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Autore: M a r u    23/05/2014    0 recensioni
Oltre una distesa di cremisi e luce immacolata, dove la luce annienta, distrugge, fa sì che i petali brillanti di papaveri ormai smunti appassiscano al solo tocco e rinascano subito dopo, arriva una leggera brezza, come un barlume di vendetta al caldo sole. Ombre che giocano a rincorrersi, senza mai trovarsi del tutto, respingendosi e tornando indietro come sentinelle minuziosamente attente; Riza aveva cercato più volte quelle ombre, e puntualmente, le uniche che riusciva a scorgere erano quelle celate dal cuore del colonnello. Aveva seguito quelle stesse ombre, che la accoglievano sempre con un caldo abbraccio di disperazione, e di folle speranza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Riza Hawkeye | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Per troppo a lungo quel piccolo pezzo di mondo, quel lontano ricordo di una realtà dimenticata, non aveva avuto più nessuna ragione per continuare ad esistere, per rimpiangere il tempo in cui aveva  promesso di risorgere. L'erba cresceva incolta, il sole sovrastava le rocce, rendendole preziose e lucenti come gemme, i fiori si muovevano danzando, scossi dal vento. Per troppo a lungo, non aveva più visto nemmeno l'ombra di un visitatore.
In
luoghi come questo, distese di prati e viottoli, nessuno può accorgersi di nulla. Nessuno può tendere l'orecchio ad ascoltare i suoni dei passeri in lontananza, su ogni albero e tra ogni filo d'erba, nessuno può fermarsi ad osservare la natura fare il suo corso. Un corso che sembrava interminabile, e allo stesso tempo così facile da immobilizzare. Il tempo passava, ma anche per il più cauto ed esperto dei viandanti, poteva dirsi impercettibile, inafferabile. Non si sentiva più nemmeno il terreno vibrare, la carrozzeria di un motore cigolare e stridire, l'aria tagliarsi, l'eco metallico di ruote che grattano su sassi e felci, i cavi bruciare e fare scintille. Come se il tempo non si fosse fermato, o effettivamente, non fosse mai trascorso; uno scorrere lento e fuggitivo.
Le primule cambiavano danza, si rivolgevano ad un altro lato del pubblico, ridevano al primo raggio di sole che le illuminava. Occhi color gianduia si fermavano su di esse, mani pallide e affusolate ne accarezzavano i petali. Ogni soffio di vento era un applauso al visitatore, o meglio, alla visitatrice, tanto coraggiosa da attraversare con un passo spedito la terra di nessuno.
La loro terra.
La terra persa e sconfitta.
Forse minuscoli frammenti di ricordo vagavano ancora su di essa, intrappolati in un passato mai concluso. La speranza era già irrimediabilmente morta, da tanto tempo. Per troppo tempo l'abbandono era stato l'unico vero fattore a prevalere, l'unica vera salvezza per un futuro di redenzione.
La figura che contemplava quel piccolo spazio di vuoto, era rimasta a quei giorni. Ma non erano certo i giorni migliori. Una volta, le primule avevano più colore. Non avrebbe mai pensato di rincorrere un ricordo sbiadito, così attaccato al silenzio da sembrare inesistente. Era proprio il silenzio l'unica cosa presente, quella in cui il tenente si poteva immergere quando i macigni che trascinavano la mente diventavano soffocanti.
Un petalo inseguiva il vento, una chioma aurea e a tratti ondulata si muoveva con esso, i ciuffi andavano poi a scompigliarsi lungo i lineamenti del viso. Chiudeva gli occhi e iniziava a porsi domande, che però non rintracciano una risposta nei filamenti della memoria. Quando anche il corpo diventava troppo pesante per potersi sorreggere, le ginocchia cadevano, atterrando con un gesto morbido sull'erba bruciata. Il pallore veniva contorniato dai colori, i fiori riuscivano a dare quello che la giovane Hawkeye aveva sempre desiderato. Una pace effimera, fatta di istanti e di lacrime ghiacciate, rese sopportabili solo dal tepore della luce scottante. La testa cadeva all'indietro, le lunghe ciglia ambrate si levavano verso l'alto, lo sguardo andava a confondersi, immaginando un altro mondo, un altro momento. L'ultima volta che aveva visto quel luogo, aveva portato con se dei fiori. Fiori sporcati da lacrime di sdegno, di rimpianto. Fiori per anime lontane, che aspettavano solo la compassione di coloro che non potevano parlare. L'ultima volta che era stata in quel luogo, un'anima fedele la aveva accompagnata. L'uomo dai capelli corvini e lo sguardo di ghiaccio, aveva riempito spesso i suoi sogni, aveva creato i suoi incubi e li aveva distrutti. Aveva creato la luce, e l'aveva incendiata come se fosse stata misera carta, per poi crearne la pergamena più bella. L'aveva salvata, più e più volte, senza mai ricambiare un sorriso. Quasi con sufficienza, con orgoglio, come se nulla potesse tocarlo, e come se, allo stesso tempo, la sua unica debolezza fosse lei.
Come rivivere ogni evento, rivedere ciò che è stato. Incombeva la paura di precipitare, non riuscire a tornare indietro.
Indietro.
Se fosse tornata indietro, non avrebbe saputo come andare avanti.  L'aveva già scoperto anni addietro, aveva ottenuto un'opportunità, probabilmente un cammino diverso e una nuova via di fuga, ma le urla nei suoi incubi non avevano mai una fine. I bambini non smettevano mai di piangere, e la carne mai di sanguinare. Il sonno non era più permesso, e i sogni non avevano più un motivo per avverarsi. I colpi di fucile erano ormai gli unici suoni ad essere rimasti, mai il tempo avrebbe portato via anche quelli.

