Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |      
Autore: Akita    22/05/2014    1 recensioni
Quando c'è la guerra, poco importa di passato e futuro: tutti gli uomini sono uguali.
In un futuro remoto, tutto l'odio si concentra su un solo obiettivo: il Nemico.
Ma chi è? Perchè lo stanno combattendo?
Nessuno lo sa: sono tutte anime che brancolano nel buio.
Genere: Guerra, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota dell'Autrice:
Sono quattro anni che non scrivo liberamente, senza un vero e proprio stimolo creativo.
Questo progetto è nato come un esperimento con me stessa, per vedere fino a che punto riesco ad arrivare. Non so quanto gli aggiornamenti potranno essere regolari, ma ci saranno.
La storia per ora si svolge in modo piuttosto generico, ma è mia volontà.
Saranno nove o dieci capitoli, ognuno approfondirà una parte dell'ambientazione,a sè stante.
So, enjoy. 
                                                                        Akita.



Il fucile mi pesa sulle spalle come la fottuta croce di Gesù Cristo.
Fa freddo, un freddo così intenso che abbiamo quasi paura che il respiro si congeli nelle nostre bocche.
 
“Che cazzo ci siamo venuti a fare, qui?”
Caro Jonesy, faccia di ratto, che elemosini sempre carta da lettere o qualunque piccolo straccio pulito per scrivere a casa…certe volte mi faccio la stessa domanda.
 
Da due mesi siamo qui, impantanati nel fango e nella nostra stessa merda, giorno e notte.
Mi fanno male le ossa, non mi sento i piedi. Vorrei togliermi gli stivali, ma ho paura di vedere cosa potrebbe esserci sotto.
 
Dicono che nevicherà presto, e sarà peggio. Per ora piove, schifose gocce pesanti come le bombe che ci buttano addosso.
 
Riuscirò a vederla, la neve? Chissà. Per ora tiriamo avanti, seppelliti in questa tomba che gli alti papaveri osano chiamare trincea.
Se la schiaffassero in culo, la trincea.
 
E dicono che si stava peggio nel passato. A me sembra che non sia cambiato niente, la storia non va tanto per il sottile, quando si parla di morti.
A loro di certo non interessa se ci hanno fritto, se la febbre ci ha divorati, se siamo finiti a far compagnia alla polvere dello spazio.
 
Basta che teniamo la postazione. Poi magari ci daranno una medaglia.
 
Sono stato un gonzo, ma cosa posso farci? A vent’anni tutte le guerre sono giuste. Ci allevano per questo, stordendoci di chiacchiere da quando siamo nella culla.
 
Corri nei campi, sognando il giorno in cui anche tu piloterai, in uniforme bianca come quei bastardi della Royal, una di quelle belle astronavi scintillanti.
Quando poi ti rendi conto della fregatura è troppo tardi, e hai sprecato quindici anni della tua vita a farti sbudellare dal Nemico in qualche remoto angolo dell’universo conosciuto.
 
L’avessi guardato in faccia, questo Nemico!
Solo figure, in lontananza, quando la battaglia si fa abbastanza feroce da permetterci di guadagnare un paio di millimetri.
Figure da colpire, da distruggere, siamo al tiro al bersaglio. Se non fai così, muori anche tu.
 
Dicono che se ti avvicini troppo ti friggono il cervello, come è successo a quel poveraccio del generale, che dopo non metteva due parole insieme.
Da lontano, loro hanno sempre il casco.
Lo detesto.
 
Chiamatemi stronzo, ma a me non piace combattere a faccia coperta. Pugni stretti, contro il viso, come quando facevo da adolescente, non con un’arma spianata, uguale tra gli uguali.
 
Non puoi mai ricordare la faccia di chi stai ammazzando.
Ma qui come fai a ricordare? Siamo bestie da macello, numeri tutti uguali, sigle con cui impiegati al sicuro nella loro poltrona riempiono interi documenti con i loro computerini scintillanti.
 
Io di ricordi ne ho tanti, ma li ho chiusi in un cassetto e ho ingoiato la chiave. Quelli sì che ti fanno uscire pazzo.
Quindici anni ti rivoltano il cervello come un calzino, e alla fine sei da buttare, uno straccio.
 
Tra un po’ verrà il congedo, ma io non lo voglio. Una casa dove tornare non ce l’ho più, i campi sono andati alla malora, mio padre è vecchio e nessuno lo aiuta a coltivare.
Senza famiglia, la tua destinazione è uno dei pianeti interni, quelli che la guerra la vedono dalle notizie e dai volantini patriottici.
Buttato lì come un rifiuto da riciclare, in attesa che l’Armata ti richiami, una sveglia che trilla nel buio: no, preferisco macerarmi in questa tana di ratti.
 
Da quanto dura questa guerra? Perché è scoppiata, cosa vuole da noi il Nemico, cosa vogliamo noi da lui?
Ognuno qui  ha la sua opinione. Soldi, territori.
 
Dopo un po’ di tempo in truppa, smetti di curarti dei sussurri della gente.
Noi sappiamo che sono i cattivi e che dobbiamo sparare, tanto basta. Me ne frego, devo fregarmene e preparo il mio fucile.
Pesa, ogni giorno di più, sega le spalle come gli attrezzi che portavo nel campo per mio papà, quando ero bambino.
Quello però era un peso buono, con quelle cose lì ci facevi crescere le piante.
 
Questo è un peso di morte.
 
Vorrei ribellarmi, ma è troppo tardi per questo. Quindici anni e sono diventato anche io una macchina di morte.
 
Chi lo sa, domani sarà il giorno buono.
 
Un colpo in testa, e addio, torno a sognare per sempre.
Sogno di quando mi sbucciavo le ginocchia e cadevo, e che dolore era quello, da non scordarselo!
Sogno di baci fragranti e rubati, delle alte torri trasparenti della capitale, le fusa di un gatto.
Sarebbe stata una vita diversa, una strada che avrei potuto prendere, cose che avrei potuto fare.
 
Troppi se, e alla fine ti ritrovi uomo fatto, senza donna, senza figli, senza famiglia e senza futuro, buttato in un mare di fango con altri cretini come te.
 
Le bombe fischiano, e noi ci dobbiamo alzare. Tra poco torneranno a colpire.
Forse oggi non mi difenderò.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Akita