuro – si sarebbe negata qualsiasi sentimento. Era addirittura esplosa, rivelando a tutti noi il suo segreto. Un segreto enorme che era riuscita a celare per tredici anni.
E quando ero andato a farle visita nella stessa cella in cui marcisco ora, per una macabra ironia della sorte…quando l’avevo vista, spezzata, sconfortata, disgustata da ciò che aveva fatto ad Arendelle, eppure ancora in piedi, ancora potente e capace di ricoprire le manette di uno strato di ghiaccio…avrei voluto soltanto crollare in ginocchio ai suoi piedi, baciarla ancora e ancora fino a sciogliere il freddo dentro di lei, spogliarla di quell’impalpabile abito azzurro e affondarle le mani nei capelli biondi fino a disfarle la treccia. Speravo, vagheggiavo, di convincerla a riportare l’estate e poi a sposarmi, a fare di me il suo Re – l’avevo salvata, anche se il buonsenso m’aveva suggerito di lasciarla morire, questo significava qualcosa – ma lei, di nuovo, mi aveva chiuso fuori.
“Non vedi? Non posso!”
E non s’era riferita solo all’inverno perenne. S’era riferita a tutto quanto. M’aveva isolato fuori dal suo maniero ghiacciato, per sempre. E non m’era importato più di niente. Che Anna morisse, che sapesse la verità. Che Elsa la seguisse nell’oblio. L’avevo perduta, e non mi rimaneva altro che il potere.
“Principe Hans? La Regina è qui per comunicarvi la vostra sorte”.
Piego le labbra spaccate in un sorriso amaro quando fuori dalla porta risuona la voce della guardia. Lei è venuta da me, così come io venni da lei. A rifiutarmi, per l’ennesima volta, perché ha ancora troppo ghiaccio nel cuore per permettere alla passione di penetrarvi – l’amore, quello lo ha accolto - e l’amo per questo. Perché sempre, sempre, con i suoi rifiuti, mi ha fatto sentire considerato, mi ha fatto sentire Hans, cosa che né l’accondiscendenza dei miei fratelli né l’entusiasmo superficiale di Anna – l’avrebbe mostrato a chiunque – era riuscito a fare.
Si staglia sulla soglia della cella come un fiocco di neve, fulgida e brillante nella penombra, e sono costretto a socchiudere gli occhi disabituati alla luce perché giuro che la vedo scintillare di un bagliore interno. Indossa lo stesso, luccicante abito azzurro che si è confezionata da sola, il mantello la circonda in un alone iridescente, e la treccia, appoggiata su una spalla, le scende sino al seno ben disegnato. Il suo volto è composto, freddo come al solito, ma pervaso da una sorta di pace, di calore nuovo, che nonostante tutto mi rallegra. Almeno lei ha trovato quello che cercava. Anche se non l’ha trovato in me.
I suoi occhi azzurro ghiaccio mi esaminano con attenzione, prendendo nota dei miei capelli scarmigliati, della barba incolta e degli abiti sgualciti che porto, tuttavia non esprimono ribrezzo o rancore, sono solo severi e distanti. Li sostengo senza difficoltà, reggendo l’esame, e ci fronteggiamo per qualche istante. So che non entrerà nella cella, so che non varcherà quel confine, così come so che io non m’alzerò dalla branda.
“Vostra Maestà” sono irriverente, irrispettoso nel rivolgermi a lei, e accompagno le parole con un lugubre ghigno: “Perdonatemi se non m’inchino al vostro cospetto, ma le frustate hanno, come dire…provato molto la mia schiena. Spero non lo considererete un affronto”.
“Non preoccuparti” ribatte, senz’ombra di umorismo: “Resterò qui solo qualche minuto, ad informarti di quanto ho deciso”.
“Voi mi fate un grande onore a scendere in questo sordido e lurido luogo per comunicarmi il mio destino di persona. Vi ringrazio, Maestà”.
Sono ancora sprezzante. Vorrei incrinare il muro che la circonda, la sua maschera di regale compostezza, vorrei vedere una crepa nell’azzurro delle sue iridi e sulla sua pelle bianca, vorrei che piangesse per me come ha pianto per Anna – ero stordito, ma cosciente – eppure so che la mia Elsa non lo farà mai. È stata tradita dai suoi stessi genitori, dal suo stesso popolo che per un attimo l’ha chiamata mostro, e non è più disposta a concedere la sua fiducia, soprattutto all’impostore che intendeva traviarle la sorella e…
Conficcarle una spada nel cuore.
Spesso mi chiedo se lo avrei fatto. Lo avrei fatto?
Sì. Lo avrei fatto. Io e lei non viviamo nel regno delle favole di Anna e del suo boscaiolo cresciuto dai troll, io e lei siamo persone realiste, e abbiamo il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Elsa m’aveva rifiutato, Elsa non avrebbe mai ricambiato il mio amore, e non l’avrei lasciata vivere sapendola lontana da me, con un altro, magari. Non avrei perso per una donna che mi respingeva, pur amandola e desiderandola disperatamente. Piuttosto, le avrei piantato la lama nel petto fino a distruggerle completamente il cuore, sbriciolando la crosta di ghiaccio che lo ricopriva. Glielo avrei strappato dalle costole, e lo avrei fatto mio.
Mi guarda freddamente, senza emozione, con le mani non più guantate raccolte in grembo: “Non sarai condannato a morte”.
Taccio. Anche se volessi, non saprei cosa risponderle.
Lei prosegue: “Domani all’alba ti imbarcherai su una nave, lascerai Arendelle per sempre e sarai riportato nelle Isole del Sud. Lì, saranno i tuoi fratelli a deliberare sulla tua sorte”.
Rido debolmente: “I miei fratelli non ricordano nemmeno il mio nome”.
Non so perché l’ho detto. Non cerco compassione. Anna me ne avrebbe offerta, ma Elsa no. Infatti, non da seguito alla mia affermazione: “Questo non è un mio problema, principe Hans. Sono venuta solo a comunicarti la mia decisione. Addio”.
Mi volta le spalle, e fa per andarsene. Mentre parlava, sottili venature di ghiaccio scintillante si sono arrampicate sui muri sudici della mia cella, rischiarandoli e pulendoli dalla loro sozzura – dunque non è impassibile come vuole far credere? – e all’improvviso, dando retta ad un insano impulso, al desiderio di non vederli sparire, la trattengo: “Aspetta!”
Si ferma. Potrebbe ignorarmi come hanno sempre fatto i miei fratelli, ma non lo fa. Si volta a mezzo, offrendomi il suo magnifico profilo, e mi invita con lo sguardo a parlare. Il suo corpo è candido, inviolabile, perfetto, e riluce sotto la stoffa azzurra. Vorrei rompere il sudario di ghiaccio che lo ammanta, vorrei farlo sudare, contorcersi, inarcarsi. E vorrei divorarle le labbra serrate fino a renderle gonfie, vorrei tramutare i suoi capelli in un groviglio. Potrebbe ferirmi, farmi soffrire con i suoi poteri, non m’importerebbe. Anzi, forse lo preferirei. Sarebbe una lotta, un’appagante lotta, e la vincerei, alla fine.
Ma tutto quello che dico, tutto quello che le chiedo, è: “Perché sei venuta qui? Perché di persona?”
Forse è solo un’impressione, un macabro gioco di luci, forse la reclusione, il digiuno, il pensare m’hanno reso pazzo, eppure mi sembra di cogliere, per un attimo, un impercettibile cedimento sul suo viso, un fremito di emozione che le fa palpitare i lineamenti e fremere le pupille, e avverto un nodo alla gola, doloroso ma dolce come miele, al solo assaporare l’illusione di aver scosso la Regina delle Nevi, seppure per un istante fuggevole.
“Perché una volta mi hai ricordato chi ero, e impedito di compiere un’azione che m’avrebbe condannata per l’eternità” risponde, con una traccia di calore nella voce che non le ho mai sentito prima: “Perché non sono un mostro, e se adesso lo so, è anche grazie a te”.
Il cuore mi batte ad un ritmo tanto forsennato che quasi mi sfonda la cassa toracica: “Elsa…”
“Addio, principe Hans” mi interrompe, di nuovo algida, di nuovo irraggiungibile e quasi impaurita, quasi abbia intuito le successive due parole che desideravo pronunciare. La porta si chiude su di lei, sulla sua treccia soffice, sui suoi fianchi sinuosi, e mi sembra che nella cella faccia molto più freddo, che la Regina delle Nevi abbia portato via con sé tutto il calore.
Gli arabeschi di ghiaccio sulle pareti, però, sono rimasti. E adesso lo so. So che, non avendola uccisa, quella volta, io…una parte di me è penetrata oltre la sua muraglia. Che la serberà sempre con sé, come io sempre serberò il suo ricordo e il mio desiderio inappagato. Che nelle notti d’inverno, quando controllare i suoi poteri diverrà più difficile, rammenterà le mie parole, e in esse troverà la forza di resistere.
“Regina Elsa, non siate il mostro che tutti temono!”
E allora posso anche tornare a casa, dai miei fratelli, e loro possono condannarmi a morte, o gettarmi in una prigione e dimenticarmi, o esiliarmi in lande desolate. Perché alla fine sono stato importante per qualcuno, sono stato determinante. E mi basta.
“Addio” mormoro alla cella vuota.
 
