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Autore: silenzispezzati    24/05/2014    1 recensioni
Appena si sedettero corsi dietro Giulio e gli coprii le mani con gli occhi. Sussultò, forse per lo spavento.
“Chi sono?”
Lo chiesi velocemente, per trattenere le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all’altro.
Lui non rispose, si limitò a fare il giro della panchina e baciarmi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“ Oi, dove cazzo sei?”
“Eh, sto arrivando!”
“Sei appena partito, vero?”
“Mh, forse… Comunque aspettami, arrivo.”

Certo, un’altra mezz’ora d’attesa alla stazione di Roma Termini, da sola, completamente sola, non è niente, no? Doveva essere qui già un quarto d’ora fa, ma d’altronde è il solito ritardatario e non posso, non voglio cambiarlo. Decido di sedermi sul mio borsone e mi accendo una sigaretta, la settima da questa mattina. Questo potrebbe essere il mio nuovo record se penso che ho preso il treno alle 8, da Venezia, per essere qui poco fa, a mezzogiorno. Ma sono nervosa, troppo nervosa, e dovendo trovare un modo per calmarmi fumare mi è sembrata l’opzione migliore, soprattutto tenendo conto che l’alternativa sarebbe stato urlare per sfogarmi. Fortunatamente Davide è arrivato prima del previsto, ho dovuto aspettare solo 10 minuti, il che è alquanto strano, magari ha pensato di darsi una mossa sapendo che probabilmente gli avrei potuto staccare un orecchio a morsi se avessimo fatto tardi. Davide è uno dei miei più cari amici, anche se sta a centinaia di chilometri da me. Erano mesi che non lo vedevo, ma ci siamo sempre tenuti in contatto. L’ho conosciuto tramite il mio ragazzo, ed è venuto a prendermi proprio per aiutarmi a fargli una sorpresa. Oggi è venerdì 23 novembre, il giorno del suo diciottesimo compleanno. Non sa niente del mio arrivo, sono due mesi che studio questo giorno, da quando i miei mi hanno finalmente dato il permesso per andare a qualche giorno a Roma. Non appena scorgo Davide gli corro incontro e gli getto le braccia al collo. Mi è mancato moltissimo ed inoltre è il mio anti stress personale, quindi stringerlo mi aiuta a liberarmi per un po’ da tutti i pensieri che continuano a circolare nella mia testa.
“Mags, mi stai strozzando!”
Mi staccai di colpo e farfugliai delle scuse piantando lo sguardo per terra, come mio solito. La timidezza fa questi effetti, a volte anche con le persone che conosco bene. Non passò più di un secondo che mi ritrovai stretta fra le sue braccia.
“Mi sei mancata, pazzoide.”
Soffocai una risata per riuscire a rispondergli.
“Mi sei mancato anche tu, deficiente che è sempre in ritardo.”
“Ehi, mica è colpa mia se c’era traffico!” disse tentando inutilmente di nascondere un sorriso.
Spingendoci e ridendo ci avviammo verso la sua macchina. Per fortuna la sottospecie di babbuino a cui mi ero appena seduta accanto aveva preso la patente questa primavera e quindi avrei potuto sfruttarlo per organizzare questa fantastica sorpresa.
Durante il viaggio siamo rimasti prevalentemente in silenzio, ad ascoltare il suo ultimo cd degli All Time Low, la band preferita di entrambe. Durante la mezz’ora di viaggio i pensieri si accumularono nella mia testa a una velocità assurda. Erano pensieri causati dall’ansia, che non si potevano esattamente definire come sereni.
“Si arrabbierà. Di sicuro. Non gli ho detto niente e se la prendere perché l’ho colto di sorpresa.”
Ma no, non può arrabbiarsi. Sarà sicuramente felice di vedermi, riuscirò a strappargli uno dei suoi sorrisi, uno di quelli rari. Uno di quelli bellissimi, che solo lui sa fare.
“Non piacerai mai ai suoi amici, saranno come gli altri e mi prenderanno in giro, mi guarderanno male.”
Saranno tutti come Davide, penso. Quindi bene o male gli starò simpatica. Che poi, non dovrei neanche farmi questi problemi, io sono qui per Giulio e per nessun altro.
I pensieri continuavano ad affollarsi nella mia testa, caotici, confusi e sconclusionati, li abbandonavo tutti dopo poco; per quanto tentassi di pensare positivo tutte le mie riflessioni cadevano in un pessimismo che non mi appartiene.
