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Autore: BenniBennis    25/05/2014    1 recensioni
Ho preso spunto da "Disney flash-fic plus!" di _Lyss_, trasformandola poi in una one shot c:
Crossover Esmeralda/Eric
Dal testo :
-Cosa ne vuoi sapere tu della vita, principe?-
-Più di quello che credi, zingara.-
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Una delle navi della sua imponente flotta era partita da circa due giorni. La luna era comparsa in cielo già un paio di volte e il tramonto che si stava offrendo ai suoi occhi annunciava che un’altra notte stava iniziando. E già sentiva la mancava di casa, del suo castello e della sua agiatezza. Non che non amasse i viaggi in mare, anzi lo attiravano molto, ma allontanatosi dalle coste pensò che forse quel viaggio sarebbe stato più lontano di tutti gli altri. Avrebbe retto la traversata dell’Oceano, senza essere mangiato dalla mancanza di casa sua? Non era il tipo, anche se principe, d’oggetti di cristallo e letti a baldacchino; preferiva ciotole e amache appese tra alberi o sui ponti navali, ma quando ci si fa l’abitudine è comunque una brutta sensazione quella di allontanarsi dal “nido”. E poi in quel viaggio, diciamo, ce l’avevano trascinato.
-Suvvia, mio carissimo Eric, cosa ti turba?-
La voce del suo fidato servo (se così si poteva definire) lo colse di sorpresa, rompendo il suo fissare la linea dell’orizzonte.
-Oh, niente, Grimsby. Niente davvero.- mormorò, la mano poggiata sotto il mento.
-Il mio principe non si comporta mai così. Qualcosa deve essere successo. C’entra per caso una ragazza?-
Visto il tanto insistere, cedette.
-E’ che non so se questo viaggio sia una cosa giusta. Voglio dire … La Francia. A parte che è un regno per me ignoto e poi … -
-Sciocchezze! Si dice sia una vasta regione, regnata da un giusto re, un certo Luigi XI, mi sono informato. Parigi, poi, ne parlano tanto bene. Una città degna di tale nome! Mio Eric, tu stai anche assumendo una certa importanza per quanto riguarda il potere, e non puoi non interessarti di altri regni, futuri commerci e comunicazioni!-
Il principe stette in silenzio, lo sguardo che indugiava ancora all’orizzonte ormai buio; sospirò, si voltò verso l’uomo e accennò un timido sorriso.
-Ci vorrà molto, vero?-
Il servitore scoppiò a ridere posandosi le mani sulla smilza pancia e rispose al ragazzo :-Abbiamo da attraversare l’oceano, Eric!-
 
Un mese e mezzo fu quanto ci impiegò la ciurma per toccare le coste settentrionali francesi; una sola tempesta li colpì, ma erano già vicini alla terraferma, e poi non fu così tanto violenta. Parigi sorgeva sulla Senna, nell’entroterra, quindi sarebbero occorsi loro altri giorni di viaggio in carrozza. Per la prima volta Eric era stanco e non vedeva l’ora di dormire su un letto ben saldato a terra.
-Se non varrà la pena visitare questa città, tornerò nel mio regno seduta stante.-
Il moro parlava tanto di quanto potesse essere scontento, ma in realtà non si sarebbe smosso per i prossimi due mesi, se solo poteva.
Nella chiusa carrozza viaggiava con loro un parigino, un capitano delle guardie, che li aveva attesi il giorno del loro arrivo al molo, presentandosi poi come un certo “Febo de Chateaupers”. Biondo e dall’armatura quasi più lucente dei suoi capelli, non la smetteva di raccontare della sua Parigi e della sua grandissima carica, nominando re, guardie, popolo, giudici, preti, senza mai abbandonare il sorriso. Ad Eric sembrava stupido.
-E voi, mio … principe?- chiese il biondo.
-Sì, sì! Principe, Principe Eric, capitano!- si affrettò a precisare Grimsby.
