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Autore: Gippal13    02/08/2008    0 recensioni
Solo un rumore di tacchi proveniva frenetico dalla porta accanto. Era un rumore che non potevo scordare...
Genere: Fantasy, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stavo ancora lì, non riuscivo a pensare. Immagini fulminee mi attraversarono la mente. Non riuscivo a credere a ciò che Amandine aveva fatto. I tacchi riecheggiavano ancora per tutta la stanza, e lo sguardo che mi aveva rivolto era impossibile da dimenticare. La sua perfidia la sentivo nell'animo, e non riuscivo a scrollarmela da dosso. Non sapevo se avesse sofferto, non sapevo se i suoi scopi fossero più malefici di quanto pensavo, non sapevo se da quel collegio ne sarei uscito vivo. Improvvisamente un pensiero ben definito mi attraversò la mente. Era notte ,e la luna risplendeva alta nel cielo accompagnata da spiragli di stelle, nel prato c’era solo Claire con un oggetto, una rosa. Capii subito, era la rosa tanto odiata da Amandine e tanto amata dalla sorella Axelle. Da una parte Amandine, più grande della sorella, dominatrice. I capelli biondi lunghi fino al bacino, le occhiaie ed il corpo perfetto le attribuivano un’aria da ragazzina delle superiori, era perfetta in tutto quello che faceva e non esitava a vendicarsi per ogni torto che le veniva inflitto. Semplicemente spietata, come quando uccise Nolwenn solo per aver giudicato il suo lavoro troppo disumano e sanguinario. Dall’altra parte la sorella Axelle, capelli neri , lisci come la sorella, lunghi fino al bacino ed attorcigliati spesso da una treccia. Più piccola di Amandine di 5 anni, la conoscevo bene. Quella notte erano le 11:00 di sera e tutto era finito tragicamente. Axelle aveva ancora la rosa con sé e Amandine la cercava. Voleva il suo sangue e la combutta non sarebbe finita fin quando una delle due non avrebbe vinto. Quella notte strilli impazienti attraversarono il cielo nero, increspando e riducendo a brandelli il corpo di Axelle che stremata per il dolore riuscì a salvarsi per la forza che la rosa le infondeva nell’animo. Cercai di rimuovere il ricordo e di dormire, ma non mi fu possibile, un lamento vorticoso e frenetico si stava espandendo dalla porta vicino alla mia, non sapevo cosa fare. Se rischiare, oppure stare lì, al mio posto; pensai che non avevo più niente da perdere così , deciso e determinato, mi avviai verso la porta e riuscii ad aprirla solo dopo alcuni minuti. Il rumore cessò. Solo un rumore di tacchi proveniva frenetico dalla porta accanto. Era un rumore che non potevo scordare, era così fisso nella mia mente che era impossibile da rimuovere, di quando ero ancora un bambino. Avevo appena 8 anni ed era l’8 di Dicembre, quella sera i miei genitori furono assassinati e di quella sera ricordo solo il volto di Amandine e il rumore dei suoi tacchi. A me dopo quel giorno avevano badato i nonni, due vecchietti anziani, Sandra e Nicolas, dediti alla conoscenza della scienza occulta a cui avevano dedicato tutta la loro vita, come i miei genitori. Uccisi dalla loro stessa passione per mezzo di una ragazza troppo viziata e troppo impaziente di avere in mano uno dei manoscritti più arcani e misteriosi dell’VIII secolo. Purtroppo però, non era riuscita a scoprire un nesso con la rosa e questo l’aveva fatta infuriare ancora di più, così in preda alla disperazione uccise anche i miei nonni.
Le prime luci del mattino mi fecero svegliare, erano appena le 10:00 e Candice mi aveva portato un cappuccino ed un cornetto, come al solito era stata affabile. Non le parlai dello strano sogno, di cui nessuno era a conoscenza. Oramai ogni notte sognavo, non sempre la stessa cosa bensì la storia, quella di prima, che procedeva, come se la stessi vivendo davvero. Una seconda vita, tutta diversa da quella reale. Genitori diversi, vita diversa.

