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Autore: Gee_Echelon    23/05/2014    1 recensioni
Mi piaci da starci male tutte le notti perché ti penso e non so che fare, perché ti vorrei con me e non ti posso avere, mi piaci perché ti vedo come quella piccola parte da proteggere e tenere al sicuro e io tento di farlo, ma poi finisce sempre che ti faccia del male e mi dispiace per questo, perché non sono perfetto e per te vorrei esserlo, vorrei essere la tua perfezione.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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When in front of you i feel invincible

 


 Correvo sotto la pioggia a perdi fiato. Avevo in mano una sigaretta ormai fradicia, così decisi di gettarla a terra. 
Correvo senza un motivo apparente, anzi, forse il motivo c’era, ero io a non avere un senso. Mi facevano male le gambe per quanto le stessi sforzando ad andare veloci e le gocce d’acqua che mi battevano sulla faccia, puntualmente, assomigliavano a schiaffi. Mi ci sarebbero voluti in quel momento, forse per fermarmi, forse per andare più veloce. 
Avevo il cervello spaccato a metà e, davvero, non sapevo a quale parte dar retta. Una diceva ‘Vai idiota stai facendo la cosa giusta’, l’altra invece, mi urlava di fermarmi, che avrei scatenato un delirio così facendo e ogni volta che per sbaglio l’ascoltavo anche solo un po’, la mia corsa rallentava, però non accennava mai a fermarsi, segno che stavo facendo la cosa giusta. 
Quando sarei arrivato lì, cosa avrei detto, cosa avrei fatto? Inutile tentare di prepararsi un discorso a mente perché tanto, quando l’avrei avuto davanti il mio cervello sarebbe andato a farsi fottere insieme al discorso.
Più mi ripetevo di stare calmo e più mi agitavo, non ero sicuro di me, mi sentivo sbagliato per me e per lui, anzi sapevo di esserlo, avevo tante imperfezioni, non mi riconoscevo quasi nessun pregio e questo forse avrebbe rovinato tutti, eppure le gambe continuavano a correre da sole, procedevano con tanta certezza, al contrario della mia. Volevano portarmi proprio dove stavo andando, cioè a casa sua, ma ora la mia sicurezza non era più così certa, le mie paure e le mie paranoie si erano fatte avanti e stavano rovinando, schiacciando e massacrando la mia euforia, come ogni volta che tentava di venire fuori ed era straziante. Ma ormai dovevo farcela, ero quasi arrivato e non potevo girare i tacchi e andarmene in quel momento. 
Così rallentai il passo, mi accesi una sigaretta e lasciai che la paura mi divorò, come la nicotina e il catrame divoravano i miei polmoni ad ogni tiro. Tralascia anche che stavo venendo sopraffatto dall’ansia e il terrore. Feci un tiro e iniziai a pensare su cosa avrei potuto dire, anche se mi ero ripromesso di non programmare nulla e infatti il mio cervello non elaborò nulla di sensato o di traducibile nella nostra lingua.
Smisi di pensare quando vidi quel vialetto, quell’albero che dava sulla finestra della sua camera e quella casa alla quale io avrei suonato tra qualche istante. Ero a bocca aperta, dallo stupore, senza un motivo concreto, come quando a un bambino fai una sorpresa che non si aspetta. Feci un altro lungo tiro della mia sigaretta e ero davvero indeciso sul da farsi, non sapevo se andarmene oppure procedere, avevo paura. 
Di quell’isolato adoravo il fatto che fosse particolarmente buio, mi sentivo a mio agio nell’oscurità, nessuno avrebbe potuto vedere trasalire dal mio sguardo le mie emozioni. Buttai la sigaretta in terra e centrai una pozzanghera, non aveva accennato minimamente a smettere di piovere. 
Trattenni il fiato per qualche secondo, poi ripresi a respirare di nuovo, quell’odore di umido, di bagnato e fresco che solo la pioggia sapeva dare e che io adoravo da impazzire. 
Mi feci coraggio e mi incamminai nel vialetto, arrivando fino alla porta. 