-No, Grim, non precisare.- sbuffò il ragazzo : quella carica a volte gli pesava, non la sentiva sua.
-Beh, comunque, Principe Eric … Il vostro regno è tanto ampio?-
-Un castello sul mare di mia proprietà, circa duecento abitazioni popolane. Niente di che.- dichiarò annoiato.
-La mia Parigi vi sembrerà colossale, allora!- e scoppiò a ridere.
La sua Parigi, la sua Parigi. Eric davvero iniziava a  non sopportarlo.
Si fermarono per la notte tre volte, i cavalli non procedevano tanto velocemente, quindi ci misero un po’ ad arrivare alla stimata Parigi. Ormai incuriosito da quanto ne parlava Febo, quando giunsero alle mura della città, Eric non poté non cacciare fuori la testa dalla carrozza ed ammirare il paesaggio : case e case e case dai tetti tegolati e spioventi si elevavano davanti alla sua visuale, ciottoli grandi e cubici formavano le strade che adesso i cavalli mangiavano con gli zoccoli, popolane vestite da tali restavano sui lati della strada a sguardo stupido, scrutando la carrozza imponente che avanzava sicura; altre donne invece, vestite decisamente più decentemente, con reticelle e corti e semitrasparenti veli bianchi davanti al volto, scialli ricamati sfarzosamente sulle spalle, braccio sotto braccio, capelli sistemati con complesse acconciature, sorriso che incontrava il volto meravigliato del moro. Al principe ritornò la voglia dell’esplorazione alla vista di quell’agglomerato. Era davvero bella, la Parigi del capitano.
-Fa freddino.- osservò quanto ritirò la testa dentro.
Stando fuori, aveva visto il suo respiro fuoriuscente dal naso farsi bianco.
-Siamo comunque in inverno.- gli fece notare il servitore.
-C’è sempre un gran freddo qui!- esclamò poco garbatamente il biondo.
Aveva dei modi alquanto poco fini; forse era la vita passata tra una guerra e un’altra che portava a comportarsi da tale.
Una musica simile a quella che il principe amava far diffondere sulle sue navi quando si trovava in viaggio entrò nella carrozza, e il capitano scoppiò a ridere sotto lo sguardo pallido di Grimsby (che si convinceva sempre di più del fatto che quell’uomo avesse qualche problema) e quello curioso e vispo di Eric.
-Avete una donna, Principe?-
-Oh, beh … No.- mormorò vergognoso.
Non avere una donna alla sua età e con la sua carica era qualcosa quasi da vergognarsi.
-Non disperate! Ce ne sono tante e anche belle, qui. Non per vantarmi, eh! Ah, sapete?- bisbigliò avvicinandosi all’orecchio del giovane. –Ci sono anche zingare, zingare spagnole. Io, ragazze come quelle non me le farei scappare!- e aggiunse un’altra risata.
Mentre Eric era interessato, Grimsby desiderava scendere e mettere piede in un’osteria e cacciare qualcosa nello stomaco, data la fame immensa che aveva.
-Anche se la giustizia sta dando loro del filo da torcere … - mormorò serissimo. –Processi per stregoneria, presente?-
Il moro si sentiva un po’ stupido a non comprendere, ma gli avevano insegnato a dire sempre la verità, così confessò un “No”.
-Bene. In poche parole le mettono al rogo denunciandole per eresia. L’attuale ministro nella giustizia poi n’è fissato. Penso che Frollo abbia qualche problema … - ragionò tra se. –E’ quella la prima tappa che faremo, poi sarete liberi di girare per la belle ville, per oggi.-
Rimasero finalmente in silenzio, e il servitore ringraziò il cielo di non dover più sentire la profonda voce di Febo. La carrozza s’arrestò con uno scossone ed Eric si precipitò giù, senza aspettare il permesso, sempre se c’era. Era sempre stato un tipo impulsivo, quando si trattava di esplorazioni. Il terreno sotto i suoi piedi gli sembrò tremare, ma era sicuro fosse una sensazione causata dal troppo viaggio. Alzò lo sguardo e ciò che si trovò davanti fu un’enorme edificio, una fortezza, numerosissimi scalini pietrosi ripidi che portavano ad un portone imponente.
