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Autore: Aya_Brea    29/05/2014    7 recensioni
"E alla fine, con un ultimo schioppo di fucile, Ran ripiombò alla realtà. La torre di Arnolfo era ancora lì, immobile, robusta, imponente. 
Eppure, per un istante soltanto, le era sembrato di intravedere un lembo bianco svolazzare in cima a quel torrione."
 
In occasione del diciottesimo compleanno di Ran, lei e gli altri decidono di trascorrere alcuni giorni presso la meravigliosa città di Firenze. Nell'entusiasmo generale, la ragazza ha la consapevolezza di voler ricevere soltanto un regalo da quella notte: il ritorno di Shinichi. 
Contemporaneamente, dall'altra parte del globo, il Ladro Gentiluomo, Kaito Kid, si ritrova a dover affrontare una delle prove più difficili della propria vita: il confronto burrascoso col proprio passato, e l'inquietudine di un nuovo, insolito, presente. 
Ma quando tutto sembra destinato a franare rovinosamente verso l'oblio, ecco che una nuova speranza torna a ricollegare le vicende di due mondi apparentemente differenti, ma così ineluttabilmente simili.  
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoko Nakamori , Kaito Kuroba/Kaito Kid, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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4. Qui, dove si vedon le stelle



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Le persone di fronte ai suoi occhi si susseguivano con rapidità, si confondevano fra loro in una miriade di cappotti colorati, sballottando di qua e di là valige di ogni genere, strattonando per i polsi bimbi un po' troppo elettrizzati, mostrando volti incantati, sofferenti, speranzosi, a volte tristi e stanchi. Ran li seguiva con lo sguardo spento e quel multiforme agglomerato le sembrava, nonostante tutto, così lontano, come se si fosse trattato dei protagonisti di un altro film o di un quadro qualsiasi da ammirare, senza la possibilità di addentrarvisi veramente. Improvvisamente anche le voci, le risate e gli schiamazzi le erano sembrate un sottofondo privo di senso, slegato dalla realtà che invece, si stava facendo largo nella sua mente con estrema prepotenza: più cercava di non pensarci, più i volti di Kogoro, Sonoko, Eri, Conan e di tutti gli altri tornavano a fissarla con insistenza, con lo sguardo a metà fra l’ammonizione ed il dispiacere. Riusciva persino a sentire, con intensità addirittura superiore al bimbo che reclamava un gelato a pochi metri da lei, la voce carica di rancore della madre che la accoglieva con un ‘Non ce lo saremmo mai aspettato da te, ma che diavolo ti è saltato in testa?’.
E Ran, di fronte agli occhi pieni di rabbia di Eri, non poté far altro che sentire lo stomaco stringersi in una morsa che le faceva quasi male; si sentì come in una bolla di sapone, tutto quello che la circondava non aveva più alcun senso, alcun significato, non lì, non in quel preciso istante. Un brivido corse lungo la schiena della ragazza e la scosse: tutto le sembrava così freddo, estraneo e quella solitudine si stava impadronendo di lei poco a poco, assieme alla presa di coscienza di quel che aveva realmente fatto.
Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto scattare in piedi sulle sue gracili gambette, così fragili che non avrebbero comunque potuto sostenere tutto quel fardello che si portava dentro; e sarebbe corsa ancora una volta, ma stavolta lo avrebbe fatto nella direzione opposta, senza più compiere un gesto sconsiderato come quello: se avesse avuto una seconda possibilità, avrebbe fatto di tutto pur di riavvolgere il nastro della videocassetta. Eppure qualcosa dentro di lei le suggeriva che il film non sarebbe cambiato, ma sarebbe proseguito con i medesimi fotogrammi, e così all’infinito.
Ran trasse un sospiro, ma non fece assolutamente nulla di tutto quello che avrebbe voluto realmente fare, rimase lì seduta con i pugni serrati di fianco alle gambe mentre il suo sguardo spento trapassava i corpi di quelle persone di fronte a lei, fino a quando d’un tratto, un latteo e spesso strato trasparente si depositò su quelle immagini, opalescente. Strinse con più forza i pugni e un singulto le schizzò in gola, assieme alle lacrime che le stavano riempiendo gli occhioni.
‘Non devi piangere, non devi piangere, Ran. Devi essere forte. Che diavolo stai facendo? Hai fatto una scelta, sconsiderata sì, ma pur sempre una scelta… e devi prendertene le responsabilità.’ I suoi pensieri fluivano con lentezza, concisi, nel terrore che potessero perdere di intensità. Ma l’emotività tradiva la ragione ed a testimoniarlo fu il primo lacrimone che scivolò sulla sua guancia arrossata, quasi di corsa, come se non aspettasse altro che di fuggire da quegli occhi oramai ricolmi.
