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Autore: nena92    22/05/2014    2 recensioni
AU
Steven Rogers ha sempre desiderato conoscere una famiglia perfetta. E quando la conturbante Maria Stark le apre le porte della sua famiglia per chiedergli di fare un ritratto, Steven rimane incantato da ciò che vede. Maria è bellissima, Howard è intelligente...L'unico estraneo sembra Anthony, il loro figlio, un ragazzo dallo sguardo che affascina e che in realtà nasconde molti segreti. Steven presto imparerà che non esistono le famiglie perfette e che possono sfasciarsi facilmente, sopratutto quando si inizia una losca e torbida relazione con uno dei componenti...
Stony e non solo...
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte, questa è la mia prima Stony. Prima di scrivere una storia su questa coppia, ho letto molte storie su di loro, ma se ho reso i personaggi OOc fatemelo sapere. Grazie.

Perdonate l’HTML orrendo, ma il pc non vuole collaborare.

                                                     

Il ragazzo del giardino.

 

Steven Rogers non sapeva più che fare. Possibile che quella guardia del corpo urlante non avesse ancora capito che lui non era entrato nella villa per rubare? Steven ci riprovò, sventolando il biglietto da visita che gli era stato dato da presentare all’entrata della villa e che non servì a nulla.

“Guarda, c’è scritto Stark Industries. Come potrei avere questo biglietto se non conoscessi il proprietario?”

Non sembrò funzionare. La guardia del corpo alzò ancora di più la voce, rivelando di essere irlandese per il suo forte accento. Steven fece un passo indietro, cercando di ripararsi da quell’assalto verbale. Era tutto così dannatamente ingiusto! Lui era entrato nella villa perché il cancello aperto lo aveva preso come un invito esplicito, e quella guardia del corpo lo aveva fermato dicendogli che lui era uno straccione e che doveva arrestarlo per tentato furto. Non era la prima volta che Steven si sentiva giudicato per il suo aspetto fisico, ma non gli era mai successo per il suo abbigliamento! Inizialmente non aveva potuto fare a meno di dare ragione alla guardia del corpo, i suoi jeans migliori erano sbiaditi e l’unico maglione elegante era sbrindellato alla manica destra. Ma dopo pochi minuti di dubbi e di scuse, Steven era giunto alla giusta conclusione che quella guardia del corpo fosse un paranoico della sicurezza.

“Senta signore, io sono venuto qua per fare un ritratto alla famiglia Stark.” Tentò di spiegare di nuovo con tono forzatamente gentile, un litigio alle prime ore del mattino non era l’idea di accoglienza che lui si aspettava. “È stata la signora Stark a chiedermi di venire qua. Lei personalmente mi ha chiesto di fare il ritratto alla sua famiglia.”

“Come ti permetti di mettere in mezzo a questa faccenda la signora Stark!”, ringhiò l’uomo, aggiungendo poi un gesto con la mano, che Steven giudicò volgare. “Scommetto che sei uno stalker. Anzi, un MILF.

Steven sentì le guance diventare roventi per la vergogna. Non sapeva che significasse MILF, ma da come l’uomo aveva piegato la bocca in una smorfia, Steven intuì che non era un complimento. Tutte quelle accuse non avevano senso, lui era un ragazzo onesto e per bene, vestiti consunti a parte.

Ormai preso dalla disperazione, infantilmente, Steven batté un piede per terra e ad alta voce protestò. “Io non sono un MILF, o come si dice. Io sono solo un’artista, o almeno provo a esserlo! Sono anni che ci provo!” Sarcasticamente si complimentò con se stesso per aver aggiunto quell’informazione personale senza alcuna necessità. Probabilmente, ora, la guardia del corpo lo avrebbe creduto anche un fallito. Con le guance rosse per l’indignazione, continuò il suo sfogo, enumerando sulla punta delle dita le disavventure che gli erano capitate, dalle porte dell’autobus che gli avevano sbrindellato il maglione, alla litigata con il tassista indisponente sino al suo scontro con la guardia del corpo.

Dopo aver finito suo il racconto, Steven si accorse che la guardia del corpo lo fissava in silenzio. Probabilmente si sentiva mortificato, pensò Steven, anche se la sua espressione distaccata diceva tutt’altro.

