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Autore: Siria Lilian Black    23/05/2014    1 recensioni
Gli occhi sono lo specchio dell'anima e questo, Siria lo sa bene. Ha provato più volte a guardarsi allo specchio per leggersi dentro, ma tutto ciò che è sempre riuscita a trovare è la semplice menzogna di una vita vissuta cercando di disattendere le aspettative del prossimo. 'Se non ho nulla, non ho nulla da perdere'.
In una notte d'autunno una creatura della notte aspetta con pazienza di rivelare sé stesso. Attende di sentire il ritmico battere di un cuore, osservando il mondo a distanza. Quando quel battito si avvicina, il suo sguardo incrocia lo sguardo di quella creatura. E' come una doccia gelata.
E' allora che Damon trova negli occhi di Siria un qualcosa di così familiare da fargli dimenticare quel battito cardiaco. Un qualcosa che ha assolutamente bisogno di scoprire.
Se ve lo state chiedendo, no. Non è un'irritantissima storia smielata. Tra queste pagine fatte di pixel custodirò con cura le loro anime, aiutandoli a rivelarsi, affinché io possa ritrovare la mia.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Gli occhi sono lo specchio dell'anima


0.1  - Le ombre del passato avvolgono il presente

Siria attraversò l'ingresso e aprì la grossa porta in legno che le stava di fronte, mentre la confusione cominciava ad avvolgerle la mente. Avanzò fino a raggiungere il primo dei tre gradini posti di fronte all'abitazione, spalancando gli occhi per la sorpresa. Un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra quando si rese conto che niente di quel magico panorama era cambiato: gli alberi, l'aria di montagna, il balcone, l'erba, l'insegna in legno appesa sul lato destro del portone, i tavolini, il Castello, erano ancora tutti lì. Lo spiazzo in terra battuta si trovava ancora di fronte ai suoi piedi e su di esso, sul lato destro, sostava ancora un canestro mobile decisamente troppo alto per lei. Incredula lasciò vagare lo sguardo, cercando di ricordare se tutto ciò che stava vedendo era realmente come l'aveva lasciato.

Il bosco copriva il panorama su tutti e tre i lati che era in grado di osservare. Di fronte a lei, se la memoria non la ingannava, ad appena una trentina di metri, avrebbe trovato un campo di pallavolo piuttosto rudimentale: la rete cadeva a pezzi e sul campo, che era certa fosse stato sgombro tempo addietro, sostavano mucchi di sassi e radici lasciati crescere nel tempo. Poco oltre di esso, un recinto in rete e cemento delimitava il confine della proprietà e separava la terra e l'erba dall'asfalto della strada. 

Alla sua destra, invece, il bosco fitto correva per oltre quaranta metri prima di poter incontrare una capanna in legno che era certa fosse stata occupata, un tempo, da un guardiacaccia. Una volta aveva provato ad entrarvi, accompagnata da degli amici, e tutto ciò che era stata un grado di trovare erano stati dei rudimentali attrezzi da boscaiolo e qualche fucile. Oltre di essa, il bosco sarebbe poco a poco scomparso, lasciando spazio a un prato incolto, colorato da alcune margherite bianche e gialle. Sulla destra del prato, ricordava di aver trovato una serie di bersagli, forse adibiti al tiro con l'arco, e qualche ostacolo che supponeva appartenesse a un esteso percorso di sopravvivenza che occupava buona parte degli alberi del bosco sovrastante. Alla sinistra del prato era certa si trovasse ancora il campo da calcio in ghiaia dove aveva passato buona parte dei giorni trascorsi in quel luogo. Aveva lasciato più sangue su quella terra di quanto non glie ne stesse scorrendo nelle vene in quel momento. Sorrise al ricordo, aggiungendo un'altra pietra a quel paesaggio. Tra le foglie se ne poteva quasi intravedere la sagoma. Di fronte al campetto, esattamente a metà strada tra esso e la Villa che le stava alle spalle, si trovava un gigantesco Hotel a cinque stelle, o almeno così le era sembrato, visto il lusso al suo interno. Ci era entrata una volta soltanto e quella volta era bastata per capire che non si sarebbe mai potuta permettere più di una notte al suo interno.

Quasi risvegliata da un sogno, ancora meravigliata dal panorama che i suoi occhi potevano accarezzare, voltò il capo a sinistra, riuscendo a intravedere, sopra le chiome più alte della schiera di alberi che circondava la Villa, la sagoma dei tetti di alcune torrette: Il castello dei Savoia era ancora lì, con le sue grasse torri dai tetti azzurri, in posizione elevata rispetto a un giardino ricoperto di fiori, le cui piante recavano un cartellino con indicato il nome scientifico e non della specie di appartenenza.  Era stato magico attraversare i vialetti che conducevano al castello, respirare il profumo di quei mille fiori e, infine, provare a immedesimarsi negli abitanti dell'epoca, una volta entrata dal portone principale.

