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Autore: Angeline Farewell    25/05/2014    4 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia prende spunto da un grosso “se” nelle vita di Tom Hiddleston e Chris Hemsworth. SIGLA! a cura di Callie Stephanides.

Capitolo Uno
 

Londra era troppo calda.

Tom non avrebbe mai pensato di poter definire tale la sua città natale, non dopo aver visitato l’Italia e la Francia e il Portogallo tante volte, ma dopo quasi tre mesi in Svezia aveva rivalutato di molto persino la tendenza a coprirsi a caso dei suoi connazionali.

Era pieno luglio e l’aeroporto di Getwick brulicava come un formicaio. Era tardi ed aveva un mal di testa che non poteva attribuire al jet lag inesistente, o al fatto il sole fosse ormai calato da tempo dietro l’orizzonte: era tornato nella sua città, a casa, avrebbe dovuto essere contento.

Non lo era.

Perché una casa, a Londra, in realtà non l’aveva più. Era stato costretto a rescindere il contratto del suo vecchio appartamento appena dopo la sua partenza per Stoccolma, il padrone di casa aveva parlato di aumenti di affitto, cambi di tubature, ristrutturazioni, non sapeva nemmeno bene cosa: perché semplicemente, un aumento dell’affitto, proprio non poteva permetterselo in quel momento. Non di sicuro per vivere così in periferia.
Aveva bisogno di trovare al più presto un posto dove stare.

Casa di Emma non era un’opzione possibile, non da quando divideva l’affitto con Fred, che studiava da fotografo ed era uno stereotipo da bar gay con una cotta per lui che rasentava lo stalking. Era un bravo ragazzo, ma non era il suo tipo e sembrava non volesse capire che l’eterosessualità non è un brutto male, esattamente come il suo opposto. E quindi croce sopra l’appartamento di Emma.

Sarah viveva a Mumbai già da un paio d’anni e non sembrava intenzionata a tornare tanto presto, a suo padre non avrebbe pensato nemmeno se avesse abitato a Londra e non a Oxford.

Il nastro trasportatore aveva preso finalmente a muoversi rumorosamente portando i primi bagagli, ed ovviamente era stato spintonato dal solito ritardatario che pretendeva di avere all'istante la sua valigia.
Aveva sospirato a fondo e canticchiato mentalmente uno stupido motivetto per calmarsi. Era stanco anche lui, voleva il suo bagaglio anche lui, voleva tornare nella casa che non aveva anche lui. Ma nemmeno il secondo spintone riuscì a scollargli dalla faccia la maschera di ottusa indifferenza che aveva scoperto e perfezionato a Eton.

Del suo bagaglio ancora nemmeno l’ombra.

Qualcosa aveva preso a vibrare nella tasca dei pantaloni, e per un momento era rimasto stupito senza sapere cosa fare. Era ovviamente solo il suo cellulare, ma le tempie gli pulsavano tanto da veder rallentate persino le connessioni più stupide. Non aveva voglia di rispondere, ma sapeva anche fosse probabilmente sua madre.

Che l’avrebbe rimproverato per non averla chiamata appena atterrato, o appena partito da Stoccolma. Che gli avrebbe chiesto se e cosa poteva preparagli per cena.

Erano passate le dieci di sera e il cibo della mamma era l’ultima cosa cui voleva pensare. Perché aveva ventisette anni e quasi dieci anni prima aveva giurato a se stesso che non si sarebbe più guardato indietro, che non avrebbe più dovuto scegliere in quale nido tornare. Solo che aveva ventisette anni, e non aveva scelta, perché non guadagnava ancora abbastanza da potersi permettere un vero mutuo, una casa e una vita vera. Come non mancava mai di ricordargli suo padre.

“Ciao mamma, sto ancora aspettando arrivi il mio bagaglio.”

“Potevi chiamarmi prima di partire, almeno, ero un po’ preoccupata.”

“Non è la prima volta che vado all’estero, mamma.”

“Potevi chiamare lo stesso. Ora temo sarà tutto freddo quando arriverai a casa.”

“Non importa, tanto mi ci vorrà un po’ per arrivare.”

“Hai una voce strana tesoro, sicuro di stare bene?”

