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Autore: Emerlith    27/05/2014    0 recensioni
"Ti prometto la cornice di un quadro bellissimo,
talmente meraviglioso e struggente da non poter essere dipinto,
ti prometto ogni mio sussulto smarrito alla ricerca di un tuo cenno, sospiro."
[PoV Elena, PoV Damon]
Pensieri sconnessi, flusso di coscienza, quello che volete.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Chiara.
                                     
                              



"Lights go down,
in the moment we're lost and found,
I just wanna be by your side

If these wings could fly..."
 
Wings- Birdy
 
 
Da bambina, al tramonto, restavo in giardino a guardare le farfalle posarsi sui fiori.
Delicate e fragili, si rifugiavano nel cremisi degli ultimi raggi di un sole bugiardo con la speranza di poter vedere l’alba almeno per un’ultima volta.
Cercavo di afferrarle, di strapparle con le mie mani al loro crudele ed effimero destino.
Avrei voluto fermare il crepuscolo, racchiuderle in un barattolo a riposare durante la notte, per poi  liberarle in un giorno nuovo, senza ombre, senza il buio.
 
Distendevo le braccia e provavo a rincorrerle, con le mie mani a sfiorare i fili d’erba alta, le spighe selvatiche e l’incedere incalzante e sempre uguale del tempo, rapita da quelle ali dipinte con colori così crudelmente sgargianti.
A cosa serviva diventare creature così belle e poter possedere un paio di splendide ali soltanto alla fine?
A cosa serviva imparare a volare ed innamorarsi perdutamente del sole rincorrendone solo l’ultimo raggio morente?
Così correvo anch’io con il vento caldo fra i miei capelli e lacrime incerte sulle mie guance.
Saltavo, provavo a spiccare il mio volo per riuscire a vedere, per riuscire a capire quale fosse il mistero, quale lo scopo.
 
-Non tutte le farfalle vivono un solo giorno, Elena. Non essere così triste.-
-Ma dove volano appena il loro ultimo giorno finisce, papà?-
-Magari in un sogno. Si posano con delicatezza sui fiori d’amaranto dove possono guardare il sole che non tramonta. L’amaranto è un fiore che non appassisce mai, Elena.-
 
Mi sollevava tra le sue braccia forti, papà.
Mi lanciava in aria e mi riacciuffava sorridendo sempre a quel modo, come mi sorridevi tu: come se desiderasse proteggermi a tutti i costi. Per sempre.
 
 -Non dovresti prenderle a quel modo, Stefan.-
Era un bambino curioso e sensibile in un modo tutto suo, Stefan.
-Me l’hai detto tu, Damon, che le farfalle sono semplicemente dei bruchi a cui sono spuntate le ali. E mi hai promesso che mi avresti portato a catturarle. Te lo sei scordato?-
-No. Non l’ho scordato. Ma se tu l’afferri a quel modo non volerà più.-
Metteva il broncio, quando gli si negava qualcosa.
-Lasciala, Stefan. Non vedi che non può più volare?-
-La metterò in un barattolo.-
-Che te fai di una farfalla chiusa in barattolo? Se ce la metti, morirà subito.-
Ricordo ancora mentre si aggrappava alla mia camicia e mi tempestava la schiena di pugni mentre gli toglievo di mano il lepidottero e lo riposavo delicatamente su un sasso.
Una volta arreso, era restato con me a guardare quel battito convulso per qualche secondo.
 
-Ecco. Hai visto? Non riesce più a volare, e adesso le sue ali arancioni sono del tutto inutili.-
Restavo a fissarlo, contrito, che si torceva le mani e teneva gli occhi bassi, come un cucciolo ferito.
-Io volevo solo acchiapparla. È colpa tua, Damon. Non mi avevi detto che non sarebbe più stata in grado di volare.-
-Non iniziare con la tua solita lagna, Stefan.-
Mio fratello correva via da me sempre con la sua solita accusa velata negli occhi.
 
