Stavo
ancora lì, non
riuscivo a pensare. Immagini fulminee mi attraversarono la mente. Non
riuscivo
a credere a ciò che Amandine aveva fatto. I tacchi
riecheggiavano ancora per
tutta la stanza, e lo
sguardo che mi aveva
rivolto era impossibile da dimenticare. La sua perfidia la sentivo
nell'animo,
e non riuscivo a scrollarmela da dosso.
Non sapevo se avesse sofferto, non sapevo se i suoi scopi
fossero più
malefici di quanto pensavo, non sapevo se da quel collegio ne sarei
uscito
vivo. Improvvisamente un pensiero ben definito mi attraversò
la mente. Era
notte ,e la luna risplendeva alta nel cielo accompagnata da spiragli di
stelle,
nel prato c’era solo Claire con un oggetto, una rosa. Capii
subito, era la rosa
tanto odiata da Amandine e tanto amata dalla sorella Axelle. Da una
parte
Amandine, più grande della sorella, dominatrice. I capelli
biondi lunghi fino
al bacino, le occhiaie ed il corpo perfetto le attribuivano
un’aria da
ragazzina delle superiori, era perfetta in tutto quello che faceva e
non
esitava a vendicarsi per ogni torto
che
le veniva inflitto. Semplicemente spietata, come quando uccise Nolwenn solo per aver giudicato il suo lavoro
troppo disumano e sanguinario. Dall’altra parte la sorella
Axelle, capelli neri
, lisci come la sorella, lunghi fino al bacino ed attorcigliati spesso
da una
treccia. Più piccola di Amandine di 5 anni, la conoscevo
bene. Quella notte
erano le 11:00 di sera e tutto era finito tragicamente. Axelle aveva
ancora la
rosa con sé e Amandine la cercava. Voleva il suo sangue e la
combutta non
sarebbe finita fin quando una delle due non avrebbe vinto. Quella notte strilli
impazienti
attraversarono il cielo nero, increspando e riducendo a brandelli il
corpo di
Axelle che stremata per il dolore riuscì a salvarsi per la
forza che la rosa le
infondeva nell’animo. Cercai di rimuovere il ricordo e di
dormire, ma non mi fu
possibile, un lamento vorticoso e frenetico si stava espandendo dalla
porta
vicino alla mia, non sapevo cosa fare. Se rischiare, oppure stare
lì, al mio
posto; pensai che non avevo più niente da perdere
così , deciso e determinato,
mi avviai verso la porta e riuscii ad aprirla solo dopo alcuni minuti.
Il
rumore cessò. Solo un rumore di tacchi proveniva frenetico
dalla porta accanto.
Era un rumore che non potevo scordare, era così fisso nella
mia mente che era
impossibile da rimuovere, di quando ero ancora un bambino. Avevo appena
8 anni
ed era l’8 di Dicembre, quella sera i miei genitori furono
assassinati e di
quella sera ricordo solo il volto di Amandine e il rumore dei suoi
tacchi. A me
dopo quel giorno avevano badato i nonni, due vecchietti anziani, Sandra
e
Nicolas, dediti alla conoscenza della scienza occulta a cui avevano
dedicato
tutta la loro vita, come i miei genitori. Uccisi dalla loro stessa
passione per
mezzo di una ragazza troppo viziata e troppo impaziente di avere in
mano uno
dei manoscritti più arcani e misteriosi dell’VIII
secolo. Purtroppo però, non
era riuscita a scoprire un nesso con la rosa e questo l’aveva
fatta infuriare
ancora di più, così in preda alla disperazione
uccise anche i miei nonni.
Le prime luci del mattino mi fecero svegliare, erano appena le 10:00 e
Candice
mi aveva portato un cappuccino ed un cornetto, come al solito era stata
affabile. Non le parlai dello strano sogno, di cui nessuno era a
conoscenza.
Oramai ogni notte sognavo, non sempre la stessa cosa bensì
la storia, quella di
prima, che procedeva, come se la stessi vivendo davvero. Una seconda
vita,
tutta diversa da quella reale. Genitori diversi, vita diversa.
-Complimenti
dormiglione- Mi cinse una mano ai capelli e si avvicinò alle
mie labbra, io ricambiai afferrandole i fianchi e baciandola
dolcemente.