-Il Palazzo di Giustizia.- illustrò il capitano appena scese dal veicolo.
-E’ … un tantino grande.- disse sconvolto il principe. –E sinistro.-
-Decidete : far alloggio qui o in una delle tante osterie della città?-
Grimsby, che teneva alla sicurezza, aprì bocca ma riuscì a dire soltanto “Mio Principe, io sceglierei il Palaz … “ perché il ragazzo lo interruppe con un ampio sorriso.
-Le osterie, perfetto!-
L’anziano sapeva che ciò che decideva il moro era qualcosa di irremovibile, quindi s’arrese con un sospiro.
-Forza, non facciamo attendere Frollo, sarà già in vostra attesa da un po’! E’, sì, un uomo paziente, ma meglio non far attendere i potenti.- prese la parola Chateaupers.
Salirono così a sguardo alto i tanti gradini, Eric senza smuovere il respiro, Grimsby stanco già dopo la prima dozzina. Ciò che videro all’interno era inquietante il doppio, rispetto l’esterno : i muri di pietra secca ed umida ospitavano armi bianche di tutti i tipi, dalle più “insignificanti” a quelle da guerra. Un lungo corridoio dal pavimento nudo fu percorso dai tre, i passi che echeggiavano secchi. Nonostante il freddo, Eric sudava di paura. Urla arrivavano poi a destra e a manca, urla di dolore.
-Tranquilli, è la giustizia.- rassicurò il capitano, ma nemmeno lui sembrava poi così d’accordo con il fatto che quella fosse “giustizia”.
Arrivarono infine in una stanza dal soffitto alto e a volta, e videro un uomo sul fondo, davanti ad un grosso caminetto acceso, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso.
-Ministro Frollo … - chiamò sottomesso Febo : sembrava avesse perso la sua voglia di scherzare.
L’individuo si voltò lentamente e un sorriso maligno gli si dipinse sulla faccia, ben visibile anche a circa quindici metri di distanza. Camminò verso loro con passo lento e fastidioso, e quando gli fu vicino, Eric notò quanto pauroso potesse essere. Il suo lavoro gli si addiceva alla perfezione.
-I miei ospiti americani, immagino.-
Anche la voce era tetra, notò il principe. Questo annuì un po’ titubante, abbassò il capo in cenno di saluto.
-Lieto di fare la vostra conoscenza, principe.- mormorò a mani giunte.
Quella voce fece rabbrividire la compagnia, maggiordomo incluso, che comprese così che andare a passare le notti nelle osterie sarebbe stato alquanto migliore.
Frollo spiegò loro Parigi, la situazione che esse viveva, e si raccomandò bene di tenere gli occhi aperti e di non farsi persuadere dagli zingari. Di quelli stessi gitani di cui Febo aveva parlato con malizia sulle labbra, il Ministro ne raccontava con odio che traboccava dagli occhi.
-Siete stato chiaro, signore.- accertò Eric. –Terremo gli occhi aperti.-
-Bene.- e un altro sorriso cattivo gli sfiorò la bocca. –Se adesso volete scusarmi … - mormorò guardando alle spalle dei tre.
Il moro si girò e vide due soldati in tenuta tenere alla corda quella che sembrava una donna dai lineamenti stranieri.
-La giustizia chiama. Se volete, siete invitati ad un falò che si terrà davanti Notre-Dame questa sera stessa.-
I due americani videro il biondo capitano digrignare malcontento i denti, poi aggiunse :-Signore, gli ospiti saranno stanchi.-
-D’accordo, non importa … Sarà per un’altra volta.- e fece loro cenno di abbandonare la stanza.