Dopo pochi minuti di silenzio, la guardia parlò di nuovo. “Oh, ma che tragedia.” Calcò l’ultima parola con cattiveria, e Steven capì che lo stava prendendo in giro. “Senti, ragazzo, nel tuo patetico resoconto non mi hai detto come hai conosciuto la Signora Stark.”

Steven sussultò. Non riusciva a credere che per una volta, da quando era entrato nella villa, la guardia del corpo avesse detto finalmente una cosa sensata. Avrebbe dovuto dirlo prima, anche per spiegare perché avesse un biglietto da visita appartenente alla Stark Industries. Schiarendosi la gola, Steven fece un breve resoconto su come aveva incontrato la Signora Stark, anche se dentro la sua mente aveva impresso a fuoco ogni dettaglio, profumo e colore di quell’incontro. *Maria non era una donna che si dimenticava facilmente. Aveva capelli neri profumati di cannella, occhi color ambra dallo sguardo magnetico e un corpo mozzafiato, che Steven aveva faticato parecchio a non fissare mentre lei gli mostrava la foto della sua famiglia. Doveva ammettere che era rimasto un po’ male quando lei aveva detto di essere una donna sposata, ma poi la sua delusione era svanita quando il suo sguardo si era soffermato su Anthony Edward Stark, il figlio di Maria. I suoi occhi, dello stesso colore della madre, avevano anche la stessa carica magnetica, ma con qualcosa in più, che Steven non seppe decifrare. Gli occhi di Anthony lo avevano tormentato per giorni e avevano affollato le pagine del suo quaderno, facendolo arrivare alla conclusione che disegnare i suoi occhi sarebbe stata la parte più difficile.

“Così hai conosciuto la Signora Stark durante la premiazione del concorso Art of the Future.” Riassunse la guardia del corpo, risvegliando Steven dalle sue riflessioni tormentate.

“Sì, è quello che ho detto.”

La guardia sembrò sovrappensiero. “Strano, però.”

“Strano che cosa?”, domandò Steven, cercando di nascondere il suo disorientamento.

“La Signora Stark avrebbe potuto ingaggiare un pittore professionista, non un ragazzo dilettante.”

Steven inizialmente pensò di rispondergli, ma alla fine si rese conto di essere sorprendentemente d’accordo con lui. La Signora Stark era ricca, questo lo aveva capito subito dall’abito elegante che aveva indosso il giorno del loro incontro, quindi poteva permettersi i migliori artisti disponibili per il ritratto alla sua famiglia, però aveva voluto lui. Un ragazzo di venticinque anni che disponeva solo di qualche matita e pennello per disegnare, come gli aveva confidato durante la loro conversazione. Improvvisamente un’ondata di delusione mista a vergogna lo travolse. Era quello il motivo per il quale Maria lo aveva scelto? Perché provava pena per lui e la sua condizione di miseria? Sinceramente da parte di una donna intelligente come Maria, lui si aspettava molto di più, non della semplice compassione.

Infilando le mani dentro le tasche dei pantaloni, Steven ingoiò amaro e decise che per quel giorno ne aveva avuto abbastanza. L’umiliazione lo stava divorando in fretta. Senza aggiungere altro, voltò le spalle e fece un passo indietro.

“E tu chi sei, biondino?”

Una voce dal tono spigliato lo raggiunse dietro le spalle. Istintivamente Steven voltò la testa di lato e incontrò due occhi ambrati. Non poteva essere, pensò frastornato mentre guardava gli occhi dello sconosciuto dietro di lui. Ritornò sui suoi passi per guardare meglio, senza preoccuparsi che non aveva ancora risposto alla domanda.

“Anthony.” Disse di colpo, prima di riuscire a frenare la lingua. Dal tono entusiasta della sua voce sembrava che aveva appena incontrato un divo del cinema.

Il ragazzo aggrottò la fronte, confuso. “Chi?”