Peccato che al momento a separarla da esso non vi fossero solamente una manciata di alberi, bensì quella lunga rete metallica che correva lungo tutto il confine. Qualche anno prima, durante una 'spedizione' organizzata dai suoi responsabili dell'epoca, aveva trovato un buco gigantesco che le aveva permesso di trovare un sacco di legna secca da bruciare nel falò della domenica. Inutile dire quanto fosse stato stupido avvnturarsi in un pezzo di terreno incolto, con erba sassi e legna fino alla vita, col rischio di trovare lunghi serpenti arrotolati alle caviglie al ritorno. Col tempo quella falla nella recinzione era diventata il loro ritrovo e, nonostante stessero crescendo e diventasse sempre più difficile avventurarsi dall'altra parte del terreno, continuavano a sottrarre legna e idearvi prove di coraggio.

Ma non era stata quella la parte più difficile per una ragazzina di undici anni, quanto il trascinar le valigie lungo il sentiero che correva perpendicolarmente rispetto alla Villa e fungeva da collegamento tra di essa, l'Hotel e la strada. Al termine di essa vi era uno spiazzo di terra ricoperta da sassolini bianchi; ed era lì che il pullman si fermava e riconsegnava cibo e valigie. Il sorriso sul volto della giovane si allargò al ricordo della fatica e dell'orgoglio provato nel posare le valigie esattamente dove i suoi piedi sostavano in quel momento.

Ma c'era una cosa che stonava in quel panorama.

Qualcosa che non ricordava di avervi mai visto.

Una sagoma sostava sul sentiero, al limitare del bosco. Era un ragazzo, un uomo, dai capelli neri e un'espressione incuriosita e sarcastica sul volto. Attendeva immobile, le braccia lungo i fianchi e un giubbotto in pelle nera, appena mosso dal vento, nascondeva quasi interamente la maglia nera con lo scollo a V che vi portava sotto. I pantaloni e le scarpe riprendevano lo stesso colore. Interamente scuro stonava con il paesaggio dai colori accesi che lo circondava.

Gli occhi grigi di lui sembravano ricambiare il suo sguardo con un'intensità che la metteva piuttosto a disagio, così, sia per spezzare il silenzio, sia nella speranza che egli svanisse, gli rivolse la parola.

"Cerchi qualcuno?" domandò, non riuscendo a ricordare in quell'istante perché avesse la certezza che non vi fosse nessun altro oltre loro due.

"Sì, si potrebbe dire che io stia cercando qualcuno." rispose in modo piuttosto criptico, lasciando che l'ironia contagiasse anche il suo lieve sorriso.

"Mi dispiace, ma il mio gruppo è partito per il villaggio mezz'ora fa, quindi, a meno che tu non stia cercando me credo dovrai tornare più tardi..." cosa le desse la sicurezza di professarsi sola in una zona remota come quella, non riusciva ad afferrarlo, ma, quando lo vide alzare le spalle e sollevare un sopracciglio, non se ne stupì. Lo vide fare un passo indietro e poggiarsi con la schiena a uno degli alberi che definivano il confine del sentiero, mentre continuava a osservarla con l'aria di chi stesse studiando una specie in via d'estinzione.

Sembrava aver voglia di scambiare due parole o comunque di non voler lasciare quel luogo, così, Siria scese il gradino dal quale aveva osservato il panorama e vi si sedette, lasciando vagare lo sguardo di fronte a sé.

"Stai al Belvedere?" domandò rivolgendosi all'uomo.

"Cosa te lo fa pensare?" chiese lui di rimando.

"Beh, chiaramente non sei di questa zona. Non è un luogo dove si passa per caso e non ho sentito il rumore di alcun motore, quindi sei arrivato qui a piedi. Se abitassi in paese probabilmente saresti arrivato in macchina o in moto e dubito fortemente che qualcuno decida di farsi a piedi quattro chilometri nella speranza di trovare qualcuno senza curarsi, però, di telefonare prima. Quindi, o sei pazzo, o alloggi al Belvedere."

C'era qualcosa di tremendamente sbagliato in quelle parole, ma la ragazza non se ne curò. In risposta a quell'eccesso di logica, l'uomo semplicemente rise.

"Beh, sì, confesso..." ammise in seguito, avvicinandosi e sedendosi accanto a lei.

Rimasero in silenzio entrambi per alcuni secondi, ognuno perso nei propri pensieri. Fu Siria a rompere ancora una volta il silenzio.

"Non mi hai ancora detto chi stai cercando." disse voltando il capo verso di lui.

"Non sto propriamente cercando qualcuno. Diciamo che... mi sono perso. Più che altro sto cercando uno sguardo... una ragione..."

"Quindi, in pratica sei qui per... nulla." rispose con un velo d'ironia. Ma, l'uomo, voltandosi, lesse nel suo sguardo un qualcosa che andava oltre l'ironia, vi lesse comprensione. "Uno sguardo è un po' vago come indizio, sai?"

