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Autore: Jooles    23/05/2014    3 recensioni
«Tu sei morto.»
Lui ride.
«Se mi vuoi morto, farò il morto.»
«Almeno il cliché ‘morirei per te’ avrebbe un senso» lo incita Julie.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il fuggitivo
 
 
 
Una, due, tre.
In realtà non si fermano a tre. Sono incalcolabili, innumerabili.
Ci riprova.
Venti, boh, chi lo sa.
Perde il conto e ci rinuncia. Sbruffa, batte i piedi sul terreno e le vesciche si lamentano, scoppiano e il liquido si appiccica ai calzini.
Grandioso.
Il cielo è stellato, le cicale friniscono, i fili d’erba oscillano al ritmo della leggera brezza.
Fa schifo, è tutto così perfetto che viene il voltastomaco.
Julie si sente una figura ossimorica di fronte a cotanta perfezione. Eppure si completano, ciò che la circonda è tutto ciò che lei non potrà mai essere. Completa. Finita, in quel senso di pace che non sembra possa appartenerle, né in quella vita come nemmeno nelle prossime infinite che l’attendono.
Spera solo di non incontrare James, nelle altre. Chissà in cosa si rincarnerà, lui? In un fiore di borragine, così bello nella sua forma stellata, ma con quella peluria fastidiosa e imperfetta che ti fa prudere le mani dopo averlo toccato. Uno stramonium, sublime e velenoso. Julie deve scoprire subito in cosa si rincarnerà al fine di evitarlo. È questione di attimi. James è morto poche ore fa.
Julie si sdraia e l’erba sembra accoglierla con piacere. Si prende le sue paure e lei ne è riconoscente. Scalcia via le scarpe.
Non volevo che tu morissi, ma hai dovuto, pensa.
In realtà si sente stupida perché James non è che sia morto così, all’improvviso, senza avvertire, per colpa di qualche entità esterna. Quindi si corregge.
Non volevo ucciderti, ma ho dovuto.
Ora va meglio. È più reale.
L’ho dovuto fare per il mio bene.
Sobbalza quando il telefono squilla. Si contorce per afferrare l’apparecchio scivolato dentro i pantaloncini, quando lei lo aveva incastrato così perfettamente, stretto tra l’elastico e la pelle (la prossima volta deve ricordarsi di comprare indumenti con tasche).
Cristo, impreca. Sa che non si deve fare, imprecare si intende, ma qualcuno è appena morto e non ci si può trattenere.
Respinge la chiamata e getta il telefono a far compagnia alle scarpe.
È un susseguirsi di moltissimi attimi, tanto che il buio si nasconde sotto la terra per lasciar spazio a timidi fili dorati. Le stelle svaniscono.
James è morto. Non vive più. Lui ‘era’. James ora era. Le piace quel gioco di parole. Julie si chiede perché nessuno lo usi dire. È poetico, dovrebbe entrare negli usi di dire comuni.
Anzi no, rischierebbe solo di perdere la sua bellezza.
 