Steven si morse la lingua, mentre sentiva la vergogna impossessarsi di lui. Aveva fatto l’ennesima figuraccia! Come aveva potuto confondere quel ragazzo dai capelli arruffati e la canottiera sporca di grasso per l’elegante Anthony della foto? Ora che lo guardava meglio, notò che il viso abbronzato del ragazzo era sporco di fuliggine. Una linea piatta, grossa gli attraversava il sopracciglio scuro, e un’altra linea larga ma non marcata, sovrastava il carnoso labbro inferiore. Steven si ritrovò a domandarsi come quel ragazzo avesse potuto sporcarsi in quel modo, lavorando in giardino forse, oppure riparando una macchina. L’ultima possibilità gli sembrò più probabile, riconosceva i segni che lasciava l’olio per lubrificare il motore. Oltre la pittura, lui amava i motori.

“Terra chiama Biondino. Ci sei?”, il ragazzo sventolò una mano davanti al viso di Steven, senza nascondere un sorriso divertito.

Steven sobbalzò, realizzando di aver fissato per troppo tempo il ragazzo davanti a lui. “I-Io, s-sono Steven Rogers.” Balbettò, sentendo le guance arroventarsi. Sentì il ragazzo ridacchiare con rassegnazione, come se fosse abituato a quel tipo di scena. Lui avrebbe voluto chiarire il malinteso ma il ragazzo parlò per primo.

“Che cosa ci fai qui?”

Il tono della sua voce adesso suonava sospettoso, quindi Steven decise di usare un tono distaccato. “Sono qui perché la signora Stark mi ha chiesto di fare un ritratto alla sua famiglia.” Rispose, complimentandosi per il linguaggio professionale che aveva appena usato.

Il ragazzo socchiuse gli occhi ambrati, e Steven notò che aveva le ciglia lunghe come quelle di una donna. “La Signora Stark ti ha chiesto di fare un ritratto alla sua famiglia”, ripeté il ragazzo mentre lo guardava come se stesse facendo una scannerizzazione al suo corpo. Steven sentì le guance arroventarsi ma decise di ignorarlo e concentrarsi nella conversazione.

“Sì, è quello che ho detto.” Non capiva perché le persone dentro quella villa sembravano avere il vizio di ripetere tutto ciò che lui diceva. Probabilmente era una questione di sicurezza, pensò Steven, anche se non riusciva a capire come quel ragazzo poteva contribuire alla sicurezza. Non era muscoloso e nemmeno alto. Steven lo avrebbe potuto buttare a terra con una semplice spinta, e senza nemmeno metterci tutta la forza. Però ora che ci pensava bene, da quando quel ragazzo era comparso, la guardia del corpo ora se ne stava in disparte dietro sue spalle, in silenzio. Forse quel ragazzo non era innocuo come dava a vedere, forse era uno specialista in arti marziali. Steven irrigidì il corpo e con occhi guardinghi controllò ogni mossa del corpo del ragazzo, che ancora lo stava scannerizzando con gli occhi.

 “Ti ha scelto bene”, disse improvvisamente il ragazzo con approvazione, piantando i suoi occhi in quelli di Steven, che arrossì senza capire il motivo. Quel ragazzo lo metteva a disagio.

“G-grazie?”, tentennò Steven. Non capiva il senso di quel complimento, non gli aveva mostrato nessun suo disegno.

“Scommetto che tu sei il suo nuovo chardonneret”, disse il ragazzo con uno strano sorriso sulle labbra.

Steven questa volta non rispose. Perché lo aveva chiamato come il vino francese? E cosa significava quel sorrisetto sulle labbra? Sentì di nuovo le guance arroventarsi e una smania di nascondersi da qualche parte per sfuggire al suo sguardo. Si sorprese di provare tanta soggezione nei confronti di uno sconosciuto. Ora che ci pensava il ragazzo non aveva detto il suo nome, quindi Steven pensò di domandarglielo, soprattutto per interrompere lo scomodo silenzio che si era creato.

“Tu come ti chiami?”, domandò educatamente, forzando un sorriso amichevole. Quel ragazzo non era mica un mostro!

“Non ha importanza.” Rispose indifferente il ragazzo, poi con un sorriso invitò Steven a seguirlo. “Dai, entriamo in casa, sono sicuro che la signora Stark ti starà aspettando con impazienza.”

Ecco, ha usato di nuovo quel tono mellifluo, pensò Steven. Perché aveva la sgradevole sensazione di essere preso in giro? Stava ignorando qualcosa di così ovvio da apparire uno stupido?