"Già, ma per ora è tutto quello che ho. Ho letto qualcosa in esso, mi ha ricordato qualcosa del mio passato, anche se non ho idea di che cosa." nel suo tono era chiara l'irritazione oltre all'ovvia sorpresa e curiosità.

"Beh, è una bella grana, non credi? E come avresti intenzione di ritrovare quello sguardo?" domandò, riconoscendosi in qualche modo nelle sue parole.

"Ci sto lavorando."

Improvvisamente si rese conto di ciò che non andava in quell'atmosfera. Era certa di essersi alzata, quella mattina, con l'influenza, eppure ricordava immagini sfocate di lei alle prese con la scuola, il lavoro e una cena con degli amici. Era certa di avere la febbre ma non avvertiva alcun brivido di freddo, nonostante indossasse una maglietta a maniche corte, e non si sentiva obbligata a stendersi, come era solita fare... Era seduta accanto a uno sconosciuto a parlare di cose che sembrava comprendere, ma delle quali non sapeva assolutamente niente, sul gradino di una villa che era certa di non visitare da almeno cinque anni. Il sospetto si fece largo nella sua mente, così, ignorando l'uomo seduto accanto a lei, immaginò le curve di un pallone da calcio prendere forma a qualche metro da lei e, pochi istanti dopo, lo vide comparire esattamente dove lo aveva immaginato.

Lo sguardo del ragazzo si fece più consapevole vedendo quella sfera prendere forma di fronte a sé. Non l'aveva contemplata. Voltò il capo, osservando con stupore e un velo di meraviglia la ragazza seduta accanto a sé. E' in grado di controllarli, pensò, in modo piuttosto rudimentale, certo, ma è in grado di farlo; prima o poi avrebbe capito che egli non era frutto della sua mente.

"E' solo un sogno, non è vero?" domandò, infatti.

Lontano dalle loro coscienze, il suono di una tazza su un piano in legno disturbò l'uomo. Aveva perso troppo tempo a ricercare quelle immagini e la casa nella quale non aveva il permesso di entrare si stava animando. Aveva ancora qualche secondo, forse, prima che la sveglia della ragazza suonasse, così, l'immagine di sé custodita nella mente della ragazza, si alzò con un sorriso.

"Esattamente." disse, voltandosi appena un attimo verso di lei, prima di incamminarsi lungo il sentiero.

"Ehi, aspetta, non mi hai nemmeno detto il tuo nome!" esclamò la giovane, alzandosi.

"Chiamami Damon." rispose, scomparendo alla vista.

"Spero tu riesca a trovare ciò che stai cercando, Damon!" urlò, cercando di restare ancorata a quella non-realtà, ignorando il rumore della sveglia.

Aprì gli occhi appena in tempo per vedere due occhi grigi e una sagoma scura svanire dalla sua finestra. Si diede della stupida con un sorriso. Era stato un sogno, quell'uomo era solamente frutto della sua immaginazione. Immaginazione che in quel momento stava attraversando alla velocità della luce le vie della città, osservando il mondo con uno sguardo confuso.


NDA:

Che dire, ho impiegato due settimane a trovare delle foto per dar vita a quel penoso banner che sta sotto il titolo. Direi che mi merito un applauso...
Imbarazzanti constatazioni a parte, il capitolo era pronto da un po', ma mi urtava profondamente postarlo grezzo e senza grafica, perciò ho impiegato più del previsto a regalarvelo, spero di non avervi fatto penare troppo.
Damon, giustamente ha deciso di stressare Siria via sogno prima di concepire l'idea di incontrarla di persona. Personalmente suppongo mi spaventerebbe l'idea di incontrare una persona che sia in grado di rendere evidenti i miei errori semplicemente con uno sguardo... se da un lato maledico il fato, dall'altro ringrazio che Damon sia solamente il frutto dell'immaginazione di una scrittrice: già è difficile affrontare certe considerazioni nella solitudine della propria mente, figuriamoci farlo di fronte una persona che agisce esattamente come te.
Il luogo descritto nella storia esiste realmente e si trova a Gressoney Saint-Jean, nascosto alla vista da una distesa di alberi. Ovviamente, l'uomo si è servito della memoria della ragazza per trovare un luogo che la facesse sentire a suo agio, ragion per la quale ha sprecato l'intera nottata.
Non ho la minima idea di quando si incontreranno, ma so per certo che Siria dovrà raccontare a qualcuno ciò che ha sognato e ho la vaga impressione che una tale Marta apparirà come per magia ad ascoltarla...
Se volete sapere come abbia fatto Siria a far apparire un pallone dal nulla e non avete idea di che cosa siano i Sogni Lucidi, vi consiglio vivamente di cercarlo su Google, vi si aprirà un mondo!
Detto questo mi dileguo ;)
Baci!
Siria.



   
 
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