‘Non devi piangere, Ran.’ E una seconda fece lo stesso, scivolò giù e le bagnò il vestitino sulle gambe, perdendosi assieme alla precedente. ‘Non devi…’ Le mani strette. ‘Non devi…’ Anche i suoi pensieri tremavano assieme a lei. ‘Non… Dannazione Ran! Stai piangendo come una stupida.’
Si portò entrambe le mani al viso e, sconfitta persino da se stessa, scoppiò in lacrime; piangere la faceva stare male. Nessuno si era accorto di lei, nessuno le si era avvicinato per chiederle cosa fosse successo. Era sola. Abbandonata. Neanche i suoi pensieri l’avevano protetta, si era ritrovata in balia dei sentimenti, delle sue paure, del suo grande sbaglio. Le lacrime che bagnavano la sua pelle e le sue dita erano le uniche che le infondevano un po’ di calore, un po’ di vita.
Pianse a lungo, tanto a lungo che si rese conto di non essere più abituata a quel tipo di sofferenza. Era inutile comunque, continuare a nascondersi: nessuno l’avrebbe vista, o meglio, a nessuno sarebbe importato di una stupida ragazzina che piangeva. Lasciò che le mani scivolassero giù dal suo volto e proprio in quell’istante, Ran spalancò gli occhi, ancora acquosi.
I petali di una rosa rossa si aprivano con energia proprio di fronte al suo naso.
Le venne istintivo di sollevare il braccio ed afferrarla, ma come d’incanto, senza che il battito delle ciglia le avesse dato modo di vedere, quei petali si avvolsero su se stessi in una specie di vortice e da essi ne sbocciò una morbida colomba bianca, di un candore quasi innaturale. Ran schiuse anche le labbra e rimase alcuni secondi in trance, rapita da quella specie di magia. ‘Sto sognando o…?’ Soltanto dopo si rese conto che quella colombina se ne stava appollaiata nella mano di qualcuno.
“Mi spiace se ho impiegato più tempo del previsto. Ti ho fatta preoccupare, eh?”
La ragazza tirò su col naso e si strofinò il dorso della mano sul faccino bagnato: alzò lo sguardo e il cuore perse un battito. Per un breve e banale secondo, aveva intravisto il volto di Shinichi, ma poi dovette ricredersi non appena vide il sorriso beffardo sul volto di quel ragazzo dai capelli scompigliati.
“Kaito… Kid?” Pronunciò Ran in un soffio.
“Shhh!” Il ragazzo portò l’indice contro le labbra e la intimò di fare silenzio, poi scoppiò a ridere. “Mi avevi forse scambiato per qualcun altro? O meglio, aspettavi qualcuno in particolare?”
Lei deglutì appena e le ci vollero alcuni secondi prima di rispondere, secondi che si prese per poterlo osservare meglio: indossava un paio di pantaloni bianchi ed una camicia bluastra. Non c’era più alcuna traccia di quello che era stato l’elegante, candido completo del famigerato Ladro Gentiluomo. Sembrava essersi spogliato del suo ruolo, giusto in occasione di quell’incontro.
Le dita di Ran si intrufolarono fra le piume vaporose del colombino, che di tutta risposta, piegò il capo da un lato e socchiuse gli occhi, beandosi di quella tenera carezza. “Non credo di aver fatto la cosa giusta, Kid. Credo che non appena ne avrò nuovamente la possibilità, prenderò il primo aereo utile per il Giappone.” Il suo sguardo si posò ancora sull’animaletto ma il suo viso assunse di nuovo un’espressione sconsolata. “Aspettavo soltanto te.” A quel punto alzò il capo e gli sorrise, piena di malinconia. “Cosa devo fare?”
Kid si abbandonò ad un lievissimo sospiro e, dopo aver sfiorato il piumaggio della colomba, la sospinse verso l’alto accompagnandola con un gesto deciso e sapiente: quest’ultima spiegò le sue ali leggere e si librò in alto, scomparendo poi alla vista di entrambi. Dietro di lei, una scia di piume cominciò a volteggiare in maniera del tutto casuale.  
“Ecco cosa devi fare.” Il ragazzo prese a fissarne una fra le tante e sorrise. “Volare. Seguire l’istinto, la libertà!” I suoi occhi blu zaffiro si piantarono in quelli di Ran. “Non sono io a dirti quel che è meglio per te, ma ormai sei qui. E allora io ti direi di provarci e di andare fino in fondo. Non vorrai avere rimpianti, vero? Per quanto mi riguarda invece, io preferirei che tu tornassi in Giappone, lì saresti al sicuro. Ma devi essere tu a fare questa scelta.”
Ran annuì appena ma proprio quando si stava apprestando a rispondere, una voce proveniente dagli altoparlanti sopra di loro si sovrappose al vociare generale; stavolta non si trattava di alcun tipo di annuncio registrato, nessun aereo stava partendo, nessuna comunicazione rivolta al personale. Nulla di tutto ciò. Si trattava di un messaggio rivolto proprio a lei.
