Ciao
a tutte,
questa è la mia prima Stony. Prima di scrivere una storia su
questa coppia, ho
letto molte storie su di loro, ma se ho reso i personaggi OOc fatemelo
sapere. Grazie.
Perdonate
l’HTML
orrendo, ma il pc non vuole collaborare.
Il
ragazzo del
giardino.
Steven
Rogers non
sapeva più che fare. Possibile che quella guardia del corpo
urlante non avesse
ancora capito che lui non era entrato nella villa per rubare? Steven ci
riprovò, sventolando il biglietto da visita che gli era
stato dato da
presentare all’entrata della villa e che non servì
a nulla.
“Guarda,
c’è
scritto Stark Industries. Come
potrei
avere questo biglietto se non conoscessi il proprietario?”
Non
sembrò
funzionare. La guardia del corpo alzò ancora di
più la voce, rivelando di
essere irlandese per il suo forte accento. Steven fece un passo
indietro,
cercando di ripararsi da quell’assalto verbale. Era tutto
così dannatamente
ingiusto! Lui era entrato nella villa perché il cancello
aperto lo aveva preso
come un invito esplicito, e quella guardia del corpo lo aveva fermato
dicendogli
che lui era uno straccione e che doveva arrestarlo per tentato furto.
Non era
la prima volta che Steven si sentiva giudicato per il suo aspetto
fisico, ma
non gli era mai successo per il suo abbigliamento! Inizialmente non
aveva
potuto fare a meno di dare ragione alla guardia del corpo, i suoi jeans
migliori erano sbiaditi e l’unico maglione elegante era
sbrindellato alla
manica destra. Ma dopo pochi minuti di dubbi e di scuse, Steven era
giunto alla
giusta conclusione che quella guardia del corpo fosse un paranoico
della
sicurezza.
“Senta
signore, io
sono venuto qua per fare un ritratto alla famiglia Stark.”
Tentò di spiegare di
nuovo con tono forzatamente gentile, un litigio alle prime ore del
mattino non
era l’idea di accoglienza che lui si aspettava.
“È stata la signora Stark a
chiedermi di venire qua. Lei personalmente mi ha chiesto di fare il
ritratto
alla sua famiglia.”
“Come
ti permetti
di mettere in mezzo a questa faccenda la signora Stark!”,
ringhiò l’uomo,
aggiungendo poi un gesto con la mano, che Steven giudicò
volgare. “Scommetto
che sei uno stalker. Anzi, un MILF.”
Steven
sentì le
guance diventare roventi per la vergogna. Non sapeva che significasse MILF, ma da come l’uomo
aveva
piegato la bocca in una smorfia, Steven intuì che non era un
complimento. Tutte
quelle accuse non avevano senso, lui era un ragazzo onesto e per bene,
vestiti
consunti a parte.
Ormai
preso dalla
disperazione, infantilmente, Steven batté un piede per terra
e ad alta voce
protestò. “Io non sono un MILF, o come si dice. Io
sono solo un’artista, o
almeno provo a esserlo! Sono anni che ci provo!”
Sarcasticamente si complimentò
con se stesso per aver aggiunto quell’informazione personale
senza alcuna
necessità. Probabilmente, ora, la guardia del corpo lo avrebbe
creduto anche un
fallito. Con le guance rosse per l’indignazione,
continuò il suo sfogo,
enumerando sulla punta delle dita le disavventure che gli erano
capitate, dalle
porte dell’autobus che gli avevano sbrindellato il maglione,
alla litigata con
il tassista indisponente sino al suo scontro con la guardia del corpo.
Dopo
aver finito
suo il racconto, Steven si accorse che la guardia del corpo lo fissava
in
silenzio. Probabilmente si sentiva mortificato, pensò
Steven, anche se la sua
espressione distaccata diceva tutt’altro.
Dopo
pochi minuti
di silenzio, la guardia parlò di nuovo. “Oh, ma
che tragedia.” Calcò l’ultima
parola con cattiveria, e Steven capì che lo stava prendendo
in giro. “Senti,
ragazzo, nel tuo patetico resoconto non mi hai detto come hai
conosciuto la
Signora Stark.”
Steven
sussultò.
Non riusciva a credere che per una volta, da quando era entrato nella
villa, la
guardia del corpo avesse detto finalmente una cosa sensata. Avrebbe
dovuto
dirlo prima, anche per spiegare perché avesse un biglietto
da visita
appartenente alla Stark Industries.
