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Autore: Mania    22/05/2014    4 recensioni
{ Loki/Sigyn ● Presenza di Nuovi Personaggi, forse non così tanto nuovi ● What if? più o meno ● → Si prega di leggere anche le note finali ← }
{ Fa parte della serie «La fedeltà sboccia da un cuore di sale», ma NON ne è necessaria la conoscenza }
____ Perché ci sono persone che sono destinate a ritrovarsi sempre, anche oltre la fine dei mondi.
« Immaginava l’acre odore di terra bruciata, macerie e carne arsa da fiamme implacabili, ramisti al metallico sapore del sangue con un retrogusto eccessivamente dolciastro – da voltastomaco. E non gli era difficile, nella noia dell’ora di greco, figurarsi anche quante altre battaglie prima della più oscura di tutte fossero state combattute e di quante il Dio del Caos e del Male fosse il responsabile più o meno indirettamente. Nemmeno gli era difficile ricreare con la fantasia le innumerevoli volte in cui le dita di sua moglie si fossero dovute adoperare per curare ogni lacerazione, sporcandosi ancora più del liquido vermiglio fuoriuscente da esse di quanto già non ne fosse ricoperta per la sola colpa di amare una persona da un cuore tanto nefando. »
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Sigyn
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La fedeltà sbocciata da un cuore di sale '
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PROLOGO
P R E M E S S A
Questa è una strana e alquanto bizzarra storia.
All’inizio non ci troverete niente di quello che ci si aspetta – nessun dio, nessun mondo sconosciuto, niente regni e battaglie – e alcunché del film, ma è tutta apparenza. Lasciate scorrere un po’ il testo e troverete ciò che sembra non esserci, perché è solo un trucco.




C A P I T O L O U N I C O ▬
Riflessi di un'altra vita



La montatura degli occhiali era di quelle uscite da un cassetto di trent’anni prima, ritrovate per caso e appoggiati sul naso altrettanto casualmente, senza una vera ragione, giusto per vedere l’effetto che avrebbe fatto indossare un contorno ai propri occhi. Per tale ragione li aveva inforcati la prima volta, per curiosità, e si era ritrovato a fissare il viso allungato e spigoloso da dietro due lenti inesistenti costruite attorno a una struttura marrone – con crepe più scure a Intessere una fantasia tartarugata. I suoi occhi di un verde irreale ricambiavano lo sguardo circospetto – ed erano iridi solcate da un velo scuro, foglie di alberi intrappolati negli strati inferiori della foresta a non prendere mai abbastanza luce per divenire di uno scintillante colore esuberante, estivo e invitante.
Loïc Odilon non possedeva lo stesso fascino smagliante dei suoi coetanei più ammirati della scuola, ma ne aveva uno totalmente suo, coltivato lentamente e con estrema cautela per non rovinarlo con l’eccessiva fretta. Era meticoloso, preciso e paziente, non importava quanto tempo gli sarebbe occorso, ma avrebbe ottenuto ciò che desiderava pagando i prezzi adeguati. La sua era l’attrattiva del mistero, dell’eleganza algida, dell’intelligenza sarcastica e cinica, della padronanza di se stessi in ogni circostanza che ammaliava ed insieme spaventava per la propria freddezza. Nell’immagine che aveva costruito di sé, gli occhiali avrebbero dato un tocco maggiore al proprio personaggio, rifinendo dettagli sui quali lavorava con precisione per calibrarli in un quadro dove teatralità e inganno sortivano ruoli fondamentali.
Si sorrise – un ghigno al proprio riflesso -, prima di prendere la tracolla e scendere in strada per poter affrettarsi ad andare a scuola. Passo regolare, calcolato per apparire tranquillo nonostante il lieve ritardo, imponendosi un’andatura sostenuta senza farla trapelare come tale e aggiungendo l’abilità della fluidità necessaria per passare in mezzo alla folla mattutina senza essere rallentato.
«Buongiorno, Loïc», la voce soffusa di Séline arrivò come ogni giorno puntuale a catturarlo in mezzo alla fiumana, raggiungendolo prima che fossero i chiari boccoli della ragazza a irrompere nel suo campo visivo. Sarebbe potuta essere tutto ciò che desiderava nonostante fosse una studentessa all’inizio del secondo anno, eppure preferiva il ruolo dell’eccentrica in cui vestiva i propri panni con la destrezza di una guerriera amazzone, impregnata della nobiltà della sua famiglia nella quale era nata per poi essere cresciuta dai suoi stessi servitori. Delicata unicamente in apparenza, pungente più di qualsiasi spinta, era in qualche modo lei la responsabile dell’itinerario giornaliero che Loïc aveva deciso di intraprendere dall’anno precedente.
«Anche a te» rispose tranquillamente, concedendole uno sguardo fugace di rimando, lasciando imperturbata la propria aria di distacco e senza la necessità di sottolineare il nuovo dettaglio ad adornare il proprio volto. «Nuova lettura oggi», difficile capire se quella di Loïc fosse una domanda o una semplice costatazione nel rivolgere la propria attenzione al libro stretto tra le affusolate dita della ragazza; stava di fatto che non gli era sfuggito come fosse un diverso volume rispetto ai giorni precedenti.
Leggeva molto, Séline, e Loïc Odilon voleva avere la presunzione che fosse un proprio merito.
L’aveva conosciuta durante il primo mese del primo anno del liceo di lei, sotto il manto delle foglie laminate di rosse fiamme del giardino molto francese della loro scuola privata, dove la tassa per l’iscrizione era alta per far dare un tono alle famiglie che potevano permettersela e non era indice di un’educazione più raffinata. Si era limitato a osservarla in quell’occasione, incuriosito dalla lingua lunga con cui aveva replicato pacata solo nel tono a chi l’aveva infastidita, ignorando deliberatamente che si trattava del figlio di qualcuno di importante del quale non le interessava. L’avevano minacciata, non si era scomposta di mezzo millimetro lasciando intessuto sulle propria labbra carnose un sorriso deliziosamente menefreghista, rimarcando la propria posizione non incline a sottomissione. Il suo aguzzino accompagnato dalla banda di leccapiedi avevano provato ad alzare le mani e Séline si era dimostrata più scaltra, alzando la voce per attirare in un’affermazione fuori contesto, ma talmente ambigua da attirare l’attenzione di chiunque fosse nei dintorni che fino a quel momento avevano ignorato le loro frasi pronunciate sottotono.
Quando le avevano dato della bugiarda, tirando i nervi delle braccia fino a far conficcare nei propri palmi le unghie per la rabbia e digrignando i denti come belve messe dietro le sbarre, Séline aveva marcato il proprio sorriso con una dolcezza rinnovata prima di concludere la propria recita. «Non ha importanza se sia la verità o meno, ma che sia credibile. Tra voi, un gruppetto di arroganti e villani figli di papà, e me, una ragazza giudiziosa dotata di un curriculum impeccabile, a chi darebbero retta? È tutta una questione di apparenza, alla fin fine
L’aveva seguita, aveva scoperto dove abitava e aveva cambiato la sua strada per carpire altro dal manto di luce eccessivamente accecante che emanava – troppo brillante per essere vera, troppo candida per essere possibile. L’aveva conosciuta di persona poco alla volta, quando Séline aveva cominciato a salutarlo durante il tragitto verso la scuola, stufa di rimanere in silenzio a osservarlo di sottecchi camminare a pochi passi da lei ogni giorno. Loïc Odilon aveva compiuto il resto, d’altronde aveva atteso unicamente di non essere lui a protrarsi in ulteriori manovre sottili di avvicinamento alla sua figura.