La voce di donna parlò con disinvoltura attraverso il microfono: “La Signorina Mori Ran è pregata di recarsi presso il Gate numero 5 in attesa del prossimo aereo per l’aeroporto di Narita, in partenza alle ore 2.55. Ripeto, la Signorina Mori Ran è preg…”
La ragazza balzò in piedi e nuovamente ebbe l’irrefrenabile desiderio di urlare. Ancora una volta non fece quanto voluto, ma prese a guardarsi intorno spasmodicamente. Istintiva, si voltò poi verso i sedili alle sue spalle e corse con gli occhi alla disperata ricerca dei propri bagagli. Se ne ricordò soltanto dopo, quando già si era infilata le mani fra i capelli, che era corsa via dall’aereo portandosi con sé soltanto il proprio cellulare. “Oddio mio. Non ho nulla con me.” Sembrava essersi totalmente dimenticata di Kaito, che nel frattempo aveva seguito ogni suo singolo movimento. Ran si aggirava così nervosamente in quel mezzo metro quadrato, che alla fine fu costretto a trattenerla per le braccia e a scuoterla, nella speranza che rinsavisse.
“Ehi.” La richiamò alla normalità e si sorprese di quanto il corpo di lei avesse reagito in maniera così morbida. “Stai calma, ok?”
I due si scrutarono per alcuni istanti e Ran percepì una strana tranquillità sprigionarsi dal cuore. I suoi muscoli cominciarono a rilassarsi e anche la presa di Kid divenne più blanda. In quei pochi attimi era come se l’ansia fosse scomparsa e avesse lasciato il posto alla serenità. “Non so cosa mi sia preso.” Riuscì a dire. “Questo annuncio mi spinge verso di loro ma…”
Kid le impedì di proseguire e sfoderò un gran sorriso. “E’ ancora presto. Firenze ha ancora del tempo da regalarti. Perché non ti siedi e pensi meglio al da farsi?”
“Penso che sia una buona idea.” Ran si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio. “Ma perché non andiamo fuori a prendere un po’ d’aria?” Abbozzò poi un timido sorriso e le sue labbra si incresparono da una parte. Mancava circa un’ora alla partenza dell’aereo.
 
 
 
 

“Kudo, dannazione, mi stai ascoltando? Sto cercando di darti una mano.”
Era trascorsa oramai un’ora dall’atterraggio presso l’aeroporto giapponese di Narita, sessanta minuti che nella confusione erano letteralmente volati, strappati via: gli ultimi passeggeri avevano lasciato il terminal con la solita trepidazione di andare a recuperare le proprie valigie, mentre in un tripudio generale di volti, finalmente familiari, si riconciliavano famiglie e coppiette di innamorati, pronti ad incastrare i loro corpi in un abbraccio liberatorio.
Attraverso gli immensi finestroni che correvano tutto intorno alla sala d’attesa, si scorgevano le piste di atterraggio degli aerei, illuminate da lunghissime linee di lumini dai colori intensi, vividi. Il buio della notte non sembrava far paura, e nonostante tutto, non v’era neanche una nuvola. I volti erano quasi premuti contro il vetro, persi lungo quelle infinite distese di asfalto.
“Ai, sto cercando in tutti i modi di pensare positivo. Spero che perlomeno stia bene. Spero che non le sia successo nulla di grave.” Conan stava fissando il profilo sfumato di un aereo appena decollato, anche se i suoi occhi avevano tutta l’aria di star osservando qualcosa soltanto perché non ne avevano altra scelta. Era talmente preoccupato che persino le sue mascelle serrate tradivano la sua solita sfrontatezza di fronte alle avversità. Si trattava di lei, come avrebbe potuto starsene lì, buono buono, a rimuginare come se si fosse trattato di un normale caso di omicidio?
Ai inspirò piano ed un piccolo alone di umidità si dipinse sul vetro. “Non è che mi stai nascondendo qualcosa? E’ come se tu non mi avessi detto tutto quello che sai. C’è come un piccolo particolare che non smette di tormentarti, non è così? Fin da quando abbiamo parlato sull’aereo, ho capito che non vuoi dirmelo perché credi che questo possa aver scatenato la sua reazione.” La ragazzina parlava nel suo solito tono vagamente cinico: Conan non se ne curò. Aveva ragione.
A quel punto infatti, il piccoletto si voltò e diede le spalle al vetro, incrociò le braccia contro il petto ed osservò i Detective Boys che, in compagnia dei rispettivi genitori si apprestavano ad abbandonare il gate. “Quella guardia di fronte alla chiesa di San Lorenzo.”
Haibara sollevò le sopracciglia ma si limitò ad ascoltare.
“Era Kaito Kid.” Nel pronunciare quel nome, Conan strinse i denti senza neanche rendersene conto. “Quel vile. L’ha portata via, l’ha condotta a sé con l’inganno. Non c’è altra spiegazione.”
