Non posso crederci, ma a quasi un anno dalla pubblicazione
del prologo, ‘No Good
Deed’ è finita.
Con questo ultimo, piccolo prologo, però, apro una porta
nuova e più emozionante.
Ala iacta est; il tempo di maturare è finito e si aprono
ufficialmente le danze.
Cosa accadrà ora? A parte seguire la storia del telefilm –introducendo
ovviamente Beatrice- non posso dirvelo.
Dico solo che spero di rivedervi tutti quanti!
Grazie a chi mi ha sempre seguita, alle persone citate nello
scorso capitolo e in particolare Lechatvert che ha betato anche
questo ultimo capitolo e che presto visionerà in anteprima il prologo.
Grazie anche a Lù che ha fatto per me questa
meravigliosa immagine con uno spoiler: il titolo del sequel.
Grazie a Verdeirlanda per aver sempre recensito la mia storia e a Hahaha_cit_Niall, che nonostante sia
arrivata quasi alla fine, non ha mai mancato di farmi sapere cosa ne pensa.
Ringrazio anche i lettori silenziosi che sempre hanno seguito
la storia senza mai sbilanciarsi. Vi invito a dirmi cosa ne pensate, visto che
è conclusa ^-^
In ultimo, vi lascio questo
link dalla mia pagina autrice, su facebook dove
troverete tutti i personaggi della storia e che rivedremo anche più avanti!
Direi che è tutto.
Aspettatevi il prologo di ‘Amor onni cosa vince’ molto presto!
Vi lascio al capitolo, buona lettura
Jessy
No Good Deed
Goes Unpunished.
Parte XXV: Epilogo
– La nostra guerra.
Il suono ripetitivo dei
suoi stessi passi, compiuti nell’arco di pochi metri dalla scrivania alla
porta, iniziava seriamente ad innervosirlo.
Villa Orsini era immersa
nel buio della notte e, in quel profondo silenzio, Girolamo si sentiva
irrequieto.
Nell’aria c’era troppa
tranquillità.
Decise di completare un
paio di missive, giusto per tenere la mente impegnata e concentrata. Non appena
appoggiò il fondoschiena alla sedia, però, comprese che non avrebbe funzionato.
Scrisse giusto un paio di
parole di ringraziamento al Duca Alfonso, pregandolo di scusarlo per la
partenza così improvvisa da Napoli, ma non andò oltre.
Nella sua testa si era
insinuato un tarlo, che non faceva altro che scavare profondo nelle sue paure.
Ormai era passata poco più
di una settimana da quando Beatrice aveva
ricevuto la ‘giusta’ punizione per il suo crimine. Genericamente, ai
ladri viene amputata una mano. Nel caso di un furto in vaticano – negli archivi
segreti- la pena poteva essere anche di gran lunga più alta.
Girolamo aveva dovuto
pregare sua Santità per quell’atto di clemenza e, ne era certo, avrebbe pagato
a caro prezzo quel favore. I valori di carità cristiana, secondo suo padre,
riguardavano gli affari dell’Iddio. In terra, andava tenuto il pugno di ferro,
affinché i nemici del papato non potessero ergersi contro la sacralità del suo
uffizio.
Le conseguenze di quel
gesto avrebbero avuto senza dubbio ripercussioni future: se non avesse trovato
il libro ebraico, suo padre avrebbe senza dubbio trovato un appiglio per
disfarsi sia di lui che della giovane fiorentina.
Tutti coloro che
lavoravano per lui erano utili, certo, ma non indispensabili.
Doveva agire, quindi, con
cautela studiata.
Per prima cosa, aveva
intenzione di allontanare sua moglie il più possibile da Roma. Essendo la
reggente di Forlì, amministrare la città romagnola l’avrebbe tenuta lontana
dagli affari del Papa. Quanto meno, se davvero non poteva impedirle di
accanirsi contro di lui in questa lotta alla ricerca della verità dei Figli di
Mitra, poteva spedirla lontana dagli occhi.
Avrebbe soppresso in lei
la voglia di imbarcarsi in una simile crociata, ma prima aveva affari più
importanti da sbrigare.
Lui avrebbe continuato a
viaggiare, da Roma a Forlì, a seconda delle incombenze che suo padre gli
avrebbe assegnato di volta in volta.
Doveva ancora comunicare a
Beatrice quella decisione, ma non la vedeva ormai da un paio di giorni. Sapeva
dal cerusico che la schiena stava cicatrizzando alla perfezione, anche se
sarebbero di certo rimaste delle profonde cicatrici laddove la frusta aveva
lacerato la carne. La contessa mangiava nei suoi alloggi, con la sola compagnia
della sua dama di compagnia e di Olivieri.