Schiarendosi la gola, Steven fece un breve resoconto su come aveva
incontrato
la Signora Stark, anche se dentro la sua mente aveva impresso a fuoco
ogni
dettaglio, profumo e colore di quell’incontro. *Maria non era
una donna che si
dimenticava facilmente. Aveva capelli neri profumati di cannella, occhi
color
ambra dallo sguardo magnetico e un corpo mozzafiato, che Steven aveva
faticato
parecchio a non fissare mentre lei gli mostrava la foto della sua
famiglia.
Doveva ammettere che era rimasto un po’ male quando lei aveva
detto di essere
una donna sposata, ma poi la sua delusione era svanita quando il suo
sguardo si
era soffermato su Anthony Edward Stark, il figlio di Maria. I suoi
occhi, dello
stesso colore della madre, avevano anche la stessa carica magnetica, ma
con
qualcosa in più, che Steven non seppe decifrare. Gli occhi
di Anthony lo
avevano tormentato per giorni e avevano affollato le pagine del suo
quaderno,
facendolo arrivare alla conclusione che disegnare i suoi occhi sarebbe
stata la
parte più difficile.
“Così
hai
conosciuto la Signora Stark durante la premiazione del concorso Art of
the
Future.” Riassunse la guardia del corpo, risvegliando Steven
dalle sue
riflessioni tormentate.
“Sì,
è quello che
ho detto.”
La
guardia sembrò
sovrappensiero. “Strano, però.”
“Strano
che
cosa?”, domandò Steven, cercando di nascondere il
suo disorientamento.
“La
Signora Stark
avrebbe potuto ingaggiare un pittore professionista, non un ragazzo
dilettante.”
Steven
inizialmente pensò di rispondergli, ma alla fine si rese
conto di essere
sorprendentemente d’accordo con lui. La Signora Stark era
ricca, questo lo
aveva capito subito dall’abito elegante che aveva indosso il
giorno del loro
incontro, quindi poteva permettersi i migliori artisti disponibili per
il
ritratto alla sua famiglia, però aveva voluto lui. Un
ragazzo di venticinque
anni che disponeva solo di qualche matita e pennello per disegnare,
come gli
aveva confidato durante la loro conversazione. Improvvisamente
un’ondata di
delusione mista a vergogna lo travolse. Era quello il motivo per il
quale Maria
lo aveva scelto? Perché provava pena per lui e la sua
condizione di miseria?
Sinceramente da parte di una donna intelligente come Maria, lui si
aspettava
molto di più, non della semplice compassione.
Infilando
le mani dentro le tasche dei pantaloni, Steven ingoiò amaro
e decise che per
quel giorno ne aveva avuto abbastanza. L’umiliazione lo stava
divorando in
fretta. Senza aggiungere altro, voltò le spalle e fece un
passo indietro.
“E
tu chi sei, biondino?”
Una
voce dal tono spigliato lo raggiunse dietro le spalle. Istintivamente
Steven
voltò la testa di lato e incontrò due occhi
ambrati. Non poteva essere, pensò
frastornato mentre guardava gli occhi dello sconosciuto dietro di lui.
Ritornò
sui suoi passi per guardare meglio, senza preoccuparsi che non aveva
ancora
risposto alla domanda.
“Anthony.”
Disse di colpo, prima di riuscire a frenare la lingua. Dal tono
entusiasta
della sua voce sembrava che aveva appena incontrato un divo del cinema.
Il
ragazzo aggrottò la fronte, confuso.
“Chi?”
Steven
si morse la lingua, mentre sentiva la vergogna impossessarsi di lui.
Aveva
fatto l’ennesima figuraccia! Come aveva potuto confondere
quel ragazzo dai
capelli arruffati e la canottiera sporca di grasso per
l’elegante Anthony della
foto? Ora che lo guardava meglio, notò che il viso
abbronzato del ragazzo era
sporco di fuliggine. Una linea piatta, grossa gli attraversava il
sopracciglio
scuro, e un’altra linea larga ma non marcata, sovrastava il
carnoso labbro
inferiore. Steven si ritrovò a domandarsi come quel
ragazzo avesse
potuto sporcarsi in quel modo, lavorando in giardino forse, oppure
riparando
una macchina. L’ultima possibilità gli
sembrò più probabile, riconosceva i
segni che lasciava l’olio per lubrificare il motore. Oltre la
pittura, lui
amava i motori.