Era stato fatto tutto per curiosità e per uno strano senso di déjà vu che lei insinuava sotto la sua pelle, come rimembranze di qualcosa andato perduto di cui avvertiva solo gli echi moribondi. Poca importanza possedeva, tuttavia, una simile impressione e più ne aveva quella che Séline gli aveva realmente lasciato impresso, dimostrandosi una giovane ragazza decisamente al di là delle aspettative, all’altezza del livello assai elevato che Loïc si proponeva avessero gli appartenenti a una cerchia stretta di amici. Per tale ragione aveva preso a prestarle i propri libri, perché lei poteva meritarsi quello che per lui era un totale atto di fede e considerazione – cedere a qualcun altro i propri volumi era qualcosa che mai aveva provato a compiere, nemmeno a sua sorella minore aveva concesso un simile privilegio tanta cura ne aveva.
«Mitologia, ho deciso di incrementare la mia conoscenza al riguardo» rispose Séline allungando il braccio in avanti per mostrare la copertina del volume antico. «Quella norrena per la precisione. Sai, ho fatto uno strano sogno al riguardo e allora mi sono messa a cercare qualcosa spinta dalla curiosità», arricciò il naso nel ricordare le immagini di ciò che le aveva animato la notte durante il sonno, ormai sfuocate rispetto a qualche ora prima, ma ancora impresse nella retina a tenerle vivo l’interesse per approfondire l’argomento. I nomi degli dei che avevano preso vita nel mondo onirico le si erano impresse a fuoco, rimanendo a risuonare come echi di onde nelle sue orecchie per poterle permettere di essere precisa nelle sue ricerche.
«Ti fai troppo coinvolgere dalle storie dei supereroi che dilagano sui notiziari, se ti ritrovi a sognare di guerre tra divinità» la prese in giro Loïc, sventolandole sotto il naso il quotidiano odierno sulla cui prima pagina vi era la foto dei combattimenti avvenuti a New York il giorno precedente – una nuova minaccia e vecchi esiti, grazie all’intervento combinato di diversi supereroi. Scontri ormai entrati nei calcoli quotidiani, non destavano più grandi perplessità quanto in passato, ma continuavano ad incutere un certo grado di preoccupazione per chi abitava nelle zone a maggior rischio – e almeno su quel punto, Loïc poteva tirare un sospiro di sollievo dato che Parigi non era nelle mete preferite delle minacce terrestri o cosmiche.
«Più pezzi delle loro vite, soprattutto di un paio di loro. Mi sono sembrate così vivide nella mia mente, come fosse un film in cui ero finita. Quando mi sono svegliata dovevo leggere di loro e così mi sono messa a spulciare nella libreria di mio padre fino a quando non ho trovato questo» ignorò deliberatamente la provocazione di Loïc, preferendo continuare nel proprio discorso piuttosto che dargliela vinta, così fece tamburellare le dita della mano che non sorreggeva il libro sulla copertina illustrata, rovinata dal tempo – scolorita, ma ancora chiara nei contorni della figura protagonista.
«Quello che dio sarebbe?» chiese assecondandola, ghignando nel notare con quanta delicatezza riuscisse a ignorarlo quando non apprezzava le sue uscite costruite apposta per indispettirla. Era adorabile Séline nel suo essere esente da passioni tumultuose, bilanciava le proprie, metteva equilibrio nella sua anima scombussolata riportando alla quiete un mare tartassato da tempeste perenni. Lei, inaspettatamente, sembrava essere stata creata per collocarsi perfettamente al proprio fianco come se fossero stati due pezzi completamenti – incastrati senza lasciare alcuna sbavatura.
«Loki, Dio del Caos e del Male, che impugna la spada forgiata da se stesso, la Lævatein, con la quale porterà il Ragnarok» spiegò con una venatura di entusiasmo brillante in contrasto con il soggetto a cui si riferiva, ma Loïc aveva smesso di chiedersi come potesse avere tante contraddizioni per una persona sola e aveva semplicemente preso a collezionarle in un albo immaginario quanto segreto.
«Sei decisamente bizzarra» osservò senza voler aggiungere altro – e anche se avesse voluto, ormai erano giunti alla struttura scolastica talmente puntualmente da aver appena il tempo di un fugace saluto prima di dirigersi entrambi nelle rispettive classi.
Per quanto l’avesse velatamente presa in giro per essersi svegliata con divinità norrene nella mente, la mitologia era uno dei campi letterali preferiti di Loïc. Le religioni pagane erano ricche di rappresentazioni, di episodi e di figure che per quanto divine erano macchiate di così tanti peccati da sembrare più umani degli stessi umani, sontuosamente legati a passioni troppo intense per poter essere represse e da desideri rancorosi incrostanti in profondità nelle loro anime per essere dimenticati. In un certo senso era persino soddisfatto che anche Séline si fosse avvicinata ad essa, ma dall’altra parte provava un moto di fastidio ridicolo nel pensare che fosse giunta addirittura a sognarli da quanto ne era rimasta affascinata – troppe chiacchiere, d’altronde si facevano attorno ai super uomini che salvavano la Terra da super cattivi creati da loro stessi, che ciclicamente tornavano. Negli anni precedenti alla loro nascita, Loïc sapeva che vi era stato anche un eroe a protezione della Terra che era proprio quel dio norreno del tuono – o almeno così si credeva e d’altronde non c’era nessuno a poter smentire. Era scomparso, come gli altri dei al suo seguito, improvvisamente – dietro di sé vi erano le onde d’urto di una guerra combattuta in un qualche Regno lontano, reflussi di un male troppo intenso per poter essere semplicemente sconfitto e che su di loro era giunto in miasmi malevoli. Poi, più nulla.
Immaginava l’acre odore di terra bruciata, macerie e carne arsa da fiamme implacabili, ramisti al metallico sapore del sangue con un retrogusto eccessivamente dolciastro – da voltastomaco. E non gli era difficile, nella noia dell’ora di greco, figurarsi anche quante altre battaglie prima della più oscura di tutte fossero state combattute e di quante il Dio del Caos e del Male fosse il responsabile più o meno indirettamente. Nemmeno gli era difficile ricreare con la fantasia le innumerevoli volte in cui le dita di sua moglie si fossero dovute adoperare per curare ogni lacerazione, sporcandosi ancora più del liquido vermiglio fuoriuscente da esse di quanto già non ne fosse ricoperta per la sola colpa di amare una persona da un cuore tanto nefando.