Guardò il ragazzo parlare vivacemente con la guardia del corpo, che non gli staccava gli occhi di dosso. Non c’era alcuna malizia nello sguardo dell’uomo, però Steven intuiva che per lui quel ragazzo era molto importante. Forse erano parenti.

“Allora, Happy, perché hai fermato Steven?”

La domanda del ragazzo tolse ogni dubbio a Steven, i due non erano parenti. Spostò lo sguardo verso la guardia del corpo e lo sentì dire la parola ‘signore’, prima che il ragazzo scoccasse un’occhiata significativa in direzione Steven, mettendolo a tacere. Era evidente che quel ragazzo volesse nascondere qualcosa. Ma cosa? Leggermente ansioso, Steven aguzzò le orecchie e ascoltò la conversazione, senza però avvicinarsi troppo a loro due.

“Io ho fermato questo individuo dietro di noi”, iniziò a dire la guardia del corpo, indicando con la testa Steven, “Perché pensavo che fosse un ladro.”

“Oh, Happy!”, esclamò il ragazzo con finta disapprovazione. “Come hai potuto scambiare Steven per un ladro.”

“Per com’è vestito! Non ho mai visto un’artista vestito come uno straccione.” Rispose prontamente l’uomo, facendo arrossire Steven per l’indignazione. Non era colpa sua se i suoi unici vestiti eleganti si fossero rovinati durante il viaggio! Non rispose solo perché voleva sentire la conversazione e finalmente capire che cosa gli stava nascondendo il ragazzo.

“Non è vestito da straccione, Happy.” Disse in suo favore il ragazzo. “Secondo me è bohèmien.”

“Bohè-cosa?”

“Bohèmien”, ripeté Steven, aggiungendosi a sorpresa nella conversazione. Quando c’era di mezzo l’arte, lui era il primo a intervenire.

I due si girarono dalla sua parte contemporaneamente, e Steven notò una luce di divertimento brillare negli occhi ambrati del ragazzo.

“Non sapevo che tu sapessi parlare il francese.” Disse il ragazzo, camminando all’indietro per poterlo guardare.

Steven abbozzò un sorriso. “Infatti non so parlare il francese, però conosco molti termini perché l’arte francese ha influenzato molto sia l’arte contemporanea che quella barocca.”

Il ragazzo lo guardò, soprappensiero. “Già”, disse senza particolare convinzione, come se quello che aveva appena detto Steven non gli importasse più di tanto. Continuò a fissarlo, e per tutto il tragitto non inciampò nemmeno una volta. Sembrava conoscere bene la salita che portava all’enorme casa Stark, e Steven non ne fu ammirato ma solo infastidito. Non sopportava le persone che lo fissavano in silenzio.

Pochi minuti dopo, arrivarono finalmente davanti all’ingresso dell’enorme casa. E quando la porta si aprì, Steven non riuscì a fare meno di spalancare gli occhi con ammirazione. Si era aspettato di tutto, da un arredamento sofisticato a uno classico, ma non quello che aveva davanti agli occhi in quel momento.

Il salone era enorme, anzi spazioso. Il pavimento sotto i suoi piedi era di marmo chiaro, ma le pareti erano di acciaio verniciato e i divani di pelle nera. Alzò in naso e vide che al posto di un lampadario al soffitto c’erano dei faretti. Abbassò finalmente lo sguardo e incontro quello del ragazzo, che era in piedi in mezzo al salone.

“Dai avanti, facciamo un giro”, lo invitò, accennando un sorrisetto divertito che fece arrossire fino alle punte delle orecchie Steven. Si stava comportando come un bambino al parco, si rimproverò, doveva controllarsi.

Seguì il ragazzo, cercando di nascondere lo stupore per ogni mobile della casa. Non aveva mai creduto che potessero esistere tavole lunghissime e cucine grandi quanto due stanze, munite di frigoriferi altrettanto enormi. Tutto in quella casa era dannatamente enorme e costoso. Mentalmente fece un piccolo paragone con la sua di casa, un piccolo villino che sarebbe stato meglio definire una baracca. Steven non si vergognava del suo ceto sociale basso, ma della cura della casa. Ogni cosa lì era ordinata e pulita, sicuramente non avrebbe mai incontrato vestiti sporchi, bottiglie di birra e giocattoli sparsi sul pavimento.