“Terra
chiama Biondino. Ci sei?”, il ragazzo sventolò una
mano davanti al viso di
Steven, senza nascondere un sorriso divertito.
Steven
sobbalzò, realizzando di aver fissato per troppo tempo il
ragazzo davanti a
lui. “I-Io, s-sono Steven Rogers.”
Balbettò, sentendo le guance arroventarsi.
Sentì il ragazzo ridacchiare con rassegnazione, come se
fosse abituato a quel
tipo di scena. Lui avrebbe voluto chiarire il malinteso ma il ragazzo
parlò per
primo.
“Che
cosa ci fai qui?”
Il
tono della sua voce adesso suonava sospettoso, quindi Steven decise di
usare un
tono distaccato. “Sono qui perché la signora Stark
mi ha chiesto di fare un
ritratto alla sua famiglia.” Rispose, complimentandosi per il
linguaggio
professionale che aveva appena usato.
Il
ragazzo socchiuse gli occhi ambrati, e Steven notò che aveva
le ciglia lunghe
come quelle di una donna. “La Signora Stark ti ha chiesto di
fare un ritratto
alla sua famiglia”, ripeté il ragazzo mentre lo
guardava come se stesse facendo
una scannerizzazione al suo corpo. Steven sentì le guance
arroventarsi ma
decise di ignorarlo e concentrarsi nella conversazione.
“Sì,
è quello che ho detto.” Non capiva
perché le persone dentro quella villa
sembravano avere il vizio di ripetere tutto ciò che lui
diceva. Probabilmente
era una questione di sicurezza, pensò Steven, anche se non
riusciva a capire
come quel ragazzo poteva contribuire alla sicurezza. Non era muscoloso
e
nemmeno alto. Steven lo avrebbe potuto buttare a terra con una semplice
spinta,
e senza nemmeno metterci tutta la forza. Però ora che ci
pensava bene, da
quando quel ragazzo era comparso, la guardia del corpo ora se ne stava
in
disparte dietro sue spalle, in silenzio. Forse quel ragazzo non era
innocuo
come dava a vedere, forse era uno specialista in arti marziali. Steven
irrigidì
il corpo e con occhi guardinghi controllò ogni mossa del
corpo del ragazzo, che
ancora lo stava scannerizzando con gli occhi.
“Ti ha scelto
bene”, disse improvvisamente il
ragazzo con approvazione, piantando i suoi occhi in quelli di Steven,
che
arrossì senza capire il motivo. Quel ragazzo lo metteva a
disagio.
“G-grazie?”,
tentennò Steven. Non capiva il senso di quel complimento,
non gli aveva
mostrato nessun suo disegno.
“Scommetto
che tu sei il suo nuovo chardonneret”,
disse
il ragazzo con uno strano sorriso sulle labbra.
Steven
questa volta non rispose. Perché lo aveva chiamato come il
vino francese? E
cosa significava quel sorrisetto sulle labbra? Sentì di
nuovo le guance
arroventarsi e una smania di nascondersi da qualche parte per sfuggire
al suo
sguardo. Si sorprese di provare tanta soggezione nei confronti di uno
sconosciuto. Ora che ci pensava il ragazzo non aveva detto il suo nome,
quindi
Steven pensò di domandarglielo, soprattutto per interrompere
lo scomodo
silenzio che si era creato.
“Tu
come ti chiami?”, domandò educatamente, forzando
un sorriso amichevole. Quel
ragazzo non era mica un mostro!
“Non
ha importanza.” Rispose indifferente il ragazzo, poi con un
sorriso invitò
Steven a seguirlo. “Dai, entriamo in casa, sono sicuro che la
signora Stark ti
starà aspettando con impazienza.”
Ecco,
ha usato di nuovo quel tono mellifluo, pensò Steven.
Perché aveva la sgradevole
sensazione di essere preso in giro? Stava ignorando qualcosa di
così ovvio da
apparire uno stupido?
Guardò
il ragazzo parlare vivacemente con la guardia del corpo, che non gli
staccava
gli occhi di dosso. Non c’era alcuna malizia nello sguardo
dell’uomo, però
Steven intuiva che per lui quel ragazzo era molto importante. Forse
erano
parenti.
“Allora,
Happy, perché hai fermato Steven?”
