Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: ele_lele    23/05/2014    2 recensioni
Beatrice ha venticinque anni, un contratto a tempo determinato come traduttrice e ha abbandonato nel cassetto il sogno di essere la stella del teatro. Quando, quasi quattro anni prima, aveva deciso di prendere un appartamento da condividere con i suoi amici Lollo e Charlie mai si sarebbe aspettata una vita fatta di risate e felicità, lei che conosceva solo la grigia monotonia di casa. Tanto da restarne assuefatta.
Lorenzo è il classico studente sfaticato che ha più amici che voglia di lavorare, patito per la forma fisica e che fa strage di cuori con i suoi sorrisi mozzafiato.
Infine c’è Charlie: sorriso timido e braccia muscolose, una latente incertezza e la paura di cambiare che accompagnano ogni suo gesto. Anche la scelta consapevole di iniziare una nuova vita lontano dai suoi amici più cari, nonché coinquilini.
Gli ultimi giorni della convivenza prima della partenza di Charlie sono sempre più forzati e portano alla luce le parole non dette negli anni, i rancori serbati e gli amori covati. Tanto che si vedranno tutti e tre costretti a rivedere i termini della loro amicizia e a combattere per quello che vogliono davvero.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
capitolo 3 parole

III

PAROLE

 

 

 

Lucy: ”Come mai non chiudono le scuole per l’anniversario di Beethoven? Se era così grande come mai non chiudono le banche,gli uffici postali e le biblioteche?Come mai?”
Schroeder: ”Io conosco qualcosa che non chiude veramente ma!”
Lucy: ”Che cos’è?”
Schroeder: ”La tua bocca!”

 

 

 

 

Il telefono, impostato in modalità ‘silenzioso’, vibrava senza sosta nella tasca destra dei suoi jeans, provocandole un senso di fastidio che non sapeva affatto spiegarsi.

Sentiva la propria voce tradurre in tono piatto quello che, altrettanto noiosamente, diceva in italiano un rinomato professore di fronte a una classe di annoiati ragazzi americani. Essere una traduttrice di testi e interprete per ragazzi che venivano in Europa con il principale pensiero di bere alcol pur non avendo ventuno anni, era quanto di più frustrante potessi esserci al mondo.

Non appena il professore si fermò per consultare la scaletta dove aveva appuntato gli argomenti della lezione, colse la palla al balzo ed annunciò una breve pausa di dieci minuti, sorridendo innocentemente al docente che la guardava in attesa di una traduzione, non parlando una parola d’inglese e non capendo perché i suoi studenti si stessero alzando come una mandria di bufali, scalpitando per uscire all’aria aperta e staccare per qualche minuto da quella lezione che sembrava non dovesse finire più.

Quando il telefono riprese a vibrare, voltò le spalle all’uomo e seguì gli studenti americani nel cortile dell’università, sfilando l’apparecchio dalla tasca e rispondendo senza neppure controllare chi la stava chiamando.

“Che diavolo c’è?” ringhiò all’altoparlante del cellulare.

“Un fiore, non c’è che dire. L’inventore dei Peanuts piangerebbe di gioia nel poter constatare che sei l’incarnazione vivente di Lucy.”

“Per prima cosa Schulz è bello che defunto e poi sei tu che mi rompi a quest’ora quando sai che sto lavorando...”

“Che c’entrano le scarpe? Io sto parlando di Snoopy, non delle scarpe che si trovano nelle sanitarie”.

“Quello è Scholl. Ma perché perdo tempo a discutere con te? Che vuoi, Lollo?”

I minuti passavano in fretta e lei non poteva permettersi che il docente per il quale faceva l’interprete andasse a lamentarsi perché stava troppo tempo al telefono durante l’orario di lavoro. Non che fosse successo molte altre volte, però ultimamente, con la storia del trasferimento di Charlie, Beatrice aveva finito per essere più insofferente del solito anche al lavoro e si era ritrovata più d’una volta ad attendere con impazienza la pausa caffè della lezione per potersi distrarre un po’.