Grunwald era passato a portarle un saluto e qualche mela
comprata al mercato cittadino, ma anche lui aveva riferito che la giovane non
sembrava in vena di chiacchiere.
Come compatirla,
dopotutto?
Aveva rischiato la morte,
aveva condannato uno dei suoi e Camilla …
Girolamo non osava nemmeno
domandarsi cosa avesse patito madonna Colonna, nel letto del Papa.
Sapeva solo che il
Capitano Reek l’aveva riportata a villa Orsini la
mattina successiva, divertito da quanto la giovane stesse tremando. Riario
l’aveva fatta entrare personalmente, mentre Zita le avvolgeva una coperta
attorno alle spalle e la conduceva verso gli appartamenti della contessa.
Il suo zoppicare era stato
piuttosto eloquente.
Quel singolo ricordo fu
sufficiente, per Girolamo.
Aprì e porte a vetri che
conducevano su un piccolo terrazzino, appena fuori dalla sua stanza. Si
appoggiò contro il parapetto di ferro battuto, chiudendo gli occhi e respirando
profondamente, come per aerare i polmoni.
“Signore, tu che sei il
mio pastore, dammi la forza.”
Congiunse le mani in
preghiera, recitando un Padre Nostro e un’Ave Maria.
C’erano istanti in cui
davvero dubitava della buona fede di sua Santità. Come poteva, un uomo di Dio,
pretendere così tanto sangue e innocenza? Se l’era chiesto spesso, ma la
risposta era sempre e solo una: lui, esattamente come suo padre, erano stati
scelti dall’Onnipotente come strumenti. Veicoli contro la bramosia e il
peccato.
Erano la mano e il volere
del Signore sulla terra.
‘Questo ci autorizza ad operare nel suo nome, Girolamo. Le nostre punizioni
sono giuste, poiché è il buon Dio a volerle. Lui, poi, provvederà.’
Ancora ricordava, quel
giorno, in cui suo padre era andato a prenderlo al monastero. Aveva quattordici
anni, eppure lo ricordava come se fosse successo non più di un paio di giorni
prima.
L’aveva messo a parte del
piano che il Signore aveva per entrambi, prima di condurlo da sua sorella
Bianca, che l’aveva poi allevato insieme al marito Paolo Riario, come se fosse
stato figlio loro.
Cresciuto come il più pio
dei fanciulli, Girolamo era convinto che tutto ciò che faceva, era segno di
qualcosa di più alto. Era uno strumento del volere del Signore e, se egli lo
riteneva opportuno, si sarebbe a sua volta immolato per la causa.
Ogni volta che ci pensava,
il conte si sentiva meglio.
Si rimise diritto,
sistemandosi il panciotto della casacca e voltandosi per tornare nei suoi
appartamenti e riposare. Fu allora che si accorse che la luce nella stanza
della moglie era ancora accesa.
Più di una candela,
sicuramente, senza contare la finestra lasciata aperta. Da essa fuoriusciva una
lenta melodia, cantata a bocca chiusa, insieme alle tende che svolazzavano
pigre trasportate da una corrente d’aria.
Nonostante l’ora tarda,
Girolamo non riuscì ad impedirsi di andare da lei.
Poteva metterla al
corrente della sua intenzione di mandarla a nord, oltre che assicurarsi
personalmente della sua salute.
Sarebbe rimasto
impassibile davanti a lei, freddo. Le avrebbe favorito un distacco che sarebbe
stato netto, quantomeno per i primi mesi.
Aveva troppo da fare
nell’urbe, per recarsi con regolarità nella provincia pontifica forlivese.
Ci mise troppo poco, per i
suoi standard, a giungere innanzi alla porta della stanza. Rimase con il pugno
sollevato diversi minuti, domandandosi se fosse decoroso presentarsi così.
Il solo fatto che si
facesse simili domande, parlando di Beatrice, era ridicolo.
Dopo tutto quello che
avevano condiviso, si ritrovavano davvero alla stregua di due estranei?
Lei aveva tradito la sua
fiducia, certo, ma lui se lo aspettava da tempo.
Sua moglie era un drago
dormiente, una fiera assopita, pronta ad agire.
Lo aveva dimostrato
diverse volte: Forlì, Bologna, Roma …
Quanti altri esempi doveva
avere?
Senza più pensieri, bussò
alla porta. Attese il tempo di qualche respiro, prima di aprire la porta di un
solo spiraglio, così da parlarvi attraverso, “Posso entrare?” domandò con tono
basso, quasi come se si aspettasse un rifiuto.