-Complimenti dormiglione- Mi cinse una mano ai capelli e si avvicinò alle mie labbra, io ricambiai afferrandole i fianchi e baciandola dolcemente. Candice era qualcosa a cui non avrei mai potuto rinunciare, negli ultimi due anni mi era sempre stata accanto, nonostante il mio carattere fosse fin troppo insopportabile.

- Angelo, mi hanno appena telefonato i tuoi. Vogliono che in mattinata li raggiungiamo così da prendere delle buste che ti sono state spedite da Luca.

-Non li sopporto, sei proprio convinta di voler andarci?? Avevamo già dei progetti e non voglio disdirli- dovevamo andare infatti al parco per una passeggiata romantica. Come suo solito un sorriso precedette la risposta.

-Certo che sì, è meglio prendere tutto, poi sai come è Luca. I tuoi genitori l’avranno sicuramente avvertito dell’arrivo del pacco e stasera ti chiamerà- Un altro sorriso attraversò il viso lucente di Candice.

-Ok, ok. Mi preparo e partiamo subito- Indossai una semplice maglietta accompagnata da un paio di jeans e le mie Converse nere e bianche. Uscimmo da casa e avvolsi le mani di Candice sulle mie! Camminavamo tranquillamente tra le strade di Manhattan, avvolti da un’area benigna che sembrava espandersi anche ai passanti.

Misi in moto la macchina e sfrecciammo tra i quartieri affusolati che si espandevano per chilometri e chilometri fino a raggiungere la casa dei miei. Genitori tranquilli, un po’ possessivi ma tutto sommato generosi. Quello che desideravo mi veniva servito su un piatto d’argento. Non ero convinto di meritarmelo ma loro erano pensavano di si. Mi consideravano un figlio modello, sia negli studi che nelle attività sociali. Per me era una grande soddisfazione. Tenevo tanto ai miei, sapevo che su di loro avrei sempre potuto contare. Però quando si facevano opprimenti in una certa maniera mi imbestialivo eppure sapevo che il loro carattere era così, quindi pian piano mi ci ero abituato.

-Eccoci qua. Candice aprì la sua portiera e aspettò che anche io facessi lo stesso.

Spensi il motore della macchina e mi diressi verso Candice. Suonai a casa dei miei. Stranamente non furono loro ad aprire la porta ma Luca. Era identico a come lo ricordavo, non un cambiamento non un difetto, sempre il solito Luca, i capelli biondi contornati da occhi azzurri che lo facevano sembrare il ragazzo della porta accanto, che in realtà non era. Era sempre stato abbastanza svogliato sia nello studio che nei rapporti sentimentali. Certo era giovane, ma era infantile trattare le ragazze come merce di scambio.

-Ehi Luca, cosa ci fai tu qui?- Non capii proprio perché i miei genitori non mi avessero detto niente.

-Mi mancava il quartiere. Sai quante ne abbiamo passate qui- Rividi immagini fugaci. Avevo proprio passato bei momenti con Luca. Risi.

-Si,Ricordo. Proprio dei bei momenti.

-Vedo che stai ancora con Candice. Non ci avrei scommesso Angelo. Mi fa piacere per te.- Strinsi forte la mano di Candice. Luca non l’aveva mai sopportata. Forse era per questo che ci eravamo distaccati l’uno dall’altro, però non avevo nessun rimpianto.

-Si, stiamo ancora assieme e non siamo mai stati più felici di così- Disse Candice immettendo uno sbuffo.

Dal corridoio la voce profonda di mia madre si diffuse velocemente nelle nostre orecchie.

-Angelo, guarda chi abbiamo come ospite?? Volevamo farti una sorpresa- Io e Candice entrammo e chiudemmo la porta.

-Mamma era proprio quello che volevo- cercai di restare calmo e non pensare a come la stava prendendo Candice -ci vuole un po’ di riposo!-

-Sarò felice di allietare le serate di suo figlio- Luca rispose guardando gli occhi di Candice. -Sono sicuro che è da tanto che suo figlio non passa una bella serata tra amici-

-Sono sicura che avrete tante cose da dirvi. Candice vieni ad aiutarmi con il pranzo??- Ecco che mia madre tirava in ballo Candice. Per lei sarebbe stato fantastico mangiare ogni giorno i suoi prelibati piatti. Era un’ottima cuoca.