“Sentire la mia Lucy, cos’è, non posso? O hai da ridire perché non sono Charlie?”

Recentemente, ogni parola che riservava per Charlie, era veleno allo stato puro. E spesso Beatrice finiva per essere il bersaglio involontariamente preferito di quei dardi scoccati con una precisione letale.

Il silenzio con cui gli rispose la ragazza, gli fece capire che si era spinto troppo oltre.

“Bea…” non la chiamava quasi mai per nome. “Senti, mi dispiace, ok? Non volevo fare il cretino, ma a volte sembra che… non lo so neppure io. È che mi dispiace e lo so che ci stai male e per questo mi dispiace ancora di più e … lascia perdere, a quanto pare oggi faccio più schifo del solito con le parole. Magari se avessi fatto l’attore…” S’interruppe prima di finire la frase, forse conscio del tono aspro con cui aveva pronunciato quelle parole.

Bea si morse il labbro inferiore per non lasciarsi sfuggire neppure un suono, combattuta dall’impulso di rispondere a Lorenzo per le rime e la necessità di accasciarsi al suolo, stringersi le ginocchia con le braccia e piangere fino a terminare le lacrime.

Udì un sospiro e lo immaginò passarsi la mano tra i capelli, gli occhi vispi improvvisamente vigili e la bocca asciutta nella ricerca delle parole giuste da dirle.

“Direi che il fatto che io sia un cretino è ormai appurato, no?” tentò di sdrammatizzare.

Ignorando la tentazione di attaccargli il telefono in faccia, alzò distrattamente gli occhi al cielo e mormorò un assenso, accompagnando il suo “Già” con un sorriso rivolto alle nuvole.

Lorenzo, evidentemente rincuorato, riprese a chiacchierare come se la conversazione dell’ultimo minuto non fosse mai avvenuta. “Allora, fiorellino, si può sapere perché mi hai risposto tanto male al telefono?”

“Perché, nonostante tu sappia che a quest’ora io sono a lavoro, hai continuato a chiamarmi per l’ultimo quarto d’ora e il cellulare non faceva che vibrarmi in tasca. Era dannatamente fastidioso!” Sbottò incurante dei ragazzi stranieri che si erano girati nella sua direzione per fissarla.

“Cosa ti ha dato fastidio? Il fatto che ti abbia chiamata nell’orario di lavoro? O magari mi sbaglio e non è questa la ragione del tuo turbamento ma il fatto che a vibrare fosse il cellulare e non altro… o che abbia scoperto il tuo piccolo scabroso segretuccio che custodivi gelosamente nel cassetto dei calzini?”

Beatrice sentì le guance arrossarsi e, quasi temendo che gli altri potessero sentire quello che il suo amico le aveva appena detto, premette maggiormente il telefono contro il proprio orecchio. “Sei… sei… La gente normale non fruga nei cassetti di altra gente!”

“Bugiarda. Tu quando qualcuno ti invita a casa propria frughi sempre nei cassetti del bagno. E nelle antine del mobiletto sopra il lavandino.”

Era tanto imbarazzante quanto vero.

L’ultima volta aveva addirittura fatto una foto del cassetto del bagno di casa di Linda, una collega conosciuta all’università, e l’aveva inviata a Lorenzo, domandandogli chi altro avesse dei cassetti del bagno tanto ordinati che per un momento si era chiesta se in realtà Linda non avesse un armadio a muro nascosto dietro un arazzo dove regnava il caos e il disordine perché lei proprio non riusciva a capacitarsi di tanta perfezione nel cassetto del bagno, dannazione!

“D’accordo, magari a volte…”

“Sempre”, la corresse lui.

“E va bene, lo faccio anch’io, ma non sono affari tuoi quello che tengo o che non tengo nei miei cassetti.”

Per un attimo temette che le avrebbe chiesto se fossero affari di Charlie, ma per fortuna ebbe il buonsenso di starsene zitto, a respirare piano nel ricevitore del telefono.