La
domanda del ragazzo tolse ogni dubbio a Steven, i due non erano
parenti. Spostò
lo sguardo verso la guardia del corpo e lo sentì dire la
parola ‘signore’,
prima che il ragazzo scoccasse un’occhiata significativa in
direzione Steven,
mettendolo a tacere. Era evidente che quel ragazzo volesse nascondere
qualcosa.
Ma cosa? Leggermente ansioso, Steven aguzzò le orecchie e
ascoltò la
conversazione, senza però avvicinarsi troppo a loro due.
“Io
ho fermato questo individuo dietro di noi”, iniziò
a dire la guardia del corpo,
indicando con la testa Steven, “Perché pensavo che
fosse un ladro.”
“Oh,
Happy!”, esclamò il ragazzo con finta
disapprovazione. “Come hai potuto
scambiare Steven per un ladro.”
“Per
com’è vestito! Non ho mai visto
un’artista vestito come uno straccione.”
Rispose prontamente l’uomo, facendo arrossire Steven per
l’indignazione. Non
era colpa sua se i suoi unici vestiti eleganti si fossero rovinati
durante il
viaggio! Non rispose solo perché voleva sentire la
conversazione e finalmente
capire che cosa gli stava nascondendo il ragazzo.
“Non
è vestito da straccione, Happy.” Disse in suo
favore il ragazzo. “Secondo me è
bohèmien.”
“Bohè-cosa?”
“Bohèmien”,
ripeté Steven, aggiungendosi a sorpresa nella conversazione.
Quando c’era di
mezzo l’arte, lui era il primo a intervenire.
I
due si girarono dalla sua parte contemporaneamente, e Steven
notò una luce di
divertimento brillare negli occhi ambrati del ragazzo.
“Non
sapevo che tu sapessi parlare il francese.” Disse il ragazzo,
camminando
all’indietro per poterlo guardare.
Steven
abbozzò un sorriso. “Infatti non so parlare il
francese, però conosco molti
termini perché l’arte francese ha influenzato
molto sia l’arte contemporanea
che quella barocca.”
Il
ragazzo lo guardò, soprappensiero.
“Già”, disse senza particolare
convinzione,
come se quello che aveva appena detto Steven non gli importasse
più di tanto.
Continuò a fissarlo, e per tutto il tragitto non
inciampò nemmeno una volta.
Sembrava conoscere bene la salita che portava all’enorme casa
Stark, e Steven
non ne fu ammirato ma solo infastidito. Non sopportava le persone che
lo
fissavano in silenzio.
Pochi
minuti dopo, arrivarono finalmente davanti all’ingresso
dell’enorme casa. E
quando la porta si aprì, Steven non riuscì a fare
meno di spalancare gli occhi
con ammirazione. Si era aspettato di tutto, da un arredamento
sofisticato a uno
classico, ma non quello che aveva davanti agli occhi in quel momento.
Il
salone era enorme, anzi spazioso. Il pavimento sotto i suoi piedi era
di marmo
chiaro, ma le pareti erano di acciaio verniciato e i divani di pelle
nera. Alzò
in naso e vide che al posto di un lampadario al soffitto
c’erano dei faretti. Abbassò
finalmente lo sguardo e incontro quello del ragazzo, che era in piedi
in mezzo
al salone.
“Dai
avanti, facciamo un giro”, lo invitò, accennando
un sorrisetto divertito che
fece arrossire fino alle punte delle orecchie Steven. Si stava
comportando come
un bambino al parco, si rimproverò, doveva controllarsi.
Seguì
il ragazzo, cercando di nascondere lo stupore per ogni mobile della
casa. Non
aveva mai creduto che potessero esistere tavole lunghissime e cucine
grandi
quanto due stanze, munite di frigoriferi altrettanto enormi. Tutto in
quella
casa era dannatamente enorme e costoso. Mentalmente fece un piccolo
paragone
con la sua di casa, un piccolo villino che sarebbe stato meglio
definire una
baracca. Steven non si vergognava del suo ceto sociale basso, ma della
cura
della casa. Ogni cosa lì era ordinata e pulita, sicuramente
non avrebbe mai
incontrato vestiti sporchi, bottiglie di birra e giocattoli sparsi sul
pavimento.
“Allora,
cosa ne pensi della casa?”, domandò il ragazzo a
fine giro, sedendosi sopra il
bracciolo di un divano del salone.