La ragazzina al suo fianco sorrise appena, forse malignamente divertita dal fatto che Shinichi Kudo fosse così infervorato dall’idea che uno come Kid l’avesse ‘rubata’ al Detective del terzo millennio. “E con ciò? E’ risaputo che ladro Kid non è il soggetto così pericoloso che credi. E perché avrebbe dovuto addirittura usare l’inganno per convincerla a seguirlo?” Il tono borioso della piccola continuava a divenire sempre più sottile e tagliente.
“Ma è chiaro! Ran non sarebbe mai scappata da quello lì! Figuriamoci.” Eppure d’improvviso, rivide mentalmente lo sguardo che si erano lanciati proprio di fronte alla chiesa, quando il mondo sembrava essersi capovolto, quando quella stretta di mano non era mai stata più debole, così crudelmente lontana. Scacciò via quell’orribile pensiero e scosse il capo con vigore, liberandosene in maniera forzata. “No, e ancora, no.”
Ai si strofinò le manine contro il volto e si ricordò di non aver chiuso occhio neanche per qualche ora, a differenza degli altri: cominciava ad avvertire la stanchezza del viaggio. “Comunque sia, spero per te che Ran sia in compagnia di Kid, perché se così fosse, sarebbe al sicuro. Non le farebbe mai del male.”
Conan deglutì. “Ma non ne abbiamo la certezza! Sono almeno due ore che cerco di mettermi in contatto con lei, ma non risponde neanche se la chiamo col numero di Shinichi.”
“Beh, è comprensibile. Hai fatto una delle tue solite promesse e non sei stato in grado di mantenerla. Come vuoi che si senta? Come minimo dovresti ritornare lì a riprendertela.”
Il piccoletto sbuffò sonoramente e sfilò dalla tasca il suo cellulare, nella speranza che il display mostrasse qualche messaggio da parte di Ran. “Mi sembra scontato farlo, se non prenderà il prossimo aereo. Credo di avere già in mente cosa fare.”
Haibara diede una sbirciatina al telefonino di Shinichi. “Sono tutta orecchie.”
“Convincerò il Dottor Agasa a darmi una mano, così ci recheremo nell’ufficio dell’Ispettore Nakamori. A quel punto avrò modo di accodarmi a lui.” Mentre parlava, Conan ebbe l’impressione che Ai non lo stesse ascoltando, così sollevò il capo in un cipiglio contrariato e vide che la ragazzina stava fissando qualcosa al di là dei sedili della hall.
Una donna alta, dal fisico longilineo e slanciato, si stava dirigendo verso Kogoro con passo spedito, ostentando una camminata perfetta nonostante i tacchi vertiginosi e lo stretto tailleur che le sottolineava il vitino da vespa. Si sistemò bene la borsa in spalla ma con un gesto decisamente nervoso; anche alcuni ciuffi le sfuggivano come impazziti dalla crocchia di capelli fissata sulla testa. Non appena la donna incrociò lo sguardo di Mori, i suoi occhi al di là degli occhiali divennero delle fessure e il suo volto si contrasse in una smorfia di rabbia.
“Io non ci posso credere!” Esordì quest’ultima in tono decisamente concitato. “Ti lascio solo con Ran e non sei neanche in grado di assicurarti che abbia preso l’aereo! Ora ricordo il motivo per cui ci siamo lasciati. Ma a cosa diavolo stavi pensando?”
A quel punto Conan aggrottò la fronte e scosse piano il capo. “Sempre la stessa storia, ora si scanneranno.”
Ai fece spallucce. “Non è colpa di nessuno, stavolta.”
Kogoro si alzò in piedi: come se non bastasse la preoccupazione per aver perso di vista Ran, ci si metteva anche quell’arpia a rendergli il tutto più difficile di quanto già non lo fosse. “Almeno adesso ti sei degnata di venire, Eri. Se non fosse rimasta lì, non saresti neanche venuta a riprenderla in aeroporto.”
La donna spalancò gli occhi e si sentì bruciare ogni singolo centimetro del corpo. “Ma come ti permetti? Lo sai benissimo che ho avuto del lavoro da svolgere in questi giorni e non avrei potuto rimandare la pratica di quel…” Ma la voce dell’ex marito si sovrappose alla sua.
“Si, si, certo. Come no. Anche io avevo del lavoro all’agenzia, ma ho rimandato. Sono stato io a portare Ran a Firenze. Non tu. Sia chiaro. Sono stato io a farmi carico di quella marmaglia di ragazzini petulanti e sai quanto odio quei ragazzini fra i piedi. Eppure ho cercato di fare del mio meglio perché potesse ricordare questi giorni. Io almeno ci sono stato.” Stavolta Kogoro rispose quasi con disprezzo, chiaramente disposto a far prevalere le sue ragioni.
