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Autore: S_a_r_a    26/05/2014    1 recensioni
Succede spesso che si creda di essere qualcosa che non si è. O viceversa. Succede che si dia credito solo a una parte della questione, che ci lusinga, ci martirizza o fa comodo, per compiacersi di noi stessi in tutte le forme o autocommiserarci. Succede di perdere la bussola in un mare di definizioni in cui non sappiamo trovare la nostra sintesi. Ma la verità è che si può fare qualcosa di meglio: essere semplicemente se stessi e anche di più, senza etichette, e scoprirsi. C'è sempre una parte che non si conosce della propria personalità, oppure non la si vuole conoscere per scelta. Bisogna credere in se stessi. I personaggi di questa raccolta hanno molto da imparare, come ogni umano. Siamo tutti personaggi di una storia, possiamo vivere qui dentro.
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Behind Blue Eyes



 

"Ciao Jack. Allora, come stai?" Il dottor Bertocchi aveva come sempre l'aria stanca e i capelli brizzolati un po' più scombinati del solito.

"Tutto regolare." Forse dopo una notte insonne il suo primo problema non era certo pettinarsi.

"Bene. Dimmi, cos'hai fatto oggi?"

"Niente di che." Era davvero ridicolo stare in quello studio, ogni volta.

"Tua madre sta bene?"

"Sì, grazie." Ah già, doveva tutto a lei, che si preoccupava così tanto per la sua salute mentale.

"Mi fa piacere. C'è qualcosa di cui ti andrebbe di parlare oggi?"

"Veramente, no."

 

 

Una ragazza con una maglietta fucsia. I capelli corvini e liscissimi. Pelle abbronzata. Fisico tonico. Unghie chilometriche. Non può vederle il volto. Sta seduta al tavolo vicino alla vetrata di fronte ad un uomo, sulla quarantina inoltrata, giacca e cravatta. Lo vede bene. Ha un fede al dito. I suoi occhi scuri e severi non si staccano un secondo da lei. Marroni, con una grande ombra grigia. Parla concitatamente, i suoi gesti esprimono sicurezza e un velo di seccatura. La ragazza non si fida, ha paura. Lui le assicura che non deve preoccuparsi, prestò sarà tutto a posto. Lo fa con uno zelo che sembra non abbia imparato a fare altro oltre a quello. Che fai nella vita? Mah niente, ho una laurea con lode in promesse.

Jack conosce bene gli occhi di lui. Sono quelli dell'uomo di affari. Quelli di chi ottiene tutto e non dà niente in cambio. Si ammorbidiscono un po' solo quando lei comincia a singhiozzare, senza perdere la loro fermezza. Le sfiora la guancia per consolarla. Jack si chiede come siano i suoi occhi. Probabilmente piccoli e gialli, evidenziati dall'eyeliner un po' sbavato per le lacrime. Occhi ingenui di chi crede di amare ed essere amato, della donna non ancora donna. L'uomo non lascerà la moglie per lei. Lascerà entrambe, poi ne troverà un'altra da illudere.

Jack chiude il libro di struttura della materia, va alla cassa e paga il suo caffè. Fuori dal bar, dà una sbirciata veloce oltre il vetro. Un paio di occhi dorati, con le venuzze ancora in vista e pieni di trucco guardano ora con dolcezza l'uomo che promette così bene davanti a loro.

Pietoso.

 

 

"Allora se non vuoi cominciare tu, ti sta bene se parlo un po' io?" Il dottore sorrise, un sorriso triste.

"D'accordo". Jack si stava immaginando che cominciasse a spiegare il perché di quella brutta cera, finalmente aveva le prove che la moglie lo cornificava col cognato?

"Io ti capisco. Lo so che sei arrabbiato, molto arrabbiato. Lo so che mi stai odiando profondamente, sarà così ogni volta che vieni qui. So che preferiresti startene per i fatti tuoi. Ma so anche che tua madre è davvero molto preoccupata. Se non vuoi farlo per te stesso, fallo per lei. Non ti chiedo di dirmi niente che tu non voglia, solo ciò che ti senti, non ti forzerò. Per favore. Se non veniamo a capo di niente allora ti autorizzo a non presentarti più. Ma prima vorrei che ci provassimo."