“Perfetta.”
Disse Steven, guardando il giardino curato fuori dalle enormi finestre
in vetro
temperato. Poi tornò a guardare il ragazzo, arrossendo di
nuovo. Ora si rendeva
conto perché la guardia del corpo lo aveva definito uno
straccione.
“Sono
felice che la casa sia di tuo gradimento, Steven.”
Replicò il ragazzo portando
le braccia in alto e arcuando la schiena.
Steven
lo guardò perplesso, non riuscendo a capire come quel
ragazzo
dall’abbigliamento peggiore del suo riuscisse a sembrare a
proprio agio dentro
quella casa perfetta. Non potevano essere così tanti gli
anni che lavorava in
quella villa, sembrava avere una ventina di anni, non di
più. Incuriosito,
Steven stava per chiedergli l’età, quando una voce
dall’accento inglese parlò
al suo posto.
“Signor
Rogers.”
Steven
si voltò di scatto, imbarazzato e confuso. Nessuno lo aveva
mai chiamato
‘signore’ e sentirselo dire gli fece uno strano
effetto. Schiarendosi la gola,
guardò l’uomo di fronte a lui. Era un maggiordomo,
o almeno così indicavano i
suoi guanti bianchi, la divisa nera, la camicia bianca e le scarpe
lucide. Gli
occhi erano di un azzurro pallido, quasi smorto, però
custodivano uno sguardo
intelligente e perspicace.
“Signor
Rogers, benvenuto in casa Stark”, lo accolse
l’uomo, chinando leggermente la
testa bruna in segno di saluto. “Io sono Jarvis**.”
“Piacere,
Jarvis.” Rispose educatamente Steven porgendo la mano, ma poi
abbassandola
immediatamente quando si rese conto che Jarvis non gliela avrebbe mai
stretta.
“È
un piacere averla qui”, continuò con i convenevoli
il maggiordomo, poi sporse
una mano. “Prego, signor Rogers, mi dia il suo
borsone.”
“Oh,
no, non c’è bisogno, grazie.”
Farfugliò Steven, stringendo le dita attorno
all’asola della sua tracolla. “La porto io.
È pesante, non si preoccupi. C’è la
faccio da solo…”
Probabilmente
avrebbe continuato a dire cose imbarazzanti se Jarvis non avesse avuto
la
gentilezza di spostare lo sguardo dietro le sue spalle.
“Vieni,
andiamo.” Disse Jarvis, e Steven si ricordò che
dietro di lui c’era il ragazzo
del giardino.
“Oh,
ma devo proprio Jarvis?” Si lamentò il ragazzo,
per nulla imbarazzato di
essersi fatto scovare dal maggiordomo seduto sul bracciolo del divano.
“Sì,
sei desiderato da un’altra parte.”
Replicò il maggiordomo.
Steven
sentì il ragazzo sbuffare sonoramente poi lo vide
trascinarsi accanto a lui,
con le mani in tasca e il viso imbronciato come un bambino.
“Odio
quello che devo fare”, borbottò il ragazzo
superandolo e raggiungendo Jarvis. E
prima di abbandonare il salone, si voltò dalla sua parte e
gli sorrise amichevolmente.
“È
stato un piacere conoscerti, Steven”
“Altrettanto.”
Disse Steven, ricordandosi che ancora non sapeva il suo nome. Ma a quel
punto
non gli importava.
“Ci
vediamo, Steven”, disse il ragazzo, e prima che Steven
potesse rispondere,
aggiunse con un sorrisetto “Molto prima di quanto tu
immagini.”
Finalmente,
Steven rimase da solo. Prendendo un grosso respiro rimase nel salone ad
aspettare i signori Stark e figlio, come gli aveva detto Jarvis. Si
guardò
intorno, cercando un modo per scaricare il nervosismo. Pensò
a come presentarsi
ai signori Stark, provò il tono da usare, si
sistemò più volte il maglione e
lisciò i pantaloni, rimproverandosi per l’infelice
scelta che aveva fatto.
Stava decidendo se era meglio presentarsi seduto sulla poltrona o
rimanere in
piedi, quando entrarono nel salone i signori Stark.
Maria
era ancora più bella di come se la ricordava. Era fasciata
in un vestito lilla
scuro che metteva in risalto la sua abbronzatura naturale e le sue
curve
mozzafiato. Steven sentì il corpo pervaso da
un’ondata bollente e dovette
richiamare a sé tutta la volontà per non rimanere
a fissarla imbambolato.