-Grazie mille. Ma non vorrei davvero disturbare.

-Cosa dici Candice? Tu non disturbi affatto.- Si affrettò a dire mia madre, non avrebbe mai rinunciato alla sua arte culinaria.

-Allora Signora sarò molto felice di aiutarla con il pranzo- Poi si rivolse a Luca – Stai ben attento a non contagiare il mio ragazzo con i tuoi pensieri pessimistici- e con un lungo balzo entrò insieme a mia madre in cucina.

Io e Luca restammo da soli. Notai che qualcosa non andava e certamente non riguardava l’affermazione di Candice.

-Ehi Luca c’è qualcosa che non va??Ti vedo stanco.- Sapevo che non mi avrebbe detto la verità ma provare non costava nulla.

-A me? Certo che no. La vita non mi può andare meglio di così- Non cercai di riporgli la domanda, sapevo come sarebbe andata a finire.

-Ok. Ti vedo solo un po’ spento. Comunque Candice mi ha detto che mi hai spedito un pacco, di cosa si tratta stavolta??-

-Si tratta di un computer nuovo di zecca. Lo hanno dato a mio padre ed io l’ho preso per te, è ora che cambi il tuo vecchio computer.

-Grazie Luca, ma non ho bisogno di un nuovo computer il mio mi basta . Poi per tutto quello che ci faccio.

-Sempre così tu! Non pensavo che ti recasse fastidio.- Disse un po’ seccato.

-Non mi da fastidio, figurati. Ma non c’è bisogno. Cercai di tagliare corto.

-Ok, vado in cucina dai tuoi. Lo seguii.

All’interno della cucina c’erano Candice e mamma indaffarate a cucinare e papà che invece guardava animatamente la partita di pallone.

-Signor Garcia come procede la partita??- Disse ancora con tono seccato

-Siamo in netto vantaggio.- Papà lo disse glorioso, come se stesse giocando lui la partita. Orgoglio da fan.

Mi intrufolai nel discorso – Ci voleva proprio questa vincita- subito dopo aver fatto un lungo sorriso a mio padre lo salutai – Ciao papà- Non me l’aspettavo così in forma. Indossava la tuta ed aveva sicuramente appena fatto trekking, come suo solito.

-Ciao Angelo- mi sorrise, ma allontanò subito il volto da me sentendo le parole del telecronista che annunciavano il secondo tempo della partita. Intanto Candice si stava dando da fare tagliando le verdure per l’insalata mentre mia madre metteva una pentola per far bollire la pasta. Insieme erano una coppia formidabile. Mia madre aveva visto sempre di buon occhio Candice, la definiva spigliata e sicura di sé. Lo stesso valeva per Candice. Aveva sempre trovato mia madre una donna bella, intelligente anche se con poco senso dell’umorismo, cosa condivisa anche da me.

-Cosa ci sarà di buono??-Annunciai ad alta voce.

-Oggi cuciniamo Italiano- Annunciò felice mia madre. – Fettuccine con panna,aglio e funghi. Come piacciono a te Angelo.- Proclamò aprendo la bocca a 360°gradi.

Guardai Candice che era diventata tutta rossa in volto, avevo capito perché. Le fettuccine, il mio piatto preferito, le avevo mangiate il giorno prima. Ma non disse niente a mia madre, sicuramente non voleva offenderla, poi conoscendola avrebbe cominciato a dire: “Sono un disastro. Dovevo Intuirlo,dovevo chiedere cosa avevate mangiato ieri”. Così decisi di tenere il gioco.