“Allora, cosa ne pensi della casa?”, domandò il ragazzo a fine giro, sedendosi sopra il bracciolo di un divano del salone.

“Perfetta.” Disse Steven, guardando il giardino curato fuori dalle enormi finestre in vetro temperato. Poi tornò a guardare il ragazzo, arrossendo di nuovo. Ora si rendeva conto perché la guardia del corpo lo aveva definito uno straccione.

“Sono felice che la casa sia di tuo gradimento, Steven.” Replicò il ragazzo portando le braccia in alto e arcuando la schiena.

Steven lo guardò perplesso, non riuscendo a capire come quel ragazzo dall’abbigliamento peggiore del suo riuscisse a sembrare a proprio agio dentro quella casa perfetta. Non potevano essere così tanti gli anni che lavorava in quella villa, sembrava avere una ventina di anni, non di più. Incuriosito, Steven stava per chiedergli l’età, quando una voce dall’accento inglese parlò al suo posto.

“Signor Rogers.”

Steven si voltò di scatto, imbarazzato e confuso. Nessuno lo aveva mai chiamato ‘signore’ e sentirselo dire gli fece uno strano effetto. Schiarendosi la gola, guardò l’uomo di fronte a lui. Era un maggiordomo, o almeno così indicavano i suoi guanti bianchi, la divisa nera, la camicia bianca e le scarpe lucide. Gli occhi erano di un azzurro pallido, quasi smorto, però custodivano uno sguardo intelligente e perspicace.

“Signor Rogers, benvenuto in casa Stark”, lo accolse l’uomo, chinando leggermente la testa bruna in segno di saluto. “Io sono Jarvis**.”

“Piacere, Jarvis.” Rispose educatamente Steven porgendo la mano, ma poi abbassandola immediatamente quando si rese conto che Jarvis non gliela avrebbe mai stretta.

“È un piacere averla qui”, continuò con i convenevoli il maggiordomo, poi sporse una mano. “Prego, signor Rogers, mi dia il suo borsone.”

“Oh, no, non c’è bisogno, grazie.” Farfugliò Steven, stringendo le dita attorno all’asola della sua tracolla. “La porto io. È pesante, non si preoccupi. C’è la faccio da solo…”

Probabilmente avrebbe continuato a dire cose imbarazzanti se Jarvis non avesse avuto la gentilezza di spostare lo sguardo dietro le sue spalle.

“Vieni, andiamo.” Disse Jarvis, e Steven si ricordò che dietro di lui c’era il ragazzo del giardino.

“Oh, ma devo proprio Jarvis?” Si lamentò il ragazzo, per nulla imbarazzato di essersi fatto scovare dal maggiordomo seduto sul bracciolo del divano.

“Sì, sei desiderato da un’altra parte.” Replicò il maggiordomo.

Steven sentì il ragazzo sbuffare sonoramente poi lo vide trascinarsi accanto a lui, con le mani in tasca e il viso imbronciato come un bambino.

“Odio quello che devo fare”, borbottò il ragazzo superandolo e raggiungendo Jarvis. E prima di abbandonare il salone, si voltò dalla sua parte e gli sorrise amichevolmente.

“È stato un piacere conoscerti, Steven”

“Altrettanto.” Disse Steven, ricordandosi che ancora non sapeva il suo nome. Ma a quel punto non gli importava.

“Ci vediamo, Steven”, disse il ragazzo, e prima che Steven potesse rispondere, aggiunse con un sorrisetto “Molto prima di quanto tu immagini.”

Finalmente, Steven rimase da solo. Prendendo un grosso respiro rimase nel salone ad aspettare i signori Stark e figlio, come gli aveva detto Jarvis. Si guardò intorno, cercando un modo per scaricare il nervosismo. Pensò a come presentarsi ai signori Stark, provò il tono da usare, si sistemò più volte il maglione e lisciò i pantaloni, rimproverandosi per l’infelice scelta che aveva fatto. Stava decidendo se era meglio presentarsi seduto sulla poltrona o rimanere in piedi, quando entrarono nel salone i signori Stark.