Io restai accovacciato a fissare l’insetto, provai inutilmente a soffiare su quelle ali.
Forse è vero che si assapora la bellezza solo quando ci si accorge che ci è già sfuggita di mano, che non la si può imprigionare. Quando ci si rende conto di quanto sia fragile, di come non si possa in alcun modo proteggere.
 
***
-Elena, dobbiamo andare. Elena, ti prego.-
Il mio corpo. Non riesco più a percepire il mio corpo.
Eppure dev’esserci ancora. Devo esserci ancora, da qualche parte. Da qualche parte senza di te.
-Ti prego, Elena!-
C’è qualcuno che grida. Qualcun altro che invece corre.
Ed io invece sono ancora qui, sono qui, spezzata, devastata, annientata, sono qui e sono un niente.
Le mie dita sfiorano questa terra senza riuscire a saggiarne la consistenza. Il sangue rappreso sulle mie unghie è forse l’unica –e l’ultima traccia visibile del mio passaggio su questa terra.
Sono mai esistita davvero, prima di incontrare te?
-Non possiamo restare qui, Elena. Ti porto io, avanti. Ti prendo in braccio, lasciati solo…-
Urlo non appena provano a toccarmi. Urlo con tutta la forza che mi rimane. Urlo a pieni polmoni con gli ultimi brandelli della mia anima che si avvinghia alle mie viscere e si contorce in preda a spasmi convulsi nella vana speranza di richiamarti dal nulla in cui sta sprofondando, nella speranza di ritrovarti nelle tenebre che ti hanno inghiottito e che ora stanno rapidamente inghiottendo me, senza alcuna pietà.
Anche se volessi, non riuscirei comunque a muovere un solo muscolo.
Sono morta, ero morta e voglio, -pretendo di ritornare ad essere morta.
Intendo restarmene ancorata qui, con il viso sprofondato nella terra bagnata, con gli occhi serrati ad abbracciare questo buio e le mie braccia ad afferrare solo nebbia.
Adoravi la nebbia.
 
-Cos’è che ti affascina così tanto e che ti spinge a restartene incollato alla finestra quando il tempo è così uggioso e … beh, cupo?-
Avevi sorriso, aggrottato un sopracciglio come fossi sovrappensiero, poi mi avevi tirata a te e tenuta stretta poggiando il mento sui miei capelli.
-La nebbia nasconde ogni cosa. Ne modifica i contorni, le sfumature. Nella nebbia ci si confonde e si è così liberi dai propri fantasmi. È come se non vi fosse più differenza.-
Avevo sospirato, scosso la testa e poi accarezzato le tue mani che cingevano la mia vita.
-Non dovresti temere ancora i tuoi fantasmi. Ci sono io a liberartene. Non è necessaria la nebbia.-
Mi avevi voltata, avevi sollevato il mio viso con delicatezza e mi avevi sfiorata con un bacio, rafforzando però la stretta attorno al mio corpo. Mi ero persa nel mare dei tuoi occhi azzurri provando a coglierne le increspature. Improvvisamente un brivido freddo mi aveva scosso, una sottile paura, velata proprio come la nebbia, si era insinuata fra gli strati della mia pelle.
-Non mi lasciare, Damon.-
Continuavi a sorridere, passavi le dita fra le mie ciocche.
 
