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Autore: walkingonwater    23/05/2014    1 recensioni
Non so come sia successo, mi ha colto di sorpresa, non stavo guardando cosa stavo facendo e mi sono perso nei tuoi occhi. Ormai scorre nelle mie vene il mio amore per te, so che potrei essere la pioggia nel tuo cielo sereno, il fuoco nella tua notte più scura,potrei essere la tua maledizione o la tua salvezza, il sole quando fuori fa freddo, se solo mi lasciassi sentire,senza il minimo suono, il tuo cuore che batte, è l'unico motivo per cui mi sveglio ora. Ci dicono che è impossibile, che non è la cosa giusta, ma questo è il momento di spegnere la ragione.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Sceriffo Stilinski, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Sono di sicuro trenta minuti che sono qui seduto su questo letto ad aspettare che le urla cessino. Sento il rumore di un bicchiere che si rompe contro il muro, dei passi veloci che salgono le scale, quello della porta che sbatte rimanendo aperta. Sessantacinque chili di puro sarcasmo mi si lanciano addosso, baciandomi con cattiveria e, senza darmi il tempo di realizzare ciò che stavo facendo o stavo per fare, mi trovo con la schiena contro il materasso, le sue mani sotto la maglia.
«Ehi, ehi, ehi fermati. Che stai facendo? Fermati» gli prendo i polsi con una mano e con l’altra gli alzo il viso. «Guardami, metteremo tutto a posto». Mi osserva con quegli occhi sempre vispi e curiosi, passando in rassegna ogni centimetro del mio viso, la bocca socchiusa. Piano, probabilmente senza rendersene conto, comincia a piangere. Prima una lacrima, poi due, tre, centinaia, fino ad inondargli le guance, e facendolo singhiozzare. Lo stringo forte, cercando di non fargli male. Dal piano di sotto si sentono gli stessi singhiozzi, più sommessi, più controllati. Cerco di calmarlo, gli passo le dita tra i capelli, sulle guance, sulla schiena, poi di nuovo tra i capelli, mentre riaffiorano i ricordi della serata, e sono come pugnalate, fanno male. Rivedo lo sguardo confuso di Paul Stilinski nel momento in cui Stiles, con una mano sulla mia schiena, mi ha accompagnato nell’atrio di casa sua. «Lo so che vi conoscete già» aveva detto «ma così fa molto più “Tutti insieme appassionatamente”, per cui» e aveva preso un respiro profondo «papà lui è Derek. Derek, lui è mio padre». Quando gli ho stretto la mano, pensavo me la volesse staccare. Le sue intenzioni erano chiare, come se avesse sulla fronte un cartellone al neon con scritto “Mio Territorio”. Ogni tanto Stiles sussurra il mio nome, forse per accertarsi che non me ne sia andato, così lo stringo forte e gli lascio dei piccoli baci sulla fronte. Le sue mani stringono la mia maglia, come quando un’ora fa ha stretto il mio ginocchio da sotto il tavolo, nel momento in cui suo padre, mentre tagliava il pollo come se volesse ucciderlo di nuovo, mi ha chiesto da quanto ci stavamo frequentando. E Stiles aveva risposto al posto mio, o meglio, aveva girato attorno alla risposta. «Beh, papà, ci conosciamo da tanto tempo ormai, da quando Scott è stato morso. Subito pensavamo fosse stato Derek… Ahahah che idioti, no? È stato Peter in realtà. Ricordi Peter, vero? Lo zio di Derek, il fratello di-».
«Stiles» aveva tuonato il padre. «Taci. Da quanto esci con mio figlio, Derek?».
«Sette mesi, signore. Otto la prossima settimana».
«Tu esci con Derek Hale da otto mesi e non mi hai detto nulla?». L’aveva sussurrato, ma alle nostre orecchie parse come un urlo, o uno stridio di unghie su un vetro. «Papà, ascolta, se è per quella storia dell’essere quasi stato incriminato per omicidio-» ha cercato di difendermi, Stiles, ma suo padre è scattato in piedi, puntando l’indice prima contro di me e poi contro di lui. «Lo so meglio di te che è stato scagionato, io l’ho scagionato, e ora vorrei non averlo mai fatto! È minorenne, lo sai vero?» si rivolgeva a me. «Questo si chiama stupro!» era furioso.
«Non l’ho toccato, signore, so che è minorenne e ci tengo a lui, non voglio rovinare tutto.» ero rimasto seduto, stringendo la mano di Stiles sul mio ginocchio. «Risparmiati le frasi fatte, ragazzo! Hai ventisei anni, Hale. Che diavolo vuoi da un ragazzo di diciassette?!» Nulla. Al momento voglio solo stringerlo per fargli capire che non lo lacerò mai, che lo amo. Che amo lui, la sua parlantina, i suoi occhi, le sue mani che tremano come foglie sul mio petto.