Maria era ancora più bella di come se la ricordava. Era fasciata in un vestito lilla scuro che metteva in risalto la sua abbronzatura naturale e le sue curve mozzafiato. Steven sentì il corpo pervaso da un’ondata bollente e dovette richiamare a sé tutta la volontà per non rimanere a fissarla imbambolato.

“Steven”, lo salutò Maria, allargando le sue labbra carnose in un sorriso perfetto.

“Signora Stark”, rispose educatamente Steven, mordendosi la lingua tra i denti per non chiamarla Maria.

Maria gli sorrise e con andatura felina, sui suoi tacchi vertiginosi, si avvicinò a lui e lo baciò su entrambe le guance.

Steven sentì il cuore pompare sangue velocemente quando sentì il respiro caldo di Maria sul suo viso, e di nuovo un brivido di piacere lo percorse da capo a piedi. Profumava di bergamotto e sandalo, un profumo materno che contrastava con il suo sguardo magnetico. Sicuramente non aveva lo sguardo spento e stanco come la sua di madre, pensò Steven quando lei si staccò da lui per presentargli il marito.

“Lui è mio marito, Howard***.”

Un signore alto e affascinante, allungò la mano verso Steven e gliela strinse vigorosamente.

“Piacere di conoscerti, Steven”, lo salutò cordialmente, rivelando una serie di denti bianchi e dritti. “Non chiamarmi signor Stark, che mi fa sentire vecchio.”

Steven sorrise e per la prima volta si sentì tranquillo. Howard, con suo grande piacere, lo metteva a suo agio. Il suo aspetto era curato, dai baffi ai capelli corti, color nero e ai lati bianco. Steven si domandò quanti anni Howard poteva avere rispetto a Maria, che sembrava molto giovane.

“Ah, chissà dov’è finito Anthony!”, esclamò contrariato Howard. “C’è un ospite e lui si comporta da maleducato!”

Anthony, pensò Steven, si era dimenticato di lui.

Maria sorrise e disse “Non ti preoccupare, Howard, sono sicura che Anthony arriverà qua a momenti.” Poi rivolse a Steven un sorriso imbarazzato, come se fosse mortificata per la situazione e lui si sentì dispiaciuto.

“Chissà cosa passa per la testa a quel ragazzo”, borbottò Howard, poi rivolse a Steven un’occhiata e gli strizzò l’occhio. Voleva metterlo ad ogni modo a suo agio, e questo lo fece sentire rispettato, cosa che non gli capitava di sentirsi da anni.

Poi improvvisamente, dal corridoio che dava al salone, si sentirono imprecazioni seguiti da sbuffi e finalmente Anthony Edward Stark fece la sua comparsa.

Stupore, questa era la prima sensazione che travolse Steven mentre guardava il ragazzo appena entrato nella sala. Anthony era il ragazzo del giardino.

“Steven, lui è Anthony, nostro figlio”, gli disse Maria mentre spingeva delicatamente Anthony verso di lui.

“Piacere, Steven”, disse Anthony con tono sostenuto, poi con uno sbuffo, aggiunse “Puoi chiamarmi, Tony, se vuoi.”

Steven gli strinse la mano, incapace di parlare e soprattutto di togliergli gli occhi di dosso. Ora si spiegava tutto, lo sguardo della guardia del corpo, il fatto che conoscesse il giardino e la casa come le sue tasche. Anthony, o Tony, era il proprietario della casa. Adesso capiva perché aveva zittito la guardia del corpo poche ore prima, non voleva far capire a Steven chi era in realtà. Ma perché? Che cosa lo aveva spinto a non volergli rivelare la sua identità? Per caso voleva prenderlo in giro oppure aveva architettato un astuto stratagemma affinché Steven gli rivelasse le sue vere intenzioni credendolo un bugiardo? Qualunque di queste spiegazioni fosse il vero motivo, Steven si sentì profondamente offeso e preso in giro.

“Piacere di conoscerti, Anthony”, rispose dopo un paio di minuti, sentendo la gola secca e il viso arroventato per la rabbia.