Jack lo ascoltò con attenzione. Era proprio così. Voleva stare solo. Era sempre riuscito a superare tutto da solo. Perché avrebbe dovuto essere diverso stavolta? Perché le persone dovevano intromettersi? Anche se il dottore, per quel che aveva visto, non sembrava lì per volerlo giudicare, come sua madre, lo percepiva. Non pensi di dover fare qualcosa? Ormai è passato già del tempo. Non puoi continuare a seppellirti sotto i libri. Lui stava già facendo tutto. Stava portando tutto sulle sue spalle. Cosa c'era di sbagliato? Doveva fare finta di essere un altro? Ognuno ha il suo modo di affrontare le cose. Questo era il suo. Era così difficile da capire?

 

 

Difficilmente Jack si sente in imbarazzo. Tutt'al più insofferente, non risponde alle domande per scelta. Sa sempre ciò che è giusto per lui. Spesso coincide con un silenzio o un modo un po' brusco di porsi, ma va bene così.

La prima volta che tutto il suo castello crollò fu un sabato sera come tanti altri. Usciva come al solito con i suoi amici al pub, ma quella sera c'erano anche persone che non conosceva. Ciò lo preoccupava, non era molto bravo con i nuovi arrivati di solito. Poi sapeva bene che si sarebbe scordato i nomi tempo 5 minuti. Piacere, Giorgio, Ilaria, Fabio, ciao sono Fulvia.

Si bloccò. Che modo aperto di presentarsi. Gli altri tre si erano limitati a un mezzo sorriso e una stretta di mano viscida, quasi non vedessero l'ora di staccarsi. Lei aveva stretto con più energia e la prima cosa che notò fu che non lo guardava dritto in viso. Aveva gli occhi color cioccolato, o un po' più chiari, forse nocciola, non c'era abbastanza luce da vederne le sfumature. Voleva osservarla meglio, ma gli altri fecero cenno di entrare, perciò si limitò a seguirli. La seguì con lo sguardo e notò che camminava a stenti, ma cercando di mascherarlo. La sua amica le stava vicino e la guidava. Jack scelse un posto a caso, e lo stesso caso volle che Fulvia capitasse di fronte a lui.

"Ma che ore sono? Angela deve sempre metterci una vita, io vorrei ordinare!" Disse Jack esasperato dopo un po'.

A quel punto Fulvia scattò con la mano destra verso il suo orologio da polso con espressione concentrata, aprì il quadrante e tastò lievemente le lancette. "Sono già le 10. Ma Angela non è Angela senza la sua mezzora accademica di ritardo." Rispose ridendo.

 

 

"E va bene. Parliamo. Ma io non ho molto da dire." Jack ancora non voleva abbandonare la difensiva.

"Beh, sono uno che sa accontentarsi." Il dottore fece per strizzargli l'occhio. Jack non faticò a crederci, per qualche ragione.

"Io non riesco a non pensarci. Mi serve tempo. Ho il dovere di sentirmi così. Per lei. Non è logico aspettarsi qualcosa di diverso. Non so più cosa devo fare. Ma faccio del mio meglio, e questo deve bastare."

"Ciò che dici è giusto, Jack. Nessuno vuole che ti carichi di ulteriore stress."

"Ah no? Allora perché sono qui?"

"Perché un confronto non fa mai male. Non vederla come una cosa negativa."

"Non ne ho bisogno. Non c'è niente che si possa fare. Niente la farà tornare. A che serve stare qui a parlarne?"

"Serve a te, per capire che non sei una macchina, ma che puoi avere bisogno di aiuto. A tutti serve una volta ogni tanto."

"Non a me."

 

 

"Mi piace il tuo nome, è uno dei miei colori preferiti".

"Deve essere molto bello".

Jack si schiaffeggiò mentalemente. Che cosa idiota da dire, proprio a lei.

"Stai tranquillo, non mi sono mica offesa!" Proseguì Fulvia, prendendo vantaggio del silenzio pudico di Jack "Non voglio provi pena per me, ti prego. Non credo ci sia niente di strano nel non saper cosa sia il rosso, o il blu, il giallo. Tutti non sappiamo alcune cose. Pensa a quelli che non capiscono niente di matematica, e a scuola certo non possono liberarsene. Ecco loro meritano di più la tua pietà". Non faceva una piega. L'espressione di Fulvia era come sempre un misto di giocosità e furbizia. Jack iniziò a ridere e la guardava. Quando rideva aveva un'aria ancora più dolce, sembrava una bambina. Chiudeva gli occhi forte forte, poi li riapriva appena si calmava. Non voleva portare occhiali e nascondersi. Di questo Jack le era grato, perché poteva studiarle gli occhi tutte le volte che voleva, senza essere invadente. Erano l'ornamento perfetto per il suo viso. Non avevano un colore solo, ne avevano tanti. Tutti i marroni del mondo erano lì dentro. Aveva guardato tanti occhi nella sua vita, di tutte le forme e di tutti i colori, persino viola. C'è chi non avrebbe trovato quelli di Fulvia niente di notevole, ma per Jack erano i più belli che avesse mai visto.