Nella pioggia di raggi d’argento, celati nella loro dimora lontana da tutti e retta in una terra in cui erano le ombre a dominare ogni angolo, relegando la luce limpida a eccezioni rare, Lady Sigyn svestiva gli abiti della guerriera per potersi cimentare nella cura delle ferite di Loki. Il dio aveva smesso di lamentarsi dell’inutilità di un simile spreco di tempo secoli prima, vinto dalla testardaggine cocciuta dalla donna e insieme per lasciarle prendere famigliarità, ogni volta, che era tornato vivo ancora, da lei – per lei.
«Ti dedichi alle mie cure con infaticabile dedizione», pronunciò tale frase con le dita a scivolare tra le ciocche pallide, sfuggite all’intreccio della treccia a contornarle il viso, per poterle sollevare il mento in modo da incrociare le iridi di tetre ombre di Sigyn. Le rughe d’espressione formate dalla contrazione dei lineamenti erano di rabbia e preoccupazione, un miscuglio in cui l’amara tristezza rimaneva in sottofondo, ma che non sfuggì all’attenzione di Loki.
«Avete mai pensato che non mi piaccia affatto vedervi ricoperto di tutte queste ferite?» domandò Sigyn, mai stanca di essere al suo fianco, eternamente fedele in qualsiasi circostanza, ma non per questo esente dall’avere il cuore afflitto dalla sofferenza ogni volta che si ritrovava a dovergli rimarginare squarciature nella sua carne e sciacquare via le scie scarlatte. E anche se Loki faceva altrettanto con lei, non vi era molta consolazione se non quella di vivere nel medesimo dolore – insieme.
«So che ti strazia dover sopportare la vista di tutto questo sangue ricoprirmi, ma sarebbe maggiormente tale sentimento se non fossi l’uomo che sono fino in fondo e ciò comporta non essere sempre nella mia forma migliore» asserì ricercando e trovando le labbra della moglie, nel tentativo di sciacquare via parte di quel silente rimprovero che gli stava muovendo più per egoismo che per reale recriminazione.
Sigyn, come aveva imparato a comprendere secoli prima, era una creatura che galleggiava sul mondo senza appigli ad esso, incurante delle sue sorti e con unicamente lui, Loki, a tenerla legata a qualcosa di importante a un’esistenza che altrimenti avrebbe bruciato via nell’esercito meramente per mostrare una forza priva di scopo. Per tale ragione, di tanto in tanto, i suoi occhi si incupivano nella comprensione dell’evidenza che la loro felicità era dettata esclusivamente dal poter condividere sorti infauste e non da una quotidianità regolare – non che in realtà a Sigyn importasse il modo, ma era l’afflizione angosciata che scorgeva in lui a renderla vittima di pensieri cupi.
La sua anima mai era stata preda della frustrazione di cui invece era quella di Loki, mai avrebbe potuto provare l'insoddisfazione al quale era stato sottoposto il proprio spirito – tortura lenta, lacerazioni inferte con mano invisibile e ferma, ad alimentare un malcontento incapace di placarsi, abbeverata da un rancore il cui nero rendeva più chiari anche i remoti angoli della galassia. Sigyn non era fatta per macerare nei propri tormenti, aveva la tempra di chi non si perde nelle proprie passioni – tranne in quella per lui – ed era proprio per tale sua abilità che era in grado di lenire il dolore di ferite astratte con le mani ad accompagnare i baci di cui lo ricopriva.
E quando sprofondava con lei, anche quando ogni suo piano era andato in frantumi e la sorte si era nuovamente rivoltata contro di lui, bastava perdersi nel profumo dei capelli color delle stelle e nelle curve del suo corpo per dimenticare almeno per un po’ il buco nero che portava nel petto. La sua umanità, tutto ciò che di puro rimaneva nella sua vita, era squisitamente merito suo e per questo la venerava silenziosamente, a gesti e sussurri appena udibili mormorati davanti alle sue orecchie, come la regina che sarebbe dovuta essere al proprio fianco – al fianco di un re, del più grande di tutti.
Non l’avrebbe mai ingannata affermando che ciò che desiderava raggiungere era per lei, sarebbe stata una menzogna alla quale non avrebbe mai creduto, ma una parte di lui – piccola e misera – ambiva a vederla ricoperta degli onori che meritava con febbrile impazienza. Sarebbe potuta essere la regina più splendida di tutti i Nove Regni, meravigliosa portatrice di beltà come lo era di morte sul campo di battaglia, e al suo fianco sarebbe perpetuamente rimasta l’unica di essere alla propria altezza. L’aveva scelta per ciò, d’altronde, perché era la sola degna di lui stesso e ne era geloso, egoista e possessivo – un amore distorto, malato e contorto, ma pur comunque amore.
«Lo so, ma ciò non implica conseguentemente che dovrebbe piacermi ugualmente» pronunciò con le labbra a sfiorare ancora quelle del marito e la fronte ad appoggiarsi sulla sua, occhi chiusi ad assaporarne il contatto, il profumo, il respiro a mischiarsi al proprio.
«Cercavo di alleviare le tue pene, mia sposa, e di strapparti via l’aria cruciata che ti affligge.»
«Come sempre, cercate semplicemente ciò che vi farebbe star meglio» mormorò Sigyn sorridendo, priva di qualsiasi forma di rimprovero, in una semplice considerazione dolce nelle sue pieghe – non importava come, l’amore che le donava Loki era l’unico del quale voleva abbeverarsi, anche se avrebbe saputo eternamente del sangue più scarlatto.
Cremisi era il colore sgargiante dell’insegna del nuovo pub aperto sulla strada vicino a una delle poche librerie ancora aperte, in cui si recavano solitamente Loïc e Séline. Il sapore dei libri stampati su carta non era possibile da essere ricreato digitalmente, quindi per quanto non importasse il come si leggevano storie, avendo soldi a disposizione non si facevano mancare rilegature vintage da collezionare, per sfogliare con cura e adorare ogni piccola lettera d’inchiostro vero. La loro preferita aveva una porta d’ingresso tanto piccola da lasciar quasi pensare si potesse trattare di un appartamento e un’insegna talmente scolorita che si capiva solo per chi già conosceva il significato delle parole, e al suo interno era un ammasso di scaffali su cui i volumi erano stati accatastati come i loro contenitori. Spirali di legno in cui la luce giungeva fioca da vecchie lampade i cui vetri non venivano spolverati da ormai diversi anni, permeando l’intera libreria in una penombra perpetua – un crepuscolo immortale.
«Hai programmi per il fine settimana?» domandò Loïc con noncuranza, prestando volutamente la propria attenzione maggiormente alla copertina del libro tra le proprie lunghe dita – falangi sottili, affusolate, curate per produrre movimenti ammalianti –, piuttosto che a lei.
«Non ne ho mai se non con te» rispose Séline tranquillamente, giocando la partita al contrario rispetto a lui. Se Loïc prediligeva non enfatizzare i propri sentimenti, lasciandoli tra le righe in modo che fosse lei sola a coglierli, tradurli e trattenerli a sé, al contrario Séline li serviva senza infiocchettature, con la normalità placida della costatazione fine a se stessa. Non esaltava, ma non nascondeva – mostrava priva di malizia, di eccessi e di esaltazioni. «Però mi sarebbe piaciuto andare al cinema, è uscito un nuovo film che mi piacerebbe vedere.»
