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Autore: Shade Owl    26/05/2014    3 recensioni
Dopo una settimana, il Grande Vuoto e i suoi orrori sono solo un ricordo. Ma Timothy Anderson ha altre sfide ad attenderlo, e la più grande è proprio fuori dalla porta di casa. Si chiama "giornata in città".
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sangue di demone'
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Quando la sveglia ebbe la malaugurata idea di suonare, quel giorno, Timmi non si limitò a bloccarla come al solito: un pugno serratissimo calò sul povero orologio con la forza di un maglio, colpendolo senza pietà proprio sulla cima. Un fracasso di metallo piegato invase per un secondo la stanza, mentre viti, molle e ingranaggi spezzati o deformati misti a schegge schizzavano qua e là intorno al comodino. Al suo fianco, Nadine gemette.
- Buongiorno anche a te, amore.- borbottò mentre si tirava su - È bello vedere che sei di buon umore già di primo mattino…-
Timmi emise un grugnito indistinto, che valse come una qualsiasi risposta potesse aspettarsi Nadine: aveva dormito malissimo quella notte, e tra l’altro si era anche coricato tardi, in parte per colpa di quella spigola squilibrata che aveva dovuto portare in cella per disturbo alla quiete pubblica (di nuovo). Quindi, alzarsi per andare al lavoro era decisamente l’ultimo dei suoi pensieri, in quel preciso momento. Considerò seriamente l’idea di chiamare Xander e di dirgli che per quel giorno avrebbe dovuto fare a meno di lui almeno fino a dopo pranzo.
Tuttavia, scacciò presto quel pensiero: c’erano moltissime cose di cui doveva occuparsi, e si trattava di compiti che poteva assolvere solamente lui. Certo, la metà di essi non erano poi così impossibili per tanta altra gente, ma sembrava che nessuno fosse capace di togliersi il moccio dal naso senza il suo aiuto. Era tornato dal Grande Vuoto solo da una settimana, ma nessuno sembrava preoccuparsi del fatto che, magari, voleva riposarsi un po’, e così tutti si rivolgevano a lui per qualunque cosa, che fosse un’invasione di mutanti dalla dimensione zeta o un gattino rimasto bloccato sull’albero.
In cucina, mentre lui si versava una generosa dose di succo d’arancia, Nadine si scaldava il caffè e nel frattempo riepilogava l’enorme lista di cose da fare per la giornata. Una lista che cominciò nel migliore dei modi:
- Ho telefonato a Billings ieri, gli manca un foglio per l’iscrizione, hanno già finito le pratiche e tutto il resto, ma senza il certificato di diploma sono bloccati, puoi mandarglielo tu via fax dall’ufficio, te l’ho messo in macchina. Ah, e mio padre ti ricorda che devi andare da lui a prendere il regalo di diploma di Skadi, lui e la mamma non sono riusciti a darglielo prima di andare in Florida per le ferie…-
Timmi trattenne un gemito scocciato, portando il bicchiere alle labbra: i suoi suoceri in pensione avevano “bisogno di andare in ferie”. Lui, che si massacrava tutto il giorno tutti i giorni, le ferie se le sognava.
- Poi bisogna passare in officina per pagare la revisione della macchina, sono trecento dollari…-
A quelle parole Timmi sputò tutto il succo di frutta, soffocando il resto della frase.
- TRECENTO DOLLARI?- esclamò con voce strozzata - Stai scherzando?-
- I freni erano andati, e bisognava cambiare le candele.- replicò Nadine, ignorando le sue reazioni - Non è colpa mia se quel rudere è lo stesso con cui andavamo in giro vent’anni fa, sei tu che non vuoi cambiarlo. Poi c’è Alexis che ha bisogno di aiuto per la casa, io vado a dare una pulita in mattinata dopo che ho finito di portare a Kyle le carte del commercialista, ma le servirà una mano per portare la sua roba, e credo che abbia dei problemi con il proprietario, c’è qualcosa nel contratto che non ha funzionato, credo col subentro…-
- Sbatto anche lei in cella tutta la notte e le risolvo il problema.-
Ancora, Nadine lo ignorò completamente. Forse sapeva che non parlava sul serio, che era solo per via della brutta nottata e della lunga settimana se parlava in quel modo. Certo, era anche il suo carattere, ma in un’altra situazione non avrebbe fatto tante scene, e si limitava a fare finta di niente per dargli modo di sfogarsi e tranquillizzarsi. O magari lo stava semplicemente mandando al diavolo.
- A proposito di celle, devi ancora fare uscire tua sorella, credo sia il caso di passare prima da lei. Starà scalpitando per tornare a vedere il sole.-
Timmi soffocò un ringhio in un nuovo sorso di succo di frutta, che suonò come una pentola di fagioli ribollente. A quel punto Nadine sospirò, roteando gli occhi, e finalmente si voltò verso di lui, versandosi il caffè nella tazza.
- Tesoro, hai mai sentito parlare di “ulcera”?-
- Sì. È quella cosa che mi pungola tutto il giorno, mi tiene sveglio la notte, mi da fastidio anche quando dorme e mi fa incazzare di primo mattino. Ma preferisco chiamarti “Nadine”.-
A questo punto lei alzò lo sguardo, mettendosi le mani sui fianchi. Immediatamente Timmi sollevò una mano in segno di resa, posando il bicchiere.
- Sì, sì, lo so, questa era una bastardata.- disse in fretta - Senti, vado, prima che trovi il numero di un buon divorzista.-
- Ecco, bravo…- rispose Nadine, seguendolo con lo sguardo, evidentemente offesa - Io vado a prendere Skadi, a quest’ora sarà pronta…-
Timmi grugnì, senza ascoltare granché: Skadi quella notte aveva dormito a casa di Sylvia, una sua ex compagna di scuola, e con la sirena sotto chiave nel suo ufficio quella era stata una delle rarissime occasioni in cui la casa era stata praticamente vuota. Di solito c’era più viavai là dentro che in uno zoo cittadino nel fine settimana. E, probabilmente, le cose sarebbero continuate così almeno per un giorno o due, a patto che quella cepola di Ariel si fosse tenuta fuori dai piedi e che Skadi avesse trovato di che impegnarsi con gli amici prima di partire per il college.
Devo sfruttare questa cosa. pensò, mentre attraversava il giardino con Dran alle calcagna. Mi sa che ho un po’ esagerato, stavolta.
 