Mi risvegliai dalla sorta di trans in cui ero calata solo quando Davide aprì la portiera della macchina, sul lato del passeggero. Scendendo dal veicolo mi guardai attentamente intorno. La scuola, dove studiava Giulio, era una struttura cadente, vecchia, circondata da un ampio giardino trasandato, con erbe incolte e alberi alti, con molti rami caduti o che l’avrebbero fatto a momenti. Alle mie spalle, dalla parte opposta della scuola, c’era un bar, anche questo mal messo, ma probabilmente restava in attività per i grandi affari che faceva con gli studenti. Non ebbi il tempo di studiare il resto delle strutture che si affiancavano alla scuola e al bar fatiscente che Davide mi trascinò via, in una stradina dietro al bar. Percorrendo la stretta strada di ghiaia su cui ci eravamo ritrovati giungemmo in un parco giochi, di quelli in cui si perdono interi pomeriggi da bambini, a giocare, ridere e scherzare. Questo però non sembra va molto ospitale, né tantomeno frequentato. I giochi sembravano vecchi, le assi del castello-scivolo erano cedute in più punti. Ci sedemmo per terra, con la schiena appoggiata alle travi di un’altalena. Davide prese in mano il telefono e digitò un messaggio destinato a Giulio.
La risposta non tardò ad arrivare, la sua attenzione in classe era tale che potesse sempre scambiarsi messaggi con chiunque.
Stavo letteralmente pregando che Davide riuscisse a convincerlo a venire. Sarebbe stato un disastro se non ce l’avesse fatta.
Dopo aver letto il messaggio tirai un enorme sospiro di sollievo e corsi a nascondermi nella direzione indicatami dal mio fedele compagno di sorprese.
Mentre stavo accovacciata dentro la casetta a misura di nano che tutti avranno usato da piccoli per giocare a mamma casetta o a qualsiasi sua variante, il mio cuore batteva all’impazzata, sembrava volesse uscire dal petto. Mi mancava il fiato, pensavo che sarei morta da un momento all’altro.
Finchè non sentii la sua voce.
“Eccomi. Mi dici perché cazzo non potevi darmelo stasera, sto regalo?”
“Eh, sta buono e siediti” disse conducendolo a una panchina che era proprio davanti all’entrata della casetta.
Appena si sedettero corsi dietro Giulio e gli coprii le mani con gli occhi. Sussultò, forse per lo spavento.
“Chi sono?”
Lo chiesi velocemente, per trattenere le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all’altro.
Lui non rispose, si limitò a fare il giro della panchina e baciarmi. Fu un bacio dolce, quasi disperato. Un bacio che sapeva di mancanza, di tutti i giorni passati a combattere la tristezza e le lacrime, a farsi forza l’uno con l’altra, a convincerci che ci saremmo rivisti presto. Ma dopo tutto questo carico di malinconia venne la dolcezza delle sue labbra, la felicità dell’essere di nuovo a casa, fra le nostre braccia. Le sue mani che mi tenevano il viso premuto contro il suo mi facevano sentire protetta, finalmente completa insieme a lui. Ad un certo punto sentii un sapore salato sulle labbra e mi staccai, per guardarlo dritto negli occhi. Le lacrime scorrevano sul suo volto, ma allo stesso tempo sorrideva, lo vedevo nei suoi occhi.
“Non piangere” dissi asciugandogli le lacrime con un alcuni baci, lenti e dolci.
“Prima devi smetterla anche tu” rispose asciugando con i pollici delle tracce umide sulle mie guance.
Solo in quel momento mi accorsi che stavo piangendo anche io. Con un sorriso enorme ripresi a baciarlo, mentre gli sussurravo “ti amo”.
“Anche io piccola, da vivere.”




Buonasera bella gente! Allora.. E' la prima storia che pubblico, non so quanto possa piacervi il modo in cui scrivo, ma vi chiederei se peeeerfavore potreste lasciare una piccola recensione? Giusto per sapere cosa ne pensate ^^' Comunque, tengo molto a questa OneShot, la storia che racconto potrei dire che in un certo senso mi riguarda, anche se più che altro è un sogno. Spero che vi sia piaciuta, un bacio a tutte :*
-Cami
  
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