Gli incubi, fatti di angoscie e oppressioni, non lasciavano mai nulla all'immaginazione.
Il luogo era sempre lo stesso, il tempo cambiava ogni volta. L'aria densa di fumo, il fuoco divampava e la cenere riempiva le narici. I fiori erano scomparsi, ora cadaveri e pietre ritraevano il più orrido degli spettacoli. Visi pallidi e scarni osservavano la figura imponente davanti a loro, carabine alzate in aria, uniformi cobalto, alchimisti di Stato pronti a ricordare chi davvero deteneva
il potere.
Fierezza, orgoglio, onore.
La grinta che trasmettevano gli occhi, che riscpecchiava i movimenti.
Nessuna esitazione a schioccare le dita per scatenare le fiamme. Altre urla, altri vortici di tormento. Gli occhi della Nazione erano gli occhi di ogni soldato. Solo la paura era palpabile nell'aria, perché ogni abitante di Ishval sapeva che qualcosa stava per finire. Temevano il generale che voleva predominare, che puntava contro di loro la carna corta e mozza. Ma la paura era così breve da trasformarsi in vero e proprio terrore, quando un orsacchiotto cadeva sulla terra insanguinata, e il volto di un essere umano si trasformava in quello di una bestia famelica. Miserabili vite nelle mani di un burattinaio dal segno irremovibile e spietato dell'Homunculus che era.
Riza non era lì per regalare salvezza; era lì per realizzare il compito che si era prefissata. Non voleva davvero la redenzione, qualcosa che avrebbe potuto ottenere solo con una morte altrettanto atroce - voleva la comprensione dell'unica persona rimasta al suo fianco, voleva un perdono che non sarebbe mai arrivato. 
In ognuno di quegli incubi, nessun soldato rabbridiva. Tutti si erano schierati dalla parte del più forte, tutti avevano qualcosa per cui salvaguardare la proprio vita, sempre se di vita si potesse parlare. Lei stessa vedeva quegli occhi scarlatti e quell'espressione distrutta, nascosti dal sangue e dalla polvere. Quello che vedeva non le concedeva mai sonni tranquilli. Forse questa era la giusta punizione, per un guerriero riluttante. Rivivere il passato tutte le notti, senza mai staccarsene del tutto. Senza mai poterlo davvero sopportare.
Il destino le aveva tolto ogni possibilità, come il vento strappava i petali dei fiori appena sbocciati.

 

  
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