Uscendo dalla camera, i tre passarono affianco alla donna, ed il principe non poté che osservarla : avrà avuto forse una cinquantina d’anni, i capelli neri e lunghi erano sfumati di ciocche grigie dovute all’età avanzata, gli occhi versavano lacrime veloci e grandi, gli abiti che indossava era un semplice vestito arancione ed era ornata di accessori d’oro che sfavillavano sulla pelle bruna. Il tempo di scendere un paio di scalini, che si udì la voce del Giudice :-Dunque, strega … -
-Mio signore, vi giuro che non ho fatto niente, se non curare … !- tentò di ribattere la donna, con un forte accento straniero.
-Portatela via!- ruggì dunque Frollo.
Come se fosse anche troppo, Febo accelerò il passo, scendendo più velocemente i gradini e costringendo così i due seguaci ad essere più svelti.
-Vedete?- chiese appena furono fuori dal palazzo e l’aria fresca l’invase. –Questo è quello che intendevo. Processi per stregoneria. Frollo li ama, ama mettere al rogo povere donne o uomini rigorosamente stranieri che non hanno fatto niente se non curare con loro metodi. Odio tutto ciò, questa non è giustizia!- sbraitò arrabbiato.
Gli altri due lo lasciarono fare, leggermente impauriti dalla serietà del ragazzo ch’era stato così scherzoso fin questo momento.
-Perdonate il mio sfogo … - si scusò in fondo alle scale. –Comunque adesso potete andare dove volete. La città offre molto da visitare.-
-Oh no, io mi ritirerei per un buon tè caldo!- esclamò Grimsby. –Eric, voi volete andare a perlustrare la zona?-
Ma Eric era già lontano un paio di metri dai due, lo sguardo attento e curioso.
-Ci vediamo in questa osteria qui di fianco!- ma il moro non lo udì.
Con la testa era già tra quei vicoletti bui e silenziosi, ricchi di dettagli, che emanavano un così buon profumo di inesplorato, per lui. Dato il freddo, tornò indietro solo una volta, afferrò il suo mantello e si tuffò nella prima via che vide. Saranno state forse le sette di sera, o forse più tardi, ma fatto stava che il sole non c’era più. Al suo posto un’ombra fresca e avventurosa, degna dei migliori romanzi di avventura.
Si allacciò il mantello e a passo svelto ma attento percorse quella via in cui era capitato. Porte di legno erano lontane una dall’altra se non per un paio di metri, finestre dagli scudi scuri erano chiuse alla ben e meglio per colpa del freddo che entrava nelle ossa; freddo che il principe non sentiva, perché troppo eccitato dalla scoperta. Quella città era completamente diversa a confronto del suo regno. Mai aveva visto tanta calca di case, costruzioni alte e imponenti come il Palazzo di Giustizia e come quell’immenso edificio che sorgeva in un piazzale dov’era appena capitato.
Spaventato dalla grandezza del monumento, mosse un passo indietro, alzando il mento per riuscire a scorgere le torri dell’alta costruzione. Pensò subito dovesse essere una chiesa, data la moltitudine d’immagini sacre scagliate in marmo sulla facciata. Il principe non era un religioso per antonomasia, ma sapeva che si doveva trattare per forza di un monumento cattolico. Un grande rosone dai vetri colorati ne comprendeva la facciata che si affacciava sullo spiazzo.
Non uscì nonostante dalla via, rimase ad ammirare la chiesa dalla strada in cui si trovava. Spinto poi dalla curiosità di controllare l’interno, mosse un paio di passi, ma lo sguardo gli cadde sulla pedana di legno che sbucava al centro della piazza. Diversi uomini vestiti di scuro stavano sistemando delle fascine di legna secca, dato lo scricchiolio che esse producevano. Parte del popolo si era radunato intorno alla pedana, ridendo in allegria. Lì Eric capì che si trovava nel luogo che pochi minuti prima Frollo aveva accennato, parlando del processo. Qualcosa come Notre-Dame.