Candice era qualcosa a cui non avrei mai potuto rinunciare, negli
ultimi due
anni mi era sempre stata accanto, nonostante il mio carattere fosse fin
troppo
insopportabile.
-
Angelo, mi hanno appena telefonato i tuoi. Vogliono che in mattinata li
raggiungiamo così da prendere delle buste che ti sono state
spedite da Luca.
-Non
li sopporto, sei proprio convinta di voler andarci?? Avevamo
già dei
progetti e non voglio disdirli- dovevamo andare infatti al parco per
una
passeggiata romantica. Come
suo solito
un sorriso precedette la risposta.
-Certo
che sì, è meglio prendere tutto,
poi sai
come è Luca. I tuoi genitori l’avranno sicuramente
avvertito dell’arrivo del
pacco e stasera ti chiamerà- Un altro sorriso
attraversò il viso lucente di
Candice.
-Ok,
ok. Mi preparo e partiamo subito- Indossai una
semplice maglietta accompagnata da un paio di jeans e le mie Converse
nere e
bianche. Uscimmo da casa e avvolsi le mani di Candice sulle mie!
Camminavamo
tranquillamente tra le strade di Manhattan, avvolti da
un’area benigna che
sembrava espandersi anche ai passanti.
Misi
in moto la macchina e sfrecciammo tra i
quartieri affusolati che si espandevano per chilometri e chilometri
fino a
raggiungere la casa dei miei. Genitori tranquilli, un po’
possessivi ma tutto
sommato generosi. Quello che desideravo mi veniva servito su un piatto
d’argento. Non ero convinto di meritarmelo ma loro erano
pensavano di si. Mi
consideravano un figlio modello, sia negli studi che nelle
attività sociali.
Per me era una grande soddisfazione. Tenevo tanto ai miei, sapevo che su di loro
avrei sempre potuto
contare. Però quando si facevano opprimenti in una certa
maniera mi
imbestialivo eppure sapevo che il loro carattere era così,
quindi pian piano mi
ci ero abituato.
-Eccoci
qua. Candice aprì la sua portiera e aspettò
che anche io facessi lo stesso.
Spensi
il motore della macchina e mi diressi verso Candice. Suonai a casa dei
miei.
Stranamente non furono loro ad aprire la porta ma Luca. Era identico a
come lo
ricordavo, non un cambiamento non un difetto, sempre il solito Luca, i
capelli
biondi contornati da occhi azzurri che lo facevano sembrare il ragazzo
della
porta accanto, che in realtà non era. Era sempre stato
abbastanza svogliato sia
nello studio che nei rapporti sentimentali. Certo era giovane, ma era
infantile
trattare le ragazze come merce di scambio.
-Ehi
Luca, cosa ci fai tu qui?- Non capii proprio perché i miei
genitori non mi
avessero detto niente.
-Mi
mancava il quartiere. Sai quante ne abbiamo passate qui- Rividi
immagini
fugaci. Avevo proprio passato bei momenti con Luca. Risi.
-Si,Ricordo.
Proprio dei bei momenti.
-Vedo
che stai ancora con Candice. Non ci avrei scommesso Angelo. Mi fa
piacere per
te.-
Strinsi forte la
mano di Candice. Luca non l’aveva mai sopportata. Forse era
per questo che ci
eravamo distaccati l’uno dall’altro,
però non avevo nessun rimpianto.
-Si,
stiamo ancora assieme e non siamo mai stati più felici di
così- Disse Candice
immettendo uno sbuffo.
Dal
corridoio la voce profonda di mia madre si diffuse velocemente nelle
nostre
orecchie.
-Angelo,
guarda chi abbiamo come ospite?? Volevamo farti una sorpresa- Io e
Candice
entrammo e chiudemmo la porta.
-Mamma
era proprio quello che volevo- cercai di restare calmo e non pensare a
come la
stava prendendo Candice -ci
vuole un po’
di riposo!-
-Sarò
felice di allietare le serate di suo figlio- Luca rispose guardando gli
occhi
di Candice. -Sono sicuro che è da tanto che suo figlio non
passa una bella
serata tra amici-
-Sono
sicura che avrete tante cose da dirvi. Candice vieni ad aiutarmi con il
pranzo??- Ecco che mia madre tirava in ballo Candice. Per lei sarebbe
stato
fantastico mangiare ogni giorno i suoi prelibati piatti. Era
un’ottima cuoca.