“Solo un po’ di stanchezza. Il volo. Vedo il mio bagaglio, ti richiamo dopo.”

Bugia. Aveva mancato il suo bagaglio e avrebbe dovuto aspettare l’ennesimo giro del nastro. L’unica consolazione era fosse rimasto tra i pochi ancora in attesa, niente più spintoni. Aveva ripreso comunque a canticchiare per creare un suono piacevole oltre quelli molesti dell’aeroporto.

Sua madre non era rimasta a vivere a lungo ad Oxford, dopo il divorzio, era rimasta il tempo necessario perché Emma terminasse i suoi studi preparatori per il college e Sarah partisse per l’università. Tom non era da considerare un problema dato che era già a Eton da almeno un semestre, quando suo padre si era trasferito in un altro appartamento.

Diana avrebbe voluto tornare nel Suffolk, dove era cresciuta, dove ancora viveva quel che rimaneva della sua famiglia, ma aveva alla fine scelto di tornare a Wimbledon, dove i primi anni di matrimonio erano stati splendidi e sarebbe stata più vicina al West End. Con il suo curriculum aveva avuto poche difficoltà a trovare un lavoro che amava e di cui non aveva davvero bisogno, per poi diventare la Didi di qualcun altro.

Tom cercava di non pensarci, anche se sapeva benissimo fosse stupido, dopo tanti anni: i suoi genitori erano divorziati da più anni di quelli che erano stati sposati, a quel punto, non era strano avessero deciso di rifarsi nuove vite lontani l’uno dall’altra, capelli bianchi o meno. Ne avevano tutto il diritto.

Un sobbalzo del vagone lo aveva riportato alla realtà del suo enorme mal di testa e della sua frustrazione. Mancava ancora una buona mezz’ora prima di raggiungere la sua fermata e la Northern Line era fortunatamente quasi deserta, a quell’ora, poteva abbandonarsi di nuovo comodamente sui seggiolini morbidi e farsi cullare dall’aria condizionata che mitigava l’afa di quella serata che sembrava infinita.

Tom ripassò mentalmente le ultime dodici settimane in Svezia e, davvero, non riusciva a credere la sua euforia fosse scemata tanto in fretta.
Quel 2008 era partito benissimo e, onestamente, non poteva lamentarsi nemmeno del prosieguo. Appartamento a parte, ovvio. Ma il lavoro era andato bene, fin dagli inizi, era andato talmente tanto bene che Branagh lo aveva esortato a presentarsi ai provini per un ruolo nel suo prossimo lavoro teatrale prima ancora di vederlo effettivamente muoversi su un set televisivo.

“Ho visto Othello, ho visto Cymbeline. Non mi occorre altro. Perché credi sarai Martinsson?”

E in effetti aveva avuto la parte di Lvov senza grosse difficoltà.

Sarebbe comunque dovuto passare da Emma per riprendersi l’auto, c’era poco da fare, non avrebbe potuto fare affidamento solo sui mezzi pubblici per arrivare nel West End visto che probabilmente le prove si sarebbero dilungate fino a molto tardi: avevano solo pochi mesi per preparare tutto, Branagh gli aveva concesso a malapena una settimana di tregua per smaltire lo stress delle riprese per Wallander e doveva farsela bastare.

Magari non tutto il male viene per nuocere, forse quella settimana di inattività a casa di sua madre gli sarebbe stata utile. L’avrebbe usata per mangiare finalmente pasti sani, correre un po’ e cercarsi un altro appartamento. Non la vedeva da più di tre mesi, gli dispiaceva davvero così tanto l’idea di farsi coccolare un po’ come ai vecchi tempi? Avrebbero potuto approfittarne per vedere qualche opera teatrale come un tempo, piuttosto, loro due soli.
Non doveva per forza di cose vederla così nera, sarebbe tornato ad abitare con sua madre solo temporaneamente, solo tra un trasloco e l’altro in attesa della grande occasione.

Sì, doveva essere positivo.

Anche se gli veniva da piangere: è dura accorgersi che le promesse non le mantiene proprio mai nessuno, nemmeno quelle che ci facciamo da soli.