“Beh, in realtà se vibrano sì. Dicevi sempre di essere contro gli aggeggi elettronici ed invece eccoti qui, con un kindle, un telefono che non risale ai tempi della preistoria e un vibratore

“Vuoi stare zitto?!” Urlò, nel tentativo di coprire la voce dell’amico, preoccupata che qualcuno potesse sentire quella conversazione che la stava tanto imbarazzando.

“D’accordo, taccio, ma solo perché probabilmente devi tornare a tradurre e poi voglio vederti arrossire mentre ti sconvolgi tanto perché parliamo di una cosa normale come il bisogno di soddisfare il proprio piacere. Ah, Lucy, Lucy…”

Beatrice attaccò con le guance in fiamme.

Adesso sì che rientrare in classe e fare finta di niente nonostante il viso accaldato, la voce tremula e gli occhi velati dall’imbarazzo sarebbe stata una prova di recitazione non da poco.

La prova del nove era arrivata.

 

*

 

Era riuscita, chissà come, ad arrivare incolume al termine della lezione e, quasi come una matricola ancora non abituata agli orari universitari prolungati, si era precipitata all’aria aperta, adducendo una patetica scusa con il docente con il quale collaborava gomito a gomito ad ogni lezione.

Aveva avuto la prova di avere una buona stella che vegliava su di lei quando non era stata investita da nessun’auto in corsa perché, per quanto ne sapeva, non aveva mai neppure controllato a destra ed a sinistra prima di attraversare la strada a piedi, incosciente come a volte solo i pedoni sanno essere.

La strada per casa non le era mai sembrata tanto lunga e, al tempo stesso, come nel più banale dei paradossi, tanto breve.

Ebbe appena il tempo di infilare la chiave nella toppa della serratura che sentì una voce chiamare il suo nome.

“Bea?”

Il tono carezzevole di Charlie le provocò uno spasmo all’altezza dello stomaco.

Non rispose, ma posò le chiavi sul mobiletto d’ingresso, un’orribile cassettiera marrone che quattro anni prima avevano pescato nell’angolo delle occasioni dell’Ikea come mobile inaugurale del nuovo appartamento e di quella che, secondo loro, sarebbe stata una nuova vita.

Da soli, da adulti.

“Bea?” La nota di domanda nella voce di Charlie si fece più insistente e Beatrice pensò che sarebbe stato divertente restarsene lì, in silenzio, immobile, nel tentativo di non farsi scoprire, in una specie di nascondino.

La testa di Charlie fece capolino dal muro del corridoio, una zazzera scomposta di capelli scuri su un’espressione ambigua.

Sembrava arrabbiato, triste e preoccupato al tempo stesso.

“Perché non mi hai risposto? Mi hai fatto spaventare…”

Sì, il dolce Charlie si era preoccupato. Magari era stato in pensiero per lei, chiedendosi se qualche malintenzionato le avesse fatto del male o se le fosse accaduto qualcosa.

“Lo so che è un momento difficile, ma spero tu sappia che non era mia intenzione dar via a tutto questo pandemonio…”

Ed era triste: c’era forse qualcosa di più dolce di un uomo che ammetteva i suoi errori?

 “Cazzo, Bea, non ce la faccio più. Ho bisogno di una cazzo di tregua, non posso andare avanti così ancora per molto! Cazzo…”

Ma non era arrabbiato: era decisamente furioso.

“E tu poi te ne stai fuori casa senza avvertire, mentre di solito avvisi se finite la lezione così tardi che, cazzo!, non avevo idea di dove fossi!”

Se prima lei si era quasi commossa dal suo essere preoccupato, triste e arrabbiato –no, non arrabbiato: furioso-, ora sentiva montare in lei la stessa furia che vedeva negli occhi del ragazzo.

Come diavolo si permetteva di farle una scenata come quella?

“Certo che tu non avevi idea di dove io fossi, e non vedo perché avrei dovuto dirtelo. Io non so di ogni tuo movimento e non mi interessa neppure controllarti fino a tal punto. E non sei né mia madre, né il mio ragazzo, quindi perché mai dovrei dirti tutto quello che faccio?”