«Basta che non sia di supereroi e divinità» acconsentì con sprezzante battuta, posizionandosi dietro di lei per poterle passare il libro che cercava di raggiungere sugli scaffali più in alto. Erano una ventina i centimetri di differenza tra loro – arrotondando per difetto – e non erano strettamente dovuti unicamente alla differenza di tre anni d’età, probabilmente sarebbero rimasti tali anche con gli anni successivi. Aveva ancora la fanciullezza attaccata alla pelle, Séline, e l’adolescenza risplendeva di una luce vivida, ma vi erano tracce marcate di una maturità incredibilmente sviluppata, una profondità a cui pochi giungevano con la cresciuta e che Loïc adorava studiare nei suoi mutamenti.
Per quanto nessuno dei due ne avesse mai discusso, non vi era alcun dubbio per entrambi che anche con l’inizio dell’università di lui l’anno successivo la loro relazione non avrebbe subito alcun problema, perché Séline era scevra da gelosie ed egoismi mentre Loïc aveva poco interesse a disposizione per l’umanità e l’aveva riversato tutto su di lei.
«Ti hanno fatto un torto così grande?» scherzò, ringraziandolo con un cenno del capo.
«Monopolizzano le nostre conversazioni da un po’.»
«In realtà ne ho parlato solo ieri, oggi sei tu ad aver tirato fuori il discorso.»
«Allora rimettiamolo via. Ti passo a prendere alle venti in punto, sii puntuale. Ti porto fuori a cena prima del cinema», suonava molto più simile a un ordine rispetto a una proposta, e quando se ne avvide decise che una rifinitura meno dura non avrebbe in alcun modo compromesso la sua posizione sempre tanto distaccata – anche nelle manifestazioni d’affetto, ricoperte di uno strato di gelida brina perenne. «Se è di tuo gradimento uscire, ovviamente.»
«Con te lo è a prescindere» rispose con gli occhi troppo impegnai a mangiarsi via le parole delle pagine in suo possesso per badagli anche con la vista.
Non le sarebbe bastata una vita per ringraziare Loïc di averla portata in quella libreria all’inizio del suo primo anno di liceo, troppe storie aveva scoperto lì dentro. La libreria di suo padre era per la maggior parte costituita da trattati, da testi storici, da saggi e riduceva veramente troppo pochi ripiani ai romanzi verso i quali Séline era maggiormente attratta – anche se doveva ringraziare la completezza di quella raccolta per aver avuto modo di trovare i testi riguardante la mitologia. Da quando aveva iniziato a frequentare Loïc, aveva una libreria tutta per sé, nella propria camera, e che aveva incredibilmente già riempito abbondantemente, con una dovizia e una voracità incredibile – e anche se comprava più libri di quanti mai ne avrebbe potuti leggere, poco importava, guardarli era già una soddisfazione nel pensare che un giorno finalmente le propria dita avrebbero potuto scorrere tra quelle righe, nelle quali dissetarsi.
Storse risentita il naso, in una lieve piega di irritazione, quando la sera si ritrovò in camera di Loïc dopo la visione del film e poté osservare quanto incredibilmente più ampia fosse la raccolta dei suoi libri – e come da lui specificato, quelli erano i suoi preferiti, perché gli altri risiedevano nella biblioteca al piano terra dell’immensa villa Odilon. Enorme, la stanza del ragazzo presentava praticamente quasi esclusivamente la collezione di volumi come tocco personale, visti i muri completamente sgombri e la scrivania ripulita da qualsiasi effetto personale che non fosse una vecchia foto della madre scomparsa anni prima. Sul comodino accanto al letto matrimoniale, invece, tra la bijou e una pila ordinata di quattro libri tutti iniziati, vi era un’istantanea di loro due scattata qualche mese precedente.
La prese tra le mani per poter rendersi effettivamente conto che era reale, non faceva parte di una qualche strana allucinazione nata per imprecisati motivi, e si ritrovò a incurvare le labbra in un’esplosione di dolcezza abbagliante agli occhi di Loïc, impossibile da descrivere per quanta meravigliosa felicità vi era stata infilata dentro – scintille calde, accecanti, per lui. Gliela sfilò, facendola scorrere tra le piccole falangi, unicamente per poter avere su di sé tutta la sua attenzione mentre la baciava, chiedendo silenziosamente fino a quale punto poteva spingere le proprie di dita sotto il tessuto dei suoi vestiti. Il sogghigno malizioso che si insinuò sulle labbra sottili di Loïc nel non incontrare resistenza, fu soltanto un preludio, una promessa intrigante difficilmente respingibile e Séline non aveva alcuna intenzione di prendere in considerazione una tale possibilità.
Quando si sentì precipitare sul materasso, rise con vibrazioni tremanti per l’ignoto davanti a lei a mischiarsi con la curiosità febbricitante. Per quanto si sentisse con i gesti impacciati nel sfilarsi e sfilare gli abiti, per quanto avvampò di imbarazzo nel ritrovarsi nuda e per quanto non avesse la minima esperienza per poter davvero prendere una posizione dominante anche solo per gioco, si ritrovò con maggiore disinvoltura di quanta se ne sarebbe data. Lascò solchi rossi sulla pelle di Loïc nell’aggrapparsi alle sue spalle, nel cercare nella sua schiena un qualche punto saldo grazie al quale assecondare i suoi movimenti. Si sentì bruciare, prima di ardere tra dolore e piacere, ansimando con il sudore a bagnare le loro pelli, mescolandosi tra loro come i loro corpi. Abbozzati, i suoi gesti venivano guidati per metà dall’istinto e per l’altra dalle mani di Loïc, ma non si preoccupò delle sbavature, delle imperfezioni a rendere le sue movenze ancora schizzi di ciò che l’esperienza avrebbe reso impeccabili – vi sarebbe stato il tempo, e sarebbe venuto il momento in cui avrebbe saputo lei dettare i propri ritmi con provocatoria inflessibilità.
Con il corpo sfibrato da ogni energia, estinta, si stese sul fianco con gli occhi chiusi a cercare di regolarizzare il respiro – l’avidità di ossigeno dei polmoni rifletteva un’ispirazione ed espirazione affannosa, disperata nella loro ricerca di nutrimento. Il sonno si stava distendendo su di lei mentre avvertiva le lenzuola coprirla, e percepì il calore del corpo di Loïc stendersi accanto a lei, abbracciandola nel silenzio della camera privo di qualsiasi necessità di porre domane o ricevere risposte. Solo un bacio avvertì depositarsi tra i propri capelli prima di perdere contatto con la realtà, ritrovandosi in un tempo passato al quale – nel sogno – sentiva di appartenere.
Vi era la stessa semioscurità di sempre, alleggerita dai filamenti di fiotti argentati cadenti dalle stelle, puntini preziosi infissi nella seta scura del cielo a far da corona e gioielli alle lune grandiosamente sovrane nella notte. La brezza lieve solcava le curve della città dormiente, incatenata a una magia di immobilità in cui tutto appariva eterno – fissato in quell’esatto momento per l'eternità nello spazio. I canti delle civette accompagnavano i refoli del vento creando melodie sinistre nel loro passaggio tra gli infissi e in qualsiasi crepatura a loro disposizione, in una coralità arcaica – meravigliosa nell’impossibilità di discernerne ogni minuzioso elemento da cui era composta.