Eri serrò le labbra che avevano cominciato a tremare contro la sua volontà, così si sforzò di stringere i denti per poter controbattere ancora. “Perché Ran è scesa da quell’aereo? Non le sarà mica successo qualcosa?! Sono ore che tento di chiamarla ma non mi risponde. Mi sta facendo preoccupare.” La voce si smorzo in un piccolissimo sussurro e compì qualche passo verso Kogoro. Questi infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e la fissò. “E quello che sto cercando di fare anche io, ma non risponde. E non ho la più pallida idea del perché sia scesa da quell’aereo.” Trascorsero alcuni istanti di un silenzio molto particolare, un silenzio di cui approfittarono entrambi per fingere di evitare i loro sguardi reciproci. Fu Kogoro a rompere l’idillio e con un rammaricato sospiro nascose il volto dietro alle dita della mano destra. “Forse abbiamo sbagliato tutto.”
Eri Kisaki non riusciva più a scorgere il viso di Kogoro, ma senza neanche guardarlo negli occhi percepì comunque la sua tristezza, che le doleva ammetterlo, apparteneva anche a lei. Erano così vicini in quel frangente, forse perché accomunati dalle stesse paure, dagli stessi timori, dai medesimi sensi di colpa. In passato quelle brutte sensazioni sarebbero state sì, sgradevoli, ma forse assieme avrebbero avuto tutt’altro sapore, non sarebbero state così opprimenti come lo erano in quegli istanti. Sì, forse in passato sarebbero bastati un sorriso ed un abbraccio per poter ripartire nel migliore dei modi. Eri ebbe l’irrefrenabile voglia di lasciarsi andare fra le braccia di Kogoro, ma il vederlo comunque così distante la fece rinsavire. Per un attimo aveva sperato di cancellare il passato per poter riaprire le porte del presente. “Aspettiamo che arrivi il prossimo aereo, magari ci stiamo soltanto facendo prendere dall’ansia. Sono sicura che Ran tornerà con quel volo.” Era inutile prendersela con Kogoro, avevano entrambi la loro fetta di colpe.
“Lo spero Eri, lo spero.” Concluse lui rivolgendo uno sguardo al cielo, oltre i vetri dei finestroni: era un manto così nero ed immobile che se avesse potuto, lo avrebbe squarciato come la tela di un quadro. Troppo sfrontato per starsene soltanto a guardare.
 
 
 
 

Firenze dormiva già da un bel pezzo, ma la movida notturna non avrebbe cessato di animarla almeno fino alle prime luci del mattino: nei suoi anfratti più remoti, nelle piccole viottole che si inoltravano furtive, persino nei bar più sgangherati della città, la vita continuava fra una risata di troppo e un goccio di alcol in più, fra i baci rubati in penombra e le lacrime versate in silenzio.
Il cielo era limpido e scuro, Ran ebbe un brivido nel ritornare a guardare la strada di fronte a lei. “Comincia a fare freddino, eh.” Esclamò, portando un piedino di fronte all’altro e fissando i ciottoli in terra.
Kaito Kid la guardò e sorrise: erano oramai vicini al fiume. Sollevò il braccio e glielo avvinghiò intorno alle spalle. “Se vuoi ti riscaldo io.”
Ran gli strinse la camicia fra le dita e lo fulminò con lo sguardo. “Ho detto solo di avere freddo, non di avere bisogno di calore. Tieni giù quelle manacce, chiaro?” Lo scansò stizzita, mentre rideva appena.
“Ops, perdonami. Dimentico sempre che tu appartieni ad un altro.”
Nell’udire quelle parole, il sorriso di Ran scomparve dal suo viso e vi prese invece posto un’espressione piuttosto nervosa. “Ma sentilo! Non sia mai, io sono un’anima libera. Ormai sono maggiorenne e non ho alcuna intenzione di dipendere da qualcuno. Specialmente se quel qualcuno … Beh. Lasciamo stare.”
Kid le rivolse uno sguardo fugace e continuò a camminare al suo fianco, avvicinandosi poi al parapetto del ponte: non riuscì a trattenere un largo sorriso. “Credo di aver beccato un tasto dolente. Cambiamo argomento, dunque?”
Lei annuì con decisione e senza aprir bocca lasciò che le sue manine fredde scivolassero lungo il muricciolo in marmo: contrariamente al Vecchio, quel piccolo ponticello sembrava essere il suo fratellino più piccolo e nulla aveva a che vedere con la sua controparte storica, tant’era sottile e longilineo. A Ran diede quasi l’impressione che camminandoci sopra, avrebbe potuto franare proprio sotto i suoi piedi. Grazie al fatto che fosse così esile, però, la visuale sul fiume ne giovava decisamente. Fu Kid ad irrompere nuovamente, con la sua voce ferma e limpida.
“Che meraviglia, non trovi?”
La ragazza continuò a camminare per un’altra decina di metri, poi ruotò il corpo verso l’orizzonte ed incrociò entrambe le braccia sulla superficie liscia del muretto. Finse di non capire a cosa stesse alludendo. “Cosa?”