“Steven”,
lo salutò Maria, allargando le sue labbra carnose in un
sorriso perfetto.
“Signora
Stark”, rispose educatamente Steven, mordendosi la lingua tra
i denti per non
chiamarla Maria.
Maria
gli sorrise e con andatura felina, sui suoi tacchi vertiginosi, si
avvicinò a
lui e lo baciò su entrambe le guance.
Steven
sentì il cuore pompare sangue velocemente quando
sentì il respiro caldo di
Maria sul suo viso, e di nuovo un brivido di piacere lo percorse da
capo a
piedi. Profumava di bergamotto e sandalo, un profumo materno che
contrastava
con il suo sguardo magnetico. Sicuramente non aveva lo sguardo spento e
stanco
come la sua di madre, pensò Steven quando lei si
staccò da lui per presentargli
il marito.
“Lui
è mio marito, Howard***.”
Un
signore alto e affascinante, allungò la mano verso Steven e
gliela strinse
vigorosamente.
“Piacere
di conoscerti, Steven”, lo salutò cordialmente,
rivelando una serie di denti
bianchi e dritti. “Non chiamarmi signor Stark, che mi fa
sentire vecchio.”
Steven
sorrise e per la prima volta si sentì tranquillo. Howard,
con suo grande
piacere, lo metteva a suo agio. Il suo aspetto era curato, dai baffi ai
capelli
corti, color nero e ai lati bianco. Steven si domandò quanti
anni Howard poteva
avere rispetto a Maria, che sembrava molto giovane.
“Ah,
chissà dov’è finito
Anthony!”, esclamò contrariato Howard.
“C’è un ospite e lui
si comporta da maleducato!”
Anthony,
pensò Steven, si era dimenticato di lui.
Maria
sorrise e disse “Non ti preoccupare, Howard, sono sicura che
Anthony arriverà
qua a momenti.” Poi rivolse a Steven un sorriso imbarazzato,
come se fosse
mortificata per la situazione e lui si sentì dispiaciuto.
“Chissà
cosa passa per la testa a quel ragazzo”, borbottò
Howard, poi rivolse a Steven
un’occhiata e gli strizzò l’occhio.
Voleva metterlo ad ogni modo a suo agio, e
questo lo fece sentire rispettato,
cosa che non gli capitava di sentirsi da anni.
Poi
improvvisamente, dal corridoio che dava al salone, si sentirono
imprecazioni
seguiti da sbuffi e finalmente Anthony Edward Stark fece la sua
comparsa.
Stupore,
questa era la prima sensazione che travolse Steven mentre guardava il
ragazzo
appena entrato nella sala. Anthony era il ragazzo del giardino.
“Steven,
lui è Anthony, nostro figlio”, gli disse Maria
mentre spingeva delicatamente
Anthony verso di lui.
“Piacere,
Steven”, disse Anthony con tono sostenuto, poi con uno
sbuffo, aggiunse “Puoi
chiamarmi, Tony, se vuoi.”
Steven
gli strinse la mano, incapace di parlare e soprattutto di togliergli
gli occhi
di dosso. Ora si spiegava tutto, lo sguardo della guardia del corpo, il
fatto
che conoscesse il giardino e la casa come le sue tasche. Anthony, o
Tony, era il
proprietario della casa. Adesso capiva perché aveva zittito
la guardia del
corpo poche ore prima, non voleva far capire a Steven chi era in
realtà. Ma
perché? Che cosa lo aveva spinto a non volergli rivelare la
sua identità? Per
caso voleva prenderlo in giro oppure aveva architettato un astuto
stratagemma
affinché Steven gli rivelasse le sue vere intenzioni
credendolo un bugiardo?
Qualunque di queste spiegazioni fosse il vero motivo, Steven si
sentì
profondamente offeso e preso in giro.
“Piacere
di conoscerti, Anthony”, rispose dopo un paio di minuti,
sentendo la gola secca
e il viso arroventato per la rabbia.
“Tony,
ho detto che puoi chiamarmi Tony”, replicò Tony,
ignorando lo sguardo risentito
di Steven.