“Perché siamo amici!” l’urlo di Charlie le arrivò dritto al petto, facendola sobbalzare di dolore.

Siamo amici…

…amici…

…amici…

“Stronzate! Gli amici si dicono le cose a vicenda, non si comunicano le grandi notizie con un sms. Non se vivono nello stesso appartamento da quattro fottutissimi anni. Non se si vedono ogni stramaledettissimo giorno. Quindi non venire a raccontare a me che siamo amici, Charlie. Sei una merda.” Ora che aveva rotto l’argine, avrebbe potuto andare avanti per ore, se non giorni, a sputargli in faccia quello che l’aveva ferita negli ultimi tempi, ma un discreto tossicchiare distolse la sua attenzione dalla sfuriata e Beatrice e Charlie si ritrovarono a fissare un insolitamente imbarazzato Lorenzo.

Conscia che il nuovo arrivato non le avrebbe mai permetto di tirare troppo fango addosso a Charlie per una questione di principio –“Audrey non farebbe così” le era risuonato nelle orecchie talmente tante volte che alla fine lo pensava anche da sola, senza supporti auditivi come la voce di Lollo vicino al suo orecchio-, Beatrice tornò a rivolgere la sua attenzione a Charlie e tentò di concludere il suo scoppio d’ira con una frase ad effetto.

“Sei una merda. Una merdosissima merda”

Se ne andò nella propria camera, sbattendo la porta dietro di sé e gettandosi di pancia sul letto.

 

 

 

“Non c’è che dire, Lucy, sei un vero fiorellino. Mi diverto sempre a vederti su di giri: o dici cose sboccate o dici un sacco di parolacce.”

“Non è proprio il momento, Lo’…”

“Fosse per te non arriverebbe mai, il momento. Però a volte arriva e se ne frega se sei preparata o no. Se ne infischia se ti senti affogare in un sentimento che hai difficoltà ad etichettare e di certo non si cura se sai o meno gestire le tue emozioni!”

Beatrice lo fissò da sopra il cuscino: era così che lui credeva che lei si sentisse per Charlie? Confusa?

 Non ebbe neppure il tempo di chiederglielo che già aveva ripreso a chiacchierare, la voce sempre più forte ed il tono sempre più concitato.

“Te ne stai lì, ignara di tutto, presa solo dai tuoi problemi e non ti preoccupi di quello che potrebbero provare gli altri. Vuoi qualcosa? Combatti, per la miseria! Dici di voler essere trattata da adulta ma ti comporti ancora come una ragazzina immatura!”

L’accusa che lui le rivolgeva sempre da un po’ di tempo a quella parte: “Sei immatura”.

Beatrice rimase immobile, in un silenzio quasi religioso: gli occhi velati di lacrime a chiedersi se stesse ancora parlando di lei e domandandosi se non le fosse sfuggito qualcosa.

Era abituata alle battutine aspre di Lorenzo, ma non era abituata al timbro astioso che la sua voce aveva preso nell’ultima frase, quasi lei gli avesse fatto un torto personale ma non riconoscesse i suoi sbagli.

E poi quell’accusa –immatura- che sembrava perseguitarla.

Si chiese perché le parole avessero un tale potere su di lei, quasi fossero un’arma magica dotata di un potere sovrannaturale capaci di stregarla, consolarla e ferirla nel suo io più profondo. Lì dove era più vera e più vulnerabile. Quella parte di sé che, inconsapevolmente, aveva iniziato a definire “Lucy” più che “Beatrice”.

 

 

 

 

 

NOTE

A volte ritornano.

Capisco che mi sono isolata per troppo tempo dalla tecnologia quando riapro il mio account di Twitter e mi arriva il messaggio di “bentornato”. Non me ne sono mai andata, vorrei rispondere, ma in realtà è come se avessi messo tutto in pausa. Beatrice, Lollo e Charlie per primi. Non lo ho abbandonati, sono sempre lì, a farmi compagnia, solo che non ho mai tempo di mettermi a scrivere la loro storia.

 

Ele_lele   

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: ele_lele