Sussurravi parole che ora non ricordo più.
***
 
La paura è il principale meccanismo di difesa ed è una di quelle sensazioni che, per molto tempo, ho creduto di aver scordato. Pensavo d’averla lasciata sul fondo di quel baule pieno di cianfrusaglie che era la mia coscienza, dimenticato in soffitta, assieme all’eco dei battiti di quello che una volta era stato il mio cuore. Non avevo nulla da temere, per oltre un secolo il mio principale problema era stato soltanto arrivare a fine giornata con un bicchiere pieno e la mente sempre più vuota.
Men che meno avevo qualcosa da difendere, se non barlumi sfuocati di fantasmi che tornavano a sussurrare al mio orecchio, di notte, nel buio, quando il tuo viso prendeva lentamente forma nei miei incubi più remoti, nei miei spiragli di desideri non ancora intaccati dalla mia rabbia cieca.
Sono stato cieco fin quando non ho intravisto il tuo volto, fra la nebbia, su quel ponte malconcio e nel bel mezzo del nulla assoluto di quella che fino ad allora era stata la mia deprecabile esistenza.
Il suono della tua voce, seppur lieve come una carezza, ha ridestato improvvisamente ogni cosa: la paura è schizzata fuori da quel baule prima ancora di tutto il resto; il mio cuore stremato ha rimbombato per un secondo con commovente forza tra le coste, prima di fermarsi e perdersi per sempre in quel battito eterno una volta incrociati i tuoi occhi grandi, spalancati, innocenti, limpidi.
 
Non vi erano ombre in fondo ai tuoi occhi ed è per questo, forse, che tutte le mie vi hanno cercato disperatamente rifugio. Essere un’ombra dannata al cospetto di una luce improvvisamente abbagliante ha ferito tutto ciò che in me rimaneva: l’assoluta certezza che mai più qualcuno avrebbe avuto il potere di farmi vacillare, temere, soffrire. L’assoluta convinzione che non avrei più potuto perdere di vista un sorriso, un gesto, un sospiro.
Ma le ombre non esistono se non vi è luce da cui trarre consistenza, forma, velature di oscurità.
 
La mia vita nell’ombra è stata un’attesa, un grido trattenuto e poi esploso nel mio petto nella frazione di quel secondo in cui, vedendoti per la prima volta, la consapevolezza che non sarei potuto più esistere senza esserci ad ogni tuo sorrido, tuo gesto, sospiro, mi ha travolto facendomi rendere conto che ogni mio sforzo era stato miseramente vano.
Sarei morto come tutti i comuni eroi mortali muoiono.
Sarei morto pregando di poter avere più tempo.
Tempo per un tuo ultimo sorriso, gesto, sospiro, sguardo.
Tempo per stringere fra le mie mani la bellezza, in un fragile pianto. Tempo per provare in tutti i modi a proteggerti, un’ultima volta.
Tempo per implorare alla nebbia vile di nascondermi, di ingannare la morte, per ovattare il rumore dei tuoi ultimi passi.
 