“Tony, ho detto che puoi chiamarmi Tony”, replicò Tony, ignorando lo sguardo risentito di Steven. 

I due ragazzi si guardarono per un tempo che parve un’eternità. Steven a malapena riusciva a credere che il ragazzo dal viso pulito, il pizzetto curato e i capelli corvini ordinati potesse combaciare con il ragazzo trasandato conosciuto poche ore prima. Era tutta un’altra persona Anthony, e Steven si domandò quale delle due versioni fosse quella vera. Con sentimenti contrastanti, guardò Anthony intensamente e pensò che era bello, come un dipinto. Il termine ‘bello’ di Steven non centrava nulla con i suoi gusti sessuali, il suo termine era quello di un artista che ammira la bellezza. Anthony era bello perché aveva un naso dritto, un corpo proporzionato e uno sguardo magnetico. Guardarlo non gli suscitava nessuna attrazione fisica, solo interesse. Era bello superficialmente, ma dentro aveva rivelato a Steven di essere orrendo. Questo ultimo pensiero lo indusse finalmente a spostare lo sguardo altrove.

“Bene, ora che hai conosciuto la mia famiglia, immagino che d’ora in avanti ti sentirai più a tuo agio”, disse Maria, interrompendo il silenzio.

Steven le sorrise, domandosi come una donna intelligente come lei e un uomo gentile come suo marito avessero potuto avere un figlio tanto orrendo. Si diede dello stupido per aver passato delle notti insonni a cercare di decifrare lo sguardo di Tony, che aveva il tipico sguardo di ragazzo arrogante, e promise a se stesso che appena sarebbe tornato a casa avrebbe buttato il quaderno degli schizzi nella pattumiera. Si rese conto che stava ancora pensando a Tony e decise di iniziare una conversazione con i signori Stark, così avrebbe smesso di visualizzare i dannati occhi ambrati di Tony. Oddio, pensò scandalizzato, lo stava facendo di nuovo! Meglio che iniziava subito.

“Sono veramente felice che lei mi abbia chiesto di fare il ritratto alla sua famiglia”, iniziò a dire Steven e notò che Tony sbadigliava, era veramente un maleducato. “Se vuole, posso iniziare oggi con gli schizzi preparatori.”

Maria si scambiò un’occhiata con Howard, che annuì, quindi gli disse “Oh, Steven, prima di tutto chiamami Maria e dammi del ‘tu’. E comunque noi vorremo che tu iniziassi domani. Oggi era solo per farti conoscere mio marito e mio figlio.”

Steven annuì, e si sorprese di sentirsi felice. Gli faceva piacere pensare che avrebbe rivisto Maria e Howard nuovamente, Anthony escluso.

Le ultime due ore, Steven le passò parlando seduto sul divano di pelle con i signori Stark e per la prima volta in vita sua provò una sensazione di calore dentro il petto. Maria e Howard non lo facevano sentire a disagio per la sua provenienza, e alla fine Steven smise di pensare al suo maglione sfilacciato.

“Bene, è stato davvero bello parlare con te, Steven. Sei un ragazzo veramente in gamba.” Si complimentò Howard mentre si alzava dal divano e gli dava delle pacche dietro la schiena. Poi rivolse un’occhiata bonaria a Tony, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio a giocare con il suo telefonino. “Dovresti prendere esempio da lui, Anthony!”

Il ragazzo annuì distrattamente, poi infilando il cellulare in tasca, rispose sprezzante “Io credo che la meccanica sia più divertente dell’arte”, poi rivolse un’occhiata intensa a Steven. “Le macchine si lamentano meno.”

Steven si morse la lingua e strinse i pugni. Non riusciva a capire di quella frecciatina inopportuna. Lui non si era lamentato, aveva solo raccontato la sua vita. Cosa ne sapeva quel ragazzo arrogante cresciuto negli agi che cosa significava vivere tirando avanti a fatica? Fortunatamente Maria interruppe i suoi pensieri, e gli si avvicinò al viso per baciarlo sulla guancia.

“Sono felice che tu sia venuto qua, Steven”, gli sussurrò all’orecchio con tono confidenziale. Steven per l’ennesima volta in quella giornata sentì l’ondata di calore attraversargli il corpo e si sentì in colpa. Tony lo stava guardando con occhi pieni di astio.