«Stagli lontano, e non entrare più in casa mia!». Lo aveva urlato, fuori di se’, lo sceriffo Stilinski, mentre Stiles quasi correndo mi aveva accompagnato alla porta e, dopo un bacio talmente veloce che quasi pensavo di essermelo immaginato, mi ha sussurrato un «ci vediamo in camera mia. Me la cavo da solo». Allora ero davvero andato in camera sua e mi ero seduto sul letto, aspettando la sfuriata, cercando di trattenermi dal correre al piano di sotto. C’era un silenzio inquietante, così diverso dai singhiozzi che ora riempiono la stanza, i sussurri di Stiles, i suoi sospiri pesanti, in un qualche modo simili ai miei nel momento in cui aveva fatto quella domanda al padre.
«È davvero perché è più vecchio di me o solamente perché è un ragazzo?» mi tremavano le mani.
«No!» aveva risposto lo sceriffo, troppo velocemente per sembrare sincero. «Non mi importa che sia un ragazzo, ma che diavolo, Stiles! Ha nove anni più di te!»
«Mamma era più vecchia di te di quattro anni! Non me ne frega niente dell’età. Quando lui è con me mi sento bene, mi fa stare bene, papà! Lo capisci?».
«No, non lo capisco. Come può lui farti stare bene? Come può darti ciò di cui hai bisogno?»
«Lui è ciò di cui ho bisogno, papà!». «Ma è un ragazzo!».
Era stato in quel momento che era caduto di nuovo il silenzio, rotto solo dalla voce di Paul Stilinski che sussurrava il nome del figlio. «Non volevo dire questo, scusami».
«Mamma avrebbe capito. Mamma sarebbe stata felice per me». Aveva lanciato il bicchiere contro il muro e mi aveva raggiunto in camera.
Si sentono dei passi lungo le scale, passi più lenti di quelli di Stiles, quasi fossero più timorosi. Stiles alza il viso e mima con le labbra di andarmene. Non ho la minima intenzione di farlo. «No» gli sussurro. «Non ti lascio da solo, resto con te». Lo sceriffo sbuca dalla porta nel momento in cui Stiles affonda il viso nel mio collo per cercare di fermare il tremore.
«Stiles, figliolo, verresti un momento?».
«No».
«Ti prego» riprende il padre facendo un passo avanti «mi dispiace, non volevo dire quelle cose».
Stiles scatta a sedere. «Ah no? Non volevi?! Allora era meglio che fossi stato zitto!». Gli poso una mano sul braccio. «Calmati, Stiles, è tuo padre, non parlargli così».
«Calmarmi un corno!» sbuffa.
«Derek, posso parlare con te, almeno?» chiede lo sceriffo. «Certo, signore». Mi alzo, facendo scorrere la mano sul braccio di Stiles, fino a stringergli piano le dita.
«Stai tranquillo» dico, rivolto più a me stesso che a lui. Esco dalla stanza seguendo lo sceriffo. Mi fa sedere sul divano del salotto, prende un respiro profondo e comincia a parlare.
«So che hai sentito ciò che ho detto a Stiles, mi ha parlato dei vostri sensi… ehm… lupeschi. Ho detto una cosa stupida, sappi che non ho niente contro i gay».
«Signore, non c’è-»
«Lasciami finire, Derek» annuisco. Lui si stringe le mani, indugiando qualche frazione di secondo in più sulla fede che, nonostante tutto, porta ancora. «È solo che non me lo aspettavo. Dopo Lydia e il piano decennale» ride, scuotendo la testa «e poi, dai, hai visto come si veste?!» ora rido anch’io con lui. «Già, su questo non posso darle torto, signore».
«Ma non è di questo che volevo parlare, ragazzo. Tu hai ventisei anni. Stiles ne ha diciassette. Sei sicuro di ciò che stai facendo? Tu hai l’età da famiglia, lui del cervello al livello della zip dei pantaloni. Io non posso e, che diamine, nemmeno voglio farmi gli affari privati di mio figlio, ma non voglio che soffra. Lui mi ha spiegato che voi lupi, nelle notti di luna piena dovete trovare un’ancora per non perdere il controllo, giusto?» annuisco. «Ecco, dopo la morte di mia moglie, Stiles è stato la mia ancora. Ho avuto paura di non riuscire a cavarmela con un bambino, di non riuscire a crescerlo, a prendermi cura di lui. Poi ho capito che era lui che si stava prendendo cura di me, la prima sera che mi ha preparato la cena. Me l’ha fatta trovare pronta quando sono tornato dalla centrale. È un bravo ragazzo, Derek. È mio figlio e gli voglio bene. È l’unica famiglia che mi resta. Ma tu promettimi che lo tratterai bene, che lo amerai e non lo farai soffrire, e allora prenderò in considerazione l’idea di renderti parte di questa famiglia». Mi guarda negli occhi mentre parla, mi attraversa da parte a parte.