***
 
Il mio cuore non ricorda il suono della tua ultima risata. Per quanto si sforzi, tutto ciò che ricorda è solo il frastuono assordante del nostro schianto. Le mie mani intorpidite non ricordano già più la tua pelle, continuano a stringere la terra, per poi affondarvici e tirar fuori solo sassi. Le mie labbra assetate e spaccate assaggiano le mie lacrime e il mio stesso sangue.
La mia gola riarsa grida ancora il tuo nome, ed è già incerto, vacilla, si spacca.
Si spacca assieme al mio respiro, alle mie ossa, si spacca assieme a tutte le altre centinaia di parole ormai prive di qualsiasi significato che urtano il mio cervello,
e sono in due, o forse in tre a sollevarmi da qui, a schivare i miei colpi, le mie accuse meschine, le mie preghiere.
Devo aver pregato così tante volte, da quando conosco te.
Pregato per sbaglio, per gioco, per davvero.
Pregato per non scordare mai nulla di te, per poter restare almeno al confine, tra sogno e ricordi, senza muovere mai un solo passo.
E adesso, mentre mi riportano in quella che era casa,
mentre mi continuano a scuotere, a parlare,
a supplicare, anche loro,
mentre Caroline mi toglie questi vestiti sporchi e stracciati di dosso,
mentre il getto della doccia mi inzuppa i capelli,
mentre il mondo si rompe
e io ne sento cadere i frantumi,
mentre il tuo profumo aleggia ancora nell’aria,
e ogni preghiera o supplica, gemito o urlo sbiadisce,
inizi a sbiadire Tu,
non appena vedo che le braccia che insaponano la mia schiena non sono le tue,
non appena il pensiero che non sentirò più le tue mani addosso a me, con me, contro di me,
per me
diventa vero.
E mordo le nocche in preda a un terrore del tutto sconosciuto, sconfinato, privo di qualsiasi via di fuga, di un qualsiasi nascondiglio per tenere stretta e al sicuro almeno un’immagine, un passo, una parola non detta, un mio sorriso velato, il tuo invece sarcastico.
Quanto sarcasmo c’è, in tutto questo?
Sono sopravvissuta grazie alla nuova vita che mi hai donato dopo la morte,
e tu muori mentre tutto quello che volevamo era riavere indietro la nostra vita.
Per sempre, tu ed io.
Con tanti bei ricordi eterni, da poter conservare e sigillare in ogni nostro bacio.
I tuoi baci.
Passo i polpastrelli sul contorno delle mie labbra ancora dischiuse e tremanti nell’ultimo grido a cercare il tuo nome.
Ma l’acqua continua a lavarne via la terra, il sangue, la polvere.
Gorgoglia sommessamente mentre scende giù nei tubi di scarico.
E tremo di freddo, terrorizzata dalla tremenda fragilità ed eterea consistenza di tutti i nostri momenti, i nostri giorni che non hanno più un posto sicuro, che scivolano via come quest’acqua sporca, scivolano fra le mie dita ed esplodono davanti ai miei occhi bagnati per l’ultima volta quando alzo lo sguardo alla porta di questa stanza e mi rendo conto di non poter fare altro se non aspettarti,
aspettarti per tutto il resto di quella che sarà un’esistenza vana,
aspettare di nuovo i tuoi occhi,
aspettare i tuoi passi, le tue braccia, la tua voce, le tue labbra sulle mie.
Così rimango a guardare la porta di questa stanza,
chiamo il tuo nome
e non mi risponde neppure un’eco indistinta,
neppure un ultimo, debole sospiro rimasto imprigionato fra le mie labbra.
 
 
-Credi che farà male?-
Non lo so, Bonnie.
Curioso come abbia sempre associato solo il nero alla morte, ed invece anche quest’ultima ha avuto il quadro del tuo viso dolce, Elena.
Il bianco che c’è attorno a me è un bianco pulito, soffice. Mi ricorda le lenzuola in cui ti avvolgevi e ti addormentavi dopo aver fatto l’amore. Mi ricorda la scintilla che mi faceva abbassare lo sguardo quando hai ballato con me per la prima volta, il calore sottile che percepivo nello sfiorarti semplicemente le mani.
Non ti ho mai detto quanto fossi brava a ballare, quanto mi struggessi di gioia e malinconia nel restare anche solo seduto a guardarti.
Hai permesso che la mia anima prendesse il volo, anche se adesso vola via da te.
Affido a questo bianco il mio ultimo abbraccio a te.
Ci entro con le braccia spalancate, lascio che mi avvolga, che mi culli.
So che penserai che non sia stato abbastanza. Che, come una splendida farfalla, il nostro amore abbia spiccato il suo volo soltanto alla fine.
Ma forse non c’è fine più bella di questa. Invertirne la rotta sarebbe stato probabilmente uno sbaglio. Prova solo a pensare che io stia solo volando da un’altra parte e che la mia meta sia un eterno ricordo nel tuo cuore. Conservami come se non avessi mai avuto nessun’altra dimora che non le tue labbra, il battito delle tue ciglia. La mia anima se ne starà rannicchiata in silenzio, quando rimarrai a fissare la porta della nostra stanza,
quando ti sembrerà che di me non sarà rimasto davvero più nulla se non un’eco indistinta,
quando penserai che il mio respirò non potrà più sfiorare il tuo viso,
e quando rincorrerai in tutti i sapori e in tutti i sussurri quelli delle nostre labbra.
Io sarò rannicchiato in silenzio.
In un cantuccio, proprio dentro di te.
Ad aspettare la tua risata che risveglia la mia.
 