Seduta sul terrazzo, con un libro tra le mani e la tremolante fiamma di una candela a rischiararle la vista, Lady Sigyn perseverava a leggere nonostante l’ora tarda, decisa a non tornare nel proprio letto dato che la stanchezza pareva rifiutarsi di sfociare nel riposo. Preferiva continuare per scoprire come continuava il romanzo, rivelandone le evoluzioni e vivendo le vite dei protagonisti per dimenticarsi per un attimo della propria per semplice capriccio – non vi era nulla che avrebbe modificato della sua, ogni particolare, anche quello più misero e straziante, erano il simbolo del suo legame al proprio sposo e niente promessa di pura felicità, scevra da sofferenza, avrebbe potuto suscitare in lei maggior desiderio di quello di rimanere al fianco di Loki.
«La nostra camera da letto non è più di tuo gradimento, mia sposa?» giunse per prima la sua voce serica, come da consuetudine modulata su un tono mellifluo, ricolmo di zone in cui gli abissi su cui si ergeva si percepivano, ma insieme ricca di un fascino che soltanto il Dio degli Inganni possedeva.
«Affatto. Ma stanotte il sonno non è voluto giungere, così ho pensato che leggere al chiaro di luna fosse un’attività più produttiva che continuare a rigirarmi tra le coperte» si rivolse a lui con la dolcezza quieta con cui era stata forgiata, senza domandare cosa l’avesse trattenuto fino a tardi lontano da lei. Nonostante Loki conoscesse bene quanto eccellentemente Lady Sigyn potesse adoperarsi per lui, alcuni compiti poteva svolgerli unicamente lui in persona – e la considerazione che serbava per sua moglie, come lei ben sapeva, era tanto alta da non avere alcuna necessità di ricercare spiegazioni, perché lui spontaneamente gliene avrebbe fornite con il tempo da sé prestabilito.
«È strano vederti priva di sonno, solitamente sono io a non concedere che qualche ora al riposo» osservò porgendogli una mano in un invito silente ad alzarsi, prontamente accolto.
«Vi ho visto in molte situazioni, ma quella del dormire mi manca nonostante i molti secoli di convivenza» ridacchiò appena, abbassando lievemente le palpebre nel mentre Loki si chinava su di lei per depositarle un bacio sulla fronte, passandole la mano libera sulla schiena per trascinarla contro di sé – assetato del sapore del calore del corpo di sua moglie, del profumo dei suoi capelli, dalla morbidezza delle sue labbra, dei tocchi ristoratori delle sue dita.
«Puoi tornare con me in camera, provare a farmi faticare e magari alla fine sarò talmente sfinito da scivolare prima di te nei sogni» propose con note di malizia accentuate dal movimento delle proprie falangi a percorrerle la spina dorsale, schiacciandola contro se stesso e scivolando sempre più in basso, arrivando a delineare la curva dei suoi glutei per poi scivolare di lato, ricercando l’orlo della veste lungo la coscia.
«Mi piacerebbe molto scoprire cosa sognate, anche di più che guardarvi mentre li create» mormorò Lady Sigyn, con le braccia attorno al collo dell’uomo e le punte dei piedi a slanciarla di qualche centimetro verso l’alto per potersi rispecchiare nei suoi occhi. Erano più neri della notte i capelli di Loki, creati dalle tenebre stesse per quanto risultassero intensamente d’ossidiana, e le sottili mani di Lady Sigyn adoravano passare tra di essi, scorrendoli e immergendosi come se fosse stato un mare d’inchiostro. Depose baci sul suo volto con la medesima morbidezza con la quale i fiocchi di neve cospargevano il mondo, avvertendo le scie lasciate lungo la propria pelle dalle dita di Loki negli attimi in cui inspirava il suo odore.
«Sogno solo di una cosa da molto tempo, non ricordo nemmeno come fosse avere sogni di diversi», era una mezza verità – o una mezza bugia. Sigyn era perpetuamente al suo fianco anche quando non era visibile o lontana, che fosse incosciente o vigile, ovunque ed eternamente perché erano anime affine, destinate a intrecciarsi tra di loro anche quando avrebbero avuto altre vite. E lei lo sapeva che non stava del tutto costruendole una favola con la quale scioglierle il cuore, non dubitava di essere nel suo mondo onirico, semplicemente aveva la certezza che in essi non vi era dolcezza e romanticismo – come nella loro vita. «Vieni, l’alba è ancora lontana e c’è più di un modo per rigirarsi nel letto», e nelle parole di Loki vi lesse la taciuta promessa di un amore passionale e di un sonno ristoratore tra le sue braccia, almeno fino a quando il mondo avrebbe perseverato a tenersi nelle tenebre a cui entrambi appartenevano.
Nell’oscurità in cui i corpi di Loki e Lady Sigyn si intrecciarono prima di offuscarsi, perdendosi nelle nebbie del conscio che ritornava padrone della mente, relegando i reflussi di altre esistenze tramutati in sogni a tremolanti silhouette, troppo poco definite per poter essere trattenute dalla memoria, Séline si mosse di poco per assestarsi meglio nella posizione nella quale si era addormentata.
A volte, Séline fingeva di continuare a dormire solo per poter rubare attimi di tenerezza da Loïc, perché soltanto quando se ne stava stesa su un fianco, con la schiena schiacciata contro il suo petto e il respiro regolare di un’addormentata beata, lui si lasciava sfuggire più di qualche carezza delicata. Muoveva le falangi delle proprie mani con lentezza, scorrendo sulla pelle della ragazza con esasperante pacatezza, cercando di assimilare ogni sensazione che il contatto tra di loro gli insinuava nella mente e nell’anima. C’era amore nei suoi gesti, ma c’era anche la curiosità di comprendere come lei riuscisse a filtrare tanto bene dentro di lui – acqua a permeare le sottili crepe della roccia, giungendo fino al suo cuore e scavando vie con la tranquillità della cocciutaggine.
La osservava immersa nei suoi sogni onirici e cercava di immaginare in quali strani scenari fosse scivolata, mentre passava le proprie dita tra i ricci biondi di Séline, meditando su come facessero a formare sdruccioli dall’aspetto ipnotico. Li aveva sempre trovati inspiegabilmente attraenti, fin dalla prima volta in cui l’aveva notata, come se fossero gemme preziose e non semplici capelli – fili di luce pura, liquida, visti i riflessi scintillanti. Come se essi non le appartenessero davvero e fossero unicamente un regalo fatto a lui stesso, su misura per i propri gusti e a suo discrezionale utilizzo – un capriccio per sé. Nel perdersi nella loro contemplazione, Loïc provava una vaga malinconia sotto oceani di altri emozioni alla quali non attribuiva deliberatamente un nome, ma a quello strato che ricopriva il fondo di tutto quanto, invece, non riusciva a impedirsi di classificarla. Una nostalgia, quasi un riaffiorare forse di un passato di cui non serbava più memorie ma solo sensazioni, e tra di esse vi era quella che quei capelli – esattamente quelli di Séline e nient’altro – gli trasmetteva.