Non erano la sola cosa che gli piaceva di lei. Aveva tempo a sufficienza per osservarla da capo a piedi. E ogni piccolo difetto che trovava gli faceva nascere un sorriso istantaneamente. Gli dispiaceva che Fulvia non potesse fare lo stesso. Prenderlo in giro per i capelli sempre scompigliati, dirgli che con la barba era sexy o faceva schifo - anche se optava per la seconda perché al tatto le pizzicava troppo le guance -, elogiarlo perché si sarebbe tuffata volentieri nei suoi occhi blu come il mare, o insultarlo per la mania di mangiarsi le unghie. A volte voleva davvero che lei avesse il suo dono di rapire e custodire le immagini nella memoria in modo così preciso, ma poi pensava che se lui era così bravo a scannerizzare le persone, lei era decisamente una forza nel comprenderle. Aveva occhi molto più potenti dei suoi, vedeva dentro. Lui non sapeva farlo. E questo gli piaceva, potevano aiutarsi a vicenda. Lui la mangiava con lo sguardo, mentre lei gli mangiava l'anima.

"Però voglio testare la tua fantasia. Descrivimelo, il rosso." Fulvia lanciò la sua sfida, adorava mettere Jack in difficoltà. Era proprio un fisico, sempre attaccato ai fatti e alle cose certe. Tutto si poteva spiegare secondo lui, quindi perché doveva esserci un'eccezione?

"Il rosso è...uhm...è un colore acceso, forte, come un pugno nello stomaco." Rispose Jack, abbastanza sicuro.

"Wow, interessante. Però non basta, vorrei qualcosa di più, puoi fare di meglio, genio." Lo stuzzicò un po' Fulvia.

"Che cosa vuoi sapere allora, di preciso? Non fare i giochini con me." Rispose fintamente scocciato Jack.

"Che canzone ti viene in mente con il rosso?"

Accidenti. Quella sì che era una domanda interessante. Non ci aveva mai pensato. Lo sguardo gli cascò sulla sua maglia dei Queen e dopo poco ebbe un'illuminazione.

"Bohemian Rapsody. Quando la ascolto mi prende e tira pugni nello stomaco da quanto è forte. Perciò la trovo bella."

"Questa risposta mi piace." Dovette ammettere Fulvia. "Quindi anche quando pensi a me funziona così?"

"Chi ti ha detto che penso a te?" Jack guardo storto Fulvia, ma appena lei aprì la bocca stupita e contrariata gli scappò da ridere. La abbracciò stretta a sé e la baciò. Voleva che la sua vita fosse tutta così.

 

 

"Ascoltami Jack. Io non penso affatto che sia strano. Anzi, è tutto normale. Solo devi cercare di avere più coscienza di ciò che provi davvero. Per poterlo tirare fuori, con calma."

"Io non voglio tirare fuori niente. Perché lo dovrei fare? Quello che ho passato è mio." Jack ancora non era disposto a mollare.

"Certo, e nessuno te lo ruberà. Sono qui perché tu possa condividere il tuo dispiacere." Nemmeno il dottore voleva ancora mollare.

"Condividere. Non averne voglia è da pazzi, quindi. Altrimenti non staremmo nemmeno qui a parlare."

"Non dico che sei pazzo. Quella fase nella storia della "medicina" è passata, per fortuna. Però è probabile che tu ti faccia del male."

"Il dolore non si può cancellare, seguire una terapia non mi aiuterà di certo." Asserì con fermezza Jack.

"Certo. Il dolore è parte integrante della vita. Il mio lavoro non sta nell'annullarlo, se fosse davvero così, penso che dopo aver finito con tutte le persone della terra si potrebbero sgravare l'università e la società intera dal peso di questa disciplina e vivremmo tutti per sempre felici e contenti."

 

 

"Ehi splendore, come andiamo oggi?" Jack corse subito a sedersi accanto a Fulvia.