***
Avresti dovuto scrivermi, Damon.
Non hai mai voluto tenere un diario. Dicevi che la carta non ti risponde, che assorbe i tuoi pensieri e li lascia semplicemente lì, ad asciugare e morire senza aver mai avuto voce.
Ma ora che sono io a non avere la voce, a non avere nemmeno più pensieri per stringerti a me almeno un ultimo istante, dimmi, dove vengo a trovarti? Dove vengo a sognarti?
Non volevi nemmeno una bara. Sarebbe stato paradossale anche questo.
E allora ti prometto che non la guarderò nemmeno, la tua bara.
Non verrò nemmeno al tuo funerale, non verrò a salutarti piangendo e gridando contro le tue promesse strappate al mio cuore.
Ti tengo qui, con me, alla luce tenue e gentile del crepuscolo triste.
Ti tengo stretto al mio petto mentre mi rannicchio e ritorno bambina, mentre ripercorro ogni attimo ed ogni salto spiccato verso di te.
Ti prometto la cornice di un quadro bellissimo,
talmente meraviglioso e struggente da non poter essere dipinto,
ti prometto ogni mio sussulto smarrito alla ricerca di un tuo cenno, sospiro.
Ti prometto ogni mia singola carezza mancata,
il calore delle mie labbra
che ora sfiorano questo fiore senza strapparlo alla terra,
ti prometto lo specchio dei tuoi occhi riflessi nei miei
e un sigillo per le tue labbra color amaranto.
 
 
Lei mi sorride indulgentemente, mi tende la mano, piccola e indifesa nel suo vestitino bianco.
È calda, profuma di primavera.
Mi incoraggia a sedere sull’erba con un cenno.
-Pensavo sarei finito all’ Inferno.-
Ride meravigliosamente, come se mi sfuggisse qualcosa di talmente ovvio da metterla in imbarazzo. Poi aggrotta pensierosa la fronte, i riccioli castani le accarezzano le gote rosee.
-Credo che all’inferno possa finirci solo qualcuno che non è mai stato capace di amare.-
Scuoto la testa a questo cielo bianco, distendo la schiena e mi sdraio a fissarlo.
La bambina si siede di fianco a me, raccoglie dei fiori, ne fa un mazzetto che poi mi porge, con gli occhi tristi.
-Lo sai cos’è questo?-
-Non mi è mai interessata poi tanto la botanica, ma grazie per il pensiero.-
Continua a guardarmi mentre gli ultimi raggi di sole le trafiggono gli occhi nocciola.
-Ti manca?-
Deglutisco un paio di volte, giusto il tempo che mi ci vuole per non crollare miseramente in lacrime. Eppure mi sembra che non si possano versare lacrime, in un posto così.
-Ho paura di … di non poterla custodire da nessuna parte. Mi mancherà sempre, sai.
Per l’eternità. E credo che l’eternità qui sia un concetto piuttosto… beh, assoluto.-
Una farfalla dalle ali arancioni passa fra noi, una nota vellutata in questo magico e colorato silenzio.
-Lo credo anche io. Ma questo è amaranto.-
La guardo ancora,
vorrei chiederle chi è,
perché pare che possa leggermi dentro,
com’è possibile che una bambina così piccola possa somigliare tanto a te,
custodire la tua stessa dolcezza.
Ma resto immobile, leggero come fossi in un quadro dipinto per caso e lasciato ad asciugare in una distesa di sole.
Sfioro i piccoli petali vellutati, li porto al viso per sentirne il profumo.
-Lo senti, Damon? L’amaranto è un fiore che non appassisce mai.-
-Dimmi, piccina. Dov’è che siamo, esattamente?-
Solleva le spalle, poi arriccia il naso e ride.
-In un ricordo? O magari in un cuore. O forse siamo finiti in un sogno.-
 
 
Fine
 
 
Note: Scritta senza nessuna pretesa.
Libera interpretazione. Non deve avere per forza un senso, né desidero che lo abbia, a dirvela tutta.
Volevo solo dare una voce alla malinconia che ho addosso.
Semplicemente, grazie per la lettura. 
  
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