-Sei sbagliato, stai facendo una cazzata, non andrai mai bene per nessuno.-

La mia mente continuava a ripetermi tutto questo, ma tentavo a gran fatica di ignorarla. Odiavo farmi controllare dai pensieri negativi della mia testa, lo odiavo da morire, perché finivo sempre per non fare ciò che volevo davvero. Mi faceva incazzare e mi rendeva inutile. 
Con uno scatto di rabbia, istintivamente suonai il campanello, pentendomene subito dopo e mi paralizzai. 
E adesso? 
Mi guardai intorno, non c’erano macchine, persone, niente. Nessuno veniva ad aprire, il mio sforzo si stava rivelando tutto inutile, avevo preso anche tutta quell’acqua inutilmente, la mia mente questa volta aveva ragione, ero un idiota, cosa mi aspettavo? Niente, come sempre. Ero ormai deciso ad andarmene, così mi voltai. 
“Gee?” mi bloccai immediatamente al suono della sua voce e mi voltai nuovamente con non so quale espressione in volto. 
“Ciao Frank” dissi in un filo di voce. 
“Scusa ma, cosa ci fai qui? È l’una di notte e sta diluviando” disse preoccupato come sempre. Era così bello quando lo faceva i suoi occhi, involontariamente, si rattristavano per lui, ma era bellissimo lo stesso. 
“Già, forse è meglio che vada, scusa se ti ho svegliato” gli lasciai uno dei sorrisi più falsi della storia e poi cazzo, dopo tutta quella fatica avevo davvero intenzione di andarmene? In realtà una parte di me, sperava che Frank mi fermasse. 
“No aspetta, entra e cambiati o aspetta che finisca di piovere, se torni a casa così ti prenderà qualcosa. Almeno mi spighi il motivo per cui sei qui” disse mettendosi da parte per farmi entrare. 
“Allora forse è meglio che io rimanga sulla porta, sai per quello che ho da dirti intendo” dissi accennando un sorriso, stavolta un po’ disperato. 
“Cosa intendi Gee?” non mi stava seguendo. 
“ Quello che ho detto, che sicuramente mi caccerai dopo quello che ti dirò” dissi di getto. 
“Perché dovrei? Prova a dirmelo, magari ti sbagli” replicò serio e mi sorprese. 
“Già, proviamo” presi un lungo respiro, poi lo fissai intensamente negli occhi, ormai ero deciso, qualsiasi cosa sarebbe successa, avrei parlato e niente mi avrebbe fermato, c’ero. “Mi piaci, forse da subito, forse non lo so, sta di fatto che mi piaci. Mi piaci da starci male tutte le notti perché ti penso e non so che fare, perché ti vorrei con me e non ti posso avere, mi piaci perché ti vedo come quella piccola parte da proteggere e tenere al sicuro e io tento di farlo, ma poi finisce sempre che ti faccia del male e mi dispiace per questo, perché non sono perfetto e per te vorrei esserlo, vorrei essere la tua perfezione. Vorrei essere con te notte e giorno, abbracciarti, baciarti e amarti come nessuno ha fatto mai, essere per te un fratello con il quale scherzare, un amico con il quale parlare e un amante con il quale amare. Vorrei esserci sempre per far sì che su quelle labbra e dentro quegli occhi ci sia sempre il sorriso, perché sei bellissimo quando ridi e non meriti le lacrime, non meriti il dolore che questo mondo ti dà, tu meriti di stare bene, di essere felice e io nel mio modo disastrato, malandato e un po’ distrutto posso dartelo, voglio dartelo. Voglio esserci per poterti dire che ti porterò via da questa merda, che ti salverò perché, come ho detto, te non meriti questo, ma molto di più- mi fermai per riprendere fiato e mi accorsi che Frank piangeva –perché piangi?” chiesi. 
“Sh, continua, ti prego” mi implorò. 
Così mi schiarii la voce e continuai a parlare: “Voglio metterti in guardia sul fatto che di ferite ce ne saranno, ma sapremo come guarirle insieme e staremo bene, arriveremo lontano io e te se siamo uniti. Voglio anche ricordarti che di fronte a te mi sento invincibile, non mi fai sentire invisibile e sento di poter fare ogni cosa se ho te al mio fianco. Ti proteggerò da ogni male, anche da me stesso se ce ne sarà bisogno, ma per favore, sii mio anche solo per un attimo, so che possiamo stare bene, so che possiamo farcela e allora concediamoci questo bene. Mi scuso già da ora per non essere, magari, ciò che ti aspettavi che io fossi, ma posso migliorare, per te posso, per te voglio cambiare. So di avere molte imperfezioni, ma posso arrotondare i miei angoli e non farli più essere spigoli. Ci sarò in ogni momento, buio, bello, triste e felice, sarò al tuo sempre se tu me lo permetterai e finché lo vorrai” mi zittii e lo guardai che piangeva e mi osservava. Fu in quel momento che capii il suo “sì”, quando le nostre labbra si incontrarono, quando lui mi strattonò per un braccio verso di lui e mi strinse forte a se e io non potei non fare lo stesso. 
Ce l’avevo fatta, era mio e quel bacio ne era finalmente la prova.

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla mia Frankie.

   
 
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