-Grazie
mille. Ma non vorrei davvero disturbare.
-Cosa
dici Candice? Tu non disturbi affatto.- Si affrettò a dire
mia madre, non
avrebbe mai rinunciato alla sua arte culinaria.
-Allora
Signora sarò molto felice di aiutarla con il pranzo- Poi si
rivolse a Luca –
Stai ben attento a non contagiare il mio ragazzo con i tuoi pensieri
pessimistici- e con un lungo balzo entrò insieme a mia madre
in cucina.
Io
e Luca restammo da soli. Notai che qualcosa non andava e certamente non
riguardava l’affermazione di Candice.
-Ehi
Luca c’è qualcosa che non va??Ti
vedo
stanco.- Sapevo che non mi avrebbe detto la verità ma
provare non costava
nulla.
-A
me? Certo che no. La vita non mi può andare meglio di
così- Non
cercai di riporgli la domanda, sapevo
come sarebbe andata a finire.
-Ok.
Ti vedo solo un po’ spento. Comunque Candice mi ha detto che mi hai spedito un pacco,
di cosa si tratta
stavolta??-
-Si
tratta di un
computer nuovo di zecca. Lo hanno dato a mio padre ed io l’ho
preso per te, è
ora che cambi il tuo vecchio computer.
-Grazie
Luca, ma non ho
bisogno di un nuovo computer il mio mi basta . Poi per tutto quello che
ci
faccio.
-Sempre
così tu! Non
pensavo che ti recasse fastidio.- Disse un po’ seccato.
-Non
mi da fastidio,
figurati. Ma non c’è bisogno. Cercai di tagliare
corto.
-Ok,
vado in cucina dai
tuoi. Lo seguii.
All’interno
della
cucina c’erano Candice e mamma indaffarate a cucinare e
papà che invece
guardava animatamente la partita di pallone.
-Signor
Garcia come
procede la partita??- Disse ancora con tono seccato
-Siamo
in netto
vantaggio.- Papà lo disse glorioso, come se stesse giocando
lui la partita.
Orgoglio da fan.
Mi
intrufolai nel
discorso – Ci voleva proprio questa vincita- subito dopo aver
fatto un lungo
sorriso a mio padre lo salutai – Ciao papà- Non me
l’aspettavo così in forma.
Indossava la tuta ed aveva sicuramente appena fatto trekking, come suo
solito.
-Ciao
Angelo- mi
sorrise, ma allontanò subito il volto da me sentendo le
parole del telecronista
che annunciavano il secondo tempo della partita. Intanto Candice si
stava dando
da fare tagliando le verdure per l’insalata mentre mia madre
metteva una
pentola per far bollire la pasta. Insieme erano una coppia formidabile.
Mia
madre aveva visto sempre di buon occhio Candice, la definiva spigliata
e sicura
di sé. Lo stesso valeva per Candice. Aveva sempre trovato
mia madre una donna
bella, intelligente anche se con poco senso dell’umorismo,
cosa condivisa anche
da me.
-Cosa
ci sarà di
buono??-Annunciai ad alta voce.
-Oggi
cuciniamo
Italiano- Annunciò felice mia madre. – Fettuccine
con panna,aglio e funghi.
Come piacciono a te Angelo.- Proclamò aprendo la bocca a
360°gradi.
Guardai
Candice che era
diventata tutta rossa in volto, avevo capito perché. Le
fettuccine, il mio
piatto preferito, le avevo mangiate il giorno prima. Ma non disse
niente a mia
madre, sicuramente non voleva offenderla, poi conoscendola avrebbe
cominciato a
dire: “Sono un disastro. Dovevo Intuirlo,dovevo chiedere cosa
avevate mangiato
ieri”. Così decisi di tenere il gioco.
-Sei
grandiosa mamma.
Era da tanto che non la mangiavo.- La guardai sorridendo. Sarebbe stata
felice
per tutto il resto della giornata, bastava solo aggiungere che la pasta
era una
goduria.