Sentì una sedia sposarsi,
poi sua moglie si schiarì la voce, “Entrate.”
Così come aveva
ipotizzato, la stanza era illuminata da diversi candelabri.
Senza guardarsi troppo
attorno, però, Girolamo avanzò verso la specchiera dove era seduta la moglie.
Posta nella parete opposta
a quella del letto, il grande specchio prendeva un quarto di parete. Beatrice
si stava spazzolando i capelli con cura, cercando di mascherare il fastidio che
doveva darle l’alzare le braccia.
In un tentativo di creare
una certa intimità fra loro, il conte si appoggiò contro lo schienale della
seduta, attento a non sfiorare le bende “Ho visto la luce accesa e ho pensato
di parlarti di una cosa.” Senza
rispondergli, la contessa gli dedicò un piccolo cenno, sottolineando il fatto
che potesse proseguire “Ti rimando a Forlì.”
Inaspettatamente, Beatrice
sbuffò una risata ironica. “Non mi
aspettavo altro se non l’esilio da questo luogo maledetto.” Sibilò tra i denti,
appoggiando la spazzola e voltandosi di tre quarti con il naso puntato verso
l’alto. L’azzurro dei suoi occhi parve un grigio cielo in tempesta, in quel
frangente “Sono lieta di tornare a Forlivio*. Tu
immagino che non verrai con me, Girolamo.”
Lui la guardò severo,
prima di scuotere appena il capo.
Ovviamente, non sarebbe
andato.
“Appena potrai cavalcare,
partirai.”
“Anche domani, se posso
davvero lasciare Roma.”
Ogni parola era un altro
po’ della sua pazienza che svaniva. Perché non capiva? Perché doveva essere
così dannatamente testarda?! Doveva essere il sangue dei de’Medici, a rendere
le persone così insopportabili!
Il conte sospirò,
staccandosi dalla sedia e facendo un passo indietro, mentre Beatrice riprendeva
a spazzolare la chioma bruna “Ci sarà un tempo in cui questa tua sfrontataggine
ti costerà il rogo, ma a me devi il fatto che non sia ora. Sappi però che il
tempo è un vortice, che gira su se stesso e sempre torna indietro. Non potrai
liberarti di ciò che hai fatto, dell’onta che ho dovuto subire per te.”
“Il tempo è un fiume,
conte Riario.”
Buffo come le persone si
rendano conto di non aver qualcosa di indispensabile con sé nei momenti meno
indicati.
Fu quello che pensò anche
Girolamo, quando si rese conto che non erano soli in quella stanza e che lui
non aveva preso con sé ne la spada ne lo stiletto.
Si voltò di scatto,
sbarrando gli occhi per la sorpresa, mentre incrociava lo sguardo con quello
limpido di un uomo.
Nonostante l’evidente
stupore di Riario, questi continuò a parlare come se gli fosse stata posta una
domanda “Avete però detto qualcosa di saggio senza saperlo, perché questo fiume
non è rettilineo come la coda di un serpente, bensì circolare. Il tramonto di
una vita è l’alba di un’altra. La storia è solo una menzogna, manipolata da
coloro che voi amate tanto servire. Il tempo sarà inclemente con voi, conte,
così come lo sarà la storia stessa. Non
verrete ricordato per ciò che avete fatto di buono, né tanto meno per le cose
orribili che il vostro ‘buon senso’ vi ha condotto a fare. Non verrete
ricordato affatto.”
Aveva un accento
particolare, così come le linee nere che circondavano l’ovale dei suoi occhi
verdi. Le vesti, poi, furono un ulteriore indizio, così come il libro che
stringeva con un braccio.
Il libro in ebraico che
Beatrice aveva trafugato dagli archivi, probabilmente.
Lo studiò in silenzio,
trovando estremamente irritante il sorriso divertito sulla bocca dell’intruso.
Quando si decise a esporre le sue conclusioni, esse ormai erano palesi.
“Il turco.” Sussurrò,
mentre anche Beatrice si alzava, camminando verso il letto con non curanza.
Questi fece un inchino
poco profondo “Al Rahim, conte.” Lo corresse “Ma sì,
molti mi chiamano il Turco. Persino la Luna.” Ammise, facendo un cenno verso la
contessa.
Sentire che anche lei
aveva un nome in quella loro eretica organizzazioni di folli fu un pugno in
pancia.
“Cosa significa ‘la luna’,
di grazia?” chiese, velenoso, rivolto verso la moglie.
Lei sorrise sardonica,
scrollando le spalle “Sto ancora cercando di capirlo anche io.”