Inorridito da quello spettacolo che stava per compiersi, scappò indietro, fuggendo proprio a gambe levate; corse, corse, corse spaventato, continuò a correre anche quando quasi non aveva fiato. Voleva lasciarsi alle spalle quella sentenza, cercare di arrivare tanto lontano che non potesse udire i supplizi della donna condannata e vedere il suo corpo tra le fiamme. Quella non era giustizia, aveva ragione il capitano; quella era crudeltà.
Corse, finché, non capendo bene, si era ritrovato a faccia a terra sul selciato. Comprese in pochi istanti che era inciampato su qualcosa, e quel qualcosa non erano i suoi piedi e sicuramente era sbucato in quel momento, dato che lui non aveva notato niente a terra. Portò la mano al suo coltello, lo tirò fuori dalla cintura rossa dei pantaloni e s’alzò di scatto, tenendo l’arma avanti a se. Una lampada accesa era stata lasciata su degli scalini d’un’abitazione di fronte, e bastò ad illuminare la viottola. Il principe si guardò prima intorno e, non scorgendo niente, cercò a terra. Ciò che vide, attaccato al muro e nascosto in una rientranza della parete, fu un ammucchio di stracci scuri, dai quali sbucava un grazioso e scuro piede. Scalzo. Lì doveva essere inciampato. Senza abbassare il coltello, rifletté un po’ su quel muro, e intuì che molto probabilmente era arrivato alle mura della città : si era spinto in là un bel po’. Ritornò poi con lo sguardo alla figura su cui era inciampato. Vedendo che non si muoveva nemmeno per respirare, pregò il cielo che non fosse inciampato in un morto, che aveva emanato il suo ultimo respiro per colpa del freddo. S’avvicinò ancora di più, quindi, il braccio con l’arma teso.
-Mi scu ... -
In men che non si dica, si ritrovò lui a un passo dalla morte : di nuovo col corpo a terra (ma questa volta atterrato di sedere), le ginocchia piegate e lo sguardo alto, fissava impietrito il coltellino puntato alla sua fronte che luccicava con il bagliore della lampada. Iniziò a sudare spavento, le braccia che gli tremavano, poi alzò lo sguardo al proprietario dell’arma e suo certamente futuro assassino. Ed era una lei. Non ne vide molto, perché il viso era coperto e nascosto da foltissimi capelli neri corvino. Ma nonostante il buio, poteva ben notare i denti bianchissimi che quella lei gli mostrava in modo aggressivo, peggio del suo Max quando notava qualcosa di sospetto.
Ancora in panico, si tranquillizzò un tanto quando vide che era una donna : a parte che mai si sarebbe battuto con una ragazza, e poi se proprio doveva succedere, non sarebbe stato difficile vincerla. Così sorrise, e in uno scatto recuperò al suo fianco il suo, di coltello, caduto e si rotolò su un lato e tirando a se un lembo del mantello della donna, che in questo modo cadde al suo posto. Aveva in un niente capovolto la situazione, solo che lui adesso non puntava verso di lei il pugnale. Così come la ragazza cadde a terra, si tirò su con uno scatto e si trovò di fronte al ragazzo, arma di nuovo verso lui, ma questa volta alla sua gola. Eric n’era stufo, così fece incrociare il suo coltello con l’altro, iniziando una lotta. Il suo primo principio (quello di non combattere contro quella sconosciuta) era appena crollato, ma pazienza.