Era un suo segreto, non ne avrebbe mai fatto parola nemmeno a lei, nello stesso modo in cui Séline non avrebbe mai infranto la finzione del suo sonno o rivelato che quella via di estorcergli carezza le apparisse naturale, quotidiano, fin dalla prima volta in cui si era cimentata nella sua recita. Aveva perseverato a mantenere l’aspetto dell’addormentata con la scioltezza con la quale respirava, ritrovandosi nella scia di sentimenti nuovi e insieme già provati – riportati a riva da onde sconosciute appartenenti a mondi distrutti.
Si perse in quel mare di percezioni delicate fuse insieme a rimembranze ovattate in una coltre nebulosa, ritrovandosi a sprofondare nuovamente nei sogni nonostante una parte di se stessa desiderasse rimanere ancora vigile, per cibarsi di nuove carezze. Era la prima volta che rimaneva a dormire a casa di Loïc ed era stata anche la prima in cui avevano fatto l’amore, proprio per questo non voleva lasciarsi sfuggire niente, imprimendo dentro di sé le emozioni nelle quali si sentiva avviluppata, stordita. Una felicità atavica, dimenticata, si era ramificata lentamente dentro di lei da quando lo aveva incrociato, crescendo con la naturalezza della consapevolezza che era esattamente in quel modo che le loro vite si sarebbero dovute confondere – diventandone una sola.
Non era abituato a dormire molto Loïc, una manciata di ore a notte, e proprio per tale abitudine rimase per la maggior parte del proprio tempo a osservare Séline risposare al proprio fianco. Era qualcosa si assolutamente semplice, uno scorrere del tempo fluido, cristallino nelle sue pieghe, rivelandosi in uno sciabordio simile a un cullare lieve, in mezzo al quale Loïc si era ritrovato a percepire una quiete fino a quel momento sconosciuta. Allontanò i propri occhi smeraldini da lei solo quando i primi raggi dell’alba cominciarono a rischiarare la notte, scemando in una fioca coltre rosata nella camera, e li spostò verso la sveglia poggiata sul comodino vicino alla pila di libri – le lancette segnavano le sette meno qualche minuti.
Si mosse a rilento nell’allontanarsi dal corpo di Séline, spostando il braccio sul quale si era addormentata porgendo l’attenzione necessaria a scostarla senza ridestarla. Lasciò le coperte scure a ricoprirla, esaltando ancora maggiormente la coltre di fili spaventosamente scoloriti dei suoi capelli – luce opaca condensata, resa prima liquida e poi solida per condensarsi nei suoi ricci. Alzando al soffitto le braccia per stirare i muscoli, ogni suo gesto fu intriso di silenzio puro per evitare di disturbare i sogni di Séline mentre si cambiava, prima di uscire dalla stanza dopo averle rivolto un ultimo sguardo imperscrutabile.
Fu la sottile brezza insinuatasi nella fessura lasciata aperta della finestra ad accarezzare la pelle della giovane, una fredda mano invisibile a passare su di lei, attirandola nuovamente nel mondo reale con morbidezza, perseverando in quel proprio scorrere fino a quando ogni residuo di sogno fu soffiato via. Trattenne le palpebre chiuse nonostante si fosse ormai ridestata, girandosi su se stessa con il torpore dei pensieri ancora a trattenerla in un mondo grigio nel quale non ricordava dove si fosse addormentata. Quando ricordò i morsi in mezzo ai baci, le dita lunghe di Loïc a scorrerle sotto il vestito – scavando tra i risvolti dei tessuti per trovarla, attirarla a sé –, la scoperta dei rispettivi corpi condite da gemiti e risate trattenute malamente, furono le sue mani a tastare la parte del letto sul quale ricordava di aver avvertito il calore di Loïc ad accompagnarla nel sonno.
Quando avvertì la sua mancanza aprì finalmente gli occhi, con la fatica arrancante della disabitudine alla luce, per poter afferrare concretamente di essere rimasta l’unica ormai tra le mura spoglie della stanza. Con i ricci arruffati, fece leva sul gomito per alzarsi a sedere avvertendo le lenzuola scivolarle via dal corpo, rimandendo così esposta all’ossigeno fresco della mattina. Dalla strada il cinguettio degli uccelli si avvertiva come unico sentore di vita, lasciando intendere come in quel sabato mattina ancora vi fosse una certa difficoltà nella città intera a mettersi in modo.
Trovò i propri abiti piegati con cura sulla sedia della scrivania – superficie occupata da pochi oggetti, ordinatamente disposti in un’ambiente asettico, impersonale, in cui la freddezza rispecchiava forse il mondo con cui Loïc sentiva la permanenza in quella casa. Rivolse una fugace attenzione alla libreria che occupava buona parte di un’intera parete, riuscendo anche in quel lieve frangente di tempo a carpire il senso di un ordine di predisposizione dei vari titoli – vagamente per genere, più marcatamente per gusto evidenziando l’egocentrismo di chi aveva deciso la loro sistemazione.
Nell’aria rarefatta della mattina silente, con la quiete a spargersi in onde indolenti su una spiaggia invisibile della sua anima, portando con sé il lieve disappunto per essere rimasta sola a fondersi con una malinconia alla quale preferiva non dar spazio, si rivestì con l’intenzione di scivolare via dalla villa come fosse stata una ladra. Un po’ per sfida, un po’ per scherzo e per la maggior parte per occupare la propria mente con l’elaborazione di una discesa lungo la facciata della sontuosa residenza degli Odilon, a impedirle di riflettere su un risveglio che aveva il retrogusto dell’amara disillusione.
«Stai cercando di sgattaiolare fuori dalla finestra o è solo una mia impressione?» domandò la voce di Loïc, nei cui risvolti la perplessità era colorata da sfumature di divertimento nel scorgerla intenta nello sporgersi eccessivamente fuori dalla finestra della propria camera. Il ghigno sulle labbra sottili del ragazzo si ampliò quando la osservò voltarsi di scatto, affrettandosi a nascondere in profondità la sorpresa di cui i suoi lineamenti per un attimo furono ricolmi ed estraendo come per incanto una freschezza disinvoltura sporcata appena di nervosismo.
«Mi sembrava ci fosse un gatto intrappolato nella grondaia», era un’attrice quasi perfetta, ma aveva il tempo per livellare le smagliature che lo sguardo di Loïc scorgevano – lui, così fin troppo abituato a vivere in un mondo fatto di apparenze fasulle, frasi di circostanza, bugie a celare verità di cui non voleva mettere a parte nessuno o quasi.