«È anche la mia» sussurro. «Di ancora, intendo. Stiles è la mia ancora. Quando sento l’effetto della luna su di me, penso che potrei fargli del male e allora riesco a controllarlo. E, mi creda» gli dico ridendo «se qualcuno, un paio di anni fa, mi avesse detto, che avrei preso una sbandata per quel ragazzino logorroico al piano di sopra, probabilmente gli avrei riso in faccia e poi lo avrei picchiato. Eppure eccomi qui, a cercare di convincerla che amo su figlio, farei qualsiasi cosa per lui. Mi sono innamorato di Stiles senza che nemmeno mi passasse per l’anticamera del cervello di potermi innamorare di un ragazzo. Ma da ciò ho capito che quando ci si innamora non lo si fa per l’aspetto di una persona, ma per ciò che è. Dentro, intendo. Per com’è la sua anima. La mia vita sentimentale è stata un disastro, ma non lo sarà con Stiles. Lo amo e non voglio perderlo per nulla al mondo. Per cui la prego – la scongiuro» continuo, congiungendo le mani «si fidi di me. Di me e dell’amore che mi lega a Stiles». Faccio un respiro profondo. Non ho mai fatto un discorso così lungo in vita mia. Mi alzo e faccio per andare verso le scale. Devo tornare da Stiles. «Derek» mi richiama lo sceriffo. «Grazie» cerco di sorridergli. «Grazie a lei, signore». Mi volto e mi richiama indietro una seconda volta. «Domattina devo andare in centrale molto presto e la Jeep di Stiles è dal meccanico. Ti dispiacerebbe rimanere qui stanotte e accompagnarlo a scuola?» non capisco se sia una domanda sincera o un tranello. Provo a fidarmi. «Certo, signore, nessun problema». Già mi immagino delle urla del tipo “TU! Enorme pervertito! Lo sapevo che vuoi solo approfittarti di mio figlio”, ma sorprendendomi di nuovo, mi ringrazia. Risalgo le scale e trovo Stiles disteso a pancia in giù con la faccia affondata nel cuscino.
«Dormi?» chiedo. Un “no” appena grugnito è la sua unica risposta. Mi avvicino al letto, stendendomi al suo fianco e allaccio la gamba sinistra alle sue, leggermente separate, mettendola in mezzo, mentre con le dita della mano sinistra glia carezzo la spina dorsale (so quando gli piaccia e quanto lo rilassi), mentre con la destra tengo su la testa, appoggiando il gomito al cuscino.
«E allora che fai?» gli sussurro. «Cerco un modo di scappare di qui, solo io e te. Niente padri irritanti, zii psicopatici, amici iperprotettivi e pericoli da telefilm. Ormai Beacon Hills è diventata un’altra Sunnydale. O Mystic Falls. Il problema è che tu sei l’affascinante e sexy cattivo, come Spike, o Damon, mentre io sono il Matt Donovan della situazione. O lo Xander Harris, dipende da quale preferisci». Ha girato la testa di lato per guardarmi mentre parlava e io non posso fare a meno di pensare a quando siano belli suoi occhi.
«Ho parlato con tuo padre, è tutto a posto».
«No, non è per niente tutto a posto» si mette a sedere, e io mi posiziono la suo fianco. «Hai sentito cosa mi ha detto».
«Stiles, amore, gli hai portato in casa un ragazzo dopo anni che progettavi il tuo matrimonio con Lydia Martin! Anch’io avrei avuto quella reazione» Mi guarda strabuzzando gli occhi.
«Che c’è?»
«Che hai detto?»
«Ehm… Che tuo padre-»
«No, intendo… Come mi hai chiamato?». Sorrido. Un gran sorriso. Uno di quelli che riesco a fare solo a lui. «Ti ho chiamato amore perché ti amo». Si mette a cavalcioni su di me e mi prende il viso tra le mani. «Anch’io ti amo, Sourwolf!» quasi lo urla. «Basta con quel sopran-» non mi lascia finire. Mi blocca con un bacio sulle labbra, sulla fronte, sul mento, sul collo, e di nuovo sulle labbra.
«Dai, Stiles, fermo» rido, non riesco a non farlo. «Tuo padre mi ha chiesto di stare qui stanotte, per poterti portare a scuola domattina. Ora mettiti fermo e dormi, ragazzino».