I
due ragazzi si guardarono per un tempo che parve
un’eternità. Steven a malapena
riusciva a credere che il ragazzo dal viso pulito, il pizzetto curato e
i
capelli corvini ordinati potesse combaciare con il ragazzo trasandato
conosciuto poche ore prima. Era tutta un’altra persona
Anthony, e Steven si
domandò quale delle due versioni fosse quella vera. Con
sentimenti
contrastanti, guardò Anthony intensamente e pensò
che era bello, come un dipinto. Il
termine ‘bello’
di Steven non centrava nulla con i suoi gusti sessuali, il
suo termine era quello di un artista che ammira la bellezza. Anthony
era bello
perché aveva un naso dritto, un corpo proporzionato e uno
sguardo magnetico.
Guardarlo non gli suscitava nessuna attrazione fisica, solo interesse.
Era
bello superficialmente, ma dentro aveva rivelato a Steven di essere
orrendo.
Questo ultimo pensiero lo indusse finalmente a spostare lo sguardo
altrove.
“Bene,
ora che hai conosciuto la mia famiglia, immagino che d’ora in
avanti ti
sentirai più a tuo agio”, disse Maria,
interrompendo il silenzio.
Steven
le sorrise, domandosi come una donna intelligente come lei e un uomo
gentile
come suo marito avessero potuto avere un figlio tanto orrendo. Si diede
dello
stupido per aver passato delle notti insonni a cercare di decifrare lo
sguardo
di Tony, che aveva il tipico sguardo di ragazzo arrogante, e promise a
se
stesso che appena sarebbe tornato a casa avrebbe buttato il quaderno
degli
schizzi nella pattumiera. Si rese conto che stava ancora pensando a
Tony e
decise di iniziare una conversazione con i signori Stark,
così avrebbe smesso
di visualizzare i dannati occhi ambrati di Tony. Oddio,
pensò scandalizzato, lo
stava facendo di nuovo! Meglio che iniziava subito.
“Sono
veramente felice che lei mi abbia chiesto di fare il ritratto alla sua
famiglia”,
iniziò a dire Steven e notò che Tony sbadigliava,
era veramente un maleducato. “Se
vuole, posso iniziare oggi con gli schizzi preparatori.”
Maria
si scambiò un’occhiata con Howard, che
annuì, quindi gli disse “Oh, Steven,
prima di tutto chiamami Maria e dammi del ‘tu’. E
comunque noi vorremo che tu
iniziassi domani. Oggi era solo per farti conoscere mio marito e mio
figlio.”
Steven
annuì, e si sorprese di sentirsi felice. Gli faceva piacere
pensare che avrebbe
rivisto Maria e Howard nuovamente, Anthony escluso.
Le
ultime due ore, Steven le passò parlando seduto sul divano
di pelle con i
signori Stark e per la prima volta in vita sua provò una
sensazione di calore
dentro il petto. Maria e Howard non lo facevano sentire a disagio per
la sua
provenienza, e alla fine Steven smise di pensare al suo maglione
sfilacciato.
“Bene,
è stato davvero bello parlare con te, Steven. Sei un ragazzo
veramente in
gamba.” Si complimentò Howard mentre si alzava dal
divano e gli dava delle
pacche dietro la schiena. Poi rivolse un’occhiata bonaria a
Tony, che per tutto
il tempo era rimasto in silenzio a giocare con il suo telefonino.
“Dovresti
prendere esempio da lui, Anthony!”
Il
ragazzo annuì distrattamente, poi infilando il cellulare in
tasca, rispose
sprezzante “Io credo che la meccanica sia più
divertente dell’arte”, poi
rivolse un’occhiata intensa a Steven. “Le macchine
si lamentano meno.”
Steven
si morse la lingua e strinse i pugni. Non riusciva a capire di quella
frecciatina inopportuna. Lui non si era lamentato, aveva solo
raccontato la sua
vita. Cosa ne sapeva quel ragazzo arrogante cresciuto negli agi che cosa
significava vivere
tirando avanti a fatica? Fortunatamente Maria interruppe i suoi
pensieri, e gli
si avvicinò al viso per baciarlo sulla guancia.
“Sono
felice che tu sia venuto qua, Steven”, gli
sussurrò all’orecchio con tono
confidenziale. Steven per l’ennesima volta in quella giornata
sentì l’ondata di
calore attraversargli il corpo e si sentì in colpa. Tony lo
stava guardando con
occhi pieni di astio.