-Sei grandiosa mamma. Era da tanto che non la mangiavo.- La guardai sorridendo. Sarebbe stata felice per tutto il resto della giornata, bastava solo aggiungere che la pasta era una goduria.
Luca se ne stava seduto pensieroso, non ci confidavamo più da tempo. Lo apprezzavo come persona, non in tutto e per tutto però mi era stato vicino sia nei momenti in cui ne avevo bisogno sia nelle giornate più normali di questa terra. Avrei tanto voluto parlargli del sogno, oramai erano circa due settimana che questa storia procedeva. Il primo sogno era avvenuto dopo essere stato ad una lezione di Letteratura Spagnola. Tornato a casa ,stanco, decisi che sarebbe stato meglio fare un riposino, dopo poche ore sarei dovuto uscire.

Così mi addormentai nel divano in soggiorno ,una piccola stanza corredata di televisione, indispensabile, la mia cara Playstation 2 ed una “specie” di biblioteca inutilizzata. Da qui poi c’era l’accesso alle altre stanze. Il bagno, il cucinino ,che era separato solo da mezzo muro, la mia camera e quella del mio amico che avevano rispettivamente due balconi. Non era niente di eccezionale ma l’affitto era abbastanza conveniente. Mi trovavo a mio agio ed i rapporti con il mio amico di casa ,Fabien, erano entusiaste voli, ci confidavamo ed era divenuto il mio migliore amico. Possedeva 20 anni come me, ma una personalità rigogliosa ed imparagonabile alla mia. La sua vita era piena di viaggi in giro per il mondo, quindi non lo incontravo molto spesso, ma in quelle rare volte in cui discutevamo riuscivo a trovare soluzioni adatte anche a quelle cose che consideravo troppo difficili da superare. Anche Candice lo adorava. Parlavano spesso della Francia, paese nativo di entrambi, ed alla fine dell’anno saremmo andati a visitarla, come 3 turisti normali, desiderosi di divertirsi e di visitare le opere come la Torre Eiffel, l’arco di Triomphe. Sarebbe stata una vacanza indimenticabile.

Una voce mi distolse completamente da ciò che stavo pensando.

-Angelo, hai rincontrato qualcuno della nostra classe??- Luca mi chiese.

-Si ho incontrato qualcuno, e tu?- Domandai quasi senza interesse, non eravamo mai stati una bella classe.

-No io nessuno. Non avevo poi tanta confidenza con quella classe.- Disse come se non aveva mai fatto parte di quella classe. Anche se non aveva avuto buoni rapporti con tutti, l’aveva sempre frequentata per 5 anni. Anni in cui c’erano state esperienze sia negative che positive, forse più negative, ma io non detestavo nessuno di quei ragazzi i cui battibecchi erano arrivati alle orecchie della Preside che ,fortunatamente, non avvisò nessuno dei nostri genitori. Forse perché eravamo la classe modello della scuola dal punto di vista Scolastico. Però tra di noi c’erano sempre stati contrasti. Mai nessun aiuto solo colpi bassi che erano sfociati in continue lotte per ottenere il 10 della professoressa parlando, durante le interrogazioni, anche sopra agli altri. Ma oramai cercavo di vedere solo quelle 5 esperienze positive che avevamo passato assieme, anche se non mi capitava di pensarci spesso.

-Si hai ragione, non siamo mai stati una classe unita. Però penso di ricordare 4 o 5 esperienze in cui mi sono divertito. Dissi cercando di confermare fino all’ultimo la mia tesi sulla classe.

-Basta rivangare il passato.- Disse mia madre. – Adesso è ora di darsi da fare. Angelo, Luca apparecchiate la tavola. Disse posando sopra il bancone le posate.

-Certo mamma!- -Certo Signora Garcia- dicemmo contemporaneamente. Afferrammo le posate e andammo in cucina. La tovaglia era già messa, era marroncina-rossa. Si abbinava con il resto dell’arredamento classico della stanza. Mia madre aveva un debole per le cose antiche. Fortunatamente non aveva avuto la possibilità di arredare la mia camera sennò avrebbe reso anche quella stanza flaccida e floscia, non che mia madre non fosse brava ad arredare ma semplicemente non rispecchiava il mio stile, semplice e animalista, cosa che aveva influenzato la scelta d’arredamento della casa all’università che fortunatamente era stata ricompensata da Fabien, che apprezzava molto quel tipo d’arredamento, con entusiaste voli complimenti.