«Dobbiamo dormire per forza?» lo sussurra sul mio collo, e un brivido caldo mi attraversa la schiena.
«Decisamente si». Lui sbuffa, ma si alza e prende il suo pigiama dall’armadio e mi lancia un paio di pantaloni di tuta.
«A me stanno grandi, per te dovrebbero essere perfetti».
«Grazie». Ci cambiamo e ci infiliamo a letto, appoggia la schiena al mio petto e io gli avvolgo la vita con un braccio.
«Buonanotte, ragazzino» gli dico, baciandogli i capelli. Gli ha fatti crescere in questi anni. Mi piacciono da morire ora.
«Buonanotte, Sourwolf» sbuffo, ma stringo un po’ di più.

La mattina seguente, quando lo sceriffo si affaccia alla porta che ho lasciato aperta in modo da fargli capire che non stavamo facendo niente oltre a dormire, lo sento sospirare di sollievo. Scende le scale, ma prima di uscire di casa lo sento dire qualcosa di decisamente molto inquietante.
Qualche minuto dopo, Stiles si gira tra le mie braccia e sussurra un impastato “Buongiorno”. Gli do un bacio a fior di labbra e lo faccio alzare.
«Forza. Fatti una doccia, preparo i pancake e ti porto a scuola».
Mi guarda speranzoso «Vieni con me?» mi avvicino e gli carezzo un braccio, avvicinando il viso al suo. «Mmm… Nah» Riconosco questo sguardo, vuole picchiarmi.  «Dai, ci vediamo di sotto»
Esco dalla stanza e scendo le scale. In cucina, prendo tutto l’occorrente e preparo la colazione. Mia madre mi ha insegnato a fare i pancake. Era una brava cuoca. E una brava mamma. Stiles appare sulla porta. «Mi piace il tuo tatuaggio. Ma di più ciò che c’è un po’ più a sud»
«Mangia, pervertito». Lo lascio solo a mangiare e con un ghigno vado a cambiarmi.
«Intendevo la schiena! Che ti aspettavi?!»

In macchina ormai ho preso l’abitudine di tenergli la mano. Accende lo stero e si sentono le note di “All of me”. Arrossisco.
«Derek Hale arrossisce. Signore e signori, Derek Hale è umano. Come mai questo bel rosa sulle guance, Hale?»
«Ah – ah – ah simpatico. Non sono un robot. In fondo – molto in fondo – provo dei sentimenti anch’io».
«Dai, dimmi perché sei arrossito! Dai! Lo sai che posso continuare così tutto il giorno».
In effetti… Non riuscirei a sopportare una tale tortura.
«La canzone. Mi piace. Ascoltala, questa canzone sono io. Sei tu. Siamo noi» Rimane in silenzio per un po’. Quando fermo l’auto nel parcheggio della scuola, finalmente ritorna a parlare.
«È vero. Quello che hai detto sulla canzone. Siamo noi»
«Già» mi volto verso di lui. «Forza, esci e vai a studiare». Mi bacia. Lentamente, senza fretta.
«Ti amo» sussurra sulle mie labbra. «Ti amo anch’io». Apre lo sportello e va verso Scott, che mi saluta con la mano e mi lancia un sguardo omicida. Iperprotettivo. Alzo la mano per ricambiare il saluto a lui, Lydia e Isaac. Quasi mi aspetto di vedere il braccio di Isaac che stringe Allison. A volte non mi sembra vero che non ci sia più. È morta per aiutare a salvare Stiles. Le sono debitore.
Appena lo vedo entrare nella scuola, solo dopo essersi voltato per un ultimo saluto, premo sull’acceleratore e ripenso alle parole che Paul Stilinski ha detto stamattina sull’uscio della porta, ben consapevole che lo stessi ascoltando, e non posso fare a meno di tremare. Quell’uomo mi spaventa da morire.

«Sarai anche un lupo mannaro, Hale, ma io sono un padre. Fallo soffrire e ti uccido. Senza l’aiuto dello strozzalupo. Buona giornata.»





Buon salve! Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui. Grazie davvero! Mi piacerebbe che lasciaste qualche recensione per sapere che ne pensate. E anche grazie alla mia compagna di avventura, la mia Vittoria, ricorda #2015noicisaremo ;) , grazie alla povera ragazza che in autobus mi sopporta e legge tutti i miei scleri, e a Laura, perchè, nonostante tutto, hai scritto la meravigliosa introduzione a questa one shot. Grazie, e sai che non è solo per questo. Grazie per tutto, tutto quanto. Vi voglio bene, tesori!
B.

  
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