Le lame si toccavano fredde, liberando nell’aria schiocchi d’acciaio gelati e secchi. Eric rideva, la ragazza non smuoveva la sua determinazione, facendo uscire dalle labbra che ancora mostravano i denti, versi di rabbia e concentrazione. L’ultima divertita risata del principe, che la straniera lo prese per il colletto del mantello e lo sbatté al muro dov’era lei accovacciata prima. Per l’impatto, lui smise di respirare, ma anche per la paura : il coltello di lei gli era attaccato alla gola, ne sentiva la lama fredda e pungente premergli contro il collo. E in più non poteva smuoversi, perché la donna gli era così attaccato che poteva sentirne il respiro accelerato e il corpo che si abbassava e si alzava per riprendere aria. E la sua mano era ancora stretta al mantello. Anche il suo secondo ideale era caduto.
-Così vediamo se la smetti di ridere.-
La voce arrabbiata che Eric udì per la prima volta non era fine, forse aggraziata, ma non fine; nemmeno grossolana, ma come bassa.
-Uoh, uoh, uoh, uoh!- urlò pallido il principe, avendo seriamente paura. –Ferma, ferma! Non voglio farti del male!-
-Ma davvero?- domandò sarcastica sogghignando.
-Lo giuro!-
Forse fu solo un’impressione del moro, ma il coltello s’allontanò di poco dalla pelle.
-Credevo fossi in pericolo!- esclamò giustificandosi lui.
-Io in pericolo?- e scoppiò a ridere.
-No! Io, intendevo!-
-Non voglio mica ucciderti! Non lo farei mai. Era solo per difendermi.- e allontanò davvero l’arma dal principe, che cacciò un sospiro di sollievo e riprese a respirare. –Non mi sporco le mani di sangue, per strada. Ma tu posa quel pugnale.-
Eric non se lo fece ripetere due volte, che ripose il coltello nella cintura e alzò le mani. A quel punto la ragazza si allontanò, si abbassò dalle punte e il moro notò che era un bel pezzo più bassa di lui; aveva rischiato la vita per mano di una ragazzina? Non ci poteva credere.
Anche lei posò il coltellino, nascondendolo sotto una morbida gonna che portava sottostante il mantello. Lui notò di nuovo ch’era senza calzature.
 -Ma non avrete freddo, scalza e con queste temperature?- domandò lui preoccupato.
-Ormai non provo più né caldo né freddo, caro mio. E togli quel “voi”, alle persone come me non danno del voi e mi fa sentire strana.- e si scostò i capelli dal viso.
Si rivelarono così un paio di occhi grandi e verdi come smeraldi, capaci di essere visti anche nella più buia delle notti, incorniciati da folte e spesse sopracciglia nere e ciglia corte ma fitte. Anche lei era scura di pelle, ma Eric non aveva il coraggio di domandarle se fosse straniera. In fondo anche lui lo era, in quella città.
-Il vostro nome?- domandò curioso.
-Esmeralda.-
-Esmeralda … Che nome … -
-Strano. Lo so. Sono una zingara, sai?-
Eric si ricordò di ciò che gli aveva raccomandato il Ministro prima, a proposito degli zingari, ma non credeva di riuscire a convincersi che quella gitana potesse davvero far del male. E poi si ricordò delle parole di Febo : era davvero una bella ragazza, ma non era il momento di tirar fuori il suo lato romantico.
Vedendo che il ragazzo rimaneva in silenzio, Esmeralda iniziò una specie di interrogatorio.
-Scommetto tutto quello che guadagno con Djali in un giorno che tu non sei di Parigi.- sorrise incrociando le braccia al petto. –Ti sei spinto fino alle mura malfamate della città.-
Imbarazzato, lui si grattò la testa a sguardo basso, sfoderando poi uno dei suoi migliori sorrisi :-No, infatti. Sono in visita. Vengo dalle americhe.-
-Ah, ecco.- s’illuminò lei, ma in realtà non sapeva di cosa stesse parlando il bel ragazzo dalla pelle pallida che gli si era presentato davanti quella notte. –E cosa siete, un capitano delle guardie anche voi, l’ennesimo che Frollo chiama per controllare la città da noi?-
-No, sono un … principe.- mormorò.