«Buona, ma puoi fare di meglio» replicò avvicinandosi a Séline per tirarla indietro, riportandola al centro della stanza, prendendola semplicemente per mano nel guidarla in movimenti privi di sbavature – signorile qualsiasi fosse il gesto che compieva, elegantemente raffinata, come lui stesso, ma con le curve arrotondate prive di spigoli dolorosi. Lei era un manto liscio su cui le increspature si affievolivano, mantenendola in uno stato di pacatezza perpetua in cui tutto pareva confondersi, mischiarsi, ridursi a nient’altro che un lago privo di imperfezioni – ma era un trucco, un inganno che Loïc aveva risolto, e cominciato ad amare. «Ero uscito a prendere la colazione, ma aspetta se preferisci farti una doccia prima» continuò alzando appena il sacchetto che teneva stretto tra le altre dita.
Annuì appena Séline, segretamente maledicendosi per essere forse ancora eccessivamente una ragazzina con idee sciocche a prendere il sopravvento in troppe circostanze, sciogliendo invece nella notte racchiusa nelle sue iridi la tranquillità con cui ora le sembrava costruita la mattina. Si alzò sulle punte dei piedi, spingendosi ulteriormente con la mano appoggiata alla spalla di Loïc per spingersi in su di una manciata centimetri, fino a sfiorargli con le labbra la guancia prima di scivolare verso il bagno – passi privi di suono, lievi come carezze.
«Ehi, Loïc», lo richiamò voltandosi di tre quarti, appoggiando una mano all’infisso della porta, con un sorriso dipinto con pennellate gentili rivolte unicamente a lui. «Buongiorno
Le dita di Séline scivolarono via per ultime dalla sua visuale, sparendo dietro l’angolo dell’ingresso del bagno come una brezza lieve, una carezza a lui rivolta virtualmente – una movenza intrisa come sempre di una nobiltà filtrata in profondità, riuscendo a rimanere cosparsa di un tepore inviolabile. Quel piccolo gesto rimase impresso finemente nella mente di Loïc, galleggiando in flussi incorporei rappresi nella retina dei suoi occhi magneticamente verdi, suscitando in lui immagini a catena, in una sequenza irrealistica ad alimentare scenari plasmati da quell’irrisorio dettaglio, nutrito dai residui che i discorsi su divinità lontane lasciate in lui.
Nuovamente, fu quasi come ricordare frammenti di una vita non sua – e insieme appartenente a lui. Erano ombre della sua immaginazione a concretizzarsi con il retrogusto amaro di una veridicità di fondo che non riusciva a scacciare. E mentre scendeva le scale per aspettare in cucina Séline, non riusciva a fermare i meccanismi della propria mente intenta a incastonare passaggi di quel qualcosa che le falangi della ragazza avevano evocato nella sua anima.
Le dita si sfiorarono appena. Un contatto effimero quanto fugace, destinato a scivolare via nel tempo morto insieme al resto dei Nove Regni – infisso in un attimo di eternità al quale nessuno avrebbe assistito se non i diretti interessati. L’ultimo barlume di vita, flebile fiammella ormai quasi consumata, bruciando se stessa per poter rimanere a splendere per gli ultimi attimi – necessari almeno per compiere l’ultimo saluto, l’ultimo atto che li rendeva entrambi ancora umani sotto la corrosione che il sangue da loro versato aveva creato sulle loro anime. Nell’oscurità della fine, nelle nebbie della distruzione avvenuta, nei recessi del collasso di Asgard, brillava ancora flebilmente la luce opaca dei capelli di Lady Sigyn e le verdi iridi di Loki.
Il nulla prendeva possesso di ciò che un tempo era stata la città più splendente dei Nove Regni, dove la luce pareva tanto accecante da non poter mai essere estinta, almeno prima dell’avvento del signore del Caos e del Male, arso dalle fiamme nere del rancore ustionante per il fermento della sua sete di un potere sempre maggiore. E mentre tutto si sgretolava, crepandosi prima di polverizzarsi completamente, avevano avuto l’ultimo refolo di forze nel collasso delle loro vite per potersi avvicinare, prima di spegnersi insieme al mondo che avevano distrutto.
Nessuna parola venne pronunciata, solo l’intreccio flebile delle loro falangi fu l’ultimo gesto compiuto nella loro esistenza intrisa di morte e sangue, sporcata dai peccati commessi senza esitazioni e nella quale unicamente morbide luci erano riuscite a sopravvivere a costellarsi nelle loro giornate. Un ultimo sorriso, privo di rimpianti e ricolmo della serenità per consapevolezza di aver vissuto fino all’ultimo l’uno al fianco dell’altra – egoisticamente per loro stessi.
Loïc chiuse gli occhi portandosi le dita sopra le palpebre massaggiandole – cerchi regolari dipinti dai propri polpastrelli –, nell’intento di spezzare la catena delle proprie fantasticherie inutili. Non riusciva proprio ad afferrare la ragione per cui si perdesse in quelle strane sequenze inventate, eppure ogni volta in cui capitava avvertiva una scia di malinconia accompagnarlo in residui di schiuma.
«A casa tua non c’è mai nessuno?», fu la domanda di Séline a riportargli l’attenzione sull’ambiente circostante. La scrutò avvicinarsi al tavolo, senza risponderle per dedicare alla sua figura la precedenza su altro, imprimendosi a fuoco il modo con cui riusciva a muoversi in una casa a lei sconosciuta nel più naturale delle movenze. Gli occhi tremendamente neri erano oceani di tenebre in cui i riflessi del mondo non riuscivano a filtrare, venivano gettati indietro, e la calma apparente un espediente per rendersi innocua quando non lo era. Tutto di lei era un mistero, un capriccio, un enigma e una contraddizione, qualcosa a cui si sentiva legato come non lo era mai stato a nulla nella sua vita fino a quel momento. Una creatura tanto minuta riusciva a trasmutarsi in un agglomerato di imprevedibilità - mutava la sua cronica noia per la realtà in una scoperta, in interesse attraverso lei stessa.
«Mio padre è sempre via per lavoro e mia sorella ha troppi amici per avere una casa in cui stare. Non sei abituata al silenzio, non è vero?» rispose allungandole il sacchetto di carta riciclata sul cui fronte era stampato il logo della pasticceria in cui aveva comprato le brioches. Appena accennato, le mostrò un sorriso prima di alzarsi per preparare un cappuccino per lei e un caffè lungo per sé, con la poca attenzione che si pone a movimenti di cui si conosce l’andamento per quante volte erano state compiute.
Il silenzio non lo disturbava, al contrario era il suo miglior compagno di vita da quando ne aveva memoria. Come Séline aveva notato, l’enorme villa a sua disposizione era praticamente deserta se non per chi vi prestava servizio per tenerla in ordine – ma erano camerieri abituati ad essere discreti, scelti apposta per non essere d’intralcio nemmeno alla vista. Il lavoro di politico di suo padre gli saturava quasi tutto il tempo e ormai Loïc aveva smesso di far caso alla sua assenza, cominciando a trovare fastidioso quando protraeva più del consueto la sua permanenza a casa. Più insidioso era cercare di capire cosa esattamente provasse dalla vita sociale eccessivamente attiva di sua sorella minore – una parte di lui avrebbe preferito badarci maggiormente, ma dall’altra non credeva di aver alcun diritto di dirle come dovese comportarsi se nemmeno loro padre ne sentiva la necessità. Almeno lei, tuttavia, rimaneva una presenza per la maggior parte ben accetta, nonostante i suoi eccessi plateali conditi da un’ingenuità che rasentava la stupidità in molti casi. Riflettendo, Loïc avrebbe persino potuto provare l’istinto di presentarle Séline – un giorno, magari, quando non si sarebbe rivelata eccessivamente entusiasta per la notizia di conoscere la misteriosa ragazza di suo fratello maggiore, di cui solo aveva vagamente carpito l’esistenza.