"Non mi lamento, mi hanno dato al gelatina al lampone come premio, sai? Stanno migliorando. L'infermiera simpatica poi mi passa semrpe un sacco di schifezze appena può, dio la benedica".

Dio, questo sconosciuto. Jack si chiedeva spesso chi fosse, se stesse sulla sua nuvoletta a giocare a bridge con gli arcangeli a farsi cazzi suoi. Perché agiva così. Perché si fosse impegnato tanto a creare una come Fulvia, per poi farle questo. Jack le accarezzò la testa, ormai non le era rimasto nemmeno più un capello. Le diede un bacio sulla tempia e appena vide che il viso di lei non riuscì a trattenere una smorfia di dolore, allentò la stretta del suo abbraccio. "Scusami, non volevo farti male."

"Non fa niente, mi sto indebolendo un po', ma questo non vuol dire che adesso non devi più darmi le strizzate che mi piacciono tanto."

"Ma io non voglio farti del male. Ne hai già abbastanza. Io.." Le parole gli si fermarono in gola. Non ce la faceva a vederla così. Tentava di soffocare le lacrime, ma con lei ogni barriera prima o poi si rompeva. Fulvia gli mise le braccia intorno al collo e pianse silenziosamente insieme a Jack.

"Senti, visto che non ho ancora molto tempo.."

"Non dirlo."

"Che cosa?"

"Non dire che non ce la farai."

"Ma amore, lo sai anche tu che.."

"Tu sei una roccia, non sarà certo questo a portarti via da me. Tu combatti e vincerai. Lo so." Jack la guardava, aveva il viso stanco e affaticato dalla chemioterapia. Parlava più per convincere se stesso che lei, ma doveva farlo. Doveva.

"Farò quel che posso, come sempre. Anche io avevo progetti diversi. Ma se non andassi molto in là, voglio che tu stia con me, per favore, per il tempo che resta. Poi ti lascio stare." Fulvia si sforzò di accennare un sorriso.

"Non parlare così! Io non ti lascio e nemmeno tu lo farai!" Jack, non aveva più il controllo. Fulvia non sapeva cosa dire. Cercava di fare forza a entrambi, ma non aveva ancora capito quanto aveva paura davvero e quanto sperare alle parole di Jack. Voleva solo abbracciarlo e restare così per sempre.

 

 

"Allora mi dica lei come affrontarlo. Visto che a quanto pare il mio metodo non va bene." Sbottò Jack. Non ne poteva più.

"Mi hai raccontato di Fulvia, Jack, ma non vuoi dirmi come ti senti. In queste ultime sedute ho scoperto molte cose, ma non ancora quella più importante."

"Come vuole che mi senta? Io sono morto. Con lei. Tutto ciò che di più bello mi è capitato in vita lo devo a lei. Mi ha insegnato tutto ciò che non ho mai capito. Che cosa dovrei dirle? Quanto mi ritengo patetico per questa scena?" Jack si vergognò profondamente per una lacrima che gli sfuggì e si apprestò a cacciarla via con la mano.

Il dottore lo osservò e rimase per un po' in silenzio. Poi disse "Va bene Jack. Questo è sufficiente. Vedi che se vuoi puoi fare tutto? Se vuoi puoi andare, ne riparliamo domani."

Jack fu sorpreso da questa iniziativa, rimase un po' lì a pensare. Poi si alzò e guardò negli occhi il dottore, "mi scusi."

"Di che cosa, Jack? Non hai niente da rimproverarti. Tutti abbiamo i nostri momenti un po'..difficili."

"Lei dottore è in uno di quei momenti?" Chiese Jack, meravigliato da se stesso per quell'audacia.

"Le questioni che riguardano me e mia moglie non sono il motivo per cui ci vediamo, quindi per ora le terremo fuori. Magari un giorno davanti a un caffè te ne parlerò." Ecco di nuovo il sorriso triste. Jack lo salutò e uscì dallo studio.

 

Era in camera sua, aveva un coltellino svizzero in mano. Lo avvicinò all'occhio destro, con la lama puntata dritta sulla pupilla. Pianse e pianse finché aveva fiato.






Salve amici efpiani e non! Questa raccolta è un esperimento assoluto nel genere, quindi siate buoni e pazienti. Ci terrei moltissimo a sapere, da chiunque voglia, un parere, anche gli insulti sono accettati Ma non farò troppo pressing, sarà un grande piacere se anche uno solo la leggerà. Un saluto e un arriverci!

  
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