Angolo autrice: Allora…diciamo che era da tempo che volevo scrivere qualcosa su Frozen. Solo che non sapevo cosa. E alla fine è uscito…questo. Non so neanche da dove. Considerato il fatto che la mia coppia del cuore è la Kristanna. Però…che dire, l’ispirazione ha seguito percorsi tutti suoi e ha deciso per una Helsa. Non potrei definirmi una vera e propria shipper di questa coppia – anche se ho sentito molta più chimica tra di loro che tra Hans e Anna – però c’erano parecchie cose che non mi quadravano. Tipo perché diamine Hans non ha lasciato morire Elsa per mano dello scagnozzo del Duca, se ci teneva tanto a vederla morta. In realtà, in generale il personaggio di Hans mi è sempre sembrato molto oscuro. Per gran parte del film è in un modo, e poi si rivela in tutt’altro modo e…in definitiva tuttavia di quest’ultimo modo si sa ben poco. Solo che desiderava essere re di qualche regno. Ma c’era qualcosa, in lui, dell’Hans che avevamo visto all’inizio? Amava? Aveva conflitti? Questa è la mia personalissima versione, ovviamente cucita sull’idea base di una Helsa, e…beh, so che fa cagare, ma vabbè, deliri di mezzanotte, che volete farci XD spero veramente tanto che mi farete sapere cosa ne pensate, anche con critiche, che sono sempre ben accette!
Un saluto a tutti,
Sylphs

 
  
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