«Casa mia è un via vai di qualsiasi tipo di persone, ma il bello è che nella confusione non si fa mai caso a ciò che avviene o non avviene» spiegò Séline prima di affondare i denti bianchi nella colazione.
«O se ci sei» chiosò Loïc appoggiando sul tavolo due tazze – una ricolma di bianca schiuma macchiata di cacao e l’altra di caffè, amaro. La frase che pronunciò dopo non fu meditata nel senso negativo del termine, non aveva alcuna intenzione di utilizzare le proprie parole per costringerla a nulla che non volesse – e poi Séline era ai suoi occhi tanto splendente perché non era in alcun modo plasmabile –; più semplicemente per quanto quella considerazione emerse naturalmente quanto immediatamente in se stesso, ebbe difficoltà a comporla con la noncuranza precisa per cui non sembrasse smielata, ma soltanto ciò che era – la realtà, unicamente essa, monocolore e non mutabile. «Io la noterei la tua assenza.»
«Se vuoi che rimanga qui anche questa sera basta chiedermelo» commentò morbidamente Séline, lasciando le proprie labbra carnose incurvate in una piega dolce – fossette a formarsi sul suo volto. Sottili erano le lentiggini che tappezzavano le sue guance, più marcati erano i nei a puntellare la pelle in costellazioni di cui Loïc aveva appena iniziato la scoperta - con la calma della consapevolezza di avere il tempo necessario per poter approfondire la propria conoscenza al riguardo, senza pressione di alcuna sorta.
«Mi pare di averlo appena fatto» le fece notare sollevando eloquentemente le sopracciglia, tra un sorso di caffè e quello successivo.
«Touché.»
Non sapeva bene come fosse possibile, appariva alquanto bizzarra – e probabilmente era persino di insulsa – quella sensazione che a volte la colpiva misteriosamente quando si ritrovava in sua compagnia. Era un colpo di brezza arcana, proveniente da chissà dove, autunnale con risvolti più freddi nelle sue pieghe e sapeva di malinconia, portava con sé reflussi di qualcosa di andato perduto – irrecuperabile, riflessi su una superficie ormai frantumatasi. Ma ancora più stranamente, senza alcun segno di logica e nemmeno la vaga intenzione di trovarne una, era anche quella nota tanto stravagante a donarle la consapevolezza che per lei era Loïc, e solamente lui, il centro resto della propria vita.
Guardando nei risvolti del verde delle sue iridi, a volte afferrava il balenare di vaghe onde della stessa medesima emozione di cui lei era colpita – era una certezza quella di Séline, non le occorreva porgere alcuna domanda al riguardo. Si limitava a sorridere soddisfatta con il sensore di avere un’eternità a loro disposizione – come se non fosse stata una singola vita, ma intere ere a loro disposizione. E forse, così era realmente e non lo avrebbe mai saputo.



M A N I A’ s W O R D S
Allora, se siete giunti fino alla fine meritate di avere un premio molto sostanzioso.
Questa storia ha un’origine persa nel tempo. È un riadattamento di una mia vecchia one-shot scritta sul fandom di Assassin’s Creed con un vecchio account ora abbandonato – e non so come e perché, ma era anche finita nelle storie scelte del sito, quindi magari qualcuno che leggerà questa l’aveva pure letta l’altra. In realtà non c’è molto di ripreso se non l’idea della sovrapposizione di due linee temporali in cui si svolgono due storie romantiche – o pseudo tali – perché la vecchia storia era molto più angst e non parlava di reincarnazioni ma di discendenti – chi conosce il gioco, sa di che cosa parlo.
Qui, spero si sia capito che Loïc e Séline sono le rispettive reincarnazioni di Loki e Sigyn in un futuro prossimo non molto lontano, dopo che il Ragnarok si è abbattuto su Asgard. Mi sono tenuta in parte alla versione del fumetto in cui esso colpisce unicamente Asgard, con sì ripercussioni per i Nove Regni, ma senza che questi vengano distrutti; e con le anime degli abitanti di Asgard che si reincarnano in abitanti della Terra/Midgard, anche se qui non sono destinati a “risvegliarsi” come nel fumetto, ma a mantenere la loro forma umana.
Ho scelto la nazionalità francese per entrambi perché, sempre nel fumetto, quando Loki muore e viene riportato in vita da Thor, lo ritrova nel corpo di un ragazzino francese, dunque mi sono tenuta fedele a tale versione.
Invece ho scelto questi nomi perché hanno le iniziali uguali – molto poco inventiva in questo campo, lo ammetto.
Ci tengo a sottolineare anche che Loïc non ha visioni, ma semplicemente alcuni oggetti o situazioni attorno a lui lo portano a credere di immaginarsi scenari che in realtà sono i ricordi di Loki, ma lui vive come un perdersi a fantasticare. E Séline invece fa unicamente sogni su chi era, ma al suo risveglio sono sempre troppo sfumati, precari e sono pochissime le occasioni in cui ricorda ciò che ha vissuto nei sogni, quindi non ci da molta importanza a questa ricorrenza.
Curiosità/spiegazioni non inserite perché altrimenti il tutto veniva lungo il doppio:
La sorella minore di Loïc non è la reincarnazione di Thor se ve lo state domandando. Però sicuramente sono legati in qualche modo – pensavo a compagni di classe.
Invece il padre di Loïc è proprio Odino, questo perché sinceramente, attenendomi alle personalità della mitologia (e al bellissimo romanzo “American Gods”), questi due li vedo molto più affini tra loro che con Thor.
Il tutto è ambientato una manciata di decenni da adesso, per questo mi sono immaginata che i libri siano prevalentemente digitali e le versioni cartacee costino molto maggiormente. Nei fumetti Thor rinasceva e richiamava a sé le anime degli asgardiani, qui invece non accade.
Séline ha i boccoli come li aveva Sigyn da giovane, prima che Loki glieli togliesse.
Anche questa storia, si inserisce nella serie delle mie precedenti storie su Loki e Sigyn - ovvero, « La fedeltà sboccia da un cuore di sale » -, ma come le altre shot slegate dalle raccolte, non necessita la loro lettura per la comprensione. Più che altro è perché faccio sempre riferimento alla Sigyn delle precedenti storie e al rapporto tra lei e Loki. Tuttavia è classificabile come un What if? della stessa serie in un certo senso.
Che poi ho scritto tutta questa pappardella, e non so quando pubblicherò invece il quarto capitolo di « Cuore di Sale », sono un genio del male. Perdonatemi.
Niente, ho finito, penso che terminerò qui e vi chiedo come sempre di lasciarmi una recensione – soprattutto perché questa è una storia un po’ strana, quindi mi piacerebbe proprio sapere che ne pensate.
Alla prossima,

Mania


  
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