In compagnia del cane, raggiunse l’ufficio dove già Xander si era insediato, seduto alla propria scrivania e intento a battere al computer quello che senz’altro era il rapporto del rilascio di Ariel. Dall’altra parte della stanza, davanti a una porta rinforzata e chiusa da numerose serrature, c’era Clifford Perminsky, il custode dell’archivio, che con i piedi a ridosso del proprio tavolo da lavoro perdeva tempo con le parole crociate, le bretelle slacciate e penzolanti oltre l’orlo della sedia.
- Cliff, togli quei piedi dalla scrivania!- abbaiò scocciato Timmi, mentre Dran trotterellava verso il suo ufficio tutto contento - Non sei in un villaggio turistico!-
- ‘Giorno capo.- lo salutò Xander, mentre Cliff si affrettava ad eseguire l’ordine - Sei venuto per fare uscire la sorellina?-
- Non è che l’hai già fatto tu?- brontolò, scorgendo sulla scrivania dell’amico un bicchiere di carta col logo della caffetteria.
- Pensavo che quest’onore spettasse a te.- rispose lui.
- Specie dopo che l’altra volta l’ha quasi sbranato vivo.- ridacchiò Clifford, grattandosi la pelata con la penna.
- Nessuno ti ha chiesto niente, vecchia ciabatta!-
Il custode esultò.
- Ma certo! Ciabatta! Ventotto orizzontale, “scarpa da casa”!-
- Ma vaffanculo…- masticò il mezzodemone - Cos’è questo?- chiese, indicando il bicchiere.
- Caffè d’orzo.-
- Mi fa schifo il caffè, anche quello d’orzo.-
- Infatti non è per te. Ma ti ho lasciato sulla scrivania un litro di thè freddo.-
- Almeno qualcuno che ha un pensiero carino… quando arriva Melanie ditele di non giocare col telefono dell’ufficio, serve per le comunicazioni di servizio e le chiamate d’emergenza, non per sparlare di Arshan.-
- Capo, da quando ci sei tu nessuno ci telefona mai se non per i Sykes.- osservò quietamente Cliff.
- Lo so! Io mantengo l’ordine, qui!- sbraitò mentre entrava nell’ufficio e sbatteva la porta.
- No, è che tutti hanno troppa paura di lui per fare casino…- sogghignò Cliff, strappando a Xander una risata.
 