“Anthony, per favore, accompagna Steven al cancello”, disse Maria prima che Anthony sparisse in uno dei corridoi bui della casa.

Tony sbuffò scocciato. “Devo proprio?”

“Anthony!”

“Non c’è bisogno, io…”, iniziò a dire Steven ma Tony lo interruppe bruscamente.

“Dai, biondino, seguimi.”

A malavoglia Steven seguì Tony e una volta fuori dalla casa, affrettò il passo per non restare un minuto in più da solo con lui.

“Ehi, biondino, non correre!”, esclamò Tony mentre con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, lo seguiva con passo affaticato. “Queste fottute scarpe fanno un male cane!”

Steven gli scoccò un’occhiata infastidita e continuò a camminare in fretta.

“Non ti sto prendendo per il culo! Fermati, cazzo!” si lamentò Tony. Poi inciampò, ruzzolando per terra come un sacco di patate.

“Ehi, tutto bene?”, domandò Steven inginocchiandosi vicino a lui. Certo, Tony non gli stava simpatico ma questo non lo autorizzava a essere un maleducato.

Tony si mise seduto e sibilando per il dolore si tolse le scarpe. I calzini di cotone bianco erano macchiati di rosso sulle punte, segno che probabilmente le vesciche erano scoppiate. Steven sentì una fitta di dolore al petto, immaginando la sofferenza che Tony stava provando al momento.

“Merda, questo è il motivo per il quale mi piacciono le scarpe di ginnastica”, imprecò Tony, toccando i piedi e facendo una smorfia. “Queste fottute scarpe da damerino sono delle vere trappole mortali!”, esclamò lanciando da qualche parte le scarpe.

Steven guardò allibito Tony. Quelle scarpe sicuramente costavano una fortuna e lui le aveva buttate via! Il suo giudizio negativo su Tony peggiorò ulteriormente. Quindi si alzò e senza guardarlo negli occhi gli offrì una mano per aiutarlo ad alzarsi.

“Non sono una donna, biondino.” Sibilò Tony scansando malamente la sua mano e si alzò emettendo grugniti misti a imprecazioni.

“Come vuoi.” Disse risentito tra i denti. Quel ragazzo lo stava facendo impazzire! Poi aggiunse “Io mi chiamo Steven, non biondino.”

Tony lo ignorò e continuò a camminare davanti a lui, zoppicando sul selciato.

I due ragazzi non si scambiarono una parola, fino a quando non arrivarono avanti all’enorme cancello di ferro. Steven aveva una voglia matta di correre via.

“Bè, grazie di tutto, Anthony”, farfugliò Steven affrettandosi a uscire dalla villa. Non riusciva a chiamarlo Tony.

“Di niente, Steven.”

Steven voltò la testa di scatto dalla parte di Tony. Lo aveva chiamato per nome. E il modo in cui disse il suo nome gli diede una scarica elettrica e gli prosciugò la bocca.

Tony gli sorrise e intrecciò lo sguardo con il suo. C’era interesse nel suo sguardo, pensò Steven, e qualcos’altro che non riusciva a decifrare. Era lo stesso sguardo che lo aveva tormentato per notti intere. Il respiro gli si bloccò in gola. Non riusciva a staccare gli occhi di dosso a Tony.

I know you want me, You know I want cha’,  La suoneria del cellulare di Tony lo fece sobbalzare. Di nuovo lo aveva fissato per troppo tempo.

“I-Io v-vado via”, balbettò, sentendo le guance arroventarsi. Quindi senza nemmeno dare il tempo a Tony di rispondere, Steven corse via come un fulmine e solo quando arrivò a metà strada, sfiatato, decise di comporre il numero del taxi.

 

Note:

*La Maria descritta nella mia storia fisicamente è quella di Earth 616. Se volete dare uno sguardo, ecco il sito http://marvel.wikia.com/Maria_Carbonell_(Earth-616)

**Ho voluto rendere Jarvis umano, poiché nella versione originale lo è.

***Howard è OOc, immagino. Ma non vi assicuro che è voluto.

Sì, Steven ha una cotta per Maria, ma è un ragazzo dopotutto.

  
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