Le ore passarono velocemente e magnificamente. Il pranzo era stato perfetto e naturalmente mia madre non poté nascondere la sua soddisfazione al riguardo.

Passammo il pomeriggio a parlare e a giocare ad “Uno”. La sera guardammo un film. Io, Luca e papà avevamo deciso di vedere uno di quei film d’azione, in cui le parti clu sono sempre ed esclusivamente le sparatorie e le fughe. La meglio però, la ebbero mamma e Candice. Volevano vedere “Sliding Doors” e così fu. Finito il film andammo a letto. Io nella mia camera mentre Candice e Luca in due camere distinte per gli ospiti. Era stata proprio una bella serata.

Mi ci avvicinavo lentamente e la paura mi aveva oramai sommerso. L’espressione terrorizzata del mio volto non riusciva a distogliersi ed ogni passo era sempre più insicuro ma soddisfacente. Si, mi dava soddisfazione saziandomi l’animo e la mente.

Lei era lì. Mi osservava convinta che adesso avrei fatto tutto ciò che mi avrebbe chiesto. Cominciai a sentire un dolore fitto alla pancia, mi stremava sempre più. A malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti, e qualcosa di sconosciuto aveva prodotto un dolore intenso e sgradevole alla pancia. Caddi disteso a terra e nuovamente immagini fugaci cominciarono a scorrere fulminee. Dall’arrivo al porto all’incontro con Clara nella darsena. Era così facile ricordarla. Rammentare alla memoria le sue gesta, i suoi profumi, i suoi sguardi folgoranti e spesso inattesi, non riuscivo a distogliere la mente da lei. Non so per quanto tempo continuai ad immaginarla, per quanto tempo il suo viso mi era apparso come sempre fulgido, quell’espressione dolce e gloriosa che mi rivolgeva il più del tempo, la sua fierezza di essere donna, una donna che non si abbassa a niente. Neanche a cedere alle lusinghe di uomini come Albert e Alexandre.

Furiosamente aprii gli occhi, ero ancora lì, in quella stanza così taciturna e tetra. Osservai pedante ogni angolo della stanza, ma non la vidi. Era scomparsa, dileguatasi come una cometa, tetra e taciturna, che percorre rapida il cielo spaziando da un lato all’altro della terra, per poi riecheggiare rumorosamente nell’impatto letale contro un asteroide.

Non riuscivo ad alzarmi, non riuscivo più a pensare o a fare qualcosa. In quel momento desideravo solo lei, Clara. Volevo che il mio battito cardiaco battesse furiosamente contro il suo petto, volevo che il suo calore così intenso, denso, vivo mi proteggesse da quel gelo che mi stava intirizzendo, soffocando ed asfissiando eppure non c’era.

Cercai di non pensare a quel giorno, ma era impossibile. Aveva cominciato a piangere. Non per paura di morire, ma per nostalgia di me. Cercava di esaurire le lacrime che non la finivano di sgorgare, impetuose e violente. Ma era impossibile. Erano come un fiume in piena ed io mi ci ero avvicinato ad asciugarle, con la mano lenta e afflitta da un male troppo potente per essere sconfitto. Amandine aveva ancora una volta vinto.

Le mie braccia, come anche il resto del corpo, erano immobilizzate, attaccate saldamente al pavimento ghiacciato. Ma ero sicuro che se l’avrei rivista non avrei indugiato nessun instante ad alzarmi verso di lei, e stringerla a me, sul mio petto così da riprendere a respirare normalmente.

Un rumore acuto giunse dal portone dell’orfanotrofio, ne ero sicuro, era venuta.

Riuscii ad alzarmi nonostante il dolore atroce, nonostante volessi morire per la stanchezza.

Girai l’ultimo angolo che ci divideva. Caddi a terra stremato, questa era la mia fine e nessuno mi avrebbe salvato. In quel momento mi convinsi pienamente che non l’avrei mai più rivista.

  
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