Kaito Kid imitò Ran ed assunse la sua stessa posizione, con lo sguardo rivolto dapprima alle due rive del fiume, poi in lontananza e ancora dopo, nelle sue profondità. “L’acqua del fiume, i suoi mille riverberi brillanti. E’ così calmo, qui. Passerano sì e no, un paio di macchine ogni dieci minuti. Eppure nonostante la tranquillità, non credi che questo serpentello nero incuta un po’ di timore? Non ti mette in soggezione?”
Ran inspirò leggermente e sentì un fresco e sottile odore di acqua. Ma che diavolo ci faceva ancora lì, con un… ladro? “In soggezione? Perché dovrebbe?” A quel punto cominciò a fissarlo, incredula. Era incuriosita dal suo modo di fare così misterioso, ma lo divenne ancor di più quando lo vide scavalcare il muretto e sedervisi, rivolto proprio verso il fiume. “Aspetta, ma che stai facendo? Non è pericoloso?” Balbettò dunque Ran per poi pentirsene l’attimo dopo. Figuriamoci se Kaito Kid si facesse problemi nel sedersi a quel modo sul muretto di un ponte?!
“Salta su.” La esortò con la mano.
La ragazzina mora scosse il capo. “Fossi matta! E se poi mi butti giù?”
“Devo per caso ricordarti che hai avuto il coraggio di scendere dall’aereo per il Giappone? Ed ora hai paura di fare una cosa così stupida?” Il tono di Kid era così dolcemente ironico ed al contempo, persuasivo, che alla fine Ran si lasciò convincere a salire sul muretto. In un primo momento, dopo essersi sistemata il vestitino, sentì la sgradevole sensazione delle gambe che penzolavano nel vuoto e anche se metri e metri si frapponevano tra lei ed il fiume, era come se i piedi ne sfiorassero la superficie bagnata. Voleva scendere per potersi sentire più sicura, ma lottò intimamente contro il suo piccolo disagio.
“Ecco, ora potresti capire meglio per quale motivo mi sentivo in soggezione. Non appena ti sporgi un po’ di più, non appena abbandoni la terra ferma, assieme alla sua stabilità, ti sentì come sprofondare. Giusto?”
Lei annuì piano, sforzandosi di guardare le sue dita che si torcevano le une contro le altre. “E quindi? E’ normale che standomene quasi nel fiume io abbia paura.”
Kaito rise appena. “Ma no, sciocca. E’ vero che ci si sente più fragili, ma non ti sentì più libera? E poi, da questa posizione si ha una visuale migliore, senza il muretto che si frappone fra te ed il fiume. E’ da qui, che si vedono le stelle.” Un piccolo sorriso gli illuminava non solo il viso, ma improvvisamente anche i suoi occhi guizzarono in alto, persi nella infinita volta celeste, come sempre costellata da timidi barlumi.
Ran sentì un brivido lungo la schiena ed inevitabilmente pensò con rammarico che quel paradiso notturno avrebbe potuto viverlo assieme a Shinichi, fra le sue mille e boriose parole ed i suoi sorrisini; gli avrebbe raccontato moltissime cose e avrebbe parlato con lui per ore, finché l’alba non avesse ricordato loro che un nuovo giorno stava per cominciare. Ed invece era lì, seduta pericolosamente al limitare di un fiume che Kid trovava così poetico, ma che lei al contrario, vedeva soltanto come un’impersonale e fredda distesa di acqua. Acqua e niente più. Aveva senso, senza Shinichi?
Mentre trasse un lunghissimo sospiro, si rese conto che Kaito stava armeggiando con il suo cellulare e di punto in bianco esclamò: “Chi è Aoko?”
Kid strabuzzò gli occhi e le mani gli tremolarono abbastanza da fargli quasi scivolare il telefono in acqua. “A-Aoko?”
“Sì, ho letto il suo nome sul display. Mi spiace se ho dato una sbirciatina, ma l’ho fatto involontariamente. E’ la tua ragazza?”
Lui ripose il cellulare in tasca e scosse vigorosamente il capo. “Ma figurati, quale ragazza. E’ soltanto un’amica.” Tagliò corto lui. Ma quante e quante volte, la stessa Ran si era ritrovata a pronunciare quelle parole? Sulle proprie labbra erano sembrate sempre così convincenti, ma su quelle del ragazzo suonarono più come una scusa. Era così orgogliosa da non rendersi conto che probabilmente valeva anche per lei.
“Ma non parliamo di Aoko. Non volevi sapere cosa scrive Mr. X? Ho trovato l’ennesimo indizio. Il foglietto è proprio nel taschino della mia camicia.” Kid premette le dita contro il petto, in corrispondenza della tasca. “Ma prima di mostrartelo mi devi raccontare del tuo primo incontro con lui.”