-Un principe!- s’entusiasmò ironica e accennò un inchino. –Che onore essere al cospetto di un principe.- e parlando molto lentamente iniziò ad attaccarlo. –Voi non fate mai niente da quando siete nati, sempre a comandare servi a destra e a manca, a campare nella bella vita, a non sporcarvi le mani, a sposare belle donne di ricchi papà per accrescere il vostro regno.-
Forse i principi erano coloro che Esmeralda odiava di più, dopo le guardie, ovviamente. Non comprendeva perché Dio fosse stato così crudele nel dare tutto a loro, mentre la povera gente come lei doveva sudare sette camice per riuscire a portare a tavola un po’ di pane. Perché lei doveva ballare accinta in vestiti che poco lasciavano all’immaginazione per guadagnare pochi spicci, mentre loro nei soldi ci nuotavano?
Così non si era fatta scappare l’occasione e lo aveva aggredito, questa volta con le parole.
Eric, dal suo canto, non capiva perché parole tanto cattive. Sì, tutto ciò che aveva detto la bella Esmeralda era vero, ma se lui era nato così non poteva farci niente. Anche se non ci era proprio nato, da principe, lui.
-Quella che fate voi, quella che fa tu, non è vita, mio caro!- continuò.
Il moro, vedendo che stava iniziando a scaldarsi di nuovo l’atmosfera, esito un attimo nel riprendere il pugnale.
-Cosa ne vuoi sapere tu della vita, principe?-
-Più di quello che credi, zingara.-

L’aveva detto. Si era stancato di passare per quello che nelle ricchezze c’aveva sempre abitato. Non era sempre stato così. Si ricordava ancora bene dei suoi anni d’infanzia, a giro con la madre per le spiagge, lei che vendeva i pochi prodotti che riuscivano a coltivare nell’entroterra, lui che si dilettava come meglio poteva suonando un flauto che gli era stato regalato dalla nonna. Scalzo. Aveva vissuto davvero, lui. Sapeva cosa voleva dire vivere e sudare per mangiare. La gente, i ricconi, compravano i buoni prodotti della madre e lasciavano qualche spicciolo a quel bambino che colorava di suono le spiagge con i suoi grandi occhi grigi. Conosceva la fatica, conosceva la fame di quando non si vendeva in periodi di carestia. La conosceva bene la miseria. E nessuno poteva toccargli il suo passato torturato. Né tantomeno quella zingara ribelle.
L’innamoramento del re verso sua madre fu infine la salvezza. Un matrimonio, una nuova vita per Eric, di cui lui ne era anche impaurito,all’inizio, non riuscendo a capire come tutte quelle cose potessero essere sue. E poi la morte della cara mamma ancora così giovane, il suo imminente esilio perché figlio non legittimo. Cresciuto arrangiandosi finché diventò abbastanza furbo da sfruttare quel titolo che gli era rimasto, principe.  Il titolo gli era quindi cucito addosso, ma lo opprimeva e a volte desiderava strapparselo via.
-So cosa significa vivere davvero, Esmeralda.
-
 

 
 
 
ANGOLO AUTRICE :
Ed eccomi qui, con un’altra one shot, dove “Il gobbo di Notre-Dame” è sempre presente ahahah E poi sono una fissata per la Disney, si noterà.
Passando alla ff : mi incuriosiscono le crossover, così è nata questa (sotto “suggerimento”). Partendo dal fatto che Esmeralda ed Eric non si potranno mai incontrare (“Il gobbo di Notre-Dame è ambientato nel 1482, “La sirenetta” nei Caraibi, al tempo del primo l’America ancora non era stata scoperta), l’idea mi piace, due personalità diverse come loro farebbero scintille se s’incontrassero.
Spero vi sia piaciuta, insomma.
Grazie di avermi letto!
BB
  
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