Luca se ne stava seduto pensieroso, non ci confidavamo più
da tempo. Lo
apprezzavo come persona, non in tutto e
per tutto però mi era stato vicino sia nei momenti in cui ne
avevo bisogno sia
nelle giornate più normali di questa terra. Avrei tanto
voluto parlargli del
sogno, oramai erano circa due settimana che questa storia procedeva. Il
primo
sogno era avvenuto dopo essere stato ad una lezione di Letteratura
Spagnola.
Tornato a casa ,stanco, decisi che sarebbe stato meglio fare un
riposino, dopo
poche ore sarei dovuto uscire.
Così
mi addormentai nel
divano in soggiorno ,una piccola stanza corredata di televisione,
indispensabile, la mia cara Playstation 2 ed una
“specie” di biblioteca
inutilizzata. Da qui poi c’era l’accesso alle altre
stanze. Il bagno, il
cucinino ,che era separato solo da mezzo muro, la mia camera e quella
del mio
amico che avevano rispettivamente due balconi. Non era niente di
eccezionale ma
l’affitto era abbastanza conveniente. Mi trovavo a mio agio
ed i rapporti con
il mio amico di casa ,Fabien, erano entusiaste voli, ci confidavamo ed
era
divenuto il mio migliore amico. Possedeva 20 anni come me, ma una
personalità
rigogliosa ed imparagonabile alla mia. La sua vita era piena di viaggi
in giro
per il mondo,
quindi non lo incontravo
molto spesso, ma in quelle rare volte in cui discutevamo riuscivo a
trovare
soluzioni adatte anche a quelle cose che consideravo troppo difficili
da
superare. Anche Candice lo adorava. Parlavano spesso della Francia,
paese
nativo di entrambi, ed alla fine dell’anno saremmo andati a
visitarla, come 3
turisti normali, desiderosi di divertirsi e di visitare le opere come
la Torre
Eiffel, l’arco di Triomphe. Sarebbe stata una vacanza
indimenticabile.
Una
voce mi distolse
completamente da ciò che stavo pensando.
-Angelo,
hai
rincontrato qualcuno della nostra classe??- Luca mi chiese.
-Si
ho incontrato
qualcuno, e tu?- Domandai quasi senza interesse, non eravamo mai stati
una
bella classe.
-No
io nessuno. Non
avevo poi tanta confidenza con quella classe.- Disse come se non aveva
mai
fatto parte di quella classe. Anche se non aveva avuto buoni rapporti
con
tutti, l’aveva sempre frequentata per 5 anni. Anni in cui
c’erano state
esperienze sia negative che positive, forse più negative, ma
io non detestavo
nessuno di quei ragazzi i cui battibecchi erano arrivati alle orecchie
della
Preside che ,fortunatamente, non avvisò nessuno dei nostri
genitori. Forse
perché eravamo la classe modello della scuola dal punto di
vista Scolastico.
Però tra di noi c’erano sempre stati contrasti.
Mai nessun aiuto solo colpi
bassi che erano sfociati in continue lotte per ottenere il 10 della
professoressa parlando, durante le interrogazioni, anche
sopra agli altri. Ma oramai cercavo di
vedere solo quelle 5 esperienze positive che avevamo passato assieme,
anche se
non mi capitava di pensarci spesso.
-Si
hai ragione, non
siamo mai stati una classe unita. Però penso di ricordare 4
o 5 esperienze in
cui mi sono divertito. Dissi cercando di confermare fino
all’ultimo la mia tesi
sulla classe.
-Basta
rivangare il
passato.- Disse mia madre. – Adesso è ora di darsi
da fare. Angelo, Luca
apparecchiate la tavola. Disse posando sopra il bancone le posate.
-Certo
mamma!- -Certo
Signora Garcia- dicemmo contemporaneamente. Afferrammo le posate e
andammo in
cucina. La tovaglia era già messa, era
marroncina-rossa. Si
abbinava con
il resto dell’arredamento classico della stanza. Mia madre
aveva un debole per
le cose antiche. Fortunatamente non aveva avuto la
possibilità di arredare la
mia camera sennò avrebbe reso anche quella stanza flaccida e
floscia, non che
mia madre non fosse brava ad arredare ma semplicemente non rispecchiava
il mio
stile, semplice e animalista, cosa che aveva influenzato la scelta
d’arredamento della casa all’università
che fortunatamente era stata
ricompensata da Fabien, che apprezzava molto quel tipo
d’arredamento, con
entusiaste voli complimenti.
