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Autore: tsarita    27/05/2014    1 recensioni
"C'era quella stanza in fondo al corridoio dell'ala destra, al primo piano; nessuno c'era entrato da anni. Quando avevano iniziato a ristrutturare la villa per trasformarla in una scuola privata ci si era chiesti se che cosa farne più e più volte, ma il Professore non aveva mai permesso a nessuno di metterci mano [...]"
Breve one-shot per Charles/Raven dopo Giorni Di Un Futuro Passato.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Raven Darkholme/Mystica
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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C'era quella stanza in fondo al corridoio dell'ala destra, al primo piano; nessuno c'era entrato da anni. Quando avevano iniziato a ristrutturare la villa per trasformarla in una scuola privata ci si era chiesti se che cosa farne più e più volte, ma il Professore non aveva mai permesso a nessuno di metterci mano: quella stanza doveva rimanere così com'era, aveva detto e ben presto se ne fu dimenticato.
La curiosità tornava di tanto in tanto, come i primi studenti iniziarono ad affollare i corridoi; girava voce che di tanto in tanto si vedeva il Professore passare di là, accarezzarne semplicemente la maniglia soffermandosi di fronte ad essa per qualche istante, per poi continuare sulla sua via. Ovviamente era chiusa a chiave. Si diceva anche che McCoy sapeva, ma era anche chiaro che non avrebbe mai raccontato niente. Dopotutto quella tenuta era stata una dimora una volta, una casa e come tutte le case aveva i suoi segreti.
Iniziarono a circolare le voci più disparate, storie di fantasmi e scheletri nell'armadio, fino a che un giorno Xavier stesso disse, in risposta ad una domanda diretta che gli era stata rivolta durante una delle sue lezioni, che quella stanza una volta era appartenuta ad un angelo.
La porta era chiusa a chiave e cosi era rimasta da più di diciassette anni.
Neanche lui stesso era stato capace di rimetterci più piede, da quel giorno a Cuba.
Temeva che se l’avesse fatto, allora tutto sarebbe diventato reale.
Cosi era più semplice immaginare che lei non fosse mai esistita, che fosse solo parte di un sogno ad occhi aperti fatto per anni e anni – un modo per riempire la sua assordante solitudine. Ma lei non era mai stata un sogno, era sempre stata incredibilmente viva e reale. E lo era tuttora.
Da qualche parte, lontano, il suo cuore batteva e lei respirava e viveva graziando l’esistenza di qualcun altro con la sua presenza.
Ora che sapeva che non era neanche più Erik colui a cui apparteneva la sua anima, Charles non poteva fare a meno di chiedersi se esistesse quel qualcun altro; se, in un modo o in un altro, dopotutto non appartenesse ancora a lui. Certo, ora serbava speranza.
Anche quando la scuola venne finalmente riaperta, nella primavera del 1975, la stanza rimase chiusa. Ora la scusa ufficiale era cambiata: non apparteneva più ad un angelo o ad un fantasma, era piuttosto riservata e tenuta da parte in previsione di un ritorno a casa.
Perché’ lei prima o poi sarebbe tornata a casa, di questo Charles ne era certo. Una convinzione forse puerile, tanto testarda da essere infantile, ma abbastanza da riuscire a mandarlo avanti giorno dopo giorno.


Incredibile: l’aroma di lavanda e mughetto era ancora chiaro e perfettamente distinguibile, neanche i pot-pourri fossero freschi e stati ricambiati la mattina stessa, come se lei fosse ancora lì, come se neanche un giorno fosse passato. Doveva esserne oramai impregnato tutto il legno che ricopriva le pareti. Quasi gli sembrò di vederla, nell’aprire la porta, lì semi-distesa sul letto, intenta a leggere un libro o a mettersi lo smalto alle dita dei piedi e istintivamente gli venne da sorridere, almeno fino a che l’incanto non si spezzò, lasciando posto al vuoto. Posare gli occhi su quella realtà intoccata gli fece male, fu come una stilettata nel petto: niente era cambiato, tutto era rimasto congelato nel tempo come se le lancette dell’orologio fossero rimaste bloccate alle 9 di quella mattina dell’ottobre del ’62. Il letto disfatto, un paio di libri aperti sulla scrivania e uno sul comodino, un bicchiere d’acqua mezzo vuoto, un servizio da tè sul tavolino del salottino ai piedi del letto. Le tende erano tirate e un raggio di sole rivelava la pesante presenza di polvere nella stanza. Un quaderno aperto sulla panca sotto la finestra, una penna dispersa ai suoi piedi, sul pavimento di legno pregiato. Charles prese nota mentalmente che non avrebbe dovuto leggerlo, che non avrebbe dovuto cedere alla curiosità; aveva sempre rispettato i suoi spazi, non avrebbe iniziato ad invaderli ora.
Tutto in quella stanza sapeva di lei. Si mosse con cautela, avvicinandosi alle ante semi socchiuse dell’armadio per sbirciare all’interno: un guardaroba da far invidia a chiunque, oramai fuorimoda e leggermente ingiallito dal tempo, ma tutto era ancora lì, perfettamente come l’aveva lasciato. La sua fragranza speziata riecheggiava dappertutto, impregnava i tessuti e il percepirla di nuovo gli riportò le lacrime agli occhi. Charles si impose di andare avanti e richiuse le ante dell’armadio, ricacciando via il prepotente pizzicore al naso e agli occhi, per poi muoversi verso la finestra.
Mantenne la sua promessa: raccolse quel quaderno, lo richiuse e senza posarvi lo sguardo lo risistemò sulla scrivania di mogano, assieme alla penna. Aprì la finestra e per la prima volta in più di una decade rinnovò l’aria nella stanza. Solo pochi istanti, perché’ temeva che così facendo sarebbe scomparso l’odore caratteristico dei pot-pourri a cui teneva troppo.
L’edera aveva iniziato ad essere troppo vicina ai bordi della finestra. Raven aveva lottato per avere quella stanza: era l’unica sul piano la cui finestra dava direttamente sul vialetto d’ingresso e per un istante il cuore iniziò a battergli più veloce, ricordando quante volte l’aveva vista, durante gli anni di scuola, dietro quei vetri, seduta, ad aspettarlo. Ad aspettare che ritornasse per lei.  
E lui alla fine era sempre tornato. Era il suo turno ora. Era lei che doveva tornare a casa.
Charles cedette e fece ciò che si era ripromesso di non fare: la cercò. Inaspettatamente, si ritrovò le barriere che lei era solita usare per tenerlo fuori abbassate e piano, con delicatezza, addirittura bussando leggermente prima, si fece spazio nella sua mente.

“Raven”




“Ciao Charles”
“Raven. Come stai, Raven?”

“Sto bene, Charles.”
“Prenditi cura di te stessa. Ti prego.”
“Anche tu, Charles.”
“Ti voglio bene. Voglio solo che tu sappia che c’è sempre un posto per te qui”
“Ho delle cose di cui devo occuparmi. Il mio posto è qui.”
“Lo so. Ma tu sappilo.”
“Lo so.”
“Ti voglio bene.”
“Te ne voglio anch’io. Sempre.”

 
 

NOTE DELL’AUTRICE:
Insomma, ho sempre avuto una debolezza per questi due e ora, dopo Giorni Di Un Futuro Passato si è rifatta viva più che mai. Questa one-shot è frutto di una notte insonne, quindi non aspettatevi la perfezione. Probabilmente ne seguiranno altre…


 
   
 
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