“Anthony,
per favore, accompagna Steven al cancello”, disse Maria prima
che Anthony
sparisse in uno dei corridoi bui della casa.
Tony
sbuffò scocciato. “Devo proprio?”
“Anthony!”
“Non
c’è bisogno, io…”,
iniziò a dire Steven ma Tony lo interruppe bruscamente.
“Dai,
biondino, seguimi.”
A
malavoglia Steven seguì Tony e una volta fuori dalla casa,
affrettò il passo
per non restare un minuto in più da solo con lui.
“Ehi,
biondino, non correre!”, esclamò Tony mentre con
le mani infilate nelle tasche dei
pantaloni, lo seguiva con passo affaticato. “Queste fottute
scarpe fanno un
male cane!”
Steven
gli scoccò un’occhiata infastidita e
continuò a camminare in fretta.
“Non
ti sto prendendo per il culo! Fermati, cazzo!” si
lamentò Tony. Poi inciampò, ruzzolando
per terra come un sacco di patate.
“Ehi,
tutto bene?”, domandò Steven inginocchiandosi
vicino a lui. Certo, Tony non gli
stava simpatico ma questo non lo autorizzava a essere un maleducato.
Tony
si mise seduto e sibilando per il dolore si tolse le scarpe. I calzini
di cotone
bianco erano macchiati di rosso sulle punte, segno che probabilmente le
vesciche erano scoppiate. Steven sentì una fitta di dolore
al petto,
immaginando la sofferenza che Tony stava provando al momento.
“Merda,
questo è il motivo per il quale mi piacciono le scarpe di
ginnastica”, imprecò
Tony, toccando i piedi e facendo una smorfia. “Queste fottute
scarpe da
damerino sono delle vere trappole mortali!”,
esclamò lanciando da qualche parte
le scarpe.
Steven
guardò allibito Tony. Quelle scarpe sicuramente costavano
una fortuna e lui le
aveva buttate via! Il suo giudizio negativo su Tony peggiorò
ulteriormente. Quindi
si alzò e senza guardarlo negli occhi gli offrì
una mano per aiutarlo ad
alzarsi.
“Non
sono una donna, biondino.” Sibilò Tony scansando
malamente la sua mano e si alzò
emettendo grugniti misti a imprecazioni.
“Come
vuoi.” Disse risentito tra i denti. Quel ragazzo lo stava
facendo impazzire! Poi
aggiunse “Io mi chiamo Steven, non biondino.”
Tony
lo ignorò e continuò a camminare davanti a lui,
zoppicando sul selciato.
I
due ragazzi non si scambiarono una parola, fino a quando non arrivarono
avanti
all’enorme cancello di ferro. Steven aveva una voglia matta di
correre via.
“Bè,
grazie di tutto, Anthony”, farfugliò Steven
affrettandosi a uscire dalla villa.
Non riusciva a chiamarlo Tony.
“Di
niente, Steven.”
Steven
voltò la testa di scatto dalla parte di Tony. Lo aveva
chiamato per nome. E il
modo in cui disse il suo nome gli diede una scarica elettrica e gli
prosciugò
la bocca.
Tony
gli sorrise e intrecciò lo sguardo con il suo.
C’era interesse nel suo sguardo,
pensò Steven, e qualcos’altro che non riusciva a
decifrare. Era lo stesso
sguardo che lo aveva tormentato per notti intere. Il respiro gli si
bloccò in
gola. Non riusciva a staccare gli occhi di dosso a Tony.
‘I know you want me, You know I want cha’, La suoneria del cellulare
di Tony lo fece
sobbalzare. Di nuovo lo aveva fissato per troppo tempo.
“I-Io
v-vado via”, balbettò, sentendo le guance
arroventarsi. Quindi senza nemmeno
dare il tempo a Tony di rispondere, Steven corse via come un fulmine e
solo
quando arrivò a metà strada, sfiatato, decise di
comporre il numero del taxi.
Note:
*La
Maria descritta nella mia storia fisicamente è quella di
Earth 616. Se volete
dare uno sguardo, ecco il sito
http://marvel.wikia.com/Maria_Carbonell_(Earth-616)
**Ho
voluto rendere Jarvis umano, poiché nella versione originale
lo è.
***Howard
è OOc, immagino. Ma non vi assicuro che è voluto.
Sì,
Steven ha una cotta per Maria, ma è un ragazzo dopotutto.