Spedito il fax, bevuta per metà l’intera scorta di the alla menta e inghiottiti due o tre biscotti al cioccolato e zenzero che Xander, quel sant’uomo del suo amico, aveva avuto la decenza di prendergli, Timmi si recò nell’unica cella di detenzione dell’edificio. Da quando lavorava lì, l’aveva usata poche volte, e di recente l’unica occupante era una hippie mezza matta perennemente scalza e altamente irritante. Ariel Anderson, per la precisione.
Quando si presentò davanti alla piccola cella, oltre le sbarre vide la sirena seduta a gambe incrociate sulla branda, che lo guardava sporgendo il labbro con gli occhi da cucciolo bastonato. Per nulla colpito da quell’espressione, la stessa che lei gli riservava tutte le volte, Timmi infilò la chiave nella toppa, tenendo l’ennesimo biscotto tra i denti, e aprì la cella.
- Ma perché dobbiamo fare questo schifo di teatrino almeno tre volte al mese?- brontolò, masticando il biscotto - Mi sono rotto il cazzo di rispondere a chiamate di gente stufa di te e del tuo strimpellare canzonacce da due soldi. Almeno ipnotizzali con i canti da sirena, no?-
Ariel gli veleggiò accanto, gettandogli le braccia al collo, e gli diede un bacio sulla guancia.
- Perché così do allo Sceriffo qualcosa da fare.- mormorò.
- E piantala!- sbraitò lui, scrollandosela di dosso - Hai idea di quanto è imbarazzante per me arrestare mia sorella ogni santa volta? E poi di cose da fare ne ho anche troppe, oggi sarò fortunato se riuscirò a mangiare qualcosa senza essere seduto sui sedili del pick–up!-
Lei sorrise sotto i baffi, senza dirgli niente.
- Senti, se ci tieni alle pinne, rimani qui e gioca un po’ con le manette. E magari con la pistola. Carica. Da sola, senza adulti intorno.-
- Va bene. E tu stasera preparale la zuppa di pesce che ho fatto a Natale. Le piace da morire.-
Timmi la guardò aggrottando la fronte. Ariel gli sorrise di nuovo, gli schioccò un altro bacio sulla guancia e corse via, in uno svolazzo del vestito. La seguì con lo sguardo, vagamente perplesso, ma anche piacevolmente sorpreso.
Già, la zuppa di pesce…
 
Tornato sul pick–up con Dran guidò fino all’officina dove lo aspettava Bob Hopkins, il meccanico. Lo trovò disteso sotto il pianale di una vecchia Lincoln Continental scassata. La riconobbe subito, era di Barney Potts, il proprietario del negozio di liquori da cui si serviva abitualmente.
- Ehi, Hopkins!- lo chiamò, aggirando una cassetta degli attrezzi e i pezzi già smontati della macchina.
- Eh? Ah, capo! Mi ha telefonato la sua signora, è venuto per il conto?- esclamò lui, contorcendosi per guardarlo - Aspetti, esco di qui e ne parliamo in ufficio, eh?-
- Sì, sì… così mi spieghi come siamo passati da settanta a trecento dollari.-
- Capo, cosa vuole che le dica?- ridacchiò il meccanico, pulendosi le mani sporche di grasso in un panno frusto e lercio, risistemandosi poi il berretto da baseball sulla testa quasi del tutto rasata - La sua è una buona macchina, nonostante l’età, ma le revisioni si fanno proprio per individuare eventuali problemi. Non sempre si può passare con un controllino a vuoto.-
Certo, ma io la macchina posso ripararla con la magia, cocco… pensò, scocciato.
- Beh, trecento dollari mi sembrano comunque troppo.-  grugnì Timmi, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
- Oh, suvvia… io con quei soldi ci pago il mutuo, la scuola a Kevin, ci tengo in piedi questo posto…-
- Insomma ti devo mantenere?- commentò in tono seccato, seguendolo nella stanzetta attigua.
- Lei e tutti i miei clienti. E guardi che le sto anche facendo uno sconto, se fosse stato il suo vice, per dirne una, avrei chiesto tre e cinquanta. E al vecchio Clifford, invece, il prezzo pieno. La sto trattando da amico, no?- chiese, strizzandogli l’occhio mentre prendeva il blocchetto delle ricevute dal cassetto.
- Certo, come no…- rispose, prendendo il portafogli.
Separarsi dai trecento dollari fu alquanto fastidioso, ma non quanto il sorriso di Bob Hopkins mentre se li infilava in tasca ringraziandolo di tutto cuore chiedendogli di salutargli la famiglia.
- Okay bello…- sbuffò, tornando al volante - Da oggi, nuovo regime: non si porta la macchina da nessuno stramaledetto meccanico. Se c’è un problema usiamo la magia. E se qualcuno prova a fare il contrario ti autorizzo a staccargli una gamba a morsi.-
Dran emise un guaito interrogativo, inclinando il capo con aria confusa.
- Beh, quando dovrai spendere trecento cucuzze per una fottuta revisione smetterai di farmi domande, te lo garantisco.- sbottò - Se non sapessi che poi ammazzano noi, ti lascerei da solo in una stanza con Hopkins. Magari dopo che ti ho fatto il nostro fischio segreto.-
Dran abbaiò contrariato.

In origine doveva essere una one-shot, ma quando l'ho finita era troppo lunga, e me ne sono quindi venuti tre capitoli più o meno equivalenti. Per i prossimi giorni posterò questa breve storia, lasciando mantecare un po' gli ultimi inserimenti intanto che ragiono sul prossimo capitolo di "I Figli di Caino". A domani!

   
 
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