“Anche se lo sapesse, temo
che non verrebbe a dirlo a voi.” si intromise Al Rahim,
prima di voltarsi di tre quarti verso la ragazza “Ricorda ciò che ti ho detto,
uno spirito guida ti aiuterà a cogliere i segni e riunire i pezzi.”
“Spero.” Concluso
Beatrice, prima di fare un cenno verso il Turco “Sono figlia della terra….”
“….E
del cielo stellato.” Concluse il Turco, prima di voltarsi verso Riario, che non
era più disarmato.
Presa la spada che aveva
lui stesso donato alla moglie, la puntò verso la gola dell’uomo “Non crederete
che io ora vi lascerò andare, spero. Consegnata il libro e forse verrete
risparmiato, anche se siete un infedele.”
Quelle parole non fecero
altro che accrescere il divertimento del Turco. Con un ultimo sguardo verso
Beatrice, fece un passo indietro, andando poi in tutta fretta alla finestra.
La scavalcò, saltando nel
vuoto.
Girolamo non perse tempo e
gli corse dietro, ma quando si affacciò, non vi era traccia dell’uomo.
Bruciante di collera,
lanciò la spada a terra, marciando verso la moglie.
“Dimmi dove è andato!” le
gridò in viso, ma lei alzò le spalle con totale non curanza.
“Quell’uomo è come il
fumo; impossibile da stringere nel palmo di una mano” lanciò un’occhiata all’ampia
finestra, prima di sospirare “Parla per metafore e indovinelli. Credi davvero
che io sappia dove puoi trovarlo?”
Fu abbastanza.
Riario alzò una mano, come
per zittire quella moglie impudente con uno schiaffo, ma Beatrice fu più
veloce. Estrasse uno stiletto da sotto un cuscino, puntandolo alla gola del
marito mentre lui ancora teneva il braccio alzato.
Con la sfida nello
sguardo, la fiorentina parlò per prima “Una volta mi dicesti che credevi di
amarmi. Io ti ho risposto che ne ero certa.”
Una pausa, lunga come una
straziante agonia da desti, mentre tutto l’odio che entrambi parevano provare
scemava.
Con un profondo sospiro,
la ragazza abbassò la lama e il conte il braccio.
Arrendevoli, entrambi, si
guardarono negli occhi.
“Sarò la moglie che
desideri.” Dichiarò infine Beatrice, rinfoderando lo stiletto e rimettendolo al
suo posto, mentre Girolamo la guardava senza capire “Curerò i nostri interessi
in Romagna, mentre tu servi il Papa. Sarò elegante con gli ospiti e affabile
con i mercanti. Riderò quando lo vorrai e forzerò ogni sorriso che sarà
opportuno, se necessario. Non ti mancherò di rispetto così come tu non farai
con me e, infine …” sospirò, portando una ciocca di capelli dietro all’orecchio
“Voglio darti un erede.”
Lui avanzò di un passo
verso di lei, guardandola come ammaliato.
Tutta la collera stava
scemando e lui ricordò perché lei lo aveva così tanto colpito sin dal primo
giorno.
Portò una mano sul suo
collo, accarezzandolo con il pollice, prima di domandare “Perché mi fai queste
promesse?”
Lei sorrise tristemente
“Perché so di amarti ancora. L’amore non è qualcosa che puoi semplicemente
mettere da parte, Girolamo. Anche se …”
Abbassando la mano sulla
sua spalla, il conte inclinò di lato il capo. Studiò il profilo armonioso della
moglie, allungando poi le dita verso il lacci che chiudevano la vestaglia.
“Anche se?”
“Anche se ora siamo in
guerra.” Senza attendere oltre, la ragazza afferrò il colletto della casacca
del marito, stringendosi a sé mentre lo baciava.
Tra le loro labbra, il
conte poté avvertire tutto il bisogno e la disperazione che la giovane aveva
nel suo cuore. La vestaglia cadde a terra, anche se il suo busto rimase
parzialmente coperto dalle bende. Con essa, anche la casacca e le brache del
conte, mentre l’uomo si stendeva supino
sul letto, accogliendo sul grembo Beatrice.
Un altro bacio bisognoso,
un altro sapore malinconico e poi un morso al labbro inferiore, quasi irato.
Fra tutte quelle
sensazioni, quei gusti, Girolamo poté sentire anche il sapore della verità: sarebbero
stati nemici, da quel momento in poi e fino al giorno della resa dei conti.
Mai sapore gli parve più
amaro di quello.
Fine
*Forlivio: antico nome di Forlì.