Ran annuì appena e cominciò a molleggiare delicatamente le gambette sottili, ora più sicure nel ballonzolare a qualche metro dall’acqua. Inziò a raccontare dell’incontro al bar, descrisse meticolosamente il viso sfregiato di quell’uomo ed aggiunse anche tutte le sensazioni che aveva provato nel piantare gli occhi in quelli algidi e cristallini del fantomatico Mr.X. La ragazza strinse i suoi, come se tentasse di mettere a fuoco quei ricordi sbiaditi. “Aveva uno sguardo terribile, persino la mia amica Sonoko lo aveva notato. Erano occhi freddi, privi di vita. Sembravano pezzi di ghiaccio. E poi il resto della storia la sai. Inoltre si è rivolto a me in un modo molto particolare. Sembrava quasi che mi conoscesse da una vita o che mi avesse già vista in passato. Ma io non ricordo nulla di lui.”
Kuroba venne catturato per qualche secondo da un pesciolino che si era rituffato in acqua. Non rispose ma i suoi occhi si piantarono in quelli di lei.
Ran sorrise. “E allora? Me lo fai leggere il biglietto?”
In maniera del tutto insolita, però, Kaito Kid continuò a non rispondere e si limitò a prendere una ciocca dei capelli castani di lei, cominciando poi ad accarezzarla fra l’indice ed il pollice. “E’ stato molto bello chiacchierare con te, Ran.”
Il cielo era stato limpido e chiaro sino ad allora, ma a poco a poco, il buio stava affievolendosi, si stava liberando del suo nero e l’oscurità stava cedendo il posto ad un tiepido calore: gli orli dei palazzi si stagliavano con più forza su uno sfondo sempre più violaceo ed accecante, ed il fiume non faceva più così paura. Sembrava rinascere nella nuova e tiepida luce dell’alba.
“Aspetta, che cosa…?” Ran non riuscì a parlare, era come se le parole non riuscissero ad uscire dalle labbra, a prender forma: eppure nella sua mente aveva ancora così tante domande da fargli, così tante cose da raccontare.
“Sono stato davvero bene, mia piccola Ran.” Kid sembrò non ascoltarla, ma piuttosto continuava a guardarsi le dita, impegnate a giocherellare fra i morbidi capelli di lei. “Ora devo andare. Ti auguro un buon rientro in Giappone.” Balzò giù dal muretto e sfoderò un gran sorriso. “Vuoi vedere ancora un volta una delle mie magie?”
La ragazza non capiva più nulla: il cuore le batteva a mille, si sentiva totalmente inebetita. Si limitò ad annuire.
Il Ladro Gentiluomo strofinò allora le dita della mano destra, sotto lo sguardo intontito di lei, poi non appena la riaprì, sul palmo comparve il petalo di una rosa blu. Lo lanciò in aria e con estrema nonchalance, si inchinò di fronte alla ragazza. “Au Revoir, mia cara. A presto.” Strizzò l’occhiolino e si voltò, cominciando ad incamminarsi lungo il marciapiede, come se nulla fosse successo e come se quella chiacchierata notturna fosse stata il frutto di un unico, lunghissimo sogno.
Ran strinse piano i denti ed osservò il petalo volteggiare fino ad adagiarsi a terra: guardò l’orizzonte farsi sempre più chiaro e variopinto di colori, poi inevitabilmente il suo sguardo tornò sulla figura del ragazzo che andava via. La stava lasciando lì, da sola?
Improvvisamente, ella comprese: il fiume, le stelle, l’acqua che rischiava di avvilupparla a sé, qualora avesse perso l’equilibrio; tutto quel che aveva fatto era terribilmente sbagliato, i suoi si sarebbero preoccupati all'inverosimile e probabilmente non l’avrebbero mai più perdonata dopo un simile gesto. Eppure in fondo al suo cuore aveva già compiuto quella scelta e se avesse voluto veramente guardare la vita da una prospettiva differente, avrebbe dovuto lasciarsi qualsiasi altra cosa alle spalle. Non si sarebbe più voltata indietro. Doveva guardare soltanto la strada di fronte a sé, un passo dopo l’altro. Sempre più avanti. Racimolò quel briciolo di forza che le rimaneva in corpo e si riempì i polmoni di aria nuova.
‘Ma dove crede di andare, quello lì? Non vorrà mila lasciarmi in balia del mio destino?’ Ran si buttò giù dal muretto e cominciò a correre come una forsennata. “Ehi, tu! Aspetta! Kaito Kid!”
Quest’ultimo, colto alla sprovvista, fu costretto a voltarsi e a far segno di abbassare il tono della voce: la ragazza sembrava talmente determinata da non volersi fermare, correva così rapidamente da sembrare quasi minacciosa.
“Non ti muovere, non scappare!” Ran giunse vicino al ladro, ma stavolta nei suoi immensi occhi azzurri scintillava una strana luce ricolma di speranza e sembrava che la malinconia l’avesse abbandonata per sempre.
Le guanciotte erano imporporate di rosso fragola per via della corsa. Inizialmente non riuscì quasi a parlare, così attese che un paio di respiri affannosi le facessero riprendere fiato.
“Portami con te, Kid. Hai un debito con me.” Sussurrò piano.