Erano abbondantemente passate le undici di sera quando si ritrovò di fronte al cancelletto dell’elegante villino vittoriano di sua madre, non dissimile dalla casa in cui era cresciuto da bambino. Non aveva mai davvero capito perché avesse acquistato una casa tanto grande dato che ci viveva – in teoria – sola, ma a Diana piaceva avere gente intorno, le piaceva ospitare amici e, soprattutto sua sorella Elizabeth andava a trovarla spesso.

Tom si prese un minuto per riprendere fiato e sistemare il borsone in spalla, poi spinse il basso cancello di legno chiaro e si avviò verso la porta calpestando stancamente il ghiaietto del viale, trascinandosi dietro la grossa valigia sotto un cielo illuminato solo da una sottilissima falce di luna.
Era stanco morto per aver percorso solo poche centinaia di metri, aveva davvero, davvero bisogno di tornare ad abitudini più sane, rimettersi in forma. Ci avrebbe pensato l’indomani, era tardi e tutto quel che voleva era buttarsi sotto la doccia e lavarsi di dosso il viaggio e la frustrazione per poi schiantarsi a letto.

Armeggiò con la chiave che sua madre gli aveva dato per le emergenze, anche se le luci al primo piano erano ancora tutte accese non aveva voglia di suonare e farla scomodare per nulla a quell’ora: probabilmente si era appisolata sul divano leggendo, mentre lo aspettava. Non sarebbe stata la prima volta, non sarebbe stata l’ultima.

Casa aveva un buon odore familiare.

Non era quella in cui Tom era cresciuto da piccolo, ma sua madre era sempre riuscita a trasformare ogni abitazione in un nido accogliente ed intimo, nonostante le dimensioni sempre maggiori delle case in cui erano vissuti, prima a Wimbledon e poi a Oxford. Suo padre aveva sempre avuto una vera ossessione per le case enormi, i giardini enormi, i titoli di studio enormi. Tom temeva e aborriva quell’esaltazione del gigantismo, e non capiva come si sposasse con le piccole soirée di raccolta fondi per i Labour cui i suoi genitori (così come tutta la famiglia materna) non avevano mai negato appoggio e voti.

Alla fine, l’intenzione di voto era rimasta l’unica cosa i genitori di Tom avessero in comune a parte l’amore per i propri figli, e forse non avevano capito bene nemmeno loro come fosse successo.

Tom, di sicuro, non l’aveva capito. Sarah, all’epoca del divorzio, aveva quasi quindici anni e avrebbe voluto tingersi i capelli ed ascoltare musica rock a tutto volume, perché il silenzio assordante di quel divorzio le faceva accapponare la pelle, ma avrebbe rischiato di farsi buttare fuori dal college e suo padre non avrebbe comunque urlato: l’avrebbe solo guardata con delusione e fastidio.

Tom ricordava ancora perfettamente l’allegra e spensierata commedia che Sarah e Zoe scrissero sul finire dell’estate dell’93, poco prima della sua partenza per Eton, pervicacemente intenzionate ad evitare di pensare a quel che tutti sapevano sarebbe successo di lì a poco. Tom non partecipò alla messa in scena, ancora troppo arrabbiato con i suoi genitori che lo stavano mandando via per accettare di trastullare gli adulti della famiglia come facevano ogni estate, e Sarah ancora glielo rinfacciava giocosamente quando si ritrovavano loro due soli, davanti ad un bicchiere di vino bianco: senza rancore, avevano capito da tempo che non c’è mai un modo solo per superare le delusioni e, per un adolescente, uno vale l’altro. Quelle che ti danno i genitori, poi, sono affare ancora più privato.

Tom lasciò la valigia all’ingresso per non rovinare il parquet e si diresse lentamente verso il salotto, da cui provenivano rumori decisamente anomali oltre quelli della TV accesa. A quell’ora così tarda.

Sentiva sua madre dare indicazioni, ridacchiare, sentiva una voce bassa, decisamente maschile, decisamente non quella di Brian - il compagno di sua madre – risponderle e ridere di rimando.
Tom rimase immobile nell’anticamera, stupidamente indeciso se imboccare il piccolo corridoio che lo divideva dalla sala da pranzo. Era evidente sua madre non lo avesse sentito dato il trambusto e non riusciva a risolversi ad annunciarsi, e non sapeva perché.