«Cazzo, Ju, ti ho cercata dappertutto.»
Perfetto, ora ha anche le allucinazioni. Julie impreca e sta volta James non potrebbe ricordarle quanto sia poco signorile. Qualcosa fa peso vicino a lei, il terreno subisce una pressione. Qualcosa di vivo e caldo le sfiora il braccio.
«Smettila di far finta che non esisto.»
Julie si gira. Dannazione. James la osserva, sinceramente preoccupato. Quegli occhi azzurri le danno fastidio come nient’altro. Vorrebbe conficcargli due chiodi nelle iridi, vederli sfumare dal blu al rosso cremisi.
«Tu sei morto.»
Lui ride.
«Se mi vuoi morto, farò il morto.»
«Almeno il cliché ‘morirei per te’ avrebbe un senso» lo incita Julie.
James inarca un sopracciglio, la sfida. Si sdraia a terra e si immobilizza. Ogni centimetro del suo corpo giace immobile. James sta trattenendo il fiato.
Julie lo osserva affascinata. È una scultura di marmo, con ogni particolare che risalta appositamente a ricordare che non sono solo dettagli, il neo sul collo, la cicatrice vicino all’orecchio, le vene delle mani e delle braccia che increspano la pelle.
La sta prendendo in giro, sa che lui scherza sempre, quindi non si preoccupa se non respira, prima o poi si stancherà di quel giochetto.
La vena sulla tempia gli si gonfia ogni secondo di più, il volto ormai è una maschera rossa di sforzo.
«Sbrigati a morire, sei bruttissimo con quell’espressione.»
James strizza ancora di più le palpebre già chiuse. Certo che morire è faticoso.
Passa troppo tempo, James non vuole smettere di giocare. Julie inizia a scuoterlo per un braccio.
«Finiscila, sei patetico.»
Non risponde, è diventato quasi viola in viso.
«Smettila!» si preoccupa. Ma lui scuote la testa, le dice che non vuole piantarla, che vuole andare fino in fondo.
«James, se non la smetti subito di morire ti uccido io e ti evito la fatica!»
James esplode e la sua risata fa crollare il silenzio. È felice perché sa che quello è un modo di Julie di dirgli che a lui ci tiene, che si preoccupa.
Inspira enormi secchiate d’aria e adagio, adagio, il suo volto riprende il normale colorito pallido. Julie è vicino a lui e gli stringe ancora le dita attorno all’avambraccio.
«Perché sei scappata così? Non mi hai fatto nemmeno spiegare.» Il suo tono le da fastidio, la sta rimproverando come una bambina.
«Lo sapevano tutti che partivi, che non saresti più tornato e merda annessa. Tutti tranne me! Perché sono sempre l’ultima a cui devi dire le cose?»
«Il meglio per ultimo» le sorride.
Julie  lo assassina con lo sguardo e James si rattrista.
«E poi…» aggiunge, imbarazzata.
Il ragazzo inarca le sopracciglia e la incita mutamente a continuare. Julie si tormenta le mani e fissa lo sguardo sulle sue scarpe abbandonate qualche metro più in là. Interessanti.
«Poi cosa?»
Le sue guance sono rosse dallo sforzo di imbarazzarsi e le fanno male le mani per quanto se le sta stropicciando.
«Continuavo a chiamarti ma non mi rispondevi, l’ho fatto innumerevoli volte… mi ero persa» ammette.
James la guarda stordito, poi implode in un’altra delle sue risate fastidiosamente cristalline. È nuovamente rosso in viso, ma per un motivo diverso questa volta. Quando finalmente riprende fiato riesce a dire «Ti ho chiamata a un certo punto, però non mi hai risposto.»
«Perché ormai per me eri già morto.»
La guarda e vede tutta la sua innocenza.
«Mi hai fatto preoccupare.»
Julie si allunga e afferra le Converse. Dio, quanto sono sporche.
 «Ti ho chiamato un sacco di volte» ripete. Che schifo, questi lacci sono diventati marroni.
«Ventotto, per l’esattezza.» Oh, grazie James per ricordarmi quanto sono idiota!
«E comunque» continua lui, «chi è che avrebbe fatto la spia?»
Ju alza lo sguardo dalle scarpe, fissa un punto non sa dove, sforzandosi di ricordare.
«Dave» ammette.
James scuote la testa, come se già se lo aspettasse e «Che coglione» gli esce proprio di cuore.
«Aspetta… a Dave io non lo avevo detto!» sembra sconvolto di fronte a quella scoperta. Il fatto è che James è così puro da credere che le voci non girino, che il passaggio di informazioni di bocca in bocca non esista.
«Glielo ha detto Susy.»
Ooooooh, Susy. Ora gli sembrava tutto chiaro.
«Un attimo» James si risveglia dal letargo, «e a lei chi- come non detto, lasciamo stare.»
Fa sforzo sugli addominali e si alza a sedere, afferrando Julie per le spalle. Se la tira addosso ed entrambi tornano sicuri tra i fili d’erba umidi.
Rimangono così, un po’ nel limbo; si sentono stanchi di una forza che li ha schiacciati e abbandonati come dei fazzoletti usati. Attendono il domani, non sanno cosa fare. Per il momento si abbracciano sull’erba e si dicono in silenzio che non sanno come agire, che non hanno idea di cosa verrà. Ma per ora stanno così, è il loro modo di aspettare.
Julie sapeva che non avrebbe resistito. Aveva provato a fuggirgli, invano, e ora gli si ritrovava addosso, con le sue lacrime che lui accettava silenzioso. Quella del fuggitivo era una parte che si addiceva meglio a James.
«A che ora hai l’aereo?» chiede la ragazza, facendo attenzione a non far sentire nel tono che ha pianto, anche se è consapevole che James l’ha sentita, attutendo ogni singhiozzo con la stretta di un abbraccio.
«Alle nove e venti di sera. Mi vieni a salutare?» le domanda.
Julie ci pensa, ma la risposta la conosceva in partenza.
«Che strazio. Sì, sì, vengo.»
James sorride e si sporge per sfiorarle le labbra con un bacio, un bacio che farà male quando allontanerà il volto da quello di Julie. Quando poi si dividono perché lei deve asciugarsi una lacrima fastidiosa che le va a pizzicare il naso, James inizia a solleticarle l’addome.
Julie ride, ride fino a farsi venire il mal di gola, il solletico non lo sopporta.
Quando riesce a calmarsi e l’altro divertito allontana le mani, sbuffa.
«Non ti sopporto, sei fastidioso.»
James in risposta chiude gli occhi e appoggia la testa sulla sua spalla.
 
«Anch’io, bimba. Anch’io.»
 











n/a
Ahimè, è una vicenda autobiografica. Dovevo sfogarmi e così eccomi qui, tra un Pascoli e linguistica. L'ho riletto una sola volta, probabilmente ci saranno errori, ma non mi importa molto, la prima stampa è quella conta (no, non è vero, ma lasciatemelo credere. La verità è che voglio far vedere a tutti quanto sono inetta nello scrivere e pigra nel correggere u.u).
Ad ogni modo, questa storiella è dedicata a tutti coloro che hanno il cuore spezzato, straziato, sconquassato (le tre 'S', insomma). Fatevi sentire, così piangiamo insieme!

A presto. Grazie in anticipo a chi vorrà leggere, commentare, leggere e commentare.
Saluti a tutti :)

Jooles




 
  
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