“Cosa?! Di quale debito stai parlando?”
“Non vorrai mica che metta mio padre sulle tue tracce? E non vorrai mica che la tua ragazza scopra che sei allegramente in giro con un’altra?”
Kid rise nervosamente. “Ma sei pazza?! Non ti azzardare a fare una cosa del genere. E comunque no, non se ne parla. Piuttosto muoviti, tra poco c’è l’ultimo aereo. Ed Aoko non è la mia ragazza.” Puntualizzò con stizza. Gli saliva il sangue al cervello non appena si pronunciava quel nome.
Ma Ran non demordeva, strinse i pugni e cominciò a parlare in tono concitato: non era la ragazza debole e dolce che l’attimo prima provava timore persino nel sedersi su di un muretto. Sembrava invece, incredibilmente forte, coraggiosa.
“Portami con te!” Ripeté, decisa.
“Non se ne parla, è fuori discussione! Mi saresti d’intralcio e basta. Chiederò io personalmente a Mr. X il motivo per cui ti ha aggredita. Ora va via!” Kaito Kid fece per voltarsi nuovamente e riprendere il cammino, ma una mano si avvolse con forza intorno al suo polso.
“Per favore, Kid. Lo so che non sei cattivo. Lascia che venga con te. Ti prometto che non ti rallenterò, anzi.” Neanche il viso corrucciato di lui, neanche i suoi occhi severi che la fissavano con fare ammonitore l’avrebbero smossa.  
“Ma perché?” Lui fu in grado di chiederle solo quello. La osservò, mentre la presa al polso non accennava ad affievolirsi.
Fra i due correvano i più disparati pensieri ed il timore di sbagliare si insinuava in entrambi come un serpente che alla fine li avrebbe stretti nella sua morsa sino ad ucciderli. Ran provava una mescolanza di libertà e voglia di evasione, ma nel frattempo si sentiva come in balia di un destino che l’avrebbe ugualmente incatenata. Kaito invece percepì, grazie a quelle dita serrate intorno al polso, quanto lei avesse bisogno di un appoggio e si convinse che non avrebbe potuto lasciarla da sola. Eppure il suo cuore aveva cominciato a battere in maniera del tutto irregolare: sentiva la sgradevole sensazione di star sprofondando in qualcosa che era persino più grande di lui e forse non era giusto che anche Ran venisse invischiata in quella storia di cui non conosceva neanche la trama.
“Perché voglio guardare le stelle anche io, così come fai tu.” Ran si stupì persino di se stessa, sembrava come se qualcun altro le avesse messo in bocca quelle parole; eppure le aveva pronunciate così delicatamente che alla fine, il ladro se ne lasciò ammaliare.
“E va bene, hai vinto tu.” La voce di Kaito Kid era un sussurro liberatorio.
E poco dopo, anche l’ultima, piccolissima stella, scomparve dalla volta celeste, oramai rischiarata dalla luce del mattino.
 




 
 
Ehm, ehm. Salve a tutti. Sì lo so. Sono mooooolto in ritardo con l'aggiornamento del capitolo ma purtroppo ho avuto parecchi impegni fra università, esami, famiglia etc etc... :D e quindi il tempo per scrivere si è letteralmente ridotto all'osso. Ma veramente all'osso! 
Eppure una "buona" notizia forse c'è... :) Ho finalmente steso i punti salienti della trama di questa storiella, che inizialmente era un po' incasinata nella mia testolina, ma ora finalmente ogni tassello ha completato definitivamente il grande puzzle *.* Non voglio abbandonare questa fan fiction, assolutamente! Quindi spero che quei pochissimi lettori che la seguono siano felici di leggere :] Mi fa sempre piacere sapere che c'è qualcuno che legge, da qualche parte del globo! Ahahahaahah.. E insomma questo capitoletto è un po' così, anche perché dovevo soffermarmi a descrivere i sentimenti di tutti i personaggi e spero di averlo fatto nel migliore dei modi, per quanto mi è stato possibile perché purtroppo a me non convince proprio nulla :( dall'inizio alla fine! Che disastro.. -.- Ho perso un po' la mano ma spero di riprendere presto a scrivere in maniera più fluida :) nel frattempo mi fermo a salutare Flaminia <3 E le dico di tenere duro :@@@@@@ perché quando il gioco si fa duro... i mollacchioni come me vengono spappolati U_U <3 <3 <3 
E niente, direi che per ora è tutto. Spero vivamente che nonostante il tempo trascorso, ci sia ancora qualcuno che legga questa piccola storiellina piccina picciò! Fatemi sapere, ve ne sarò immensamente grata se lascerete un segno del vostro passaggio, di qualsiasi natura esso sia ahahah :) anche un pomodoro spiacciccato in un occhio, mi va benissimo! XD 
Dal prossimo capitolo ne accadranno delle belle...! :) 
Byeeeeeeez a tutti! Un Bacio...


Aya_Brea


 
  
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