Il borsone pesava, ma non fu quello a fargli mollare la presa sul limitare della sala da pranzo qualche minuto dopo, facendolo cadere con un tonfo secco sul parquet.

C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.

O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.

“Tesoro, sei arrivato finalmente!”

La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.

Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.

Che ci faceva un ragazzo nudo nel salotto di sua madre a quell’ora di sera?

La TV era accesa su un programma comico di seconda serata che non doveva essere tanto divertente date le risate preregistrate e fastidiosissime che facevano di contorno alle immagini. A Tom non piaceva per niente delle risate preregistrate fossero il sottofondo di quella situazione in cui solo lui sembrava sentirsi in imbarazzo, ma il ragazzo – terribilmente prestante, terribilmente biondo e bello e giovane – continuava ad essere nudo nel salotto di sua madre che avrebbe dovuto essere sola in casa ad aspettarlo.

“Potresti mettere una maglietta, per favore?”

Fu tutto quel che riuscì a rantolare anche se avrebbe voluto … Non sapeva bene cosa avrebbe voluto o potuto fare, la sola idea di alzare la voce gli sembrava inutile e ridicola, così come non riusciva a pensare di mostrare fastidio a quello sconosciuto perché che figura ci avrebbe fatto? Del maleducato senza dubbio. E senza ragione, sua madre non sarebbe stata contenta.

Ma era comunque un ragazzo nudo nel salotto di sua madre, avrebbe potuto assecondarlo e vestirsi.

“Oh, già. Scusa, ma fa un caldo da svenirci.”

In effetti in salotto faceva estremamente caldo, l’aria serale di luglio a Londra era tiepida, un po’ stagnante, ma in casa sembrava quasi di essere in una fornace.

“E’ entrato un grosso calabrone dal giardino che si è infilato nel condizionatore, e lo ha bloccato. Ci crederesti? A quest’ora di sera! Per fortuna Chris è bravo con questo genere di cose, vero caro? Ci ha salvati dall’asfissia.”

In effetti Tom poteva notare non solo diversi attrezzi qua e là sul tavolino e sul parquet, ma anche un’enorme bestia nera di cui si riconosceva vagamente la forma infilzata con un cacciavite. Disgustoso. Intanto quel Chris si era rimesso la maglietta, per fortuna.

“Non si poteva aprire la portafinestra?”

“Tesoro, c’è un nido di calabroni e domani dovrò chiamare un disinfestatore. Quella portafinestra rimarrà sbarrata fino ad allora e non azzardarti ad aprire nemmeno la finestra in camera tua.”

“Ci posso pensare io domani mattina, da ragazzino ho giocato con cose peggiori.”

“Oh, caro, non dire sciocchezze, non possiamo permettere rischi di ferirti proprio ora. Brian non me lo perdonerebbe mai. Sei un tesoro, ma devi tenere da conto quel bel faccino.”

Tom non riusciva quasi a pensare oltre la strana familiarità di quello scambio e delle loro risatine complici, che non sapeva bene perché, ma lo irritavano. Molto. Sua madre aveva preso ad armeggiare con il telecomando del condizionatore ed aveva squittito contenta quando un soffio d’aria fresca aveva cominciato a fuoriuscirne senza problemi.

“Splendido. Potremo dormire tranquilli e freschi, questa notte, non sei contento Tom?”

Non molto. Tom non era molto contento, ma aveva sorriso comunque a sua madre e ricambiato quello del ragazzo ora non più nudo che doveva tenere da conto il suo bel faccino.

“Non vuoi mangiare qualcosa prima di andare a letto, caro? Chris ha preparato delle buonissime crêpes salate, te ne abbiamo tenuta qualcuna da parte.”

Tom sentiva gli sarebbe presa una paresi se non avesse smesso di sorridere, ma non riusciva a smettere e poteva solo sperare di essere abbastanza convincente e non sembrare piuttosto matto. Chris non si era presentato e sua madre dava per scontato che avrebbe mangiato le sue crêpes, splendido.

Voleva solo andare a dormire e terminare quell’orribile giornata in attesa di una settimana ancora più orribile.

   
 
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