Le
ore passarono
velocemente e magnificamente. Il
pranzo
era stato perfetto e naturalmente mia madre non poté
nascondere la sua
soddisfazione al riguardo.
Passammo
il pomeriggio
a parlare e a giocare ad “Uno”.
La sera
guardammo un film. Io, Luca e papà avevamo deciso di vedere
uno di quei film
d’azione, in cui le parti clu sono sempre ed esclusivamente
le sparatorie e le
fughe. La meglio però, la ebbero mamma e Candice. Volevano
vedere “Sliding
Doors” e così fu. Finito il film andammo a letto.
Io nella mia camera mentre
Candice e Luca in due camere distinte per gli ospiti. Era stata proprio
una
bella serata.
Mi
ci avvicinavo
lentamente e la paura mi aveva oramai sommerso. L’espressione
terrorizzata del
mio volto non riusciva a distogliersi ed ogni passo era sempre
più insicuro ma
soddisfacente. Si, mi dava soddisfazione saziandomi l’animo e
la mente.
Lei
era lì. Mi
osservava convinta che adesso avrei fatto tutto ciò che mi
avrebbe chiesto.
Cominciai a sentire un dolore fitto alla pancia, mi stremava sempre
più. A
malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti, e qualcosa di sconosciuto
aveva
prodotto un dolore intenso e sgradevole alla pancia. Caddi disteso a
terra e
nuovamente immagini fugaci cominciarono a scorrere fulminee.
Dall’arrivo al
porto all’incontro con Clara nella darsena. Era
così facile ricordarla.
Rammentare alla memoria le sue gesta, i suoi profumi, i suoi sguardi
folgoranti
e spesso inattesi, non riuscivo a distogliere la mente da lei. Non so
per
quanto tempo continuai ad immaginarla, per quanto tempo il suo viso mi
era
apparso come sempre fulgido,
quell’espressione dolce e gloriosa che mi
rivolgeva il più del tempo, la
sua fierezza di essere donna, una donna che non si abbassa a niente.
Neanche a
cedere alle lusinghe di uomini come Albert
e Alexandre.
Furiosamente
aprii gli
occhi, ero ancora lì, in quella stanza così
taciturna e tetra. Osservai pedante
ogni angolo della stanza, ma non la vidi. Era scomparsa, dileguatasi
come una
cometa, tetra e taciturna, che percorre rapida il cielo spaziando da un
lato
all’altro della terra, per poi riecheggiare rumorosamente
nell’impatto letale
contro un asteroide.
Non
riuscivo ad
alzarmi, non riuscivo più a pensare o a fare qualcosa. In
quel momento
desideravo solo lei, Clara. Volevo che il mio battito cardiaco battesse
furiosamente contro il suo petto, volevo che il suo calore
così intenso, denso,
vivo mi proteggesse da quel gelo che mi stava intirizzendo, soffocando
ed asfissiando
eppure non c’era.
Cercai
di non pensare a
quel giorno, ma era impossibile. Aveva cominciato a piangere. Non per
paura di
morire, ma per nostalgia di me. Cercava di esaurire le lacrime che non
la
finivano di sgorgare, impetuose e violente. Ma era impossibile. Erano
come un
fiume in piena ed io mi ci ero avvicinato ad asciugarle, con la mano
lenta e
afflitta da un male troppo potente per essere sconfitto. Amandine aveva
ancora
una volta vinto.
Le
mie braccia, come
anche il resto del corpo, erano immobilizzate, attaccate saldamente al
pavimento ghiacciato. Ma ero sicuro che se l’avrei rivista
non avrei indugiato
nessun instante ad alzarmi verso di lei, e stringerla a me, sul mio
petto così
da riprendere a respirare normalmente.
Un
rumore acuto giunse
dal portone dell’orfanotrofio, ne ero sicuro, era venuta.
Riuscii
ad alzarmi
nonostante il dolore atroce, nonostante volessi morire per la
stanchezza.
Girai
l’ultimo angolo
che ci divideva. Caddi a terra stremato, questa era la mia fine e
nessuno mi
avrebbe salvato. In quel momento mi convinsi pienamente che non
l’avrei mai più
rivista.